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Cautele interinali contro l’esecuzione forzata - Judicium

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Academic year: 2022

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BRUNO CAPPONI

Cautele interinali contro l’esecuzione forzata

1.- La sospensione del processo esecutivo, anche in relazione all’efficacia delle sentenze che definiscono le opposizioni di merito. 2.

Sospensione disposta dalla legge, dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo, dal giudice dell’esecuzione. 3.- Il coacervo delle cautele: inibitorie e sospensioni quali tutele interinali coordinate alle diverse tutele di merito. Tutela rispetto al titolo e tutela rispetto all’oggetto dell’esecuzione. 4.- Diversa funzione, anticipatoria o conservativa, di inibitorie e sospensioni nelle diverse opposizioni esecutive. 5.- Ancora sull’oggetto delle opposizioni, di merito e formale, in relazione alle cautele interinali. 6.- Sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (inibitoria) e sospensione dell’esecuzione. Il potere più esteso spetta al giudice dell’impugnazione (art. 283, comma 1, c.p.c.) mentre il giudice dell’opposizione a precetto sospende la sola efficacia esecutiva del titolo (art. 615, comma 1, c.p.c.) e il g.e. la sola esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.). 7.- Disarmonie sui controlli di inibitorie e sospensioni. 8.- Natura delle inibitorie e delle sospensioni: effetti anticipatori, conservativi, cautelari, provvisori. Rapporti tra sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo e sospensione dell’esecuzione. 9.- In particolare, il provvedimento ex art. 615, comma 1, c.p.c.: concorso di competenza col giudice dell’esecuzione, conversione del potere in potere sospensivo dell’esecuzione in atto, possibile caducazione degli atti esecutivi compiuti tra l’istanza di inibitoria e il provvedimento del giudice dell’opposizione a precetto, ruolo dell’art. 5 c.p.c. 10.- Arresto dell’esecuzione e intervento di creditori titolati. 11.- La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo pronunciata dal giudice dell’opposizione a precetto ma non anche del giudice dell’opposizione agli atti pre- esecutiva nel coacervo di inibitorie e sospensioni. 12.- Gli aspetti più critici. 13.- Ulteriore disarmonia. 14.- Il procedimento della sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione alla luce della riforma del 2005-2006 sulla struttura bifasica delle opposizioni promosse dopo l’inizio dell’esecuzione forzata: A) la cerniera tra fase sommaria e fase a cognizione piena; B) la reclamabilità secondo il rito cautelare del provvedimento. 15.- Il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. tra anticipazione e conservazione in rapporto alla tutela di merito eventuale; la sospensione- estinzione, anche in relazione all’opposizione agli atti.

1.- L’istituto della sospensione risponde all’esigenza di coordinare il processo esecutivo con l’esito di un giudizio di cognizione che può avere a oggetto l’impugnazione del titolo giudiziale; può nascere in forma di opposizione a precetto, allorché il titolo sia notificato con l’intimazione a adempiere e l’esecuzione sia soltanto minacciata; ovvero in forma di opposizione all’esecuzione, dopo il suo inizio in senso tecnico. Nei diversi contesti, il provvedimento potrà essere adottato dal giudice dell’impugnazione del titolo (artt. 283, comma 1, 351, 373, 401, 407, 431, 649, 668 c.p.c.), dal giudice dell’opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.) o dal giudice dell’esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.).

Caratteristica dell’esecuzione forzata è di essere retta dall’impulso del titolo esecutivo indipendentemente dalle vicende impugnatorie (del titolo o delle modalità in concreto assunte dall’esecuzione forzata) che appaiono sempre

«esterne» rispetto all’esecuzione in corso. Il solo modo di rendere il processo esecutivo sensibile alle vicende lato sensu impugnatorie è quello di ottenere (l’inibizione o) l’arresto degli atti esecutivi in attesa della definizione nel merito dell’impugnazione o dell’opposizione; ove quegli atti dovessero proseguire indisturbati, l’esecuzione è conformata in modo tale da attingere esiti tendenzialmente stabili. L’art. 620 c.p.c.1, a proposito dell’opposizione di terzo tempestiva ma non seguita dal provvedimento di sospensione, ne offre la migliore dimostrazione ex positivo jure: il regime dell’opposizione tardiva accomuna quella introdotta dopo la vendita (e così davvero tardivamente) a quella introdotta prima – tempestivamente – ma con esecuzione non sospesa. In tal caso il diritto del terzo opponente non potrà mai prevalere su quello dell’aggiudicatario agli incanti e il bene subastato non potrà essere recuperato; è quindi il provvedimento ex art. 624, comma 1, c.p.c., adottato nella prima udienza del giudizio di opposizione (la fase

“sommaria”), a stabilire quale sarà il concreto risultato della reazione tempestiva del terzo.

Secondo gli attuali orientamenti delle Sezioni Unite, anche nell’espropriazione condotta senza titolo esecutivo (forse il vizio più eversivo immaginabile) l’atto traslativo conserva i suoi effetti, purché l’esecuzione si sia svolta con l’apparenza delle forme legali facendo insorgere nell’offerente all’incanto – il soggetto cui si accorda maggiore tutela –

1 Per l’esecuzione immobiliare occorre avviare discorsi più complessi: cfr. G.MICCOLIS, L’opposizione di terzo all’esecuzione e i terzi nel processo esecutivo, in Riv. esec. forz., 2014, 34 ss.; R.METAFORA, L’opposizione di terzo all’esecuzione, 2 ed., Napoli, 2012.

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il legittimo affidamento di aver acquistato senza ledere l’altrui diritto2.

Il tema della sospensione è strettamente connesso con quello dell’efficacia della sentenza che definisce le opposizioni di merito: se si ritiene, infatti, che l’esecuzione debba (quantomeno) arrestarsi (se non addirittura essere caducata) dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado che accoglie l’opposizione all’esecuzione, l’importanza del raccordo garantito dal provvedimento sospensivo sarà – pur sempre importante – più limitata; se si ritiene invece (e si tratta forse dell’opinione maggioritaria3) che l’effetto nell’esecuzione in corso dipenderà dal passaggio in giudicato della sentenza, è evidente il rischio che quel giudicato possa formarsi dopo la definizione dell’esecuzione (che è processo di unico grado). Quindi la sospensione costituisce l’unica garanzia, per l’opponente, che gli esiti dell’opposizione prevarranno sull’esecuzione: garanzia tanto più valida ove si ritenga l’esecuzione caducata soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che definisce l’opposizione. Ciò dimostra perché, di norma, alla proposizione di qualsiasi opposizione esecutiva si accompagni un’istanza di sospensione; il legislatore, del resto, nel disciplinare la sospensione all’interno della struttura bifasica delle opposizioni esecutive ha dato per scontato che il g.e., nella fase sommaria, debba sempre pronunciarsi sull’istanza di sospensione.

