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MICHELE FORNACIARI
Il compenso dell’avvocato nel passaggio dalle tariffe ai parametri: le prestazioni in corso al mo- mento della riforma
SOMMARIO: 1. Il tema di indagine. – 2. Gli orientamenti emersi. – 3. Il dato normativo. – 4. Gli argomenti a favore dell’applicazione dei nuovi parametri anche alle attività svolte anteriormente alla riforma: a) la continuità rispetto al passato. – 5. Segue: b) l’unitarietà dell’opera dell’avvocato e del suo compenso. – 6. Segue: c) gli inconvenienti della distinzione fra le singole attività. – 7. Preferibilità dell’applicazione all’intera prestazione delle vecchie tariffe. – 8. Il problema della costituzionalità: conferma della soluzione adottata.
1. Il tema di indagine
Il tema del compenso dell’avvocato è stato ultimamente oggetto, com’è noto, di notevoli in- novazioni.
La riforma ha preso avvio con il decreto legge liberalizzazioni del 2012 (d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, conv. con modificazioni in l. 24 marzo 2012 n. 27), il quale, all’art. 9, ha: abrogato tutte le tariffe delle professioni organizzate in ordini (e fra queste dunque quella relativa alla professione forense, di cui al d.m. 8 aprile 2004 n. 127); demandato ad un successivo decreto ministeriale, da adottare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, la determinazione dei nuovi parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi dei professionisti; sancito, quanto in particolare alla liquidazione delle spese giudiziali, che le vecchie tariffe avrebbero continuato ad applicarsi fino all’entrata in vigore del suddetto decreto ministeriale, ma comunque non oltre i sud- detti 120 giorni; dettato alcune regole in merito alla pattuizione del compenso fra cliente e profes- sionista e segnatamente alle informazioni dovute dal secondo al primo.
Il successivo d.m. 20 luglio 2012 n. 140 ha quindi dettato i predetti parametri, semplificando in misura notevole il precedente sistema tariffario (soppressione della distinzione fra diritti ed ono- rari; sostituzione del sistema a “voci” con quello a “fasi”; riduzione del numero degli scaglioni di valore) ed esplicitando che fra cliente e professionista i parametri medesimi hanno natura sussidia- ria (art. 1: “l’organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti di cui ai capi che seguono applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, le disposizioni del presente decreto”).
A fine anno, la l. 31 dicembre 2012 n. 247, contenente la nuova legge professionale forense, è poi nuovamente intervenuta sulla materia dei compensi. L’art. 13 di tale legge ha infatti: chiarito che la pattuizione fra cliente ed avvocato è libera; meglio disciplinato le relative modalità; ribadito, con riferimento ai rapporti fra cliente ed avvocato, la natura sussidiaria dei parametri rispetto all’accordo delle parti; dettato una nuova procedura per l’approvazione ed il periodico aggiorna- mento dei parametri medesimi.
Tali innovazioni, com’è intuitivo, hanno provocato una serie di interrogativi e suscitato rea- zioni di vario segno1. Un problema, in particolare, era inevitabilmente ed immediatamente destinato a porsi – ed infatti si è poi concretamente posto – e cioè quello del diritto intertemporale, vale a dire
1 In generale sulle modifiche appena riassunte e sui relativi problemi v. L.CARBONE, La nuova parcella degli avvocati e i parametri per la liquidazione, Milano 2012; ID., La “parcella” dell’avvocato: i parametri “proposti” dal Consiglio nazionale forense, in Foro it. 2012, V, 234 ss.; ID., La “parcella” dell’avvocato: i parametri ministeriali, ibidem, 254 ss.; ID., Il compenso dell’avvocato dopo la riforma forense e gli interventi correttivi al d.m. 140/12, ivi 2013, V, 98 ss.;
G.SCARSELLI, La liquidazione dei compensi forensi nel tempo della crisi, ivi 2012, V, 257 ss.; A.BULGARELLI, Para- metri forensi: il Consiglio di Stato boccia il decreto correttivo, in www.altalex.com.
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della regolamentazione dei rapporti in corso al momento della riforma. Allorché si modificano le modalità di quantificazione di una prestazione, è infatti evidente che occorre porsi il problema di come ci si debba regolare con riferimento alle attività iniziate nella vigenza del vecchio sistema e destinate ad esaurirsi nella vigenza del nuovo.
A tale proposito, le soluzioni astrattamente possibili sono tre: applicazione all’intera presta- zione della normativa in vigore all’inizio del rapporto; applicazione all’intera prestazione della normativa in vigore alla fine dello stesso; applicazione pro quota di entrambe le normative, la vec- chia per la parte di prestazione svolta fino alla modifica, la nuova per la parte successiva, salvo poi a stabilire in base a quali criteri operare la partizione, vale a dire se con riferimento alle singole atti- vità, nelle quali la prestazione nel suo complesso si articola e delle quali si compone, oppure alle più ampie tranches nelle quali essa può essere suddivisa, a tal punto dovendosi poi ulteriormente individuare i criteri di individuazione di tali tranches (gradi di giudizio; merito/legittimità; caute- la/cognizione/esecuzione; ecc.). Ciascuna di tali tre soluzioni – e delle varianti della terza – ha ov- viamente dalla sua vantaggi e svantaggi. Alla fine, una scelta va però compiuta ed il soggetto al quale primariamente tale scelta per un verso spetta, per l’altro fa carico, è indiscutibilmente il legi- slatore. Questo, che in qualunque altro paese andrebbe da sé, in Italia viceversa, al solito, non vale.
