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CAPITOLO 6: Le origini del Six Sigma

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 6: Le origini del Six Sigma

6.1 Introduzione

Negli ultimi decenni la spinta continua all’innovazione tecnica ed organizzativa, dovuta a molteplici fattori come l’elevato sviluppo tecnologico e la forte espansione del mercato, ha fatto sì che il fattore qualità diventasse uno degli aspetti principali del sistema produttivo, coinvolgendo tutti i settori di un’azienda.

L’obiettivo dell’ingegneria della qualità è progettare la qualità all’interno del prodotto e del processo produttivo, concentrando gli sforzi di miglioramento a monte della produzione.

Tutti i processi produttivi sono caratterizzati da una variabilità intrinseca, detta naturale, che rappresenta il limite tecnologico del sistema di produzione e dalla quale non si può prescindere. Ogni processo/procedura ha un risultato atteso: il valore centrale (media), indicato con il simbolo “µ”. Tale risultato è caratterizzato da una certa dispersione (deviazione standard) indicata con il simbolo “σ”. Se la variabilità è più ampia dei limiti di specifica, una parte dei pezzi prodotti non è accettabile e bisogna intervenire sui parametri del processo per stabilizzarlo nel campo dei valori ammissibili.

Tradizionalmente, il livello di variabilità ritenuto accettabile è 3σ: ciò significa realizzare circa 67.000 DPMO (difetti per milioni di opportunità).

Oggi, questo livello di difettosità non è più accettabile. In molti settori dell’industria, in particolare in campo elettronico e nell’automotive, sono necessarie prestazioni più elevate, la metodologia Six sigma ha come obiettivo quello di portare l’indice di rendimento del processo (process sigma) al valore 6σ. Con questo indice di rendimento il processo produce “soltanto” 3.4 DPMO.

6.2 Qualità nelle imprese

Per le aziende risulta difficile (e costoso) fornire ai clienti prodotti che abbiano caratteristiche di qualità che siano sempre uguali in ciascun elemento prodotto, o che siano al massimo livello di

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I metodi statistici furono introdotti in campo industriale nei primi decenni del secolo scorso e videro un ampio sviluppo nel corso della II guerra mondiale. In particolare, ebbe un notevole impatto in campo produttivo la guida per l’impiego delle carte di controllo pubblicata nel 1940 dal “War Department” degli Stati Uniti.

Con l’introduzione delle tecniche per il controllo statistico della qualità (SPC, Statistical Process Control) l’attenzione si é concentrata su 2 aspetti della produzione:

• Impiego di strumenti statistici applicati a campioni provenienti dalla produzione. • Verifica dello stato di regolarità del processo di produzione.

I principali “strumenti” dell’ SPC sono:

Carte di controllo: diagrammi per monitorare l’andamento del processo [Allegato D].

Esperimenti programmati: strumento per il controllo della qualità definito di tipo “off-line” perché impiegato nello sviluppo e nella progettazione dell’attività produttiva prima che il processo inizi la sua normale evoluzione. L’obiettivo di queste prove è di individuare quali sono le variabili che influenzano maggiormente il livello qualitativo osservato [par. 7.3].

Campionamento in accettazione: un campione prelevato casualmente dal lotto di produzione viene ispezionato per valutare la qualità del lotto stesso.

Le tecniche dell’ SPC sono gli strumenti critici per il controllo e il miglioramento della qualità, ma, affinché il loro utilizzo risulti più efficace, è necessario che siano considerate parte integrante di un sistema di gestione aziendale orientato alla qualità.

Questo sistema di gestione della qualità è il TQM (Total Quality Management), un modello di management avanzato che si fonda sul coinvolgimento di tutti i dipendenti e mira al successo a lungo termine, cercando di massimizzare la soddisfazione del cliente.

La qualità è diventata oggi la finalità aggregatrice di tutta l’attività aziendale; i metodi indicati come “qualità totale” si basano su una visione omnicomprensiva del ruolo di qualità che coinvolge:

• scelte di tipo tecnico,

• aspetti economico-finanziari, • strategie aziendali,

• formazione e preparazione del personale.