2.- L’art. 623 c.p.c. distingue tre tipi di sospensione:

a) La sospensione disposta dalla legge ricorre quando il legislatore, prescindendo da apprezzamenti di tipo discrezionale del giudice (tanto della cognizione, quanto dell’esecuzione forzata), impone che il processo esecutivo debba arrestarsi sino alla definizione d’un giudizio di cognizione incidentale, avente carattere pregiudiziale rispetto all’esecuzione in corso4. Il fenomeno nasce sempre all’interno dell’esecuzione (può dunque qualificarsi di sospensione

“interna”) e, allo stato, ricorre nel solo caso dell’art. 601 c.p.c. (divisione giudiziale nell’espropriazione dei beni indivisi).

b) La sospensione da parte del giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo rappresenta per molti versi la figura storicamente più controversa. Ricorre allorché la misura sia disposta dal giudice della cognizione; secondo la costante giurisprudenza di legittimità5 «giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo» ex art. 623 c.p.c. è soltanto quello che conosce dell’impugnazione della sentenza avente efficacia esecutiva, non anche il giudice dinanzi al quale si discuta comunque della validità e dell’efficacia del titolo esecutivo. Quella in discorso è dunque prerogativa esclusiva del giudice dell’impugnazione; la norma dell’art. 623 c.p.c. è meramente ricognitiva delle varie fattispecie di inibitoria previste nel Libro II del codice (in corrispondenza con le varie impugnazioni) ovvero nel Libro IV (in tema di opposizione a decreto ingiuntivo). Si tratta certamente di un’interpretazione riduttiva, per quanto consolidata; la norma parla di impugnazione del titolo esecutivo e non della sentenza, ma ciò non ha impedito l’affermarsi dell’opinione restrittiva a base della riforma dell’art. 615, comma 1, c.p.c. realizzata nel 2005.

c) La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione6 è collegata alla proposizione delle opposizioni «di merito»

(l’art. 624, comma 1, richiama gli artt. 615 e 619) nel cui contesto, dopo la riforma del 2005, va aggiunta anche la controversia distributiva (art. 512 c.p.c.) ove prima il fenomeno era diversamente regolato. Caratteristica di tale figura di sospensione è che il g.e. deve valutare l’esistenza di «gravi motivi» (eccetto il caso dell’art. 512 che non disciplina i presupposti, che tuttavia saranno ricavati per analogia dallo stesso art. 624). Si tratta di un provvedimento discrezionale, a testimonianza del fatto che la proposizione dell’opposizione, in sé, non spiega alcun effetto sull’esecuzione in corso; è ipotesi fisiologica la mancata sospensione, che non pregiudica validità, efficacia e stabilità degli atti «ingiustamente»

2 Sent. 28 novembre 2012, n. 21110, in Corriere giur., 2013, 391 ss., con nostra nota Espropriazione forzata senza titolo esecutivo (e relativi conflitti), in Foro it., 2013, I, 1224 ss., con nota di D.LONGO, Carenza del titolo esecutivo, vendita forzata e salvezza dell’acquisto del terzo, in Riv.

dir. proc., 2013, 1551 ss., con nota di S.VINCRE, La stabilità della vendita forzata: un «dogma» riaffermato.

3 V., per riferimenti, il nostro Vicende del titolo esecutivo nell’esecuzione forzata, in Corr. giur., 2012, 1512 ss.; Manuale di diritto dell’esecuzione civile, 2 ed., Torino, 2012, 119 ss., 441 ss.

4 Cfr. G.QUARANTA, Note sulle cognizioni incidentali nell’esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2014, 270 ss.

5 V., ad esempio, Cass., Sez. III, 16 gennaio 2006, n. 709.

6 P.VITTORIA, La sospensione esterna del processo esecutivo. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2007, 401 ss.; dello stesso A. v. anche L’inibitoria del titolo esecutivo e la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., ivi, 2010, 381 ss.;D.LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, in L’esecuzione forzata riformata, a cura di G. Miccolis e C. Perago, Torino, 2009, 643 ss.; S.RECCHIONI, I nuovi artt. 616 e 624 c.p.c., fra strumentalità cautelare “attenuata” ed estinzione del “pignoramento”, in Riv. dir. proc., 2006, 643 ss.; A.SALETTI, I controlli sui provvedimenti in materia di sospensione dell’esecuzione forzata, in Il processo esecutivo. Studi in onore di R. Vaccarella, Torino, 2014, 843 ss.; G.OLIVIERI, La sospensione del titolo esecutivo e la sospensione esterna e interna della procedura esecutiva, in Il processo esecutivo. Studi in onore di R. Vaccarella, cit., 781 ss.

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compiuti (cfr., ancora, l’art. 620 c.p.c.). I gravi motivi che giustificano la sospensione, con cauzione o senza, sono frutto di una delibazione sommaria circa la fondatezza delle opposizioni (fumus boni juris), tale da far ritenere prevedibile il loro accoglimento7; non è estranea al contesto una valutazione comparativa degli interessi del creditore a essere immediatamente soddisfatto, da un lato, e del debitore a non subire «ingiustamente» gli atti dell’esecuzione, dall’altro lato; non è mancato chi ha sottolineato il carattere intrinsecamente cautelare del provvedimento di sospensione in collegamento col principio secondo cui la durata del processo di cognizione, in cui consiste l’opposizione di merito, non deve andare a detrimento dell’attore (qui, dell’opponente) che ha ragione.

Soprattutto alla luce dell’incontrovertibilità degli effetti della vendita o dell’assegnazione forzata (artt. 2927, 2929 c.c.; 187 bis disp. att. c.p.c. nell’interpretazione ampia che prevale in giurisprudenza), il g.e. dovrà considerare con la massima attenzione i «gravi motivi» che giustificano la sospensione dell’esecuzione. Quella dell’esecuzione è spesso una strada senza ritorno.

La riforma del 2005 ha formalmente riconosciuto il potere di sospendere l’esecuzione anche al giudice nell’opposizione agli atti esecutivi, avallando l’orientamento giurisprudenziale che ammetteva, tra i provvedimenti indilazionabili adottabili dal g.e. ex art. 618 c.p.c., anche quello sospensivo. La stessa riforma ha introdotto un limitato potere sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.), cui sarà dedicata ampia parte della trattazione che segue.

3.- Il processo esecutivo può dunque arrestarsi sia in conseguenza di provvedimenti inibitori, pronunciati dal giudice dell’impugnazione (c.d. sospensione esterna) o da quello dell’opposizione a precetto (altra forma di sospensione esterna), sia in conseguenza di provvedimenti sospensivi veri e propri, pronunciati dal giudice dell’impugnazione (anch’essa da qualificarsi esterna) o dallo stesso giudice dell’esecuzione (c.d. sospensione interna).

Essendo l’esecuzione retta da un titolo (non necessariamente quello del procedente8), eventuali contestazioni avverso l’esecuzione minacciata o in atto – deduzione di fatti impeditivi, modificativi e estintivi: quegli stessi che nel processo dichiarativo formano materia di eccezione in senso stretto – debbono assumere la veste di opposizioni (artt.

615, 619, 512 c.p.c.). Le opposizioni di merito sono quindi eccezioni con veste di azione9, e tale configurazione è resa indispensabile dalla circostanza che il processo è retto dal titolo: finché questo rimane integro, l’esecuzione può procedere indisturbata.

L’esito del vittorioso esperimento delle opposizioni di merito è, rispettivamente, l’accertamento dell’inesistenza del diritto della parte istante di procedere all’esecuzione forzata (opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.) e l’accertamento della proprietà o di altro diritto reale in capo al terzo opponente sui beni oggetto dell’esecuzione (opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c.). Discorso a parte va svolto per l’opposizione distributiva (art. 512 c.p.c.) anche alla luce delle recenti riforme che ne hanno sensibilmente modificato la struttura (ma non anche il ruolo e la funzione10), come pure per l’opposizione agli atti esecutivi.

Ancorché tradizionalmente accomunate nell’espressione opposizioni di merito, l’opposizione del debitore e quella del terzo rappresentano fenomeni affatto diversi: per la tutela finale così come per quella interinale accordata dalla sospensione.

