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Già nel 1784 Ferdinando IV di Borbone dopo il terremoto di Messina e della Calabria (1783) emanò una circolare illustrativa con istruzioni tecniche per la costruzione di nuovi fabbricati.

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C C AP A P IT I T OL O L O O 1 1

Ev E vo ol lu u z z io i on ne e s st to or ri ic ca a d de e ll l la a n n or o rm ma at ti iv va a s si is sm m ic i ca a i in n I It t al a li ia a. .

Questo breve capitolo vuole essere una sintesi di come si è evoluta nel tempo la Normativa sismica nel nostro Paese, cercando di cogliere il progresso nella progettazione antisismica degli edifici, sia nella pratica esecutiva, sia nelle caratteristiche dei materiali e nelle conoscenze teoriche.

E’ sempre dopo un evento tellurico catastrofico che leggi, decreti e circolari venivano, e vengono ancora oggi aggiornate nel tentativo di limitare i danni e salvaguardare la vita umana.

Già nel 1784 Ferdinando IV di Borbone dopo il terremoto di Messina e della Calabria (1783) emanò una circolare illustrativa con istruzioni tecniche per la costruzione di nuovi fabbricati.

In essa si definiva l'altezza dello zoccolo di fondazione, fino a 130 cm circa, si

fissava in 65 cm lo spessore delle murature e si imponeva l'uso di mattoni o di pietre

piccole, ossia maneggiabili con una mano.

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La struttura di copertura doveva poggiare su cordoli alla sommità della muratura, collegati alla muratura stessa nel tentativo di formare una struttura a telaio.

In seguito il Governo Pontificio di Pio IX, sempre dopo i terremoti di Napoli e Norcia, emanò un regolamento edilizio nel quale si limitava l’ altezza dell’ edificio fino a due piani, per un massimo di otto metri, dal terreno fino alla linea di gronda.

Le murature esterne dovevano avere una scarpata di un ventesimo dell’ altezza fino ad un minimo di 60 cm, limite questo che valeva anche per le murature interne.

Attenzione veniva posta anche al particolare costruttivo, infatti allo scopo di ottenere una “massa tutta unita” si prescriveva l’ammorsamento fra muri interni ed esterni.

L’importanza di questo regolamento sta nell’introduzione di un aspetto tecnico che possiamo riscontrare nelle recenti Normative; in esso infatti veniva richiesto che le aperture di porte e finestre fossero a distanza conveniente dagli angoli dei muri esterni e delle estremità dei muri di tramezzatura e che le aperture risultassero verticalmente allineate a conferire regolarità alla costruzione.

Si giunge al terremoto del dicembre 1908, considerato uno degli eventi più catastrofici del XX secolo, esso provocò un deciso impegno dello Stato ad operare in prevenzione rispetto al terremoto. Vennero così tradotte in legge le esperienze maturate in ambito scientifico e nella tecnica delle costruzioni anche a seguito di precedenti terremoti.

Fu emanato il Regio Decreto 18 aprile 1909 n. 193, seguito dalla circolare n.

2664 del 20 aprile 1909 che ne forniva le istruzioni tecniche ed elencava qualche

centinaio di Comuni in Sicilia e Calabria nei quali era posto l’obbligo di rispettare

specifiche, espresse dallo stesso Regio Decreto, per l’edificazione delle nuove

costruzioni e per la riparazione di quelle danneggiate. Le norme escludevano la

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possibilità di edificare su siti inadatti (terreni paludosi, franosi, molto acclivi), consentivano di edificare nuove costruzioni solo con specifiche tecnologie e nel rispetto di dettagliate regole costruttive.

Con esso si vietava la costruzione di edifici con altezza in gronda superiore ai 10 metri per un massimo di due piani fuori terra; limitazione questa categorica per quegli edifici che venivano considerati di importanza strategica, quali: scuole, alberghi, ospedali, caserme e simili. Per tutti gli altri tipi di edifici, su parere favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, si potevano costruire edifici di maggiore altezza e con un maggiore numero di piani se l’edificio poteva essere considerato “isolato”, cioè avere un’area libera intorno per una distanza pari all’altezza dell’ edificio; altezza che non doveva eccedere i 16 m.