Molti studiosi negli ultimi 50 anni hanno contribuito a creare la moderna idea di qualità, tra tutti emergono per importanza W.E. Deming, J. M. Jurang e A.V. Feigenbaum.

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6.3 I pionieri della qualità

Alla fine della II guerra mondiale, le industrie giapponesi erano in gran parte distrutte e non produttive; Deming e Juran, esperti americani nel controllo della qualità e nella statistica industriale, furono inviati in Giappone per ricostruire le industrie del paese.

Qui trovarono un terreno fertile per sperimentare le proprie teorie innovative di gestione della qualità e gli insegnamenti di Feigenbaum (analista americano che per primo ha collocato il concetto di qualità a livello aziendale). Tali teorie non potevano essere applicate negli Stati Uniti, dove un mercato molto più rigido e legato alla produzione di massa lasciava poco spazio alla sperimentazione.

Ancora oggi le idee di questi autori sono molto attuali e costituiscono i principi dell’ingegneria della qualità.

Di seguito sono riportate delle brevi schede che riassumono gli insegnamenti di questi “pionieri” della qualità.

Williams Edwards Deming

Deming lavorò come consulente di alcune industrie Giapponesi e riuscì a convincere il top management di tali aziende sulla validità del metodo statistico e l’importanza della qualità come strumento competitivo.

La “Japanese Union of Scientists and Engineers” ha creato in suo onore un premio per il miglioramento della qualità.

Deming era convinto che la responsabilità primaria per la qualità vada riscontrata nel management aziendale, la sua filosofia può riassumersi in 14 regole:

1. Creare una costante tensione focalizzata a migliorare prodotti e servizi, sia in termini di prestazioni, sia in fase di progetto. Gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione procurano vantaggi economici di lungo periodo per l’organizzazione.

2. Adottare una nuova filosofia che rifiuti con decisione la scarsa professionalità, i prodotti difettosi e i disservizi. Il costo per produrre un pezzo difettoso è pari (se non superiore) a

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deriva da un’azione di prevenzione delle difettosità, attraverso il miglioramento del processo produttivo e non solo di filtro dei difetti.

4. Non considerare il prezzo come l’unico strumento di trattativa con i fornitori; esso rappresenta una valutazione significativa del prodotto solo se abbinato al costo globale minore. Occorrerebbe scegliere quei fornitori che usano i metodi più moderni di miglioramento della qualità e che possono dimostrare la capacità del loro processo.

5. Migliorare costantemente ed ininterrottamente il proprio sistema di produzione o il servizio, coinvolgendo tutte le forze lavoro ed usando i metodi statistici.

6. Istituire metodi moderni di addestramento, dedicati a tutti gli addetti aziendali, riguardanti gli aspetti tecnici delle varie attività, i concetti base della qualità e i metodi di miglioramento della produttività. Si dovrebbe incoraggiare l’applicazione quotidiana dei metodi di miglioramento della qualità.

7. Istituire metodi moderni di supervisione, che non consistano solo nel semplice controllo passivo dell’operato altrui, ma risultino di ausilio per la soluzione dei vari problemi. Compito del manager è essenzialmente quello di condurre il processo di cambiamento con competenza e da una posizione di riconosciuta leadership.

8. Sconfiggere la paura. Molti dipendenti sono spesso restii a fare domande, presentare problemi o evidenziare le condizioni che ostacolano la qualità e l’efficienza del sistema. In molte organizzazioni solo il management può intervenire per abbattere il costo derivante da questi timori.

9. Abbattere le barriere tra le aree funzionali aziendali. Per incrementare la qualità di un sistema è essenziale operare con gruppi di lavoro costituiti con elementi provenienti da tutte le unità organizzative coinvolte nelle varie attività.