La prima opposizione riguarda infatti l’an dell’esecuzione, e tende a far caducare (con pronuncia dichiarativa) il titolo esecutivo: il soggetto passivo dell’esecuzione deduce l’ingiustizia non soltanto di quella in atto, ma di qualsiasi esecuzione (in quanto) fondata sul titolo attaccato. L’esecuzione minacciata (615, comma 1, c.p.c., opposizione a precetto) o in atto (615, comma 2, c.p.c., opposizione all’esecuzione) è quindi ingiusta per illegittimità del titolo su cui è fondata (discorso diverso va fatto per l’impignorabilità, che riguarda il quomodo dell’esecuzione).

Anche la seconda opposizione di merito (di terzo all’esecuzione: art. 619 c.p.c.) riguarda in realtà il quomodo

7 Sottolinea opportunamente C.PETRILLO, Commento all’art. 624 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. Briguglio e B. Capponi, III, Processo di esecuzione, Padova, 2007, 612 ss., che la valutazione discrezionale del giudice dell’esecuzione è soprattutto indirizzata verso il fumus, in quanto il periculum è dato dalla stessa pendenza del processo esecutivo (fatto in sé legittimo sin tanto che sussista il titolo esecutivo quale fondamento di legittimità dell’esecuzione). Cfr. anche G.OLIVIERI, op.loc. cit.

8 Cass., Sez. Un., 7 gennaio 2014, n. 61, in Riv. dir. proc., 2014, 481 ss., con nostra nota Le Sezioni Unite e l’”oggettivizzazione” degli atti dell’esecuzione forzata.

9 R.VACCARELLA, Esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2007, 1 ss.

10 Da ultimo, A.NASCOSI, Contributo allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli, 2013.

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dell’esecuzione e, senza poter incidere sull’efficacia del titolo, tende (soltanto) a sottrarre all’esecuzione il suo oggetto.

Il terzo, che non riveste il ruolo di soggetto passivo del processo esecutivo, non contesta l’illegittimità del titolo ma l’ingiustizia dell’esecuzione per aver colpito i suoi beni: se fossero stati colpiti beni del debitore, il terzo non avrebbe alcuna legittimazione a contrastarla così come non potrebbe contrastare quella parte di esecuzione che abbia eventualmente per oggetto beni del debitore.

L’opposizione del terzo presuppone il compimento del pignoramento, che è quanto dire l’insorgere del suo pregiudizio. Anche l’opposizione per impignorabilità (art. 615, comma 2, c.p.c.) non può che presupporre il compimento del pignoramento, e non riguarderà il titolo esecutivo. Accolta l’opposizione di terzo, l’efficacia esecutiva del titolo resta integra non potendo essere contestata dal terzo del tutto sfornito, in quanto tale, di autonoma legittimazione al riguardo.

4.- In relazione alla diversa finalità e al diverso oggetto delle opposizioni, diversa è anche la funzione della sospensione e, a maggior ragione, della inibitoria.

Nell’opposizione di merito pre-esecutiva o a precetto, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo inibisce l’avvio di qualsiasi processo di esecuzione, perché oggetto del provvedimento è direttamente il titolo esecutivo (quale condizione di legittimazione all’esecuzione forzata). Vi è qui piena coincidenza tra oggetto del provvedimento inibitorio e oggetto della contestazione di merito introdotta dall’opposizione: impedendo che vengano compiuti atti di esecuzione, il provvedimento inibitorio “anticipa” gli effetti dell’accoglimento dell’opposizione; quindi, sebbene il provvedimento sospensivo sia adottato in relazione a una specifica esecuzione minacciata col precetto, esso avrà una portata generale incidendo direttamente sul titolo esecutivo; non può parlarsi dunque di una sospensione del precetto, come talora la giurisprudenza fa11, trattandosi di istituto inesistente.

Nell’opposizione all’esecuzione (taluno parla di opposizione al pignoramento, ma tale espressione sembra più congeniale all’opposizione di terzo), la sospensione lascia in vita gli atti già compiuti e soltanto inibisce la prosecuzione del processo esecutivo. Essa ha dunque un oggetto – la singola esecuzione forzata – più limitato rispetto all’opposizione a precetto: qui la sospensione è soltanto strumentale al rapporto tra cognizione e esecuzione, non “anticipa” la tutela ma soltanto “conserva” lo stato esistente in attesa della definizione, nel merito, dell’opposizione volta alla caducazione del titolo. Va precisato – aspetto molto importate – che ogni sospensione impedisce al processo esecutivo di proseguire, ma non caduca gli atti già compiuti12.

Nell’opposizione di terzo all’esecuzione, la sospensione impedisce che il bene pignorato venga venduto a terzi prima che ne sia accertata, in una sede di ordinaria cognizione, l’effettiva proprietà. Anche qui, la sospensione non ha a oggetto il titolo, lascia in vita gli atti già compiuti e soltanto inibisce la prosecuzione del processo esecutivo. Si tratta d’una misura strumentale e provvisoria che tuttavia, a differenza di quanto avviene nell’opposizione all’esecuzione, coincide con l’oggetto della contestazione di merito: lasciando in vita gli atti anteriori, anch’essa non “anticipa” gli effetti della decisione di merito, ma soltanto “conserva” lo stato esistente in attesa della definizione nel merito dell’opposizione.

Può quindi affermarsi che la funzione della sospensione cambia in ognuna delle tre opposizioni “di merito”.

Discorso a parte va fatto per l’opposizione agli atti esecutivi (v. infra, n. 5).

Altro discorso a parte va riferito all’opposizione distributiva (art. 512 c.p.c.), mediante la quale non si contesta la legittimità dell’esecuzione in sé (note le discussioni mai sopite in ordine ai rapporti con l’opposizione all’esecuzione13), ma le concrete modalità di ripartizione della somma ricavata. L’accoglimento dell’opposizione distributiva non può mai comportare la declaratoria di illegittimità degli atti esecutivi compiuti, e in particolare della vendita forzata.

11 Trib. Vicenza, 5 aprile 2010, in Riv. esec. forz., 2010, 715 ss., con note critiche di G.L.BARRECA,B.CAPPONI,C.CONSOLO,C.PETRILLO,P.

PUCCIARIELLO E B.SASSANI, raccolte sotto il comune titolo Opposizione a precetto e sospensione.

12 V. ancora le esatte considerazioni di C.PETRILLO, Commento all’art. 624 c.p.c., cit., in ordine al carattere ordinatorio e meramente conservativo dell’ordinanza sospensiva, che ha struttura ma non anche natura cautelare (mentre l’orientamento dominante, che talora si affaccia anche in giurisprudenza, è propenso a riconoscere al provvedimento natura cautelare tout court). V. anche G.L.BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2006, 653 ss.

13 Cfr. A.NASCOSI, op. cit.

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5.- Le opposizioni c.d. di merito (artt. 615, 619, 512 c.p.c.) sono, tradizionalmente, eventi esterni al processo esecutivo, con quest’ultimo raccordabili soltanto mediante lo strumento della sospensione.

Al giudice dell’esecuzione è assegnato il compito di riconoscerne la “pregiudizialità” (non certo in senso tecnico) rispetto all’esecuzione, sorretta dal titolo e quindi in condizione di procedere per impulso proprio.

