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LA DIREZIONE SPIRITUALE

COLLANA

COLLOQUI SULLA VITA

SALESIANA

11

ELLE DI CI LEUMANN (TO R INO )

(2)

C O LLO Q U I SULLA VITA SALESIANA 11

LA DIREZIONE SPIRITUALE

Cison di Valmarino (Treviso) 22-27 agosto 1982

EDITRICE ELLE DI CI 10096 LEUMANN (TORINO)

1983

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Hanno curato la presente edizione

Fr a n c is De s r a m a u t e Ma rio Mid ali

ISBN 88-01-11655-1

Proprietà riservata alla Elle Di Ci - 1983

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LA DIREZIONE SPIRITUALE

NEI DOCUMENTI UFFICIALI SALESIANI DEL VENTESIMO SECOLO

Comunicazione DRUART Albert sdb

D urante lunghi anni, la tradizione salesiana usò poco l’espres­

sione « direzione spirituale »; si preferiva la parola italiana

« rendiconto ».1 Non è che si misconoscesse questa pratica in­

dispensabile ad ogni progresso nella vita cristiana e a fortiori religiosa, ma sembrava che il rendiconto prescritto dalla regola potesse sostituirla. Di fatto, numerosi testi di don Bosco e di don Rua mettono in rilievo il valore spirituale di questa aper­

tura del religioso al suo superiore, apertura che si estendeva sino alla confessione sacramentale. L’insieme così formato co­

stituiva una delle basi della spiritualità salesiana. Direzione spi­

rituale e rendiconto erano sinonimi. Ma non tutti la pensavano così. Ciò spiega come alla svolta del diciannovesimo e ventesimo secolo la Chiesa stabilisca una netta distinzione tra ciò che chiam a « foro esterno » e « foro interno », proibendo ai supe­

riori religiosi di ascoltare la confessione dei loro confratelli.

Don Rua mostrò molte reticenze nell’accettare questa misura che gli pareva mettere in pericolo l’insegnamento ricevuto da don Bosco. La sua fedeltà alla Sede apostolica lo portò tuttavia alla sottomissione, ma egli si preoccupò, come d ’altronde i suoi successori, di difendere la tradizione salesiana.

Q uanto segue esporrà gli sforzi dei responsabili della congre­

gazione per armonizzare la spiritualità salesiana con la legisla­

zione rom ana senza nuocere alla fedeltà al fondatore. Si pren­

deranno per base i testi ufficiali salesiani del ventesimo secolo.

1 Vedi l’opera ben documentata di un esperto di spiritualità salesiana:

P . Brocardo, Direzione spirituale e rendiconto, LES, Roma 1966. Si potrà pure vedere F. Pe r a z a Le a l, La dirección espiritual en la tradición salesiana, ciclostilato, Quito 1982.

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Si prospetterà solo la direzione spirituale personale dei religiosi salesiani. I problemi specifici posti dalla direzione spirituale dei salesiani in formazione saranno lasciati da parte.2 È certo che gli altri rami della Famiglia salesiana conoscono una tradi­

zione specifica in materia di direzione spirituale, ma non sembra per ora possibile trattarne. Si partirà dal 1901, anno del de­

creto Quod a suprema per giungere agli ultimi testi che riguar­

dano il nostro tema, a rischio di fermarci entro u n ’evoluzione in corso. Dopo una breve nota sulla tradizione salesiana prima del 1900, si distingueranno due periodi: il più lungo dal 1901 al capitolo generale 19 (1965), il secondo dal 1965 ai nostri giorni.

La tradizione salesiana prima del 1900

I primi salesiani vivevano impregnati dell’eredità che aveva loro lasciato don Bosco. Che si trattasse di pedagogia o di pa­

storale o di direzione spirituale, essi intendevano far proprie le concezioni e seguire i metodi che avevano visto professare e applicare dal fondatore. Questa volontà li guiderà a ripren­

derne tutto l’insegnamento a proposito della direzione spirituale.

Per don Rua e i suoi confratelli non c’era dubbio che Giovanni Bosco fosse un « direttore d ’anime » capace di guidare verso la santità. Rimanendo fedeli ai suoi metodi, avrebbero potuto

2 Questi problemi sono stati recentemente richiamati nel volume La formazione dei Salesiani di Don Bosco. Principi e norme, Roma 1981.

Vedi tra altre: p. 100 n. 160, p. 133 n. 237 e p. 339, voce « Direzione spi­

rituale». Già don P. Ricaldone ne aveva trattato: P. Ric a l d o n e, Forma­

zione del personale salesiano, in A tti n. 78, 24 novembre 1936, pp. 22-23.

P. Ric a l d o n e, N oviziato, in A tti n. 93, maggio-giugno 1939, p. 192; Stu- dentati filosofici e teologici, in A tti n. 131, settembre-ottobre 1945, n. 33.

P. Ric a l d o n e, A i D irettori degli studentati specialmente filosofici, in A tti n. 118, luglio-agosto 1943, p. 258. Vedi pure Regolamento per lo studentato filosofico, art. 5, in A tti n. 91, gennaio-febbraio 1939, p. 24;

Regolamento per lo studentato teologico, art. 10, ibidem, p. 34; Regola­

mento per il triennio pratico, art. 14, ibidem, p. 29. Sulla direzione spi­

rituale dei religiosi triennali, vedi Temi trattati nel XI I I capitolo generale, in A tti n. 50, 24 ottobre 1929, e ancora n. 234, gennaio-febbraio 1964, p. 16. Per quanto riguarda i salesiani militari, riferirsi a A tti n. 1, 24 giu­

gno 1920, pp. 17-18.

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ugualmente giungere alla perfezione professata. 1 religiosi con­

fidavano volentieri la loro anima ai superiori, come il fonda­

tore aveva raccom andato.3 Questa pratica era per loro naturale.

Lo era stata vivente don Bosco, lo sarebbe stata anche dopo la sua morte. Il superiore religioso era considerato direttore spi­

rituale dei confratelli e degli allievi.4

Le cose subirono u n ’evoluzione all’inizio del ventesimo se­

colo, quando il S. Ufficio proibì ai superiori religiosi di rice­

vere i loro dipendenti in confessione e per la direzione spiri­

tuale. Di fatto questa misura si profilava all’orizzonte da lungo tempo. Già don Bosco, tra il 1868 e il 1873, quando sottopo­

neva alla Santa Sede le costituzioni della sua congregazione per averne l’approvazione, aveva incontrato opposizioni a questo proposito.5 Era riuscito a superarle non senza difficoltà, con l’abilità che conosciamo. La questione si pose nuovamente nel 1896 con la richiesta del cardinale Parocchi a don Rua per avere informazioni circa la confessione presso i salesiani. L’in­

terdizione, in quanto tale, non intervenne che nel 1899 per la città di Roma e nel 1901 per la Chiesa universale.6 Cosciente che queste decisioni intralciavano gravemente la forma di eser­

cizio dell’autorità nella congregazione, il primo successore di don Bosco tentò di sottrarre ad essa i salesiani. Ma invano.

