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Sentenze della Corte di Cassazione dell’8 luglio 2015 su agevolazioni ICI e IMU per gli immobili degli enti non commerciali.

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Roma, 3 agosto 2015

Le agevolazioni ICI e IMU sugli immobili degli enti non commerciali.

Breve approfondimento alla luce delle sentenze della Corte di Cassazione dell’8 luglio 2015 Le sentenze dell’8 luglio scorso, con le quali Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune di Livorno che richiedeva il pagamento dell’ICI (anni 2004-2009) da parte di due scuole gestite da Istituti religiosi, ritenendole non conformi ai criteri per l’applicazione dell’esenzione (C.Cass. Sez.

V, Sent. nn. 14225 e 14226), offrono l’occasione per un breve approfondimento delle tematiche relative alle agevolazioni riservate agli enti non commerciali.

La Suprema Corte ha in primo luogo confermato un principio già ripetutamente espresso in più di un pronunciamento, secondo il quale l’esenzione ICI, prevista dal d.lgs. n.504 del 1992, “è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo” (lo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività meritorie tra le quali l’attività didattica), e di un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”. Per quanto riguarda il requisito oggettivo, nello specifico del giudizio, la Corte non ha ritenuto sufficientemente dimostrato che l’attività didattica svolta dall’Istituto religioso, pur rientrante tra quelle suscettibili di esenzione, sia svolta in concreto secondo modalità non commerciali, condizione essenziale per l’esenzione.

Le sentenze – che dispongono la ripetizione del giudizio di merito e non ne determinano direttamente un nuovo esito definitivo – giungono a seguito di un complesso iter normativo e giurisprudenziale che vale la pena di ripercorrere per sommi capi1.

La disciplina dell’ICI (d.lgs. n. 504 del 1992), ripresa integralmente dall’IMU con varianti irrilevanti ai fini che qui interessano, oltre ad esentare gli edifici collegati al culto religioso, individua altre attività “meritorie” (assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive), la cui esenzione si applica a condizione che il possessore sia un ente non commerciale, che vi eserciti le attività in questione direttamente ed in modo esclusivo. La sentenza della Cassazione n. 4645 (marzo 2004) chiariva che l’esenzione poteva essere concessa per le attività sopra indicate svolte in forma non commerciale, precisando così il requisito oggettivo circa le modalità di svolgimento delle attività.

Le modifiche apportate tra il 2005 e il 2006, introducevano però un’interpretazione autentica (d.l. n.

223 del 2006), in base alla quale l’esenzione poteva operare anche per attività svolte in modo “non esclusivamente commerciale”, nozione non codificata che di fatto rimandava al contenzioso tributario la definizione dell’imponibilità dei singoli immobili. A seguito dell’apertura di una procedura di infrazione comunitaria per aiuti di Stato, questa impostazione è stata considerata illegittima e deve essere quindi ritenuta non operante.

Nel 2012, a chiusura della vicenda e in concomitanza con l’introduzione dell’IMU, il dl n. 1

“Liberalizzazioni”, nella disciplina del tributo immobiliare entra il concetto di “esenzione parziale”

in base alla quale sugli edifici di enti non commerciali usati in modo promiscuo (per periodi dell’anno o per parte dei locali), come sede di attività svolte in modo commerciale e di attività esenti, l’IMU viene proporzionalmente ridotta. Inoltre, viene abolita la citata interpretazione

1 Ved. anche la nota IFEL del 2 giugno scorso in: http://www.fondazioneifel.it/appuntamenti-e- news/item/2664-la-disciplina-imu-tasi-per-gli-enti-non-commerciali

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autentica e viene esplicitato che l’esenzione compete solo per le attività svolte “con modalità non commerciali”, così allineando la normativa IMU ai principi già affermatisi nell’ICI per via giurisprudenziale.

Si registra dunque una sostanziale coerenza tra il quadro normativo relativo sia all’ICI che all’IMU e una giurisprudenza via via consolidatasi, rispetto alla quale le ultime sentenze non appaiono innovative.