In rapporto alla controversia distributiva, nel sistema originario del codice il giudice dell’esecuzione avrebbe soltanto dovuto decidere se la distribuzione dovesse essere sospesa in tutto o in parte: ma la sospensione, in sé, era conseguenza necessaria dell’opposizione (c.d. sospensione ex lege). Con risultati che potevano apparire iniqui, o sbilanciati: proposta tempestivamente l’opposizione di terzo, ove il giudice non avesse sospeso l’esecuzione il bene mobile sarebbe stato venduto e il terzo vittorioso avrebbe potuto rivalersi soltanto sul prezzo; invece, l’assegnazione delle somme in sede di distribuzione non poteva avvenire pendente una controversia sul credito o sulla causa di prelazione. La giustificazione del diverso trattamento è nel coinvolgimento del terzo, che non ha dirette responsabilità nel compimento degli atti della procedura. Con le riforme del 2005-2006 l’opposizione distributiva, inizialmente concepita come opposizione di merito rimessa a una cognizione ordinaria separata, è stata trasformata in incidente interno al processo che il giudice dell’esecuzione, in quanto tale e non quale giudice della cognizione, risolve con un’ordinanza impugnabile come ogni altro atto esecutivo a mezzo dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. In tal modo, l’opposizione

“formale” ha ufficialmente mutato la sua natura (di fatto già molto diversa, del resto, da quella immaginata dal legislatore del 1942), essendo stata riconosciuta idonea per accertamenti di merito.

Quindi, almeno nella prima fase dinanzi al g.e., la controversia distributiva è divenuta un incidente interno, riassorbito nell’esecuzione.

L’opposizione agli atti era anch’essa, sempre nel sistema originario del codice, strumento interno all’esecuzione, sorta di “reclamo” ortoprocessuale avverso singoli atti finalizzato a declaratorie di nullità con conseguente rinnovazione degli atti riconosciuti nulli: da un lato, non era espressamente previsto che il giudice dell’esecuzione potesse sospendere l’esecuzione; dall’altro lato, il giudice dell’esecuzione non poteva procedere alla vendita se prima non fossero state definite le opposizioni formali pendenti (artt. 530, 569 c.p.c.; tra l’altro, a proposito del primo di tali articoli si registra un evidente errore di formulazione, perché si parla di opposizioni “decise” dal giudice dell’esecuzione, laddove questi potrà decidere, in quelle vesti, il solo incidente della sospensione) e pertanto lo svolgimento dell’opposizione condizionava quello (di una fase) dell’esecuzione del tutto prescindendo dall’avvenuta pronuncia d’un provvedimento di sospensione. Se si accetta tale espressione, l’opposizione agli atti condizionava dall’interno lo svolgimento del processo esecutivo, al punto da non far avvertire il bisogno di una sospensione “esterna”.

Ora, per l’opposizione agli atti il discorso è cambiato, sebbene non siano stati eseguiti gli opportuni raccordi con gli artt. 530 e 569 c.p.c.

Per le opposizioni di merito, la concezione tradizionale assegna al provvedimento di sospensione il ruolo di atto esecutivo con finalità provvisorie e conservative: il processo si arresta con salvezza degli atti già compiuti, in attesa che si definisca l’incidente nella separata sede di cognizione. Lo stesso schema può richiamarsi, ora, a proposito dell’opposizione che risolve gli incidenti cognitivi della distribuzione forzata, sebbene lo strumento della sospensione sia stato riconosciuto quale accessorio di qualsiasi contestazione introdotta dall’opposizione c.d. formale (e non della sola contestazione di merito eccezionalmente conoscibile in quelle forme).

6.- Alla luce di quanto sopra esposto, occorre distinguere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo dalla sospensione dell’esecuzione.

La prima incide sul titolo esecutivo che viene privato di esecutorietà (inibitoria) in modo da non poter più sorreggere non solo l’esecuzione eventualmente in atto o soltanto minacciata (difetto sopravvenuto del titolo), ma alcuna eventuale futura esecuzione (sempre in teoria ammissibile: cfr. l’art. 483 c.p.c.).

La seconda incide sul singolo processo esecutivo lasciando inalterata l’efficacia esecutiva del titolo. Ciò sia nel caso in cui il provvedimento abbia oggetto più limitato rispetto alla contestazione (art. 615, comma 2, c.p.c.), sia nel caso in cui coincida con l’oggetto della contestazione (art. 619 c.p.c.).

Il giudice dell’esecuzione non può mai sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, ma soltanto l’esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.); il giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo (art. 283, comma 1, c.p.c.), che è il giudice dell’impu- gnazione (o dell’opposizione a decreto ingiuntivo), può sospendere sia l’efficacia esecutiva del titolo, sia l’esecuzione. Si ritiene comunemente che la distinzione si fondi su un dato meramente cronologico, a seconda del tempo in cui interviene il

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provvedimento sospensivo. In realtà il discorso è più complesso.

L’art. 283 c.p.c. è stato riformato nel 1990 (legge n. 353), allorché si è riconosciuta efficacia esecutiva generalizzata alla sentenza di primo grado (art. 282 c.p.c.). Prima della riforma, la norma parlava di “revoca” dell’esecuzione provvisoria (clausola discrezionale apposta dal giudice di primo grado in presenza di rigorose condizioni) e di

“sospensione” dell’esecuzione. In relazione a problemi applicativi di tale vecchio testo, nel 1990 si è creduto opportuno distinguere tra sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e dell’esecuzione, onde riconoscere al giudice dell’impugnazione un generale potere di inibitoria (e non soltanto un potere sospensivo dell’esecuzione già intrapresa).

Della “revoca” non si è più parlato (neppure a proposito dell’art. 649 c.p.c.): nessun giudice di fasi interinali e provvisorie può revocare ex tunc l’efficacia di un titolo sospeso con la conseguenza di travolgere gli atti esecutivi nel frattempo compiuti (la materia è regolata dall’art. 336, comma 2, c.p.c., e presuppone quindi una decisione di merito).

È certamente semplicistico affermare che il provvedimento di inibitoria incide sul titolo o sul processo a seconda del tempo in cui esso interviene (sebbene l’art. 283 c.p.c. utilizzi inopportunamente la disgiuntiva “o”). Infatti, un’inibitoria dell’efficacia esecutiva è utile anche qualora l’esecuzione sia già iniziata, perché impedisce l’avvio di altro eventuale processo esecutivo, di identica o di diversa natura, sulla scorta del medesimo titolo: il giudice dell’impugnazione deve quindi porsi non soltanto il problema di arrestare l’esecuzione in corso (sospensione dell’esecuzione) ma anche di impedire che il titolo possa essere posto a base di altre distinte e successive esecuzioni (sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo). È quindi corretto ritenere che, a esecuzione iniziata, il provvedimento di inibitoria dovrà presentare due autonomi capi: quello che sospende l’esecuzione in corso e quello che sottrae, in generale, efficacia esecutiva al titolo (inibitoria in senso proprio)14.

In questo quadro, l’art. 615, comma 1, c.p.c. ha assegnato al giudice dell’opposizione a precetto il solo potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, che è cosa ben diversa dalla sospensione dell’esecuzione: misura che l’art.

624 c.p.c. riserva al giudice dell’esecuzione (e che l’art. 623 c.p.c. riconosce in prima battuta al giudice dell’impugnazione, apparendo residuale l’analogo potere del giudice dell’esecuzione).

Quando il giudice dell’impugnazione sospende l’efficacia esecutiva o l’esecuzione, il giudice dell’esecuzione deve limitarsi a prendere atto che l’esecuzione non può proseguire e arresta il processo esecutivo richiamando l’art. 623 (non l’art. 624 c.p.c.) con provvedimento non reclamabile, ma impugnabile ex art. 617 c.p.c. in quanto atto dell’esecuzione (laddove, ad esempio, si contesti l’estensione del provvedimento di inibitoria, che può anche essere parziale o assoggettato a condizioni)15.

Qualora il giudice dell’opposizione a precetto sospenda l’efficacia esecutiva del titolo a esecuzione già iniziata, il giudice dell’esecuzione dovrà ancora applicare l’art. 623 c.p.c. (difetto sopravvenuto del titolo esecutivo) e il suo provvedimento meramente ricognitivo non sarà reclamabile (ma, semmai, impugnabile ex art. 617 c.p.c.).