Pare che gli sforzi in questo senso siano stati male interpre­

tati da alcuni responsabili della curia romana, che s’indispose nei suoi riguardi.7 Ad ogni modo gli interventi di don Rua non si spiegano se non in base alla sua convinzione che in ciò si intaccava un elemento costitutivo della spiritualità salesiana.

Tuttavia si sottomise agli ordini della S. Sede.

3 Si rimanda agli sviluppi di F. De s r a m a u t, San Giovanni Bosco di­

rettore d ’anime, sopra pp. 41-80.

4 E . C e r i a , Annali della Società Salesiana, Torino 1946, t. I li pp. 173 e 174.

5 F. De s r a m a u t, art. cit.

6 Un esposto documentato di tutta la vicenda presso E . Ce r i a, op. cit., pp. 170-193. Decreto Huic Supremae del 5 luglio 1899 e Decreto Q uod a Suprema del 24 aprile 1901.

7 Lettera del card. Rampolla al card. Svampa, il 6 ottobre 1903, in

E . Ce r ia, op. cit., p. 191.

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Dal 1901 al 1965: il rendiconto

Il colpo dato dalla decisione romana alla tradizione salesiana fu molto forte. Con la proibizione di confessare i confratelli, il direttore religioso, al quale era affidata la paternità spirituale della comunità, si vedeva privato di uno dei mezzi privilegiati nell'esercizio della paternità. Da allora l’impegno principale dei Rettori maggiori fu quello di restaurare, negli stretti limiti consentiti dalla Chiesa, ciò che consideravano come uno degli elementi principali dell’esercizio dell’autorità nella congrega­

zione.

Dalle circolari di don Rua al « Manuale del Direttore »

Privato del diritto di confessare i suoi religiosi, il direttore salesiano conservava però il compito di riceverne il rendiconto mensile e il diritto di controllo su ciò che si chiamava giuridi­

camente « foro esterno ». Le lettere di don Rua attirano rego­

larmente l’attenzione dei superiori e dei confratelli sull’impor­

tanza del rendiconto e sul suo valore di direzione spirituale.

Questo fu l’argomento particolare di tre grandi testi: le cir­

colari 21, 32 e 38, rispettivamente del 5 agosto 1900, del 1°

novembre 1906 e del 1° dicembre 1909.8 Oltre queste circolari che trattano esplicitamente di uno dei diversi aspetti del ren­

diconto, ce ne sono altre, anteriori, che insistono sulla sua grande utilità spirituale.9 Don Rua adeguava così la tradizione salesiana alle nuove condizioni della Chiesa. In particolare, nel testo del 1900 definì il rendiconto: « (...) quell’insieme di av­

visi, consigli e incoraggiamenti che una persona autorevole e competente somministra a chi lo richiede affine di avanzarsi nella via della perfezione ».10 Aggiunse a questa definizione una

8 M. Ru a, Spirito di povertà, formazione religiosa, circolare n. 21, 5 agosto 1900, in Lettere Circolari, Torino 1910, pp. 216 ss; Rendiconto, obbedienza, avvisi varii, circolare n. 32, 1° novembre 1906, ibidem, pp.

343-346; Osservanza delle Costituzioni e dei Regolamenti, circolare n. 38, 1° dicembre 1909, ibidem, pp. 411-412. Queste due ultime sono state de­

stinate agli «Ispettori e D irettori».

9 Vedi per esempio: M. Ru a, Ringraziamenti. Vicariato di Méndez.

Profitto nostro e delle anime, circolare n. 13, 1° gennaio 1895, ibidem, pp. 123-124; Il Sacramento della Penitenza. N orm e e Consigli, circolare ri. 20, 29 novembre 1899, in ibidem, p. 199.

10 M. Ru a, Spirito di povertà..., pp. 216-217.

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descrizione che assimilava tale pratica alla direzione spirituale propriam ente detta. Appoggiava il suo ragionamento sulle te­

stimonianze dei maestri spirituali riconosciuti: san Girolamo, san Basilio e santa Dorotea.11 Invitava poi il confratello a sot­

tomettersi fedelmente a questa pratica delle costituzioni; lo incoraggiava all’apertura confidente verso il superiore. L’avver­

tiva inoltre delle difficoltà che poteva presentare questo eserci­

zio, e si applicava a dimostrare che, per progredire efficacemente nella perfezione cristiana, non bastava la sola confessione; oc­

correva l’aiuto di una guida spirituale, e questa era natural­

mente il direttore (della casa).12 Dava, a sua volta, al superiore una serie di consigli, alcuni dei quali molto pratici, allo scopo di accogliere nel modo migliore il religioso che si apriva a lui.13 Se ne prevedeva il luogo (l'ufficio), il momento oppor­

tuno, il tempo da concedere e l’atteggiamento tutto paterno da assumere.

Questo insegnamento era contenuto nella circolare n. 21 di­

retta a tutti i religiosi salesiani. Don Rua riprese lo stesso ar­

gomento nelle circolari 32 e 38,14 destinate ai superiori, ispet­

tori e direttori. Questi due testi si completano. Il primo espone la dottrina dal punto di vista del superiore che riceve il ren­

diconto, e insiste sull’accoglienza del confratello che viene ad aprirgli l’anima.15 Don Rua invita ugualmente lo stesso diret­

tore a fare il proprio rendiconto « con sincerità e semplicità (...) agli ispettori o membri del capitolo superiore che vanno a visitarlo ».16 Il testo del 1° dicembre 1909 ha u n ’altra con­

sonanza. Fa notare ai superiori i dispiaceri causati dalla ne­

gligenza di alcuni che omettono di ricevere il rendiconto dei confratelli. La circolare riassume gli insegnamenti già dati, ed esorta vivamente i superiori a esercitare con fedeltà questo servizio fraterno. Il disinteressarsene costituisce una negligenza

11 Ibidem , p. 217.

12 Ibidem , pp. 217-218.

13 Ibidem, pp. 219-220.

14 Le circolari indirizzate ai superiori, ispettori o direttori erano de­

stinate ad aiutarli nel compimento dei loro doveri. Esse fornivano mate­

ria per le conferenze ai confratelli. Vedi per esempio: M. Rua, Osser­

vanza delle Costituzioni..., p. 418.