Non, si intenda, che il nostro legislatore non abbia preso in considerazione il problema (dato il risul- tato, dire che se ne è fatto carico proprio non si può); solo che l’ha fatto con due norme (l’art. 93 d.l.
1/12 e l’art. 41 d.m. 140/12) a fronte delle quali sarebbe stato ampiamente preferibile il silenzio.
2. Gli orientamenti emersi
La questione è stata dunque lasciata agli interpreti ed in particolare alla giurisprudenza, la quale, con l’unica voce discorde del Tribunale di Verona e per quanto con differenze non marginali, come subito diremo, ha senz’altro sposato, tanto a livello di Cassazione quanto a livello di giudici di merito e tanto sul versante civilistico quanto su quello amministrativo, la seconda soluzione; vale a dire quella dell’applicazione all’intera prestazione delle nuove regole.
Più in dettaglio, nella giurisprudenza della Cassazione si ritrovano tre posizioni: - quella più radicale, della quale rappresenta espressione la prima delle due sentenze qui in rassegna, secondo la quale successivamente alla riforma la quantificazione dovrebbe avvenire sempre e comunque in ba- se ai nuovi parametri, anche per le prestazioni già anteriormente esaurite2; - quella per così dire in-
2 Così Cass. 24 ottobre 2012 n. 18207, qui in rassegna, e Cass. 20 ottobre 2012 n. 18551.
Si tratta, come si dirà (§ 2), di una soluzione manifestamente inaccettabile, a fronte della quale viene in effetti da pensare di avere male inteso le sentenze in questione. Non pare però che il testo, qui di seguito riportato, delle due decisioni (identiche sul punto), lasci adito a dubbi:
“Il riferimento testuale al momento della liquidazione contenuto nell'art. 41 citato […] depone per la soluzione interpre- tativa che porta a ritenere applicabile la nuova disciplina anche ai casi in cui le attività difensive si siano svolte o siano comunque iniziate nella vigenza dell'abrogato sistema tariffario forense.
Nel nuovo sistema […] l'apprezzamento dell'attività difensiva […] non è più correlato al momento in cui l'ope- ra è prestata, ma al momento in cui questa viene valutata dal giudice.
Qualsiasi diversa soluzione interpretativa che consentisse l'applicazione del sistema tariffario alle liquidazioni successive all'entrata in vigore del d.m. in esame contrasterebbe non solo con la disposizione regolamentare di cui all'art. 41 citato, ma anche con il dettato normativo di cui al comma terzo dell'art. 9, d.l. n. 1/2012, conv. l. 24 marzo 2012 n. 27, che ha – con chiarezza – escluso l'ultrattività del sistema tariffario oltre la data di entrata in vigore del de- creto ministeriale […]”.
Ora, è vero che, quantomeno con riferimento alla liquidazione delle spese giudiziali, l’ipotesi di prestazioni esaurite prima della riforma rappresenta, come parimenti diremo (§ 2), un’evenienza decisamente marginale.
L’affermazione nondimeno rimane.
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termedia, secondo la quale, ferma restando l’applicabilità delle vecchie tariffe per le prestazioni e- saurite anteriormente alla riforma, per il resto la quantificazione dovrebbe avvenire unitariamente in base ai nuovi parametri, senza possibilità di “segmentare le […] prestazioni nei singoli atti compiuti in causa dal difensore, oppure di distinguere tra loro le diverse fasi di tali prestazioni, per applicare in modo frazionato in parte la precedente ed in parte la nuova regolazione”3; - quella più graduale ed articolata, della quale rappresenta espressione la seconda delle sentenze qui in rassegna, secondo la quale occorre bensì far riferimento al “sistema in vigore al momento dell’esaurimento della pre- stazione professionale ovvero della cessazione dall’incarico”, ma ciò “secondo una unitarietà da rapportarsi ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio, e dunque all’epoca della pronuncia che li definisce, non potendosi applicare il sistema nuovo successivamente intervenuto a prestazioni già rese nei suddetti momenti”4.