10. Abolire gli slogan, gli obiettivi numerici e le esortazioni. Un obiettivo quale “zero difetti” risulta inutile se non abbinato ad un preciso piano aziendale che indichi come raggiungerlo. Slogan e programmi senza informazione possono addirittura rivelarsi controproducenti. 11. Abolire gli standard e le quote di produzione, storicamente fissati senza riferimento alla

qualità. Gli standard di lavoro sono spesso sintomo di incapacità manageriale derivante da non perfetta conoscenza del processo produttivo e delle tecniche di miglioramento.

12. Rimuovere le barriere che impediscono ai dipendenti di eseguire bene il proprio lavoro. Il management deve saper ascoltare i suggerimenti dei dipendenti, i loro commenti e le loro lamentele. Chi svolge un certo lavoro ne conosce tutti gli aspetti operativi e pratici e spesso sviluppa idee apprezzabili sul modo di svolgerlo meglio. La forza lavoro è un partner importante dell’impresa , non solo controparte di rivendicazioni aziendali.

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13. Incoraggiare programmi di formazione e addestramento, offerti a tutti i livelli operativi aziendali, dalle più semplici tecniche statistiche agli strumenti SPC più sofisticati, quali le carte di controllo. La loro diffusione in azienda non può che migliorare la capacità di interpretare le indicazioni che tali strumenti possono offrire, in termini di individuazione delle cause di non qualità o dei margini di miglioramento del processo. La formazione è un modo per rendere ognuno partecipe del processo di miglioramento aziendale.

14. Creare una struttura nel top management, che si faccia carico di promuovere tutti i 13 punti precedenti.

Joseph M. Juran

Juran è uno dei co-autori del volume “Quality Control Handbook” (1957), manuale diventato fin dalla sua pubblicazione uno standard di riferimento per i metodi di miglioramento della qualità. Rispetto a Deming si è focalizzato meno sui metodi statistici; la sua filosofia è basata sui cambiamenti organizzativi e sul miglioramento attraverso quello che egli definisce “intuito manageriale”, cioè un processo sequenziale di problem solving.

Juran sostiene che per migliorare la qualità è necessaria l’azione del management e condivide con Deming l’opinione che la maggior parte delle opportunità aziendali di miglioramento qualitativo possono essere gestite solo dai manager.

Armand V. Feigenbaum

Nel 1951 ha pubblicato il famoso libro “Total Quality Control”; è stato il primo a collocare il concetto di qualità a livello aziendale ed ha fortemente influenzato la nuova filosofia giapponese dei primi anni ’50 di gestione della qualità. Feigenbaum si è principalmente interessato alle strutture organizzative e riteneva che molte capacità tecniche sono spesso concentrate in un dipartimento specializzato, in contrasto con la visione moderna secondo le cui conoscenze e l’uso di strumenti statistici devono essere diffusi ad ogni livello aziendale. Gli aspetti organizzativi sono i più importanti ed il miglioramento della qualità deriva da un deciso impegno manageriale.

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Verso la fine degli anni ’70 s’iniziarono a vedere i primi risultati di questo nuovo modo di lavorare: l’industria nipponica aveva raggiunto alti livelli di competitività e l’industria occidentale non poté far altro che adattarsi velocemente a questo nuovo modo di gestire le aziende.

Oggi il Giappone è diventato uno dei paesi più all’avanguardia nel campo dell’ingegneria della qualità.

6.4 Six Sigma: sistema avanzato di gestione della qualità

Il sistema giapponese di gestione della qualità affianca, all’uso di strumenti statistici, una procedura strutturata, PDCA (Plan, Do, Check, Act) per il controllo ed il miglioramento continuo ed è diventato un modello di gestione delle aziende per tutto l’occidente.

Negli anni ’70, un’azienda produttrice di televisioni di proprietà Motorola venne rilevata da una società giapponese, che in poco tempo riuscì a ridurre gli scarti di produzione di un fattore 20 utilizzando la stessa forza lavoro, la stessa tecnologia e gli stessi progetti di Motorola.

