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Cass. pen., Sez. I, sent. 19 dicembre 2014 (dep. 22 gennaio 2015) n. 3130, Pres. Cortese, Rel. Di Tommasi.

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3130 / 15

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Camera di consiglio del 19/12/2014n

h '5

R.G.N. 16888/2014

Composta da Sentenza n. se7.

Arturo Cortese - Presidente -

Luigi Pietro Caiazzo Adet Toni Novik

MariaStefania Di Tornassi - relatore - Angela Tardio

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da MORETTI Rocco, nato a Foggia il 7/12/1950,

avverso l'ordinanza emessa in data 13/3/2014 dal Tribunale di sorveglianza di Catanzaro

Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Enrico Deleheaye, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | redazione@penalecontemporaneo.it

Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò | 2010-2015 Diritto Penale Contemporaneo

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RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro rigettava il reclamo proposto da Rocco MORETTI avverso il provvedimento con cui, il 25 gennaio 2014, il Magistrato di sorveglianza aveva respinto la sua richiesta di liberazione anticipata "speciale" (ai sensi dell'art. 4 d.l. n. 146 del 2013, convertito con modificazioni, nel frattempo, con la legge 21.2.2014, n.

10).

A ragione del rigetto osservava, per quanto interessa ai fini del ricorso, che il Moretti era stato condannato [anche] per reati di cui all'art. 4-bis legge n. 354 del 1975 (Ordinamento penitenziario), sicché, in forza della legge di conversione, allo stesso il beneficio non era applicabile. Inoltre, il tenore letterale della legge, la natura della stessa - speciale e perciò di stretta interpretazione -, l'evidente rado, infine, dell'esclusione legata alla sussistenza di pericolosità qualificata desumibile anche da una sola condanna, impedivano di ritenere che, ai fini dell'applicabilità del beneficio dovesse procedersi a scioglimento del cumulo onde verificare se, come sostenuto dal ricorrente, lo stesso avesse già finito di espiare le condanne per i delitti ostativi.

2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il Moretti, con due atti distinti, l'uno personale, l'altro a mezzo del difensore avvocato Salvatore Staiano, chiedendone l'annullamento.

2.1. Con il ricorso personale il Moretti, premesso che è in espiazione di pene portate da provvedimento di cumulo materiale del Procuratore generale di Bari, denunzia violazione di legge:

2.1.1. in relazione all'affermazione che si applicherebbe al ricorrente la legge di conversione, non essendo nella situazione considerata evocabile il principio tempus regit actum, le disposizioni in materia di liberazione anticipata non avendo natura processuale e dovendo perciò applicarsi la legge vigente al momento della richiesta;

2.1.2. in relazione al diniego della scissione del cumulo, in violazione ai principi affermati da Sez. Un n. 14 del 1999, Ronga, e in contrasto con il tenore letterale della disposizione, che fa riferimento alle sole condanne per reati ostativi e non a provvedimenti di cumulo o a concorso di reati o unificazione di pene concorrenti comprensivi dì reati ostativi.

2.2. Con il ricorso a firma del difensore si denunzia, con motivo formalmente unico, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b), erronea applicazione della legge sotto analoghi aspetti.

2.2.1. Si afferma, anzitutto, che erroneamente il Tribunale aveva evocato il

principio tempus regit actum individuando l'atto da cui dipendeva l'individuazione

della legge da applicare nella sua decisione, dovendo al contrario ritenersi che le

regole applicabili erano quelle vigenti al momento della domanda. L'erroneità

della decisione, legata a dato temporale del tutto casuale, era quindi ancor più

evidente se solo si considerava che il Magistrato di sorveglianza aveva motivato

il suo rigetto sulla base di una relazione di sintesi datata 2008, non attuale e che

era addirittura precedente al periodo di detenzione da prendere in

considerazione.

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2.2.2. Si osserva, quindi, che appariva in ogni caso errata la decisione che aveva ritenuto inscindibile il cumulo e respinto l'istanza nonostante il ricorrente, ultrasettantenne, avesse già espiato la pena detentiva per i reati ostativi, in contrasto con i principi affermati da C. cost. n. 361 del 1994 e Sez. U, del 30/06/1999, Ronga.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato limitatamente all'aspetto della scindibilità del cumulo.

2. In relazione all'infondatezza dell'assunto che le modifiche apportate alla disciplina della liberazione anticipata speciale in sede di conversione, con legge n. 10 del 2014, del d.l. n. 146 del 2013 - escludendo dalla sfera d'applicazione del beneficio i condannati per taluno dei delitti indicati nell'art. 4-bis ord. pen - non s'applicherebbero al condannato che aveva fatto istanza prima di detta conversione, non può non richiamarsi quanto già osservato con la decisione Sez.

1, n. 34073 del 27/06/2014, Panno.