L’articolo 5 pone l’ attenzione sull’ utilizzo di materiali di buona qualità, vietando di utilizzare ciottoli, se non opportunamente squadrati, e la ghisa, considerata materiale fragile per travi e colonne.

In questo decreto si prescriveva, che le costruzioni fossero realizzate con sistemi tali da comprendere un’ ossatura di legno, di ferro, di cemento armato o di muratura armata, realizzate con continuità dalle fondazioni al tetto e saldamente collegate con strutture orizzontali, i solai.

La muratura ordinaria non era abolita ma limitata a quegli edifici formati dal solo piano terreno, con il rispetto di dettagliate regole costruttive, quali per esempio l’ utilizzo di malta di buona qualità, l’utilizzo di blocchi di pietra squadrati naturali o artificiali, oppure con struttura listata, la necessità di non superare la distanza di 5 metri tra i muri portanti perimetrali e non.

Altro aspetto era la definizione dell’azione sismica da considerare nei calcoli di stabilità e resistenza, distinta in un’ azione statica ed una dinamica.

L’azione statica era da considerarsi dovuta al peso proprio ed al sovraccarico,

entrambe aumentate di una percentuale a rappresentare l'effetto delle vibrazioni

sussultorie. L’azione dinamica era da considerarsi dovuta al moto sismico

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ondulatorio, rappresentata con accelerazioni applicate alle masse del fabbricato nelle due direzioni (lunghezza e larghezza) ed agenti in entrambi i sensi di ogni direzione.

Dalla definizione di queste due azioni si coglie l’introduzione, anche se pur di carattere qualitativo, di coefficienti che maggiorassero l’azione sismica per tenere di conto della natura dinamica del fenomeno.

Il Regio Decreto n. 193 fu poi sostituito dal Decreto Reale 1080 del 6 settembre 1912, nel quale fu ammessa la muratura ordinaria anche per edifici a due piani purché non più alti di 7 metri, in mattoni o in blocchi di pietra naturale o artificiale di forma parallelepipeda.

Altro Regio Decreto da ricordare è il D.L. 5 novembre 1916 n. 1526, con il quale vennero quantificate le forze sismiche e la loro distribuzione lungo l’altezza dell’edificio. L’effetto delle vibrazioni sussultorie provocate dal sisma viene simulato mediante un incremento del 50% delle azioni statiche provocate dal peso proprio e dal sovraccarico. I rapporti tra le forze orizzontali da introdurre nei calcoli ed i corrispondenti pesi dovevano essere uguali ad 1/8, al piano terreno per edifici con altezza non superiore ai 10 metri, ad 1/6 per i piani superiori e per gli edifici di altezza maggiore.

Nel 1926 dopo il terremoto di Siena e Grosseto, si ha l’entrata in vigore di un nuovo Decreto Reale, il n. 705 del 3 aprile 1926, nel quale per la prima volta si tenta di dare un classificazione al territorio italiano introducendo due categorie sismiche.

Si limitava a 10 metri e a due piani l'altezza dei fabbricati in zona sismica di

prima categoria e a 12 metri e a tre piani per quelli in seconda categoria, sempre con

altezza di interpiano inferiore a 5 metri.

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Le costruzioni in muratura ordinaria erano consentite fino a 8 metri in prima categoria e a 12 metri in seconda categoria, sempre con muri trasversali a distanza non superiore a 7 metri; spessore della muratura in mattoni pari a 30 cm all'ultimo piano con aumento di 15 cm ad ogni piano inferiore. Si poteva costruire in muratura

“animata” o armata rispettivamente fino a 10 metri e 12 metri.

Nel 1935 il Regio Decreto Legislativo n. 640 rappresentò per diversi aspetti un deciso passo avanti, con l’emanazione di specifiche direttive tecniche e con l’obbligo per i Comuni di approntare propri regolamenti edilizi.