Nella giurisprudenza di merito si ritrovano a sua volte tre posizioni: - quella corrispondente alla posizione intermedia della Cassazione, della quale si è appena detto, vale a dire quella che, a parte le prestazioni esaurite ante riforma, ritiene applicabili generalizzatamente i nuovi parametri, senza prendere in considerazione la possibilità di una distinzione per gradi di giudizio5; - quella, to- talmente agli antipodi, secondo la quale determinante sarebbe non già l’esaurimento della presta- zione professionale, bensì il suo inizio, ragion per cui i nuovi parametri sarebbero applicabili solo ai giudizi e ai gradi di processo instaurati a far data dal 23 agosto 2012 (data di entrata in vigore del d.m. 140/12)6, o, secondo una prospettazione leggermente diversa e riferita non alla liquidazione delle spese giudiziali, bensì alla quantificazione del corrispettivo nel rapporto cliente-avvocato, a far data dal 24 gennaio 2013 (data di entrata in vigore del d.l. 1/12)7; - quella secondo la quale l’abrogazione retroattiva delle tariffe, inequivocamente derivante dall’art. 91, 2 e 5 d.l. 1/12, sarebbe incostituzionale per contrasto con gli artt. 3, 24 e 117 cost.8.
Quanto poi alla giurisprudenza amministrativa, essa sembrerebbe aver aderito al predetto o- rientamento più radicale della Cassazione, che ritiene applicabili sempre e comunque i nuovi para- metri, anche alle prestazioni esaurite prima della riforma9.
Quanto infine alla dottrina, al suo interno si ritrova sia l’adesione alla terza delle soluzioni adottate dalla Cassazione, vale a dire quella che, pur ritenendo determinante l’epoca dell’esaurimento della prestazione professionale, segmenta il rapporto in corrispondenza dei vari
3 Così Cass. S.U. 12 ottobre 2012 n. 17405 e Cass. S.U. 12 ottobre 2012 n. 17406, in Foro it. 2012, I, 2953, con annota- zione di L.CARBONE e in www.altalex.com, con nota di A.BULGARELLI, Parametri forensi: le Sezioni Unite si espri- mono con le sentenze di Montecatini.
4 Così Cass. 5 novembre 2012 n. 18920, qui in rassegna, già pubblicata in www.altalex.com, con nota di A.BULGAREL- LI, Parametri forensi: si fa presto a dire “tempus regit actus”, e Cass. 18 dicembre 2012 n. 23318.
5 Così T. Bologna 2 ottobre 2012, T. Termini Imerese 17 settembre 2012 e T. Siena 27 agosto 2012, tutte in Foro it.
2012, I, 2837 s., con annotazione di L.CARBONE.
6 Così T. Verona 27 settembre 2012, in Foro it. 2012, I, 2837, con osservazione cit. di L.CARBONE.
7 Così T. Verona 16 ottobre 2012, in www.altalex.com, con nota di A.BULGARELLI, Parametri forensi: profili temporali e criteri applicativi.
8 Così T. Cremona 13 settembre 2012 (ord.), in Foro it. 2012, I, 2837, con osservazione cit. di L.CARBONE, la quale ha in proposito sollevato una questione di costituzionalità.
9 Così Cons. Stato 7 novembre 2012 n. 5649 (con riferimento al compenso del commissario ad acta), la quale non opera distinzioni di sorta, Cons. Stato 31 ottobre 2012 n. 5547 (parimenti con riferimento al compenso del commissario ad acta), la quale fa riferimento ad un’istanza di liquidazione presentata anteriormente all’entrata in vigore del d.m., Cons.
Stato 31 ottobre 2012 n. 5548 (decr.), la quale parimenti fa riferimento ad un’istanza di liquidazione presentata ante- riormente all’entrata in vigore del d.m., tutte in Foro it. 2012, III, 597 s., e TAR Lombardia, sez. dist. Brescia, 10 set- tembre 2012 n. 1528 (ord.), in Guida dir. 41/2012, 22, con nota di E.SACCHETTINI, Il mutamento degli importi in corso d’opera cambia l’equilibrio contrattuale concordato.
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gradi di giudizio10, sia l’adesione alla seconda delle soluzioni adottate dalla giurisprudenza di meri- to, vale a dire quella che ritiene rilevante la data di inizio della prestazione professionale11.
Questo essendo il quadro delle interpretazioni fornite in merito al problema in esame, e con- fermato che l’orientamento pressoché unanime, sia pure in differenti varianti, è nel senso dell’applicazione dei nuovi parametri anche alle attività svolte anteriormente alla riforma, basta tale quasi unanimità a rendere l’orientamento in questione, in una delle suddette varianti, corretto? A mio avviso no. Proviamo dunque ad illustrare le ragioni di tale dissenso.
3. Il dato normativo
La materia, come detto12, è, almeno formalmente, disciplinata. Nel senso che esistono due disposizioni (i già citati artt. 93 d.l. 1/12 e 41 d.m. 140/12, il secondo oltretutto espressamente rubri- cato quale “disposizione temporale” e collocato nel capo VII, intitolato alla “disciplina transitoria ed entrata in vigore”), che prendono in considerazione il problema. E’ dunque da tali disposizioni che occorre prendere le mosse. Questo il loro testo:
- art. 93 d.l. 1/12: “Le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla da- ta di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”;
- art. 41 d.m. 140/12: “le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni suc- cessive alla sua entrata in vigore”.
Con riferimento a tali norme, si è già anticipato13 che esse non sono in alcun modo risolutive e che anzi, visti i risultati, meglio avrebbe fatto il legislatore ad astenersi dall’intervenire.