È pertanto difficile sostenere che le recenti sentenze, pur riferite al regime ICI, possano non avere alcuna influenza sulla stessa disciplina agevolativa dell’IMU (e della TASI). C’è invece da attendersi che alcuni importanti aspetti del citato regolamento ministeriale sull’applicazione dell’IMU agli immobili degli enti non commerciali (DM n. 200 del 2012) risultino messi in questione dai principi giurisprudenziali ripetutamente affermati dalla Cassazione. Il Regolamento, infatti, con riferimento alle attività didattiche, prevede che la non commercialità dell’attività sia verificata in relazione a tre criteri: a) carattere paritario dell’istituto scolastico e garanzia di non discriminazione nell’accettazione degli alunni; b) osservanza degli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, applicazione della contrattazione collettiva al personale, adeguatezza delle strutture, pubblicità del bilancio; d) attività svolta “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso”.

Le argomentazioni delle sentenze non prendono in alcuna considerazione gli aspetti ordinamentali, mentre, con riferimento al terzo e più sostanziale criterio, non considerano rilevante l’entità del corrispettivo pagato dagli utenti, ritenendo anzi il corrispettivo in sé “fatto rivelatore dell’esercizio dell’attività svolta con modalità commerciali”. Non appaiono altresì rilevanti nelle motivazioni del giudice di legittimità né il rapporto tra ammontare delle rette e costi sostenuti, né il fatto che la gestione dell’Istituto scolastico risulti in perdita.

In altri termini (e in coerenza con il parere n. 4802/2012 del Consiglio di Stato sullo stesso schema del Regolamento IMU), ad avviso della Cassazione il carattere dell’imprenditorialità – e quindi della commercialità dell’attività sottoposta a valutazione ai fini dell’esenzione – deve essere riconosciuto ogni qualvolta l’attività economica organizzata sia ricollegabile all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro.

Se questa impostazione deve essere considerata definitiva, per ragioni di diritto nazionale e comunitario, non c’è dubbio che pressoché tutte le attività scolastiche private, tanto più se svolte in regime “paritario” rispetto al sistema dell’istruzione pubblica, rischiano di rientrare nei criteri di

“commercialità” che precludono l’esenzione in base alle attuali norme sul tributo immobiliare comunale. Il mantenimento di un regime di favore per le scuole paritarie dovrà percorrere la strada della normativa speciale di settore, che dovrebbe forse comprendere l’insieme delle scuole private e non solo quelle condotte da enti non commerciali, superando il regime “interpretativo”

adottato con il Regolamento 200, che non appare compatibile con la netta definizione di requisiti soggettivi ed oggettivi derivante dalla messa a punto comunitaria, dai pronunciamenti di legittimità e, infine, dal decreto legge n.1 del 2012. Uno strumento normativo per operare in tal senso è offerto dalla legge 62 del 2001 (la “legge Berlinguer”) che riconosce alle scuole paritarie,

“senza fini di lucro”, che possano essere considerate ONLUS secondo i criteri del decreto legislativo

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n. 460 del 1997, le agevolazioni fiscali previste nel decreto stesso. Si tratta di un ampio ventaglio di esenzioni e riduzioni, che però non menzionano la fiscalità immobiliare comunale, lasciando all’autonomia degli enti la facoltà di intervenire (art. 21). Va detto che di tale facoltà molti Comuni si sono avvalsi, ritenendo necessario mitigare il prelievo su attività ad elevato impatto sociale.

È tuttavia evidente che la dichiarata volontà politica di assicurare un trattamento fiscale più favorevole al settore scolastico privato (e questioni analoghe potranno porsi anche per la sanità convenzionata) non può eludere le problematiche di riassetto organico dell’imposizione non solo sotto il profilo dell’equità e del diritto – nazionale e comunitario – ma anche per ciò che riguarda la certezza delle basi imponibili sulle quali i Comuni devono poter stabilmente contare. Si tratterebbe dunque di un regime innovativo, nel cui ambito l’introduzione di specifiche agevolazioni dovrebbe dar luogo ad adeguate compensazioni.

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