Alcune di tali direttive riguardavano la limitazione delle altezze degli edifici in funzione della larghezza delle strade e l’innalzamento delle altezze massime permesse in funzione delle tecnologie costruttive, il dimensionamento delle strutture in cemento armato, la definizione delle forze sismiche globali e la prescrizione di considerare il comportamento globale delle strutture a telaio secondo la teoria dei sistemi iperstatici elastici.

Il R.D.L. del 1935 venne poi modificato dal Regio Decreto n. 2105 del 22/11/1937, dove l’incremento dei carichi verticali permanenti di progetto, per tener conto degli effetti sussultori, doveva essere limitato al 40% per le zone di I categoria ed al 25% per quelle di II, mentre i carichi accidentali dovevano essere considerati nella proporzione di 1/3 dei valori nominali.

Le forze orizzontali venivano calcolate tenendo conto del coefficiente per l’azione che valeva 0,1 per le zone di I categoria e 0,07 per le zone II.

Si verificò dunque un decremento del rapporto tra forze orizzontali e masse di

piano; tra l’altro dovendosi considerare tali valori costanti per tutta l’altezza

dell’edificio si perse di vista la natura dinamica del sisma, concetto che venne

ripreso solo nel 1975.

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Si ha poi un salto di circa quarant’anni dove nel mezzo si possono trovare decreti che confermano il fatto di trascurare la dinamicità del sisma. Si arriva quindi alla legge n. 64 del 1974, la quale rappresenta un punto fondamentale nel percorso delle normative, attualmente vigenti.

La novità è la possibilità di aggiornare classificazione e norme tecniche quando le conoscenze dei fenomeni sismici lo permettano, evitando le procedure che rallentavano l’entrata in vigore di una legge, liberandole cioè dall’iter parlamentare. Inoltre essa sanciva alcuni principi generali, anche di carattere tecnico, ma l’aspetto più importante è di affidare ad appositi Decreti Ministeriali il compito di disciplinare, sotto il profilo della sicurezza, i diversi settori delle costruzioni, garantendo inoltre un più agevole aggiornamento successivo delle norme stesse.

All’ art. 1 (Tipo di strutture e norme tecniche) del Titolo I “Disposizioni generali”

sono fissati gli argomenti che dovevano essere trattati nelle norme tecniche, quali:

criteri generali tecnico-costruttivi per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento;

carichi e sovraccarichi e loro combinazioni, anche in funzione del tipo e delle modalità costruttive e della destinazione dell'opera; criteri generali per la verifica di sicurezza delle costruzioni;

indagini sui terreni e sulle rocce, stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, criteri generali e precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo delle opere di sostegno delle terre e delle opere di fondazione;

criteri generali e precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo di opere speciali, quali ponti, dighe, serbatoi, tubazioni, torri, costruzioni prefabbricate in genere, acquedotti, fognature;

protezione delle costruzioni dagli incendi.

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Nel Titolo II, “Norme per le costruzioni in zone sismiche”, la legge stabiliva che la classificazione sismica del territorio italiano doveva procedere sulla base di comprovate motivazioni tecnico scientifiche e rimanda a “decreti del Ministro per i Lavori Pubblici emanati di concerto con il Ministro per l'Interno …” l'aggiornamento degli elenchi delle zone dichiarate sismiche.

Tale aggiornamento da parte del Ministero, venne fatto con una prima classificazione con l’entrata in vigore del decreto del 3 marzo 1975, aggiornata poi nel 1980 dopo il terremoto dell’ Irpinia e successivamente con i decreti 19 giugno 1984, 29 gennaio 1985, 24 gennaio 1986 e 16 gennaio 1996, utilizzando le carte di scuotibilità del C.N.R. .

Nel D.M. del 1975 si ha l’introduzione dello spettro di risposta in funzione del periodo proprio della struttura e della possibilità di eseguire un’ analisi dinamica, oltre ai nuovi limiti per le altezze massime e numero di piani per gli edifici in muratura.