7.- Il provvedimento del giudice dell’impugnazione è sempre non impugnabile laddove, secondo l’opinione prevalente (v. però infra), il provvedimento ex art. 615, comma 1, c.p.c. sarebbe reclamabile16. Ma la disciplina positiva non è affatto chiara: l’art. 624, comma 1, c.p.c. si riferisce letteralmente al solo provvedimento adottato in sede sommaria dal giudice dell’esecuzione e non anche ai provvedimenti adottati, in una sede separata, da un giudice della cognizione (non a caso il recente legislatore, per riconoscere il potere sospensivo al giudice dell’opposizione a precetto, è intervenuto sull’art. 615, non o non anche sull’art. 624 c.p.c. come pure era stato proposto17). E il giudice dell’opposizione a precetto – nonostante il possibile oggetto delle contestazioni, che potranno in tutto coincidere con quelle della successiva opposizione all’esecuzione – sembra strutturalmente più simile al giudice dell’impugnazione che non al giudice dell’esecuzione, come più simile è anche il provvedimento che egli potrà adottare (inibitoria) e che risulta invece precluso al g.e.

14 Su questi temi v. la completa indagine di G.IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria nel processo civile, I, Milano, 2008, opera poi ripubblicata, in edizione aggiornata, nel 2010.

15 Per un caso recente, in cui le nozioni sono state mal utilizzate perché il g.e. ha sospeso ex art. 624 c.p.c. alla luce di una sospensione esterna rilevante ex art. 623 c.p.c., v. App. Torino, 27 settembre 2013, in Riv. esec. forz., 2014, 586 ss., con nostra nota Ri-sospensione dell’esecuzione?

16 Soluzione non sempre recepita dalla giurisprudenza: v., ad esempio, Trib. Milano, 28 maggio 2008, in Riv. esec. forz., 2009, 347, con nota di P.

PUCCIARIELLO, La sospensione dell’esecutività del titolo e la reclamabilità del provvedimento ex art. 615, 1° co. e 624, 1° co., c.p.c.; per l’impugnabilità A.SALETTI, I controlli, cit.

17 A.SALETTI, I controlli, cit.

(7)

Si tratta di problema aperto: molti giudici, sebbene non di orientamento prevalente, continuano a non ammettere il reclamo avverso il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo adottato a norma dell’art. 615, comma 1, sulla scorta di una lettura rigorosamente letterale dell’art. 624, comma 1, che appare forse anche sistematicamente più corretta. Ammettere il reclamo contro il provvedimento inibitorio pronunciato dal giudice dell’opposizione a precetto rende ancor meno comprensibile che alcun controllo sia esperibile contro l’inibitoria (e la sospensione) pronunciata dal giudice dell’impugnazione.

Nel sistema esistono dunque gravi disarmonie18.

Tutte le norme processuali in tema di inibitoria pronunciata dal giudice dell’impugnazione escludono che l’ordinanza (espressamente qualificata) non impugnabile sia soggetta a controlli (neppure ex art. 111 Cost.) o che sia revocabile o modificabile [art. 177, comma 3, n. 2), c.p.c.] evidentemente perché il legislatore si è costantemente preoccupato di evitare l’innesto, nel processo di impugnazione, d’un autonomo sub-procedimento che abbia ad oggetto la sola efficacia esecutiva del titolo impugnato.

Il giudice dell’impugnazione può anche sospendere l’esecuzione già intrapresa, e anche in tal caso il provvedimento sarà non impugnabile essendo in particolare esclusa la garanzia del reclamo.

In base all’art. 624, comma 2, c.p.c. l’ordinanza sulla sospensione è invece reclamabile secondo il rito cautelare (art.

669 terdecies c.p.c.) ma sussistono incertezze sull’oggetto della previsione. È indubbio che essa riguardi i provvedimenti emanati in conseguenza della proposizione delle opposizioni di merito (artt. 615, comma 2; 619 c.p.c.); è dubbio – lo abbiamo appena detto – se sia reclamabile il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva ex art.

615, comma 1, c.p.c., mentre per il provvedimento adottato nella fase sommaria dell’opposizione agli atti (art. 618, comma 2, c.p.c.) il legislatore ha posto una generale clausola di compatibilità, senza distinguere i casi in cui l’oppo- sizione interessi atti nulli (ingiusti, inopportuni, illegittimi, etc.) da quelli in cui si conosca dei diritti da soddisfare nella fase di distribuzione (artt. 512, 511, comma 2, c.p.c.). Però, a ben vedere, il comma 4 dell’art. 624 richiama il solo comma 3 (il meccanismo di sospensione-estinzione), non anche il comma 2: forte argomento letterale per escludere la possibilità del reclamo19, che la cassazione ha tuttavia superato con motivazioni “sistematiche”, pur dovendo prendere atto della formulazione non perspicua delle norme implicate20.

In sintesi:

i) i provvedimenti del giudice dell’impugnazione, riferiti sia all’efficacia esecutiva del titolo (inibitoria) sia all’esecuzione in atto (sospensione), sono sempre non impugnabili;

ii) i provvedimenti sospensivi del giudice dell’esecuzione sono sempre riferiti all’esecuzione in atto e risultano reclamabili, salvo l’incompatibilità per il caso dell’opposizione agli atti, e d’altra parte sono sempre stati impugnabili in quanto atti esecutivi;

iii) il provvedimento inibitorio del giudice dell’opposizione a precetto è riferito all’efficacia esecutiva del titolo, ed è oltremodo dubbia la sua reclamabilità: l’argomento sistematico farebbe propendere per la soluzione negativa, alla luce di quanto avviene sub i), ma la maggioranza degli interpreti sottolinea l’analogia coi provvedimenti sospensivi adottati

18 V., se vuoi, il nostro Inibitorie e sospensioni nell’esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2009, 389 ss.

19 Cfr. Trib. Vibo Valentia, 4 giugno 2014 (ord.), in Riv. esec. forz., 2014, 592, con sapida nota di R.VACCARELLA, Reclamabilità dell’ordinanza ex art. 618 c.p.c.: Jonesco a Vibo Valentia, secondo cui dal comma 4 dell’art. 624 dovrebbe desumersi la reclamabilità dell’ordinanza di sospensione pronunciata nell’àmbito dell’opposizione agli atti. A noi sembra, invece, che tale comma, che richiama il terzo, sia da mettere in relazione al meccanismo di sospensione-estinzione, che il legislatore ha inteso richiamare in quanto compatibile.