15 M. Ru a, Rendiconto..., pp. 343-346.

16 Ibidem, p. 346.

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grave che non può lasciare in pace la loro coscienza.17 Questa circolare fu una delle ultime di don Rua ai suoi confratelli;

morì qualche mese dopo, il 6 aprile 191O.18

Ma il suo insegnamento non scomparve con lui. Fu ripreso dall’immediato successore don Paolo Albera, nel Manuale del Direttore pubblicato nel 1915.19 Si tratta di u n ’opera di com­

pilazione che intendeva raccogliere « le norme secondo cui deve (il direttore) comportarsi per lavorare efficacemente a conservare lo spirito di don Bosco nella casa affidata alle sue cure ».20 Presentava l’insieme delle tradizioni salesiane allo scopo di guidare il superiore nel compimento esatto del suo incarico.

Il « rendiconto mensile » era l’oggetto del settimo capitolo della seconda parte dedicata al « direttore nell’esercizio del suo uf­

ficio ». Il rendiconto vi è presentato in quattordici pagine di­

vise in otto paragrafi.21 Sono la trascrizione praticam ente lette­

rale dei tre testi di don Rua appena analizzati. Il compilatore estrasse dalle circolari 21, 32 e 38 ciò che riguarda il rendi­

conto e lo presentò sotto u n ’angolatura personale. Più spesso si limitò a collegare le diverse citazioni: l’analisi rivela che su trecentotrentadue righe del capitolo 7, soltanto sessantasette sono originali, cioè poco più del 20% del testo. Il m anuale ri­

prendeva dunque la tradizione esposta da don Rua, senza nes­

sun nuovo apporto.

La circolare del 19 marzo 1921

Don Albera presentò una teoria più originale qualche anno più tardi, nel 1921, nella sua circolare n. 39, su « Don Bosco modello del sacerdote salesiano ».22 Questa lunga lettera ai re­

17 M. Ru a, Osservanza delle Costituzioni..., pp. 411 e 412.

18 Ibidem , p. 412.

19 Manuale del Direttore, San Benigno Canavese 1915. Rimandiamo alFedizione del 1921, la sola di cui si è potuto disporre.

20 Manuale del Direttore, San Benigno Canavese 1921, p. 6.

21 Ibidem, pp. 287-300. La tavola dei paragrafi è presentata nelle pp.

285-286.

22 P. Al b e r a, Don Bosco modello del sacerdote salesiano, circolare n. 39, 19 marzo 1921, in Lettere circolari, Torino 1922, pp. 388-433. Que­

sta circolare è apparsa negli A tti del Capitolo superiore (citato orinai:

A tti), n. 2, 19 marzo 1921, pp. 134-172. Paolo Albera (1845-1921) fu eletto Rettor maggiore il 16 agosto 1910.

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ligiosi sacerdoti tratta dei numerosi aspetti della formazione e della vita dei sacerdoti, a prescindere dagli aspetti propria­

mente pastorali del ministero sacerdotale. Due paragrafi riguar­

dano la direzione spirituale: « Necessità della direzione spiri­

tuale » e « Il compito del direttore spirituale ». L’interesse di questo testo è duplice: tratta esplicitamente del nostro tema, e successivamente assimila la « direzione spirituale » al « ren­

diconto ». La circolare di don Albera definisce la direzione spi­

rituale come « l’insieme dei consigli, delle norme teoriche e pratiche, che una persona saggia e sperimentata nelle vie dello spirito dà ad u n ’anima che desidera progredire nella perfe­

zione ».23 Insiste sulla necessità della direzione, porta la testi­

monianza dei Padri della Chiesa (Cassiano, san Basilio, san Bernardo, san Vincenzo Ferreri) ed espone gli atteggiamenti rispettivi del direttore e del diretto.24 Questo insegnamento non era fondamentalmente nuovo: riprendeva i dati essenziali della teologia spirituale. La novità consiste nell’assimilazione del ren­

diconto alla direzione spirituale. Dopo avere sviluppato quanto ha affermato, don Albera continua: « Insomma, o miei cari sa­

cerdoti, da tutti gli scritti degli uomini spirituali si eleva una voce concorde per dirci la necessità della direzione spirituale, la quale, se vogliamo ben penetrare lo spirito delle nostre Re­

gole, ci è pure inculcata dall’art. 18, dove siamo invitati a ma­

nifestare ai Superiori, con semplicità e spontaneamente, le in­

fedeltà esteriori nella virtù, affinché possiamo ricevere da loro consigli e conforti e, se farà d ’uopo, anche le convenienti am­

monizioni. Meglio di così non poteva essere insinuata la pra­

tica della direzione spirituale».25 Rinviando all’art. 18 delle co­

stituzioni del 1905 a proposito della direzione spirituale, egli mette così sullo stesso piano due esercizi effettivamente diversi.

Da una parte si tratta di un obbligo di aprirsi al superiore per quanto riguarda il « foro esterno » previsto dalle costituzioni salesiane, e dall’altra di un esercizio, indispensabile senza dub­

bio, ma per il quale si deve salvaguardare la totale libertà del religioso. Se la regola fa un dovere del rendiconto, non è lo

23 Ibidem , p. 418.

24 Ibidem , pp. 418-421.

25 Ibidem , pp. 419420.

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stesso per la direzione spirituale ricevuta dal direttore reli­

gioso. Rimane vero che per il Rettor maggiore lo spirito della regola va nel senso dell'assimilazione. Ricordiamo che questa lettera era diretta ai soli sacerdoti. Può sembrare che la racco­

mandazione della direzione spirituale non interessasse i con­

fratelli coadiutori? In generale ci si pensava pochissimo, quando si parlava di direzione spirituale.

Le costituzioni del 1923

Parlando delle costituzioni, don Albera si riferiva al testo del 1905 nel quale gli articoli organici figuravano ancora in nota.26 L’articolo che impegnava il religioso ad aprirsi al suo superiore faceva parte del capitolo III, che trattava del voto di obbedienza. Il testo costituzionale invitava in modo generale alla confidenza verso il superiore e impegnava i confratelli a

« rendere conto ogni tanto (...) della loro vita esteriore. Cia­

scuno deve fare conoscere ai suoi superiori con semplicità è sollecitudine le sue mancanze esterne contro la regola, come i suoi progressi nella virtù, per ricevere da essi consigli e incorag­

giamenti e, se occorre, avvisi opportuni ».27 La frequenza e la modalità di applicazione erano l’oggetto di una nota, frutto del capitolo generale del 1904.28 Essa indicava la periodicità (« al­

meno una volta al mese ») e i punti che dovevano costituire il rendiconto. Questi punti derivavano dall’introduzione alle co­

stituzioni redatta da don Barberis (e firmata da don Bosco) nel 1877.29 Come gli altri articoli organici, questa nota prese posto

26 Vedi F. De s r a m a u t, Le Costituzioni salesiane dal 1888 al 1966, in Fedeltà e rinnovamento. Studi sulle Costituzioni salesiane, LAS, Roma, pp. 55-101.