2.1. E' sufficiente qui ricordare, in particolare, che le deduzioni del ricorrente che evocano principi in vario modo regolanti il fenomeno della successione di leggi penali sostanziali nel tempo, non s'attagliano al differente fenomeno in esame, che concerne la sorte delle disposizioni di un decreto-legge non recepite nella legge di conversione e che trae regola direttamente dall'art. 77 Cost.

Questo, al terzo comma, dispone che «I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti».

Non deroga, né potrebbe, a tale norma di rango superiore l'art. 15, comma 5, della legge n. 400 del 1988, laddove prevede che «Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest'ultima non disponga diversamente. [...1», giacché la disposizione sta solo a significare che, diversamente da quanto in precedenza doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della relativa legge (non più, cioè, dopo il decorso dell'ordinaria vacatio legis se nulla espressamente era disposto al riguardo; cfr. Cass. Civ. Sez. 1, sent. n. 4781 del 02/05/1991, Rv.

471926; Sez. 3, sent. n. 6368 del 07/06/1995, Rv. 492709).

In altri termini, l' "efficacia" del decreto-legge (in tutto o in parte) non convertito che può farsi salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o

«rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti», ovvero ai cosiddetti

"fatti concomitanti", e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti solo perché la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto.

Come osserva, difatti, C. cost. n. 51 del 1985, «il comma terzo e ultimo dell'art. 77 Cost., mentre collega la mancata conversione a una vicenda di

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alternatività sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la norma dettata con "decreto-legge non convertito" come norma in vigore in un tratto di tempo quale quello anzidetto; ed anzi, se interpretato sia in riferimento al suo specifico precetto (privazione, per il "decreto - legge non convertito", di ogni effetto "fin dall'inizio"), sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca (inspirato - come appare anche dagli altri due commi dell'art. 77 Cost. - a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potestà legislativa) vieta di considerarla tale».

Ne discende che, «indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un "decreto-legge non convertito" non ha [...] attitudine, alla stregua del terzo e ultimo comma dell'art. 77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno

"successorio", quale quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo dell'art. 2 c.p.», ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali vale il principio di irretroattività delle disposizioni di sfavore, «limitatamente alla sancita applicabilità delle disposizioni di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 2 c.p. al caso del "decreto-legge non convertito", e quindi alla sancita operatività della "norma penale favorevole", se in esso contenuta, relativamente ai "fatti pregressi"».

Mentre, come sottolinea la sentenza citata, il principio di cui si tratta, se riferito a una alternanza normativa del tipo considerato, può trovare applicazione

«soltanto relativamente ai fatti commessi nel vigore - anche se poi caducato - della "norma penale favorevole" contenuta in un "decreto-legge non convertito"

(cioè nell'orbita della vicenda di alternatività), fatti rispetto ai quali soltanto sorge, ai fini dell'applicabilità del principio stesso, il problema dell'operatività del risultato normativo in discorso, e rispetto ai quali soltanto tale risultato potrebbe equipararsi a una "norma penale sfavorevole"; non anche relativamente ai "fatti pregressi"».

A maggior ragione, perciò, nella materia in esame, deve escludersi che possa avere vigore ultrattivo, per i comportamenti di adesione al trattamento pregressi, la disposizione del decreto-legge non recepita dalla legge di conversione, che a detti comportamenti collegava un effetto favorevole.

2.2. E sicuramente non ha fondamento l'evocazione del canone della applicazione della legge vigente al momento della domanda, che nulla ha a che vedere con il problema della ultrattività della norma penale più favorevole e che non può trascendere la fondamentale differenza prima sottolineata tra i fenomeni di successione delle legge nel tempo e quelli invece concernenti la «alternatività sincronica fra situazioni normative (quali sono o cui sono collegate sia la dichiarazione di illegittimità costituzionale che la mancata conversione di un decreto-legge)».

Detto criterio, presupponendo un fenomeno di vera e propria successione di

leggi, costituisce infatti, in relazione alle vicende successorie che concernono

norme processuali, mera espressione del principio tempus regit actum, che

seconda la regola codificata nell'art. 11, primo comma, delle preleggi, altro non

vuol dire se non che la validità e gli effetti degli atti è e rimane regolata dalla

legge vigente al momento della loro formazione e perciò, lungi dall'escludere,

postula al contrario che a tale legge gli operatori giuridici debbano fare

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riferimento quando siano da valutare le conseguenze degli atti processuali anteriormente compiti (tra moltissime: Corte cost., sentenza n. 49 del 1970).

3. Ritiene il Collegio che non possa neppure aderirsi all'opinione di autorevole Dottrina che sostiene che l'esclusione dei condannati per i delitti indicati dall'art. 4-bis ord. pen. operi, in base al tenore della norma vigente, solamente per la liberazione anticipata speciale da concedersi, a norma del comma 1 dell'art. 4 d.l. n. 146 del 2013 come convertito, per i periodi successivi all'entrata in vigore della nuova disciplina, non con riferimento ai periodi pregressi a far data dal 10 gennaio 2010, la esclusione non essendo ripetuta né espressamente richiamata dal comma 2 dell'articolo 4.