20 Cfr. Cass., Sez. III, 8 maggio 2010, n. 11243, secondo la quale alla regola di reclamabilità si deve pervenire: a) ancorché l'art. 624 c.p.c., comma 2, nel testo innanzi richiamato preveda che il provvedimento sulla sospensione è reclamabile ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c. (e la previsione è stata mantenuta anche dopo la modifica della norma operata dalla L. n. 69 del 2009) con una disposizione la quale, ponendosi dopo quella del primo comma della norma, direttamente disciplina solo i casi di sospensione disposta nell'ambito di opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c., alle quali il primo comma si riferisce; b) e nonostante che l'art. 624 c.p.c., comma 4, del resto, si occupi della sospensione disposta a seguito di opposizione agli atti, ma solo per dire applicabile ad essa il citato art. 624 c.p.c., comma 3. Si potrebbe, invero, pensare, sulla base di tali dati normativi, che al provvedimento sull'istanza di sospensione emesso, in modo positivo o negativo, il legislatore delle riforme del 2006 abbia inteso negare la soggezione al reclamo ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., attesa la mancata previsione dell'applicabilità dell'art. 624 c.p.c., comma 2. Tale ipotesi potrebbe essere rimasta prospettabile anche dopo la L. n. 69 del 2009. Senonché, è proprio l'art. 624 c.p.c., comma 3, nel testo qui applicabile che smentisce tale ipotesi esegetica. In esso, infatti, si allude ad un provvedimento di sospensione non reclamata, nonché

“disposta o confermata in sede di reclamo”, e, pertanto, appare evidente che, quando l'art. 624 c.p.c., comma 4, parla di “sospensione del processo disposta ai sensi degli artt. 618 e 618 bis c.p.c.”, non può non voler alludere anche al caso nel quale la sospensione in tali procedimenti sia stata disposta in sede di reclamo dopo essere stata negata dal giudice dell'esecuzione. Il che significa che il legislatore delle riforme del 2006, pur con una qualche insipienza di tecnica legislativa, ha chiaramente supposto che il provvedimento sulla sospensione disposto in sede di opposizione agli atti sia reclamabile e ciò tanto in caso di accoglimento quanto in caso di rigetto della relativa istanza. In senso conforme, Cass. Sez. III, 17 aprile 2012, n. 6012.

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dal giudice dell’esecuzione anche per analogia di oggetto tra opposizione a precetto e opposizione all’esecuzione. Ma si tratta di argomenti deboli, e comunque non decisivi. Esclusa in tesi la reclamabilità, non esistono altri strumenti impugnatori o oppositivi disponibili e pertanto il regime risulterebbe parificato a quello dei provvedimenti sospensivi adottati dal giudice dell’impugnazione del titolo: la non impugnabilità.

8.- A fronte delle diversità strutturali, incerta risulta la natura dei provvedimenti inibitori e sospensivi.

A tal fine occorre distinguere quelli pronunciati dal giudice dell’impugnazione e dal giudice dell’opposizione a precetto, che incidono sul titolo, dai provvedimenti sospensivi dell’esecuzione già intrapresa, pronunciati dallo stesso giudice dell’impugnazione o dal giudice dell’esecuzione e che riguardano soltanto il processo esecutivo.

I provvedimenti inibitori “anticipano” gli effetti della decisione di merito sull’opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.) o sull’impugnazione (art. 283, comma 1, in relazione agli artt.351, 373, 401, 407, 431, 649, 668 c.p.c.) privando il titolo della sua efficacia esecutiva (“anticipazione” della caducazione che presuppone una pronuncia di merito: art. 336, comma 2, c.p.c.).

I provvedimenti sospensivi sono invece sempre “conservativi” perché, senza incidere sull’esecutorietà del titolo e sugli atti esecutivi anteriori, impediscono soltanto all’esecuzione di procedere in attesa della definizione nel merito dell’opposizione. Occorre distinguere tra opposizione all’esecuzione e opposizione di terzo, stante che la finalità di quest’ultima non è di incidere sul titolo, ma di sottrarre all’esecuzione il suo particolare oggetto: qui la sospensione sembra svolgere una funzione “anticipatoria”, sebbene non possa avere l’effetto di liberare il bene (la revoca degli atti esecutivi è, come detto, materia sottratta alle inibitorie come alle sospensioni).

Una diffusa opinione mira a riconoscere ai provvedimenti sospensivi e inibitori natura cautelare21. Su questa implicita premessa è stato riscritto il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. (prima nel 2006, poi nel 2009), dando spazio a discipline di incertissima lettura.

Ma anche per tale riflesso sembra impossibile svolgere un discorso unitario: altro è sospendere l’efficacia esecutiva del titolo inibendo gli atti dell’esecuzione, altro è sospendere l’esecuzione in corso lasciando in vita tutti gli atti già compiuti. Va poi riconosciuto che i tradizionali requisiti del provvedimento cautelare – fumus e periculum – non sembrano ricorrere nei provvedimenti sospensivi sempre negli stessi termini: più chiari per le inibitorie, assai più sfumati per le sospensioni.

Abbiamo detto che la giurisprudenza è consolidata nell’escludere che le inibitorie pronunciate dal giudice dell’impugnazione abbiano natura cautelare e, senza distinguere tra inibitorie e sospensioni, esclude in conseguenza che i detti provvedimenti interinali, da sempre qualificati strumentali e provvisori, possano andare soggetti a un qualsiasi controllo22; ma, a dimostrazione dell’incertezza del quadro, va rammentato che, prima della riforma dell’art. 615, comma 1, c.p.c., a decorrere dal 2000 la giurisprudenza di legittimità23, registrando una lacuna nel sistema, aveva ammesso che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo potesse essere concessa a norma dell’art. 700 c.p.c. (con riferimento all’opposizione a precetto e non anche all’opposizione agli atti pre-esecutiva): con un implicito riconoscimento del suo carattere cautelare.

Parte della giurisprudenza è invece propensa a riconoscere natura cautelare al provvedimento sospensivo pronunciato dal giudice dell’esecuzione, ma l’argomento della disponibilità del reclamo secondo il rito uniforme non

21 V., per tutti, R.ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli art. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 209 ss.;

A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, 3a ed., Padova, 2012, 1339 ss.; G. IMPAGNATIELLO, Sulla reclamabilità dei provvedimenti d’inibitoria, in Giust. proc. civ., 2007, 485 ss.

22 App. Bari, 11 settembre 2006, in Giusto proc. civ., 2007, 485, con la già richiamata nota contraria di G.IMPAGNATIELLO, App. Catania, 10 novembre 2003, n. in Giur. mer., 2004, 213 ss. Per la Cass., Sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4060, l’ordinanza con cui in sede di appello, alla prima udienza, il collegio, a norma degli art. 283 e 351 c.p.c. (nel testo successivo alla l. n. 353 del 1990) provvede in ordine alla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado non è reclamabile davanti a un giudice diverso né è ricorribile per cassazione, a norma dell’art. 111 cost., in quanto trattasi di provvedimento endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio, dovendosi peraltro estendere a questa ordinanza il disposto di cui all’ultimo comma del citato art. 351, che esclude espressamente l’impugnabilità del provvedimento collegiale di conferma, revoca o modifica del decreto con il quale il presidente abbia concesso in via d’urgenza l’inibitoria prima dell’udienza di comparizione, così come l’art. 431 c.p.c., con riferimento alle sentenze di condanna a favore del datore di lavoro, nel richiamare l’art. 283 c.p.c. stabilisce che l’ordinanza concessiva dell’inibitoria non è impugnabile.

23 Cass., Sez. I, 23 febbraio 2000, n. 2051, in Riv. esec. forz., 2000, 650, con nota di M. CATALDI, La tutela cautelare del debitore nell’opposizione a precetto ed il giusto processo civile: necessità costituzionale della sospensione, ex art. 700 c.p.c., dell’efficacia esecutiva del titolo.

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appare decisivo: i provvedimenti sulla sospensione necessaria (art. 295 c.p.c.) s’impugnano a seguito della riforma del 1990 col regolamento necessario di competenza, ma non per questo si tratta di provvedimenti sulla competenza. A volte la scelta dello strumento è determinata da ragioni di mera opportunità, e nulla dicono sulla natura dell’atto assoggettato a controllo.

9.- Il caso più controverso – si tratta, non a caso, del più recente – resta quello del provvedimento ex art. 615, comma 1, c.p.c.: o si ammette il reclamo, o difetta qualsiasi strumento di reazione (mentre per i provvedimenti del giudice dell’esecuzione sarebbe sempre disponibile il rimedio residuale dell’opposizione agli atti). Riguardo a tale provvedimento, l’insipienza del legislatore ha posto un delicato problema di regolamento di confini col provvedimento sospensivo ex art.