27 Costituzioni 1905, cap. III, art. 4. Ci si riferisce al testo bilingue latino-francese, pubblicato a Liegi nel 1907.

28 F. De s r a m a u t, Le costituzioni salesiane..., p. 57.

29 F. De s r a m a u t, Les constitutions salésiennes de 1966, Commentaire historique, Rome 1969, t. I, pp. 156-157. Giulio Barberis (1847-1927), sa­

cerdote salesiano, con il suo Vademecum dei giovani salesiani [San Be­

nigno Canavese 1901 (2° voi.), alcuni anni dopo un’altra edizione in 3 volumi: San Benigno Canavese 1905-1906], fu uno dei primi autori di testi di spiritualità salesiana. Fu maestro dei novizi dal 1874 al 1900; e, dal 1892, membro, con questo titolo, del capitolo superiore della congre­

gazione. Dovette lasciare la carica nel 1901 per assumere il governo del-

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al n. 48 nel corpo costituzionale dopo la revisione del 1923.30 Essa resterà allo stesso numero fino alla rifusione del 1972.

Così vi erano, a poche pagine di distanza, due versioni di uno stesso testo: una nell’introduzione alle costituzioni e una al capitolo V, art. 48. L’articolo costituzionale aveva solo otto punti, mentre l’introduzione ne aveva nove. Il contenuto del- l ’art. 4, del capitolo III del 1905, era passato nell’art. 47 del 1923. Subì però u n ’im portante modifica in rapporto al testo del 1905. M entre a quell’epoca il « progresso nella virtù » era ma­

teria di rendiconto, nel 1923 veniva così precisato: « È pure utile, benché non obbligatorio, di esporre loro (ai direttori) li­

beram ente, i propri progressi nella virtù... ». Il nuovo inciso distingueva nettamente la direzione spirituale attinente il « foro interno », dal rendiconto che riguardava il « foro esterno ».

Questa decisione intendeva armonizzare la legislazione salesiana con l’articolo 530 § 2 del codice di diritto canonico del 1917.

Se pareva desiderabile che il religioso aprisse la sua anima al suo superiore, non vi era però tenuto: il testo costituzionale lo sottolineava esplicitamente. L’articolo 47 scomparve dalle co­

stituzioni con la riforma del 1972.

Le raccomandazioni di G. Barberis

Tradizioni e legislazione appaiono così ben fissate dopo il 1923. La seconda è per intero conforme alle leggi della Chiesa.

Le prime si sottomettono alla regolamentazione in vigore, in­

coraggiando il religioso salesiano a considerare il superiore come suo direttore di coscienza. Era il desiderio di don Bosco; re­

stava pure quello dei suoi successori: Rua e Albera. Don Fi­

lippo Rinaldi, pur insistendo sulla confidenza che si deve avere nel superiore, nelle sue lettere parlò meno del rendiconto di quanto ne parlassero i suoi predecessori.31 Lasciò questa preoc- l’ispettoria centrale. Ritornò a far parte del capitolo superiore nel 1911 con il titolo di direttore spirituale. Vedi tra l’altro E. Ce r ia, Profili dei capitolari salesiani morti dall’anno 1865 al 1950, Colle Don Bosco 1951, pp. 305-324.

30 P. Br ocardo, Il rendiconto nel corpus delle Costituzioni Salesiane dal 1858 al 1972, in Fedeltà e rinnovamento..., pp. 143-145.

31 F. Rin a l d i, Lettera del 24 febbraio 1925, in A tti n. 28, 24 feb­

braio 1925, p. 148. Testo interessante poiché afferma di riferirsi a una circolare di don Bosco.

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cupazione al direttore spirituale della congregazione, G. Bar- beris.

Don G. Barberis intervenne a più riprese negli A tti del Capi­

tolo Superiore della Società Salesiana per attirare l’attenzione dei confratelli sul rendiconto, che considerava « come mezzo di perfezione individuale e di progresso per tutta la Congrega­

zione ».32 In questo testo, che porta la data del 1923, rinvia, per le modalità pratiche del rendiconto, ai « preziosi consigli » che si trovano nelle circolari di don Rua e di don Albera, e specialmente nel prezioso « Manuale del Direttore ».33 Già al­

cuni mesi prima, all’indomani della pubblicazione delle costi­

tuzioni del 1923, don Barberis aveva ricordato ai direttori l’ob­

bligo di ricevere ogni mese il rendiconto dei confratelli. Aggiun­

geva: « Il nuovo diritto canonico ha bensì reso necessario qual­

che ritocco, già eseguito, ma lascia in pieno vigore il disposto delle Costituzioni ».34 Due anni dopo richiamava alla pratica del rendiconto mensile (1925): sarà il suo intervento più im­

portante. In quell’occasione citò « tutto quello che dicono le Costituzioni e i Regolamenti a questo riguardo ». Seguivano quindi gli articoli 47 e 48 delle costituzioni e gli articoli 44, 159 e 351 dei regolamenti che riguardavano alcune m odalità pratiche.35 Da bravo interprete della spiritualità salesiana, don Barberis parlava di cose che conosceva bene. Mentre era ancora vivente don Bosco, aveva partecipato alla redazione dei testi sul rendiconto; si pensa, naturalmente, all’introduzione alle co­

stituzioni.

Sembra che, per i salesiani del primo quarto del ventesimo secolo, direzione spirituale e rendiconto non fossero che una sola e medesima cosa. Senza dubbio la Chiesa aveva separato la confessione da questo insieme e ricordato che la direzione di coscienza non spettava normalmente al superiore della co­

munità. Quali figli obbedienti della Chiesa, essi avevano accet­

tato le direttive pontificie, senza però voler perdere l’essenziale delle loro tradizioni. Di conseguenza, la loro cura principale era di adeguare l’eredità di don Bosco alle nuove condizioni

32 G. Ba r b e r i s, A tti n . 22, 24 n o v e m b r e 1923, p . 147.

33 Ibidem , p. 148.

34 G. Ba r b e r i s, A tti n . 18, 24 f e b b r a io 1923, p . 60.

35 G. Ba r b e r i s, A tti n . 28, 24 f e b b r a io 1925, p p . 352-354.

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determ inate dalla legislazione della Chiesa universale. I testi costituzionali riveduti profondamente nel 1923 erano in questa linea. Allo stesso tempo, i Rettori maggiori avevano ricordato la tradizione salesiana, e lo avevano fatto con una continuità che è certamente segno di autentica fedeltà. Questo adatta­

mento raggiungerà una nuova tappa nel 1947, quando don Ri- caldone pubblicherà la sua importante lettera sul rendiconto.36 La lettera di don Ricaldone

Preoccupato di stabilizzare la spiritualità salesiana prima che scomparissero quanti avevano conosciuto don Bosco, don Ri­

caldone lasciò numerosi testi importanti su vari aspetti della vita religiosa. Questi scritti comparvero prima sotto forma di lettere, negli A tti del Capitolo Superiore; e furono poi raccolti nella collana Formazione salesiana pubblicata dalla Elle Di Ci.37 Sono in gran parte opere di compilazione dalle Memorie biogra­

fiche; alcune però sono più originali, come è appunto la let­

tera sul rendiconto.