La formulazione del testo normativo, a seguito degli emendamenti apportati con la legge di conversione, non può dirsi felice, e potrebbe forse astrattamente prestarsi ad interpretazioni disomogenee, quali quella ricordata, nonostante le univoche contrarie proclamazioni dell'intento del legislatore, dichiaratamente volto, senza eccezioni temporali, ad escludere dal novero dei soggetti che possono godere della misura speciale i condannati per i reati di cui all'art. 4-bis.

Sembra però più corretto, sia sotto il profilo formale sia in considerazione della tenuta sistematica della disciplina, che i vari commi che compongono l'art.

4 siano letti congiuntamente, in modo che tra loro si integrino e logicamente si chiariscano.

A ragionare diversamente, annettendo completa autonomia normativa al comma 2, si avrebbe il paradossale effetto che solo ai condannati che avevano già fruito di liberazione anticipata per la detenzione patita dal 10 gennaio 2010 al momento di entrata in vigore del decreto-legge potrebbe riconoscersi l'ulteriore aumento di 30 giorni a semestre; non per esempio a quelli che, pur essendo nelle condizioni di ottenere il beneficio per il pregresso, non l'avessero già, per le più disparate ragioni, tempestivamente ottenuto o richiesto. E solo i primi, inoltre, potrebbero godere della ulteriore detrazione per i semestri di pena in corso di espiazione alla data del 10 gennaio 2010: anche se per avventura iniziati solo uno o due giorni prima.

Se invece si pone mente al principio guida di redazione dei testi normativi, secondo cui di regola l'unità base dell'atto normativo è l'articolo e i commi hanno autonomia concettuale nei limiti del criterio della progressione logica degli argomenti trattati, deve riconoscersi che, secondo ragionevolezza, i primi tre commi dell'art. 4 del decreto 146 si saldano tra loro e si prestano a comporre un sistema unitario che riconosce ai condannati per reati diversi da quelli indicati dall'art. 4-bis una ulteriore riduzione di pena, a titolo di liberazione anticipata e secondo i criteri dell'art. 54 ord. pen., per tutti i semestri di pena detentiva scontata (in carcere) comprendenti i periodi che vanno dal 10 gennaio 2010 al 24 dicembre 2015. Non può ammettersi perciò che il comma 2 riacquisti autonomia al solo fine di estendere ai condannati per delitti indicati nell'art. 4-bis l'applicazione retroattiva di un beneficio all'epoca non previsto e di cui che non possono godere a regime.

In altri termini, la tesi dell'inesistenza di una disposizione di esclusione per il

passato sembra in contrasto non solo con l'intenzione del legislatore, ma con la

stessa obiettiva intentio legis enucleabile dalla lettura coordinata del testo

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normativo, altrimenti del tutto lacunoso e irragionevole.

4. E' fondata, invece, la censura relativa alla mancata scissione del cumulo, non potendo negarsi che ai fini della verifica della sussistenza della condizione ostativa alla liberazione anticipata speciale costituita dall'essere il detenuto condannato per un reato indicato dall'art. 4-bis ord. pen. debba procedersi alla individuazione del titolo di reato effettivamente in espiazione nei periodi cui si riferisce la richiesta.

4.1. Secondo quanto si sostiene nel ricorso personale e riferisce lo stesso provvedimento impugnato nell'epigrafe, il ricorrente sta espiando pene oggetto di un provvedimento di cumulo materiale.

E' appena il caso di ricordare che l'art. 663 cod. proc. pen. - nell'attribuire al Pubblico ministero il potere (dovere) di determinare la pena da eseguire in osservanza delle norme sul concorso di pene, allorché la stessa persona sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi - dà attuazione all'art. 80 cod. pen. nella parte in cui dispone che l'applicazione delle norme sul concorso delle pene (artt. 72 -79 cod. pen.) avviene in fase esecutiva se non si è provveduto con le sentenze di merito.

I casi in cui si pronunzi condanna per reati diversi con una sola sentenza o con sentenze diverse, devono avere, dunque, ai fini penali ed esecutivi, identico trattamento, a prescindere dal momento in cui emerga l'esistenza di condanne

per fatti diversi da eseguire.

E' indubbio, quindi, che per le pene temporanee il codice penale vigente ha abbandonato sia il sistema dell'assorbimento sia quello del cumulo giuridico, adottando invece, secondo il principio tot crimína tot poenae, il criterio del cumulo materiale: sia pure temperato attraverso la fissazione di limiti massimi di pena (in assoluto o in rapporto alla pena più grave, ex art. 78 cod. pen.), ad evitare le possibili esorbitanze derivanti dalla addizione aritmetica, ovvero la trasformazione in pena a durata illimitata, e quindi di fatto perpetua, di pene che dovrebbero avere durata temporanea.