624 c.p.c.; tra le tante questioni discusse, segnaliamo la perdurante diversità di opinioni su delicatissimi punti: 1) di ritenere che il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo si “converta”, una volta iniziata l’esecuzione, nel potere di sospendere quest’ultima; 2) di ritenere che il giudice dell’opposizione a precetto possa dichiarare la caducazione, ex tunc, degli atti esecutivi compiuti nonostante l’introduzione dell’opposizione; 3) di ritenere che il potere del giudice dell’opposizione a precetto concorra con quello del giudice dell’esecuzione24. Rispetto a tali non facili questioni va notato:

a) il giudice dell’opposizione a precetto ha, e può continuare ad avere anche grazie alla norma dell’art. 5 c.p.c. sulla perpetuatio jurisdictionis durante l’intero arco del giudizio di opposizione, il solo potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo: è cioè titolare di un generale potere di inibitoria. Tale potere non può “convertirsi” in uno diverso (sospensione dell’esecuzione), in carenza di una espressa investitura del legislatore (arg. ex art. 283 c.p.c.), anche perché l’utilità del provvedimento di inibitoria permane immutata anche nel caso di inizio medio tempore dell’esecuzione, servendo a scongiurare l’ulteriore esercizio dell’azione esecutiva in base al medesimo titolo (art. 483 c.p.c.) e potendo configurare una fattispecie di difetto sopravvenuto del titolo esecutivo con immediate ricadute sull’esecuzione in corso;

b) in assenza d’un qualsiasi espresso riferimento normativo, è arduo ritenere che il giudice dell’opposizione a precetto, la cui pronuncia intervenga a esecuzione già iniziata, possa, nel sospendere l’efficacia esecutiva del titolo opposto, dichiarare con effetto ex tunc la decadenza degli atti esecutivi (dal pignoramento in poi) posti in essere dopo l’introduzione dell’opposizione: tale potere infatti non compete né al giudice dell’impugnazione del titolo né al giudice dell’esecuzione, potendo derivare solo da successive pronunce di merito;

c) la disciplina positiva pone in concorso il potere del giudice dell’impugnazione del titolo con quello del giudice dell’esecuzione: è un concorso soltanto apparente, conoscendo i detti giudici di questioni diverse (in particolare, per i titoli giudiziali, il giudice dell’esecuzione potrà apprezzare soltanto fatti successivi alla formazione del titolo); non c’è invece concorso tra giudice dell’opposizione a precetto e giudice dell’esecuzione, perché l’uno ha un potere inibitorio che incide sul titolo, l’altro un potere sospensivo che incide sul processo esecutivo. È peraltro ragionevole ritenere che il potere inibitorio, come avviene nel caso del provvedimento reso dal giudice dell’impugnazione del titolo, è destinato a riflettersi sull’esecuzione per il meccanismo dell’art. 623 c.p.c. dovendo il giudice dell’esecuzione limitarsi a prendere atto che un diverso giudice della cognizione ha privato dall’esterno di esecutorietà il titolo, e che pertanto l’esecuzione non può continuare per difetto sopravvenuto del titolo che la sorregge (salvo che essa sia proseguita da altri creditori intervenuti, muniti di titolo e così autonomamente legittimati al compimento di atti dell’esecuzione).

10.- Quest’ultimo rilievo ci porta ad affrontare un’altra questione generale: la sorte del provvedimento sospensivo – e qui si tratta soprattutto della sospensione disposta dal g.e. a norma dell’art. 624, comma 1 – qualora siano presenti nel processo altri creditori muniti di titolo. In tal caso, sempre in applicazione della fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 61/201425, il provvedimento sospensivo, riferito alla posizione del creditore procedente, avrà effetti del tutto diversi dall’ordinario; esso infatti determinerà l’esclusione del creditore attaccato dal processo, che potrà continuare dietro l’impulso di taluno dei concorrenti muniti di titolo. Non vi sarà quindi sospensione dell’esecuzione (sebbene in astratto ricorrano proprio quei presupposti), ma il venir meno del titolo del procedente si tradurrà nell’impossibilità, per quel creditore, di (continuare a) essere presente nel processo. Ne deriva che, ove il debitore voglia davvero ottenere l’arresto delle attività esecutive in suo danno, dovrà attaccare le posizioni di tutti i creditori muniti di titolo legittimati a proseguire gli atti dell’esecuzione, dimostrando in rapporto a ciascuno di essi le condizioni (“gravi motivi”) per ottenere

24 Questioni poste sul tappeto da R.ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), cit.

25 Retro, nota n. 8.

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la sospensione.

11.- Nell’esecuzione forzata la formulazione della domanda ha luogo in una fase pre-processuale, consentendo all’intimato una reazione immediata ancor prima dell’inizio in senso tecnico dell’esecuzione, e così ancor prima che il debitore precettato possa assumere la veste formale di «esecutato»; tuttavia, prima della riforma che ha inciso sul comma 1 dell’art. 615 c.p.c., la possibilità di contestare nel merito, con l’opposizione a precetto, il legittimo esercizio dell’azione esecutiva non si accompagnava alla possibilità (che della prima avrebbe dovuto costituire pendant) di ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo.

Tale realtà, che molta dottrina già giudicava insoddisfacente in base ai parametri ex artt. 3 e 24 Cost., riusciva ancor meno accettabile alla luce dei princìpi sul «giusto processo» (art. 111, comma 2, Cost.), e in particolare sulla fondamentale funzione del contraddittorio preventivo all’esecuzione: non si giustificava una disciplina formalmente volta a provocare nell’intimato una reazione immediata, se a tale reazione non poteva poi corrispondere la possibilità di ottenere un provvedimento sospensivo (o, più correttamente, inibitorio) volto a evitare l’assoggettamento del suo patrimonio a un vincolo di destinazione (il pignoramento). Specie allorché i relativi presupposti apparissero, già in esito a valutazione sommaria, manifestamente illegittimi o «ingiusti».

Si comprende così l’orientamento giurisprudenziale, sopra ricordato, che – pur senza riferimenti espliciti ai princìpi del «giusto processo» – a partire dal 2000 aveva ammesso la pronuncia sulla sospensione (o inibitoria) ex art. 700 c.p.c.

coordinata ad una proposta opposizione a precetto, «in difetto di strumenti processuali tipici» volti ad ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo 26. In tal modo la giurisprudenza andava esercitando funzioni di supplenza; sarebbe infatti stato compito del legislatore, preso atto del vero e proprio vuoto di tutela in danno (di colui che avrebbe assunto le vesti) del soggetto passivo dell’esecuzione, quello di operare l’opportuna correzione della disciplina processuale, integrando il riferimento alla «sospensione del processo» con quello alla «sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo» 27.

A tanto ha provveduto la legge n. 80/2005, scegliendo di intervenire sul comma 1 dell’art. 615 c.p.c. (e non, ad esempio, sull’art. 624 c.p.c.), nel senso che il giudice dell’opposizione a precetto può sospendere (soltanto) l’efficacia esecutiva del titolo sulla cui base si minaccia l’esecuzione 28.

Si tratta all’evidenza d’una formula limitativa, che segna un netto confine tra il potere di sospensione del giudice dell’opposizione a precetto (che è, a ogni effetto, un preventivo potere di inibitoria) e quello del giudice dell’esecuzione (che incide sull’esecuzione in corso, ma non sul titolo): specie se confrontata, tale limitativa formula, con quella dell’art. 283 c.p.c. – l’inibitoria del giudice d’appello e in generale dell’impugnazione – che parla, con riferimento alla sentenza impugnata, tanto di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, quanto di sospensione dell’esecuzione.