Questo lungo documento di centododici pagine (24 luglio 1947) intende definire la tradizione salesiana in materia di ren­

diconto. Ne tratta in tre punti: il rendiconto obbligatorio sulla vita esteriore (pp. 1-44), il rendiconto di consiglio o direzione spirituale (pp. 44-84) e le modalità del rendiconto (pp. 84-110).

Questo piano basterebbe da solo per confermare le precedenti affermazioni: sotto il titolo generale « Il rendiconto », il su­

periore considera successivamente il rendiconto richiesto dalle

36 P. Ric a l d o n e, Il rendiconto, in A tti n. 142, luglio-agosto 1947. La traduzione francese: P. Ric a l d o n e, Lettre circulaire (...) sur la reddition de com te ou le compte-rendu spirituel, Marseille 1949, adotta un altro piano dell’originale e mette così in miglior luce il progetto dell’autore. Pietro Ricaldone (1870-1951) entrò a far parte del capitolo superiore nel 1911, con il titolo di consigliere per la scuola; nel 1922 fu eletto prefetto gene­

rale, e il 17 maggio 1932 Rettor maggiore.

37 Senza voler essere esaustivi, ecco alcuni titoli: Santità è purezza (strenna del 1934), in A tti n. 69 bis, 31 gennaio 1935; Povertà (strenna del 1936), in A tti n. 82, 24 luglio 1937; Formazione del personale sale­

siano. N oviziato, in A tti n. 93, maggio-giugno 1939; Formazione... Stu- dentati filosofici e teologici, in A tti n. 131, settembre-ottobre 1945; Forma­

zione ... Programmi e norme per gli studentati filosofici e teologici della Società Salesiana, in A tti n. 138 bis, novembre-dicembre 1946, ecc.

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costituzioni e la direzione spirituale propriamente detta che la regola non può esigere.

La prima parte della circolare (pp. 13-44) sviluppa essenzial­

mente gli otto punti previsti dall’art. 48 delle costituzioni, che sono esaminati con grande cura. Le pagine precedenti (pp. 1-13) trattano dei rendiconti amministrativi (« resoconto d ’ufficio ») e del rendiconto propriamente detto. Questo lungo commento, che non presenta nuovi elementi, fissa la tradizione. Le quaranta pagine successive riguardano la direzione spirituale in quanto tale. Dopo un richiamo, basato sulle costituzioni, circa l’impor­

tanza della vita interiore quale segreto dell’espansione della congregazione e della fecondità dell’attività salesiana, il Rettor maggiore commenta ampiamente i due paragrafi del canone 530.

Il primo paragrafo ha per scopo di salvaguardare la libertà di coscienza del religioso; il secondo gli lascia la libertà, se lo desidera, di aprire la sua anima al superiore. Questo commento porta don Ricaldone ad affermare che « il direttore della casa è anche direttore spirituale » ; 38 concilia così pienam ente la tra­

dizione salesiana e la legislazione ecclesiastica. La seconda parte conclude con varie « considerazioni sulla parola expedit del canone 530 e sull’espressione conviene dell’art. 47 delle nostre Costituzioni »; e con una breve nota storica sulla disciplina della Chiesa circa le confessioni e i rendiconti. Queste ultime consi­

derazioni permettono al Rettor maggiore di giustificare il pro­

prio punto di vista. Fondandosi sull’analisi storica, afferma: « In non poche circostanze il direttore spirituale non confessore si trova in condizione di maggiore libertà e padronanza di movi­

menti per dare al suo diretto norme e consigli, che non potranno essere interpretati come conseguenze di cose udite in confessio­

ne ».39 È un modo tutto personale di rimanere fedele allo spi­

rito del fondatore. Mentre don Bosco vedeva un maggiore pro­

fitto spirituale nel fatto che direttore e confessore fossero una stessa persona, in nome di questo stesso vantaggio spirituale don Ricaldone giustifica la pratica opposta. Per il quarto suc­

cessore di don Bosco è meglio che il direttore non sia confes­

sore! L’ultima parte della lettera sviluppa le m odalità pratiche

38 P. Ric a l d o n e, II rendiconto, pp. 62-66.

39 Ibidem , p. 82.

139

(16)

del rendiconto: il tempo da dedicarvi, il luogo, l’ambiente e le qualità richieste per ricevere il rendiconto.

Dopo la rottura imposta nel 1901, l’interesse di questo do­

cumento sta nel conferire l ’impronta salesiana al nuovo modo di procedere. In qualche modo potrebbe essere la conclusione degli sforzi di don Rua, don Albera e don Barberis per ade­

guare alla legislazione del Sant’Ufficio il modo di fare salesiano.

A dire il vero, l’esegesi di don Ricaldone non convince del tutto il suo lettore. Non si giungerà certo sino al punto di considerarla tendenziosa; tuttavia essa appare troppo preoccu­

pata di giustificare una pratica e fondere insieme mete che do­

vrebbero essere distinte. D ’altra parte, il punto di vista troppo esclusivamente salesiano degli sviluppi rischia di renderla più o meno sospetta. Comunque, questo testo servì da punto di ri­

ferimento fino al 1960.

In un altro grande testo: Fedeltà a Don Bosco Santo, don Ricaldone aveva già affrontato il tema del rendiconto.40 Lo de­

finiva « il momento più bello della paternità » e considerava soprattutto l’ambiente paterno che deve caratterizzare tale in­

contro.41 Questo clima preoccupava molto il Rettor maggiore, il quale tornò sull’argomento nel 1940 e 1945,42 ricordando la stima che don Bosco aveva per il rendiconto e dichiarando che chi non riusciva a cogliere l’importanza del rendiconto non aveva capito nulla della vita religiosa e salesiana.43

Nel corso di tutti questi anni, nei documenti salesiani si tro­

vano numerose raccomandazioni indirizzate ai superiori per in­

coraggiarli a ricevere il rendiconto dei confratelli. Ritornano come un leitmotiv. I superiori devono invitare i confratelli che non si presentassero spontaneamente. Quando si esortano i re­

ligiosi al rendiconto, si raccomanda ai superiori la disponibi­

lità.44

40 P. Ric a l d o n e, Fedeltà a Don Bosco Santo (strenna del 1935), in A tti n. 74, 24 marzo 1936.

41 Ibidem , pp. 88-91.

42 P. Ric a l d o n e, Circolare ai Direttori sulVosservanza religiosa e sui loro doveri, in A tti n. 101, settembre-ottobre 1940, p. 117 e Lettera (24 agosto 1945) in A tti n. 130, luglio-agosto 1945, pp. 383-384.