La ratio del sistema istituito dall'ultima proposizione dell'art. 80 cod. pen. (e dall'art. 663 cod. proc. pen.) è perciò, all'evidenza, di garantire che non si producano disparità dipendenti esclusivamente dalla casualità del momento in cui interviene il giudicato o l'esecuzione (fermo il principio che la pena non può in nessun caso precedere il delitto e che perciò il momento cui occorre riferirsi per la formazione del cumulo va fissato esclusivamente in riferimento alla data di consumazione dell'ultimo reato commesso prima dell'inizio dell'esecuzione di una qualsiasi delle pene considerate ai fini dell'esecuzione concorrente).

4.2. Ne consegue che la regola secondo cui le pene della stessa specie, concorrenti a norma dell'art. 73 cod. pen., si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico (art. 76, comma 1), non può in nessun caso condurre a ingiustificate diversità di trattamento a seconda dell'eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente alla formazione di un cumulo materiale ai sensi dell'art. 663 cod. proc. pen., anziché di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle differenti condanne.

Sarebbe davvero irragionevole, infatti, che chi è stato condannato per

diversi reati, ostativi e non ostativi ai benefici penitenziari si trovasse a patire,

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in relazione alle condanne per i reati non ostativi, di un trattamento equivalente a coloro i quali sono stati condannati solo per reati ostativi; e di un trattamento deteriore rispetto a chi, avendo riportato analoghe condanne sia per delitti ostativi che per reati non ostativi, ha tempestivamente e separatamente scontato ciascuna delle pene a lui inflitte con sentenze divenute irrevocabili e poste in esecuzione più tempestivamente.

Il rischio di una irragionevole disparità collegata a circostanze meramente casuali è stato, d'altronde, già segnalato da C. cost. n. 361 del 1994 (correttamente evocata dal ricorrente). Dichiarando non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis ord. pen.

nella parte in cui rendeva la condanna per alcuno dei delitti ivi enumerati ostativa alla concessione di misura alternativa, la Corte ha posto a base della propria decisione il rilievo che, diversamente da quanto affermato in talune sentenze della Cassazione che individuano la rado del divieto di scioglimento del cumulo nella valutazione di "pericolosità soggettiva" del detenuto derivante dalla condanna per un reato "ostativo", «non si rinvengono dati normativi per sostenere che la nuova disciplina recata dall'art. 4-bis abbia creato una sorta di status di "detenuto pericoloso" che permei di sé l'intero rapporto esecutivo a prescindere dal titolo specifico di condanna»; e che, al contrario, proprio l'articolazione della disciplina sulle misure alternative «in termini diversi in relazione alla tipologia dei reati per i quali è stata pronunciata condanna la cui pena è in esecuzione», impone di valorizzare il tradizionale insegnamento giurisprudenziale «della necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene».

5. A non diverse conclusioni dovrebbe giungersi, per altro, anche nell'ipotesi di cumulo giuridico.

Non solo la citata sentenza della Corte costituzionale non fa distinzione tra le due ipotesi, ma, come ha osservato Sez. U, n. 14 del 30/6/1999, Ronga, in caso di continuazione «l'unificazione delle pene, ancorché destinata a temperare l'asprezza del cumulo materiale, produrrebbe il paradossale effetto negativo di assegnare alla quantità di pena riferita al titolo di reato ostativo una sorta di efficacia impeditiva permanente agli effetti dei benefici penitenziari, giacchè, nell'ipotesi in cui il corrispondente periodo sia stato già espiato, la preclusione di che trattasi permarrebbe per l'intera durata delle pene cumulate, anche dopo il concreto "esaurimento" della condanna ostativa». Con la conclusione che nel corso dell'esecuzione della pena il vincolo della continuazione tra reati deve sempre ritenersi scindibile al fine di consentire la valutazione della sussistenza, o meno, di ostacolo veniente dalla tipologia di un dato reato giudicato in continuazione, alla concessione dei benefici penitenziari ex art. 4-bis.

6. In conclusione il provvedimento impugnato, che ha erroneamente omesso

di provvedere alla scissione del cumulo, va per tale ragione annullato con rinvio

al Tribunale dì sorveglianza di Catanzaro, che provvederà a nuovo esame

verificando se i semestri ai quali si riferiva la richiesta di liberazione anticipata

speciale erano effettivamente riferibili alla espiazione di pena inflitta per reati

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Preside ie Arl urd Cr s ostativi.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Catanzaro.

Così deciso il 19 dicembre 2014 Il consigliere esteensore

M.Stefania/E5i Tornassi

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