I primi commentatori hanno prospettato soluzioni difformi. Secondo un’opinione piuttosto diffusa, il giudice dell’opposizione a precetto non perderebbe il suo potere di provvedere a fronte dell’eseguito pignoramento: soluzione alimentata, tra l’altro, dal riferimento all’art. 5 c.p.c. 29; secondo altri, e soprattutto secondo molta giurisprudenza, l’art.

624 c.p.c. individua, in ordine alla sospensione dell’esecuzione, una competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione dal momento in cui questa è iniziata, e ciò tanto in caso di opposizione all’esecuzione quanto in caso di opposizione a precetto. Deve aggiungersi che l’art. 615, comma 1, c.p.c. non dice quale sia la sorte del pignoramento eseguito, allorché il giudice dell’opposizione a precetto provveda «tardivamente» a sospendere l’efficacia esecutiva del titolo:

problema indipendente dalla scelta, in apicibus, volta a riconoscere o no al giudice dell’opposizione a precetto (anche) il potere di sospendere l’esecuzione intrapresa, che secondo taluni sarebbe un «meno» rispetto al «più» della sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (ma, in realtà, il contenuto e l’estensione del provvedimento nulla dicono sul giudice competente per assumerlo).

26 Cass., 8 febbraio 2000, n. 1372, da aggiungere alla già citata Cass., 23 febbraio 2000, n. 2051.

27 La dottrina aveva proposto di adeguare l’art. 624 c.p.c. al testo dell’art. 283 c.p.c., introdotto dalla legge 353/1990: v., per tutti, C. CONSOLO

(F.P. LUISO-B. SASSANI), Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 268 ss.

28 V. in argomento, oltre al citato saggio di R. Oriani, A.A.ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24 febbraio 2006, n. 52), in Riv. esec. forz., 2006, 489 ss.; S.RECCHIONI, L’impedimento dell’efficacia del titolo e del processo esecutivo nell’opposizione ex art. 615, 1° co., c.p.c., in Riv. esec. forz., 2008, 367 ss.; G.TOTA, Commento all’art. 615 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A. Briguglio e B. Capponi, III, Processo di esecuzione, Padova, 2007, 542 ss.

29 R.ORIANI, op. loc. cit.

(11)

Anche noi pensiamo che altro sia sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, altro sospendere l’esecuzione:

riconoscere al giudice dell’opposizione a precetto il potere di sospendere l’esecuzione nel frattempo iniziata significa non tanto estendere temporalmente il suo potere oltre la fase pre-esecutiva in cui esso è collocato, quanto attribuirgli un potere ulteriore destinato a produrre effetti diversi: se davvero, infatti, quel potere rimanesse qual è in origine, occorrerebbe giocoforza concludere che la questione da risolvere non è quella della sospensione dell’esecuzione nel frattempo iniziata (cosa diversa dall’inibitoria richiesta), quanto quella della caducazione degli atti (in primis il pignoramento) compiuti nonostante la tempestiva contestazione del diritto di procedere a esecuzione forzata 30. Ci sembra evidente che, allorché si richiama l’art. 5 c.p.c. per perpetuare il potere del giudice dell’opposizione a precetto

31, si finisce col dare per scontato proprio il quid demonstrandum: e ciò, o mediante una lettura estensiva della formula dell’art. 615, comma 1, ovvero ritenendo che il potere del giudice dell’opposizione a precetto si «converta» o «riduca», una volta iniziata l’esecuzione, nel potere di sospendere (soltanto) quest’ultima, o ancora assegnando al provvedimento

«tardivo» un’efficacia – di cui la legge significativamente tace – volta a caducare il pignoramento eseguito (del tutto legittimamente, in base al principio tempus regit actum) tra la presentazione dell’istanza di inibitoria, che di norma sarà contestuale alla notifica dell’opposizione, e il provvedimento assunto dal giudice istruttore in limine litis. Se si muove dalla premessa che altro è il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, proprio del giudice dell’opposizione a precetto, altro il potere di sospendere l’esecuzione iniziata, proprio del giudice dell’esecuzione, non si tarda a comprendere che il dispositivo dell’art. 5 c.p.c. è completamente fuori gioco, perché la norma non può prorogare una competenza che in origine il giudice non ha, né assegnargli una competenza che per legge appartiene a un diverso giudice.

Né decisivi argomenti potranno desumersi dalle discipline speciali – legge cambiaria, legge assegni – che, in deroga al regime ordinario anteriforma, consentivano di adottare il provvedimento di sospensione già a seguito dell’opposizione a precetto (laddove nell’esecuzione ordinaria ciò era stato rigorosamente escluso sino alle recenti, richiamate pronunce di legittimità ammissive di una tutela cautelare atipica): tanto l’art. 65 legge camb., quanto l’art. 57 legge ass. muovevano infatti dal presupposto, proprio del c.p.c. del 1865, che era il precetto a dare inizio all’esecuzione forzata, e pertanto oggetto della sospensione era sempre l’esecuzione, non anche l’efficacia esecutiva del titolo 32. Sebbene occorra dare atto che i regi decreti del 1933 – il procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669 bis ss.

c.p.c. era ben di là da venire – risultano assai meglio concepiti del sistema attuale, perché il presidente del tribunale o il pretore potevano provvedere con decreto inaudita altera parte e il giudice dell’opposizione, in prosieguo, avrebbe potuto «confermare o rivocare» il provvedimento immediato, secondo la regola attualmente posta dall’art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., così consentendo, nel mutato contesto del c.p.c. del 1942, una pronuncia di sospensione-inibitoria (anche) in un momento anteriore al compimento del pignoramento. Se l’art. 615, comma 1, c.p.c., nella versione novellata, avesse previsto espressamente un dispositivo simile (decreto + ordinanza), molti problemi applicativi sarebbero verosimilmente stati risolti in radice 33; allo stato la soluzione, senz’altro da condividersi e anzi da privilegiare, può essere attinta o ritenendo applicabile il citato comma 2 dell’art. 625 34, o ragionando per analogia con le previgenti discipline speciali del 1933, o ancora ragionando sul riflesso del procedimento cautelare uniforme (ma dando in tal modo per scontato che il provvedimento di inibitoria appartenga al tipo cautelare, soluzione che non sembra affatto pacifica).

12.- Uno dei più importanti interventi additivi operati dalla legge n. 80/2005, lungamente analizzato e atteso, s’è

30 Cfr. infatti G.TOTA, op. loc. ult. cit.

31 Ancora R.ORIANI, op. loc. ult. cit.

32 Ovviamente, anche nell’esecuzione su cambiale o assegno, se la sospensione è richiesta dopo il compimento del pignoramento la competenza a provvedere è soltanto del giudice dell’esecuzione: cfr. Cass., 9 settembre 1986, n. 5495, in Foro it., Rep., 1986, voce Esecuzione in genere, n. 74.

33 G.L. BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, cit., part. 656, nota 13), ove si ammette la possibilità della pronuncia con decreto, sebbene si consideri quale ipotesi normale quella della fissazione di un’udienza ad hoc per la trattazione della sola istanza di sospensione.

34 In questo senso Trib. Venezia, ord. 19 aprile 2007, in Riv. esec. forz., 2007, 560, con note di T.SALVIONI, La sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione a precetto: limiti di ammissibilità della tutela e regime applicabile, di C. SPACCAPELO, Pignoramento presso terzi: perfezionamento della fattispecie e riflessi sul momento in cui il credito deve sussistere, e di B.CAPPONI, Sul potere di sospensione ex art. 615, 1° comma c.p.c. del giudice dell’opposizione a precetto.

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