43 P. Ric a l d o n e, Fedeltà a Don Bosco Santo, p. 89, e Circolare ai D irettori, cit., p. 117.

44 Oltre i testi già citati, vedi ad es.: M. Ru a, Circolare n. 13, 1° gen-

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Da don Rua a don Ziggiotti (1902-1965) il messaggio è costante: anche se i religiosi non possono rivolgersi in modo ordinario al direttore per la confessione, viene loro raccom an­

dato di aprirgli i segreti della propria anima con la direzione spirituale spontanea. Senza dubbio non vi sono tenuti dalle costituzioni, ma gli insegnamenti e le esortazioni dei Rettori mag­

giori li impegnano in questo senso. Per i responsabili della con­

gregazione è un segno di fedeltà a don Bosco. Il rinnovam ento portato dal concilio Vaticano II modificherà un po’ queste pro­

spettive tradizionali. L’accento sarà posto soprattutto sulla di­

rezione come tale, senza però trascurare il rendiconto previsto dalle costituzioni.

Dai 1965 ai nostri giorni: la direzione spirituale

Per oltre mezzo secolo, i Rettori maggiori della congrega­

zione salesiana si erano adoperati a persuadere i religiosi ad approfondire il rendiconto come vera direzione spirituale. Dal 1965 in poi comincia a prospettarsi un’evoluzione nel discorso ufficiale: si parla meno di rendiconto, e si invitano i confra­

telli alla direzione spirituale propriamente detta. Non si tratta di vera innovazione, ma piuttosto di diversa interpretazione, che viene alla luce nel capitolo generale del 1965; è codificata nel capitolo generale del 1971 ed espressa « a nuovo » nel 1977.

Nel frattempo don Ricceri aveva attirato l’attenzione dei sale­

siani sul grande bisogno di direzione spirituale per progredire nella vita religiosa.

I l capitolo generale del 1965

La tradizione fissata da don Ricaldone nella circolare del luglio 1947 ebbe una nuova interpretazione in un documento del Capitolo generale 19 della congregazione. I salesiani, riuniti nell’aprile del 1965, mentre il concilio Vaticano II non era ancora concluso, attinsero al clima di rinnovamento che caratterizzò la

naio 1895, in Lettere circolari..., pp. 353-359; Circolare n. 41, 15 maggio 1921, pp. 478-483; A tti n. 36, 24 settembre 1926, p. 484; A tti n. 170, otto­

bre 1958, p. 30. R. Zig g i o t t i, Lettera (8 ottobre 1958), in A tti n. 194, settembre-ottobre 1956, p. 4; A tti n. 203, luglio-ottobre 1958, p. 28, ecc.

141

(18)

Chiesa del I960.45 Questo capitolo puntò particolarmente sulla persona del religioso salesiano, « il salesiano da formare e da fissare con coraggio nell’alveo di una ricca e vigorosa tradi­

zione... ».46 In questo quadro i capitolari approfondirono il pro­

blema particolare della direzione spirituale dei confratelli. Rac­

colsero i risultati delle loro riflessioni in un testo di cinque pa­

gine: il « Documento V I I I . Direzione spirituale dei confratel­

li ».47 Era la prima volta che un capitolo generale della con­

gregazione trattava esplicitamente questo tema.

Partendo dalla costatazione « della mancanza di vera dire­

zione spirituale in cui sono lasciati i confratelli », il capitolo riaffermò « la dottrina relativa alla funzione del direttore sa­

lesiano secondo il D iritto Canonico, le Costituzioni e la tradi­

zione salesiana » 48 Venne però data u n ’interpretazione più aperta di quanto non l’avesse fatto la circolare del 1947. Senza dub­

bio, il direttore fu ancora designato come « padre spirituale e direttore di coscienza proposto ai confratelli »; ma non era più il solo. Questo compito dell’autorità era ampiamente descritto.

Si distinse nettam ente « foro esterno » e « foro interno », in cui viene esercitata la direzione « a richiesta dei confratelli o dal direttore, o dal confessore o da altro sacerdote, su licenza del superiore ».49 Si sottolineò il valore di direzione del rendi­

conto, notando chiaramente che esso verte esclusivamente « su fatti della vita esteriore ».50 Tali considerazioni erano basate su

« elementi di giustificazione dottrinale ».51

Per sé, il capitolo generale 19 non portò innovazioni; ri­

prese la dottrina tradizionale esposta con intelligenza e aper­

tura. Ma stabilì la distinzione tra direzione spirituale e rendi­

conto, distinzione sempre rifiutata dai documenti precedenti.

Anche se il superiore della comunità rimaneva il direttore spi­

45 R . Zig g i o t t i, Lettera (24 aprile 1964), in Proposte per il Capitolo Generale X I X, s.l., s.d. (Torino 1964), p. 1.

46 L. Ri c c e r i, Lettera (31 gennaio 1966), in A tti del Capitolo Gene­

rale XI X, A tti n. 244, gennaio 1966, p. 2 (citato C.G. XIX).

47 C.G. XIX, pp. 95-100.

48 Ibidem , p. 95.

49 Ibidem , pp. 97 e 98.

50 Ibidem.

51 Ibidem , pp. 99-100.

(19)

rituale proposto, doveva lasciare piena libertà ai confratelli di rivolgersi a un altro sacerdote. L’insistenza del capitolo generale nel distinguere foro interno e foro esterno era rivelatrice in proposito.52 Non modificava la legislazione salesiana in vigore, cosa non indispensabile. Tuttavia preferiva l’espressione « di­

rezione spirituale » al termine « rendiconto ».

Il capitolo generale speciale (1971-1972)

Il nuovo spirito definito nel 1965 è passato nelle costitu­

zioni salesiane elaborate nel capitolo generale speciale (1971­

1972). Si tiene presente che le costituzioni del 1923 dedica­

vano due articoli (47 e 48) al rendiconto. Questi due articoli furono sostituiti da uno solo nelle costituzioni del 1972: l’ar­

ticolo 96, che ha per titolo Colloquio col Superiore.53, La parola

« rendiconto » scomparve completamente; ma la nozione del colloquio ne riprese la sostanza: « In esso (il salesiano) tratta con piena confidenza della sua vita esteriore e se lo desidera della vita spirituale ».54 Questo fu precisato nell’articolo 158 dei regolamenti, che enunciò alcuni punti come possibili argo­

menti del colloquio: « Negli incontri personali (il direttore) dimostri la sua premura per la salute dei confratelli e le loro necessità ».55 Si è molto lontani dall’imponente schema di ren­

diconto dell’articolo 48 del 1923 e dall’introduzione alle co­

stituzioni. Questa introduzione, am putata e relegata in appen­

dice, conserva tuttavia i paragrafi dedicati al rendiconto.