Iniziando dalla prima, essa in parte non arreca elementi utili per risolvere il problema. Dire che, con riferimento alla liquidazione delle spese giudiziali, le vecchie tariffe continuano ad appli- carsi fino a quella certa data, può infatti, con pari verosimiglianza (quanto all’aspetto puramente e neutralmente ermeneutico), significare: sia che successivamente a tale data il giudice non dovrà comunque più farne applicazione e la quantificazione dovrà dunque avvenire con i nuovi parametri, indipendentemente dall’epoca delle prestazioni; sia, viceversa, che esse forniscono i criteri da ado- perare per tutte le prestazioni effettuate entro la data in questione, indipendentemente dal momento della quantificazione; sia anche, infine, che le medesime si applicano a tutte le prestazioni (non solo effettuate, ma anche meramente) iniziate ante riforma. Essa può cioè indifferentemente essere letta come rivolta tanto all’atto della quantificazione (prima prospettiva) quanto alla prestazione/attività da quantificare (seconda e terza prospettiva). Ulteriormente, nella seconda prospettiva, essa risulta poi, con ogni evidenza, del tutto neutra in merito al fatto che la prestazione, del cui compimento en- tro od oltre la predetta data si tratta, sia, secondo le varie possibilità già sopra prospettate14, la sin- gola, specifica, attività, la prestazione unitariamente considerata, oppure ancora una tranche di quest’ultima.
Fin qui, dunque, come detto, la norma si rivela ininfluente. Diversamente, una portata sem- brerebbe invece averla laddove, con l’inciso “limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali”, lascia intendere che altrettanto non varrebbe per quanto concerne la quantificazione del corrispetti-
10 Così L.CARBONE, La nuova parcella degli avvocati, 185 ss.
11 Così A.BULGARELLI, Parametri forensi: profili temporali, cit.
12 V. il § 1.
13 V. ancora il § 1.
14 V. il § 1.
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vo nel rapporto cliente-avvocato. Solo che questa distinzione è decisamente improvvida, perché de- termina, con riferimento a tale rapporto, un vuoto normativo (fra l’abrogazione delle vecchie tariffe e l’introduzione dei nuovi parametri), che risulta doppiamente problematico: da un lato perché complica ulteriormente – ed inutilmente – le cose; dall’altro perché non ha alcun senso che, con ri- ferimento a tale, limitato, spazio temporale, ed unicamente con riferimento ad esso, la regola relati- va al rapporto cliente-avvocato sia differente rispetto a quella relativa alle spese giudiziali.
Venendo poi all’art. 41 d.m. 140/12, questo manifesta intanto un primo, evidente, difetto, di natura per così dire formale; vale a dire quello per il quale, pur essendo volto a dettare una regola di diritto sostanziale (l’individuazione del criterio sulla base del quale quantificare il valore di quella certa attività), si esprime in termini processuali, facendo cioè riferimento alla liquidazione del giu- dice. Mutatis mutandis, è in definitiva come se, anziché sancire che il proprietario ha diritto alla consegna della cosa da chi la possiede, il codice civile si fosse espresso nei termini per i quali il giudice deve ordinare a chi possiede la cosa di consegnarla al proprietario.
A parte questo, e passando al profilo contenutistico, qui, a differenza che nel caso preceden- te, la norma, presa alla lettera, una regola sembrerebbe in effetti dettarla. A stretto rigore, essa adot- ta infatti in modo assai chiaro la prima delle soluzioni poc’anzi prospettate, vale a dire quella se- condo la quale qualunque quantificazione successiva all’entrata in vigore del d.m. 140/12 dovrà fare applicazione dei nuovi parametri, indipendentemente dall’epoca della prestazione e dunque anche laddove questa si sia esaurita anteriormente alla riforma. Tale regola risulta però ancora una volta improvvida.
Per rendersene conto, occorre considerare che la norma è verosimilmente riferibile non solo alla liquidazione delle spese giudiziali, ma anche alla quantificazione del corrispettivo nel rapporto cliente-avvocato. “Liquidazione”, ai sensi della norma in discorso, è infatti termine generico, ben riferibile anche alla decisione della causa relativa a tale quantificazione (in assenza di accordo in proposito). Ciò implica allora che anche prestazioni interamente esaurite prima della riforma, possi- bilmente anche da diversi anni, dati i tempi della nostra giustizia, si troverebbero ad essere quantifi- cate in base ai nuovi parametri (questa eventualità, seppure non impossibile, risulta senz’altro mar- ginale con riferimento alla liquidazione delle spese giudiziali; in tal caso, in questione è infatti un’attività svolta all’interno dello stesso processo al quale appartiene il provvedimento che opera la quantificazione; al netto dell’ipotesi – possibile, ma appunto marginale – di esaurimento della pre- stazione dell’avvocato anteriormente alla riforma e di provvedimento scritto successivamente, è dunque evidente che, in presenza di un siffatto provvedimento, anche una parte di prestazione, per quanto piccola e minoritaria, dovrà essere stata svolta nel vigore delle nuove regole).