Il DM LL.PP. del 14 luglio del 1984 rappresenta l’ultimo di una serie di decreti emanati dal Ministero del Lavori Pubblici tra il 1979 e il 1984 con i quali sono stati ridisegnati i limiti della classificazione sismica in vigore fino al 2003.

Di interesse attuale è il D.M. del 20 novembre 1987, ancora oggi in vigore fornisce i criteri generali tecnico-costruttivi per la progettazione, l'esecuzione ed il collaudo degli edifici a uno o a più piani, in tutto o in parte a muratura portante.

Il D.M. 16 gennaio 1996, “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche”

presenta delle novità rispetto alle normative precedenti; in questo decreto infatti non

si fa più riferimento ad un numero massimo di piani di un edificio, ma solo alla sua

altezza massima, e attraverso il controllo degli spostamenti si pone l’ attenzione sul

danneggiamento degli impianti.

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Su parere favorevole del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici è possibile realizzare costruzioni dotate di isolamento sismico con dispositivi capaci di dissipare l’energia trasmessa dal sisma.

Ultimo in ordine cronologico è l’attuale O.P.C.M. 3274/2003, rivisto con l’ordinanza 3431/2005.

In questa normativa le novità essenziali sono, il completo abbandono del Metodo alle Tensioni Ammissibili a favore del Metodo agli Stati Limite e il diverso approccio progettuale; il calcolo infatti è improntato sulla ricerca di prestazione della struttura in cui viene preventivamente dichiarato l’obiettivo, e specificato i metodi utilizzati per il suo raggiungimento.

Tale fine è quello di far in modo che la struttura abbia modalità di danno e collasso dotate di duttilità; si preferisce che capacità deformative e capacità dissipative precedano sempre modalità di collasso fragile, impedendone il verificarsi.

Questo viene tradotto con l’introduzione del metodo della gerarchia delle resistenze, il quale permette di scegliere a priori il meccanismo di collasso della struttura, nell’intento che sia il più dissipativo possibile. Si scelgono quindi le zone di dissipazione nell’ intero sistema in modo che siano responsabili dell’ attivazione del modo voluto. Queste zone sono preferibilmente le sezioni estreme delle travi, dove si privilegia il raggiungimento della crisi per flessione rispetto al taglio, sintomo di fragilità. Tutte le altre zone vengono progettate per mantenersi in campo sostanzialmente elastico (queste zone sono le sezioni dei pilastri).

Infine si pone l’attenzione sulla classificazione sismica del territorio, allo scopo

di definire aree all’ interno delle quali la pericolosità sismica viene definita in modo

uniforme.

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Da quanto riportato fino ad ora si può affermare che fin dai primi tentativi avvenuti nel 1926, la classificazione era compiuta sulla base delle sequenze di eventi sismici occorsi dopo il 1915, ed interessava solo quelle zone colpite da sisma, lasciando al di fuori il resto del territorio nazionale. Ciò è confermato dalle successive classificazioni fatte nel 1937, 1962 e 1975.

E’ grazie alla legge 64 del 1974 che il Ministero dei Lavori Pubblici nel 1979 avvia il progetto “Finalizzato Geodinamica” del CNR, il quale realizzò le carte di scuotibilità del territorio italiano. Attraverso queste carte il Ministero LL.PP. con una serie di decreti, negli anni ha ridisegnato i limiti della classificazione sismica, passando da una copertura del 25% del territorio nel 1980, al 100% con la normativa vigente nella quale è introdotta una nuova classe (la 4

a

) che copre l’ intero territorio rimasto scoperto dal decreto precedente.

Le figure seguenti mostrano questa evoluzione nella copertura del territorio.

- Classificazione del 1909 - - Classificazione del 1915 -

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- Classificazione del 1927 - - Classificazione del 1935 –

- Classificazione del 1937 - - Classificazione del 1962 -

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- Classificazione del 1975 - - Classificazione tra il 1979 e il 1984 –

- Classificazione del 2000 - - Classificazione attuale -

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