La direzione spirituale, in quanto tale, entrò nelle costitu­

zioni salesiane al capitolo 13 sugli aspetti generali della for­

mazione.56 L’articolo 102 sottolineò che l’impegno personale è sostenuto « dalla riflessione, lo studio, gli scambi, la pre­

ghiera, la direzione spirituale ».

Gli atti del capitolo generale speciale chiariscono le indica­

zioni delle costituzioni, le quali, come si è già detto, ribadi­

scono le affermazioni del capitolo 19. Si richiama la distinzione

52 Ibidem.

53 C ostituzioni della Società di S. Francesco di Sales, 1972, art. 96.

54 Ibidem.

55 Regolamenti della Società di S. Francesco di Sales, 1972, art. 158.

56 Costituzioni, art. 102.

143

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fra direzione comunitaria e direzione personale,57 la prima affi­

data al superiore della comunità, la seconda lasciata alla libera scelta del religioso, il quale può rivolgersi, se lo desidera, al suo superiore. Questo è vero specialmente per i confratelli in formazione. Il superiore, come maestro spirituale, deve essere disponibile ad accogliere i confratelli per l'incontro privato pre­

visto dall’articolo 96 delle costituzioni58 ed essere preparato ade­

guatamente all'esercizio di questo servizio dell'autorità.59 Come si vede, il capitolo 20 riprese quanto era stato detto nel 1965, ma secondo alcuni punti di vista si situò al di qua delle decisioni di allora. Un solo esempio: non dedicò nessun documento alla direzione spirituale.

Il capitolo generale 21

Riunito nell’autunno 1977, il capitolo generale 21 non aveva grandi ambizioni. Voleva « verificare se e come la via aperta era stata seguita nella Congregazione » e proporre dei metodi (letteralmente dei « modi ») per incoraggiare e perfezionare le ini­

ziative e le azioni già felicemente intraprese secondo la linea indicata dal CGS.60 Sulla direzione spirituale non aveva grandi novità da portare: si limitò ad enunciare alcune linee generali.

Prima di tutto riaffermò il ruolo particolare del superiore di comunità. Si deve sottolineare che ciò venne fatto con accenti di una certa gravità, poiché si notò « la mancanza tragica di maestri e guide spirituali ».61 Successivamente il capitolo ricordò il valore dell’incontro con il superiore che, bisogna riconoscerlo, era stato un po’ « maltrattato ».62 Rispondeva in questo a un ramm arico di don Ricceri, che ne denunciava l’abbandono quasi totale.63 I capitolari votarono un nuovo articolo dei Regola­

menti, il 7 Ibis, dedicato interamente al colloquio con il supe­

57 Capitolo generale speciale X X , Roma, 10 giugno 1971 - 5 gennaio 1972, Roma 1972, p. 441 n. 678 (citato C.G.S.).

58 C.G.S., p. 321 n. 502 e p. 338 n. 526.

59 C.G.S., p. 422 n. 655.

60 L. Ric c e r i, Lettera, in A tti n. 283, luglio-settembre 1976, p. 292.

61 D ocum enti capitolari, Roma 1978, pp. 42-44, n. 49-53, e p. 186, n. 249 (citato C.G. XXI).

62 C.G. XXI, p. 47, n. 58.

63 L. Ric c e r i, Relazione generale sullo stato della congregazione, Roma 1977, p. 85, n. 128.

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riore e ai temi da trattarsi.64 Niente di veramente nuovo, se non il rimpianto, già notato nel 1965, della mancanza di veri direttori spirituali nella congregazione. Forse che le raccoman­

dazioni di quel capitolo generale non erano state seguite? C ’è da dire che qualche tempo prima della convocazione del capi­

tolo del 1977, una voce autorevole si era levata per attirare l’attenzione dei confratelli sulla direzione spirituale.

« Abbiamo bisogno di esperti di Dio »

Era la voce del Rettor maggiore don Ricceri che, in u n ’im­

portante lettera del gennaio 1976, aveva affrontato il tema della direzione spirituale personale.65 In quattro punti, ricordava il bisogno della direzione spirituale, il suo ruolo nella vita reli­

giosa e salesiana, la tradizione di don Bosco e la necessità di disporre di direttori spirituali aggiornati. Per concludere, in­

vitava la congregazione a un « grosso esame di coscienza che dobbiamo fare tutti insieme. Senza turbam enti ma responsa­

bilmente. Con la volontà e il coraggio di cambiare tante cose che possono, per fortuna, essere cambiate, e che devono cam­

biare nel senso voluto da Don Bosco ».66 Curiosamente, questa lettera non accennava alle acquisizioni delle scienze psicologi­

che, come ci si poteva aspettare nella nostra epoca. Impostava il problema unicamente dal punto di vista spirituale.

Un tema legato a questo era già stato trattato da don Ric­

ceri nel 1967, in una lettera ai confratelli sul dialogo: ricor­

dava che l’autorità è un servizio e che il superiore deve mo­

strarsi aperto verso tutti i suoi confratelli67

All’inizio del 1980 il Rettor maggiore (dal 1977) don Viganò sottolineò « l’urgenza di ricuperare e di dare rilievo pratico alla direzione spirituale... »,68 un mezzo tra altri destinati a rinfor­

64 C.G. XXI, p. 266, n. 436.

65 L . R i c c e r i , Abbiam o bisogno di esperti di Dio, in A tti n. 281, gen­

naio-marzo 1976, pp. 2759-2805.

66 Ibidem, pp. 2804-2805.

67 L. Ric c e r i, Il dialogo, in A tti n. 247, gennaio 1967, pp. 3-37 e so­

prattutto pp. 24-29.

68E. Vig a n ò, Dar forza ai fratelli, in A tti n. 295, gennaio-marzo 1980, p. 17. Egidio Viganò, nato nel 1920, fa parte del consiglio superiore della congregazione nel 1971; eletto Rettor maggiore il 15 dicembre 1977.

145

(22)

zare la congregazione nella crisi che la scuote e che tocca pure la Chiesa.69

La lettura di tutti questi testi suscita una duplice impressione.