Tale implicazione, per quanto letteralmente lecita ed anzi apparentemente la più aderente al- la formulazione della norma – e per quanto, come detto, effettivamente adottata da alcune decisioni della Cassazione15 – è però chiaramente inaccettabile, quali che siano le categorie giuridiche (divie- to di retroattività o altro) da adoperare in proposito.
Ciò detto, e senza bisogno di dilungarci oltre, ben si capisce insomma, mi pare, il perché del giudizio negativo espresso sulle disposizioni in esame. In realtà, è del tutto evidente che tanto l’art.
93 d.l. 1/12 quanto l’art. 41 d.m. 140/12 rappresentano gli ennesimi passi falsi di un legislatore sem- pre meno affidabile. Piuttosto che accanirsi in operazioni di ortopedia interpretativa di dubbia plau- sibilità, limitiamoci dunque, più dignitosamente, a considerarli quali sviste, frutto di disattenzione e di scarsa consapevolezza delle conseguenze (quanto all’art. 93 facendo anche leva sul fatto che si tratta di una disposizione aggiunta in sede di conversione del decreto e dunque sull’ancor maggiore
15 V. la nota 2.
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approssimazione che la fretta e l’affanno di tale passaggio spesso reca con sé), e proviamo a cercare la soluzione semplicemente prescindendone16.
4. Gli argomenti a favore dell’applicazione dei nuovi parametri anche alle attività svolte anterior- mente alla riforma: a) la continuità rispetto al passato
Al di là dell’art. 41 d.m. 140/12 e dell’art. 93 d.l. 1/12, gli argomenti addotti a sostegno dell’applicabilità dei nuovi parametri anche alle attività svolte anteriormente alla riforma sono in sostanza tre: a) la continuità con l’orientamento costantemente seguito in passato – con riferimento agli onorari – nel passaggio da una tariffa professionale all’altra17; b) l’unitarietà dell’opera profes- sionale dell’avvocato e del relativo compenso; c) gli inconvenienti cui si andrebbe incontro nella prospettiva di distinguere fra le varie attività, individualmente ed isolatamente considerate.
Quanto al primo di tali argomenti, il discorso è estremamente rapido. Quello in questione, infatti, molto semplicemente non è un argomento. Il fatto che anche in passato, nel passaggio da una tariffa all’altra, il calcolo degli onorari sia sempre avvenuto, per l’intera prestazione, sulla base dei nuovi valori di per sé non dice nulla, infatti, circa l’effettiva correttezza di tale operazione, che in definitiva potrebbe anche essere sempre stata sbagliata.
Anche a prescindere da questo – che pure è decisivo – non va poi trascurato che, anche in passato, altrettanto non valeva per i diritti, per i quali si affermava, all’opposto, che per essi doveva aversi riguardo alla tariffa in vigore all’epoca dell’espletamento della singole attività. Occorrerebbe dunque stabilire se sia effettivamente corretto assimilare gli odierni compensi agli onorari anziché ai diritti, ma questa è un’operazione che sa tanto di coperta corta. Avendo i compensi assommato in sé tanto i primi quanto i secondi, non v’è infatti alcun modo attendibile per individuare se ed in qua- le misura, all’interno della nuova categoria, una di tali due componenti possa essere ritenuta preva- lente rispetto all’altra.
In realtà, l’unica ottica, nella quale l’invocazione del precedente può avere un senso, è quel- la, latamente compensatoria e riequilibratoria, per la quale, avendo in passato gli avvocati beneficia- to, a danno dei clienti, dell’innalzamento delle tariffe, ben possono questa volta accettare, a benefi- cio dei clienti medesimi, la riduzione delle parcelle derivante dai nuovi compensi. Il che dal punto di vista strettamente economico magari è anche giusto, ma di certo non è un argomento giuridica- mente spendibile.
5. Segue: b) l’unitarietà dell’opera dell’avvocato e del suo compenso
Passando dunque al secondo argomento, vale a dire l’unitarietà dell’opera dell’avvocato e del suo compenso, anche qui non c’è, in verità, molto da dire. Qualunque prestazione, finalizzata ad un determinato risultato finale, è infatti, se così vogliamo dirla, unitaria. Ma questo cosa dimostra?
Per aiutarci a capire, proviamo a ragionare su una fattispecie differente. Prendiamo ad esem- pio il caso dell’appaltatore che si obbliga a costruirci la casa. Anche tale obbligazione, credo di po-
16 Sull’art. 93 d.l. 1/12 ritorneremo comunque nel § 7.
17 Su tale orientamento, anche con riferimento alla diversa regola, della quale si dirà fra breve, applicata con riferimento ai diritti, v. ad esempio, con varie sfumature, Cass. 12 maggio 2010 n. 11482; Cass. 19 dicembre 2008 n. 29880; Cass. 3 agosto 2007 n. 17059; Cas. 11 marzo 2005 n. 5426; Cass. 15 giugno 2001 n. 8160; Cass. 20 novembre 1998 n. 11736;
Cass. 16 luglio 1997 n. 6482; Cass. 8 febbraio 1996 n. 1010; Cass. 20 dicembre 1995 n. 3015; Cass. 22 novembre 1988 n. 6275.
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ter affermare, è indubbiamente unitaria. Ed anzi, probabilmente lo è ancora di più di quella dell’avvocato, dato che, a differenza di questa, si tratta di un’obbligazione di risultato e non di mez- zi. Bene, immaginiamo ora che, non essendo stato pattuito il corrispettivo dell’opera, questo debba essere determinato sulla base del prezzo di mercato; ed ulteriormente immaginiamo che, nel corso dei lavori, tale prezzo, a causa ad esempio di un aumento dei costi delle materie prime, aumenti a sua volta. Io credo che chiunque di noi, il quale si vedesse presentare un conto finale interamente calcolato sulla base dei nuovi prezzi, riterrebbe istintivamente di essere vittima di un torto. Così come, nell’ipotesi opposta (prezzo di mercato diminuito), difficilmente l’appaltatore riterrebbe cor- retta la pretesa del cliente di applicare all’intera opera i minori prezzi attuali.
Ecco, a me pare che per quanto concerne il compenso dell’avvocato le cose stiano nei mede- simi termini.
Né, in contrario, vale il ragionamento per il quale “l’oggetto del contratto di prestazione d’opera professionale si presenta connaturato da una sua genetica, naturale, indeterminatezza, giac- ché l’esatta prestazione non può concretamente essere individuata dalle parti al momento della con- clusione del contratto, a causa della compresenza di un numero rilevante di variabili incognite, de- stinate a svelarsi soltanto in corso d’opera, tanto più nell’ipotesi del mandato difensivo, il cui esple- tamento è correlato ad eventi oggettivamente imprevedibili e difficilmente preventivabili, quali so- no la condotta processuale della controparte o l’esito dell’attività processuale”; ragione questa per la quale “le parti, […] già all’atto della conclusione del contratto d’opera professionale, sono piena- mente consapevoli del fatto che la determinazione concreta del compenso spettante al professionista […] potrà avvenire solo al termine dell’esecuzione della prestazione professionale ed in base a pa- rametri (un tempo le tariffe, oggi gli usi o l’equità del giudice) vigenti a tale data”18.
Una cosa è infatti non sapere quali saranno, con esattezza, le attività che dovranno essere compiute e quale sarà l’impegno che esse richiederanno, un’altra – del tutto differente ed autonoma, e pertanto nient’affatto implicata nella prima – non sapere qual è il “prezzario” al quale esse ver- ranno conteggiate. Il ragionamento che precede, dunque, è sacrosanto fino a quando evidenzia l’indeterminatezza della prestazione dell’avvocato. Laddove, nella chiusa finale, si sposta sul piano dei criteri di calcolo del compenso di tale prestazione, estendendo anche ad essi l’indeterminatezza di quest’ultima, è molto semplicemente arbitrario.
Utilizzando un altro esempio e riducendo ai suoi termini essenziali il problema, pretendere che, data l’indeterminatezza della prestazione, anche i suddetti criteri siano indeterminati, è come dire che se mi rivolgo ad un operaio per l’esecuzione di un’opera, per la quale non si sa quante ore di lavoro occorreranno, anche il compenso orario deve ritenersi indeterminato: mi sembra evidente che non regge.
In sostanza, e chiudendo sul punto, è indubbio che quando il cliente va dall’avvocato non sa (salva pattuizione espressa), quanto pagherà, così come l’avvocato non sa quanto guadagnerà. Ma questo in quanto nessuno dei due sa con precisione cosa dovrà essere fatto e quale ne sarà la diffi- coltà. Non perché sia indeterminato e destinato a conoscersi solo alla fine il criterio di calcolo del compenso.
6. Segue: c) gli inconvenienti della distinzione fra le singole attività
Venendo all’ultimo argomento, vale a dire gli inconvenienti della distinzione fra le singole attività, sostiene la Cassazione che “alcuni degli elementi dei quali l’art. 4 del decreto ministeriale
18 Così T. Termini Imerese 17 settembre 2012, cit.
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impone di tener conto nella liquidazione (complessità delle questioni, pregio dell’opera, risultati conseguiti, ecc.) sarebbero difficilmente apprezzabili ove il compenso dovesse esser riferito a sin- goli atti o a singole fasi, anziché alla prestazione professionale nella sua interezza”19.
Si tratta di una considerazione che in sé è senz’altro corretta. Nondimeno, quella in questio- ne è una difficoltà che da un lato non è insuperabile, dall’altro – e soprattutto – non dimostra nulla.