A nzitutto un vivo desiderio di richiamare il religioso sull’im­

portanza della direzione spirituale nella crescita della sua vita personale, cristiana e religiosa, e di mettere a sua disposizione guide spirituali capaci di sostenerlo e illuminarlo. Al tempo stesso si costata, talvolta in maniera drammatica, che gli sforzi suggeriti in questo senso sono rimasti inutili, e che i religiosi trascurano i mezzi spirituali loro proposti. I superiori però non si sono affatto scoraggiati nel ricordare ai confratelli il bisogno della direzione spirituale. L ’hanno fatto recentemente nel vo­

lume che si chiama ormai — poco felicemente, a mio avviso — il Nuovo Manuale del Direttore.

« Un ministero per l'animazione... della comunità locale » Frutto di una decisione del capitolo generale del 1977, questo volume, in formato ridotto, ma di trecentodiciassette pagine ben fitte, porta il titolo II Direttore Salesiano. Il sottotitolo Un mini­

stero per l ’animazione e il governo della comunità locale e la presentazione di don Viganò significano chiaramente che si tratta di ben altra cosa dal « Manuale del Direttore » compilato a suo tempo da don Albera.70 Lavoro del tutto originale, questo libretto è, come afferma il superiore, « un testo di meditazione salesiana offerto come aiuto fraterno e autorevole ai direttori, chiamati ad animare e governare la comunione e la missione originali della comunità salesiana ».71

Le due pratiche del colloquio e della direzione spirituale, che sono nettamente distinte, vi hanno un numero di pagine sensibilmente uguale.72 Gli aspetti teorici e pratici della dire­

zione spirituale sono presi in considerazione. Dopo un richiamo alle decisioni dei tre ultimi capitoli generali (pp. 233-235), il testo afferma la necessità della direzione spirituale sia « per conoscere le indicazioni di Dio », sia « per fare esperienza per-

69 Ibidem, pp. 7-16.

70 II D irettore salesiano. Un ministero per Vanimazione e il governo della comunità locale, Roma 1982. La presentazione si trova alle pp. 17-19.

71 Ibidem , p. 17.

72 Colloquio, ibidem , pp. 221-233, direzione spirituale, pp. 233-244.

(23)

sonale della vocazione ». Pur non essendo direttore spirituale di obbligo, il superiore della comunità deve essere pronto a esercitare questo servizio presso i confratelli che lo desiderano, in particolare, egli deve mettersi a disposizione del personale in formazione (p. 237) e dei confratelli in difficoltà (pp. 238­

243), come d ’altronde dei religiosi adulti (pp. 237-238). La di­

rezione spirituale esige, da parte di colui che vuole dirigere, qualità e attitudini specifiche chiaramente definite (pp. 240-242).

Il testo attira l’attenzione del superiore sulle difficoltà e le am­

biguità che può generare la direzione spirituale (pp. 243-244).

Esso tiene pure presenti gli ultimi dati della psicologia moderna.

Il « colloquio » col superiore, previsto dall’articolo 96 delle co­

stituzioni del 1972, è oggetto delle pagine 221-233 del volume.

Dal 1965 in poi, i richiami sono stati numerosi. Hanno ri­

petuto che la direzione spirituale è essenziale alla vita religiosa.

Essi provengono sia dai capitoli generali che da uomini posti a capo della congregazione salesiana.

* * *

Le diverse fasi dell’esame al quale abbiamo sottoposto i do­

cumenti ufficiali salesiani sulla direzione spirituale, portano ad alcune conclusioni. I temi del rendiconto e della direzione spi­

rituale vi appaiono in modo costante nel secolo ventesimo. Fino al 1965, gli sforzi dei superiori hanno puntato sulla necessità di armonizzare le tradizioni e la legislazione della congregazione alle leggi ecclesiastiche. Si doveva restare fedeli al primo inse­

gnamento di don Bosco, il fondatore. I religiosi vennero esor­

tati a considerare il rendiconto prescritto dalle costituzioni come vera direzione spirituale e a cercare nel superiore la guida in­

dispensabile a un reale progresso nella vita salesiana e religiosa.

Il superiore, a sua volta, era invitato alla disponibilità e alla paternità nell’accogliere i confratelli.

Con il capitolo generale 19, uno spirito nuovo ha penetrato i testi. Senza trascurare le acquisizioni del passato più recente, l’attenzione venne attirata sulla direzione spirituale e la legi­

slazione si è adeguata a questa evoluzione. Il vocabolario stesso manifestò questo cambiamento di orientamento: l’espressione

« rendiconto » cadde in disuso, si parlò di colloquio o d ’incon­

147

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tro, si distinse nettam ente tra direzione spirituale e colloquio;

e ci s’impegnò a suscitare e a formare reali direttori spirituali.

L’ultimo testo apparso (1982) conferma le acquisizioni prece­

denti e offre un aiuto sostanziale agli animatori e alle guide autorevoli delle comunità locali.

Attraverso questa lenta evoluzione si possono indovinare le difficoltà incontrate dai superiori generali della congregazione nel legiferare ed esortare in una materia così complessa e de­

licata.

Leggi ed esortazioni non trovano il pieno significato che nel­

l’uso che se ne è fatto. Per quanto riguarda il rendiconto e la direzione spirituale, lo storico è sovente sprovveduto, perché le fonti sono piuttosto avare di informazioni. Le nostre offrono alcuni elementi. Il grande numero di interventi dei superiori su questo argomento porta a pensare che quest’obbligo delle co­

stituzioni non fu sempre osservato. In don Rua colpiscono al­

cuni rimpianti; don Ricceri parla d ’un abbandono quasi com­

pleto del colloquio con i superiori; i capitoli generali denun­

ciano la « mancanza tragica » di direttori spirituali. Le respon­

sabilità non sono determinate, ma il problema esiste sia per quanto riguarda il direttore che il confratello.

Senza dubbio bisogna risalire oltre, e dire che la congrega­

zione salesiana risente per la sua parte delle difficoltà che oggi colpiscono la Chiesa in materia di penitenza e di direzione spi­

rituale. Da un lato appare che la distinzione tra foro esterno e foro interno non è più in sintonia con le nostre mentalità, sollecitate, che lo vogliamo o no, dalle recenti acquisizioni della psicologia moderna. D all’altra parte il fenomeno della pri­

vatizzazione dell’esistenza colpisce anche gli abitanti delle case religiose. Le difficoltà incontrate dai salesiani non sono dunque che un episodio d ’una crisi più generale. Il prossimo Sinodo dei vescovi, chiamato a trattare un argomento affine — il sa­

cramento della riconciliazione — , porterà qualche chiarifica­

zione in proposito? In tutti i modi il problema della direzione di coscienza dovrà ritornare in cantiere; ne va di mezzo l’av­

venire della congregazione salesiana.

Riferimenti

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