Quanto al primo rilievo, ciò che si vuole dire è che, ancorché proiettata ad un risultato finale, l’attività dell’avvocato consiste pur sempre in una somma di attività distinte fra loro. Sia pure con tutte le difficoltà del caso, non sembra dunque impossibile distinguere fra quelle compiute prima della riforma, alle quali applicare le vecchie tariffe, e quelle compiute dopo, alle quali applicare i nuovi parametri. Né, mi pare, è a ciò di ostacolo il fatto che questi ultimi siano riferiti non più alle singole attività, bensì, fase per fase, alla prestazione nel suo complesso. Semplicemente, si tratterà di tenere conto di quanta parte di tale prestazione sia destinata ad essere compensata sulla base del nuovo sistema.
Quanto poi al secondo rilievo, il punto è che, anche ammessa l’insuperabilità della difficoltà in questione, essa non indirizza affatto nella direzione dell’applicazione dei nuovi parametri anche alle attività svolte prima della loro introduzione, piuttosto che in quella, opposta, dell’applicazione delle vecchie tariffe anche a quelle svolte successivamente. Posto che l’applicazione congiunta di entrambi i sistemi sia impossibile, questo non ci dice cioè nulla in merito a quale di essi debba tro- vare applicazione, se il vecchio o il nuovo. In astratto, le due opzioni sono infatti entrambe lecite ed equivalenti fra loro20.
7. Preferibilità dell’applicazione all’intera prestazione delle vecchie tariffe
Alla luce di quanto precede, è dunque a questo punto evidente che in realtà tutte e tre le so- luzioni, dalle quali avevamo preso le mosse, continuano ad essere possibili: vuoi quella dell’applicazione all’intera prestazione dei nuovi parametri, vuoi quella dell’applicazione all’intera prestazione delle vecchie tariffe, vuoi quella dell’applicazione di entrambe, le seconde alle attività (od alle tranches) svolte prima della riforma, i primi a quelle successive.
Questo non significa peraltro che non esistano argomenti di sorta a sostegno dell’una o dell’altra; che esse siano cioè sostanzialmente fungibili e che la scelta sia rimessa alle preferenze personali. In realtà, una soluzione preferibile esiste. Essa è, a mio avviso, la seconda delle tre appe- na ricordate, vale a dire quella, assolutamente minoritaria21, per la quale alle prestazioni in corso al momento della riforma si applicherebbero, anche per le attività successive alla riforma medesima, esclusivamente le vecchie tariffe, e l’argomento a suo favore è, mi pare, del tutto intuitivo: si tratta, molto semplicemente, di considerare che è in relazione a tali tariffe che si è formato l’accordo delle parti.
19 Così Cass. S.U. 12 ottobre 2012 n. 17405 e Cass. S.U. 12 ottobre 2012 n. 17406, citt.
20 E’ forse il caso di ribadire che la preferenza per i nuovi parametri non potrebbe essere fondata sul dato letterale; vale a dire sul fatto che l’art. 93 d.l. 1/12, come visto, dispone che “le tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2 e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”. Come visto (§ 3), tale formula si presta infatti anche ad essere letta nel senso che le vecchie tariffe continuano ad applicarsi alle prestazioni (non solo effettuate, ma anche meramente) iniziate entro quella data.
21 Come visto (note 6, 7 e 11) essa è sostenuta unicamente dal Tribunale di Verona (sentenze 27 settembre 2012 e 16 ottobre 2012, citt.) e da A.BULGARELLI, Parametri forensi: profili temporali, cit.
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Con questo non voglio dire, sia chiaro, che il legislatore non possa in assoluto intervenire sui rapporti in corso, modificandone i termini. Questa è però un’eventualità che, ponendosi in contrasto con il valore fondamentale della certezza dei rapporti giuridici, deve: da un lato verificarsi in via del tutto eccezionale; dall’altro essere legata alla presenza di specifiche, valide, ragioni; dall’altro anco- ra, e quale condizione assolutamente preliminare, risultare da una disposizione espressa, o comun- que inequivocamente interpretabile, in tal senso. Laddove così non sia, laddove in particolare, man- chi una chiara manifestazione di volontà nella direzione in discorso – il che, come visto, è appunto quanto accade nel caso di specie – è evidente che non può non valere il principio generale per il quale le condizioni del rapporto sono quelle, siano esse espressamente pattuite oppure presupposte in quanto di fonte legale, sulle quali le parti si sono accordate.
Quanto precede, è ovvio, in via diretta vale esclusivamente con riferimento alla quantifica- zione del corrispettivo nel rapporto cliente-avvocato. E’ peraltro evidente, o almeno così mi pare, che, ammessa la validità della soluzione, essa non può non ripercuotersi anche sulla liquidazione delle spese giudiziali. Al di là del caso dell’accordo più oneroso – che chiaramente non può essere posto a carico della controparte – è infatti evidente che tale liquidazione non può non modellarsi sul rapporto cliente-avvocato (non avrebbe alcun senso che rispetto all’avversario la parte vittoriosa vedesse quantificate le prestazioni del proprio avvocato in misura minore di quanto avviene rispetto all’avvocato medesimo) e dunque utilizzare i medesimi criteri che valgono all’interno di tale rap- porto, salvo ovviamente il caso di un accordo più favorevole, nel qual caso anche la liquidazione non potrebbe che parametrarsi su di esso (essendo in questione il rimborso delle spese legali sop- portate per la causa, la liquidazione di un importo maggiore di quanto concretamente speso risulte- rebbe priva di causa).
Quanto poi alla più precisa individuazione della data di riferimento per il passaggio dalle vecchie tariffe ai nuovi parametri, fra le tre prospettabili – vale a dire: l’entrata in vigore del d.l.
1/12, che abolisce le tariffe (24 gennaio 2012); la scadenza del limite ultimo della loro applicabilità sancito dall’art. 93 d.l. medesimo (23 luglio 201222); l’entrata in vigore del d.m. 140/12, che detta i parametri (23 agosto 2012) – riterrei di dover optare per la seconda. Quanto alla terza, essa rende- rebbe infatti le vecchie tariffe applicabili anche oltre il suddetto limite ultimo, violando dunque il citato art. 93 d.l. 1/12. Quanto poi alla prima, essa violerebbe a sua volta tale articolo, questa volta in senso opposto, in quanto lo priverebbe di spazio applicativo (a tutti i rapporti instaurati successi- vamente al 24 gennaio si applicherebbero senz’altro i nuovi parametri). Viceversa, nella prospettiva qui suggerita, la previsione in discorso troverebbe puntuale applicazione, fornendo, in definitiva, l’esatto dato cronologico di riferimento per l’abolizione delle tariffe, disposta dall’art. 91 d.l. 1/12.
Ciò, detto, rimane poi il problema, derivante dalla formulazione dell’art. 93 d.l. 1/12, se ciò valga solo per la liquidazione delle spese giudiziali oppure anche per la quantificazione del corri- spettivo nel rapporto cliente-avvocato23. A tale riguardo, pur nella consapevolezza che il dato lette- rale è contrario, opterei senz’altro nel secondo senso, da un lato considerando, come detto, che la differenziazione è priva di senso, dall’altro ridimensionando in termini di svista del legislatore, co- me parimenti detto, l’importanza del suddetto dato letterale24.
8. Il problema della costituzionalità: conferma della soluzione adottata
22 Si tratta del 120° giorno dall’entrata in vigore della legge di conversione: l’altro termine, alternativamente previsto dalla norma, vale a dire l’entrata in vigore del d.m. attuativo, non può trovare applicazione, essendo tale entrata in vigo- re intervenuta successivamente.
23 Sul punto v. il § 3.
24 Su entrambi i punti v. ancora il § 3.
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Come riferito25, in relazione alla normativa in questione, nell’ottica della sua interpretazione nel senso dell’applicabilità all’intera prestazione dei nuovi parametri, è stata sollevata questione di costituzionalità.
Si tratta di una questione fondata? E più in generale esistono dubbi di costituzionalità in me- rito alle soluzioni qui respinte?
Per quanto concerne la prospettiva più radicale, vale a dire quella dell’applicazione esclusi- vamente dei nuovi parametri anche alle prestazioni esaurite anteriormente alla riforma, l’incostituzionalità mi pare netta: la quantificazione non può dipendere da un dato assolutamente e- strinseco e casuale, qual è quello della data della relativa decisione.
Quanto poi alla prospettiva dell’applicazione dei nuovi parametri, bensì esclusiva, ma solo con riferimento alle prestazioni non esaurite anteriormente, sarei ugualmente per l’incostituzionalità. Ammessa, secondo quanto detto26, la distinguibilità fra le attività svolte prima della riforma e quelle svolte dopo, nella prospettiva in esame la quantificazione delle prime dipen- derebbe esclusivamente da un dato, quello della durata della prestazione nel suo complesso, che an- cora una volta risulta del tutto estrinseco e casuale. Per non portare che un esempio, la medesima citazione verrebbe ad essere quantificata in base a criteri differenti a seconda della maggiore o mi- nore durata del processo davanti al giudice Tizio piuttosto che davanti al giudice Caio o della mag- giore o minore complessità della successiva attività difensiva della controparte.
Quanto infine alla prospettiva dell’applicazione pro quota di entrambi i sistemi, le tariffe con riferimento alle attività (od alle tranches) svolte anteriormente alla riforma, i parametri per quelle svolte successivamente, tutto sta a vedere se il valore della certezza dei rapporti giuridici abbia o meno rilevanza costituzionale. Trattandosi in sostanza di un problema di retroattività, riterrei di po- ter inclinare anche in questo caso per l’incostituzionalità, non sembrandomi che nella fattispecie sussistano valide ragioni per incidere sull’accordo delle parti.
A maggior ragione, concludendo, si conferma dunque, mi pare, che la soluzione preferibile – sia all’uopo necessaria una declaratoria di incostituzionalità, sia viceversa nella prospettiva dell’interpretazione conforme alla costituzione, l’ambiguità del testo normativo certo prestandosi ad una siffatta operazione – è in effetti quella dell’applicazione all’intera prestazione in corso al mo- mento della riforma esclusivamente delle vecchie tariffe.
25 V. il § 2.
26 V. il § 6.