Per contrastare la concorrenza nipponica, all’ inizio degli anni ’80 Motorola decise di investire in qualità e Bob Galvin, allora CEO dell’azienda, introdusse l’innovativo modello di gestione Six Sigma.

Nel 1988 Motorola vinse il “Malcom Baldrige Quality Award” e il segreto del successo divenne pubblico: Motorola aveva sviluppato una procedura propria che, rispetto al modello giapponese, non si limitava a fornire delle regole di gestione aziendale da affiancare agli strumenti statistici, ma univa saldamente questi due aspetti e proponeva delle tecniche di miglioramento basate sulla raccolta dei dati e sull’analisi statistica.

Le compagnie che, in seguito, hanno applicato con successo la metodologia Six Sigma come “General Electricts” e “Allied Signal” hanno generato risultati economici sorprendenti e, creando una mentalità indirizzata al miglioramento continuo, sono riuscite ad accrescere la soddisfazione dei clienti e dei propri dipendenti, rafforzando, quindi, la propria posizione sul mercato mondiale. Six Sigma è una metodologia basata sul modello di problem solving DMAIC, direttamente derivato dal PDCA, ma organizzato in modo più strutturato.

Nell’analisi DMAIC alcune fasi del PDCA come il “Plan” ed il “Control” sono state “esplose” e maggiormente dettagliate, gli strumenti statistici che sono alla base di un’azione di sistema per il miglioramento delle performance, sono stati organizzati in modo razionale per essere diffusi a tutti i livelli dell’azienda: dall’operatore al management.

La vera innovazione del Six Sigma è, quindi, la riorganizzazione delle “idee vincenti” di gestione della qualità di origine giapponese.

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Applicando il Six Sigma si aiuta l’azienda a realizzare un prodotto o servizio migliore, in minor tempo e con minor costi, l’attenzione viene concentrata sugli sprechi, la prevenzione dei difetti e la riduzione dei tempi ciclo con un’azione sistematica di riduzione di tutti i costi che non producono valore aggiunto agli occhi del cliente.

Questi costi possono arrivare ad assorbire il 30% dell’utile di un’azienda, le compagnie che hanno adottato il Six Sigma sono riuscite a ridurli al 5%.

L’obiettivo del Six Sigma è migliorare la performance del processo ed abbassarne la variabilità naturale, poiché per essere competitivi in settori come l’automotive o l’industria elettronica, si devono raggiungere indici di process sigma pari a 6 [Allegato C].

I metodi classici di gestione della qualità cercano di costruire una struttura organizzativa orientata alla qualità, poiché con un’azione “di sistema” è possibile aumentare le performance dell’azienda, il Six Sigma permette di fare un passo in avanti: introduce nell’organigramma di un’azienda che applica il TQM delle figure specifiche, che si dedicano esclusivamente a progetti di miglioramento:

• Green Belt: sono i leader dei progetti di miglioramento GB, cioè progetti focalizzati sui problemi di media importanza che di solito interessano settori circoscritti dell’azienda (per esempio ottimizzazione di una fase od una sottofase di lavorazione). Rappresenta il primo livello di specializzazione e viene conseguito dopo aver partecipato ad un corso di una settimana condotto da un Black Belt. Non si occupano a tempo pieno dei progetti di miglioramento, secondo gli standard TRW gli impiegati Green Belt devono sviluppare e concludere un progetto in 6 mesi dedicandovi circa il 20% del proprio tempo. Se necessario si possono avvalere dell’aiuto di un Black Belt.

• Black Belt: sono i responsabili “full time” dei progetti di miglioramento BB, cioè progetti di importanza rilevante per l’azienda che coinvolgono settori più ampi rispetto ai progetti GB (il progetto 199 ne è un esempio poiché prevede l’ottimizzazione di tutta la cella produttiva). Queste figure, generalmente, sono ingegneri, ma possono essere persone con una formazione scientifica di livello superiore, la specializzazione avviene con corsi specifici di circa 160 ore condotti da un Master Black Belt. Gli standard TRW prevedono di inserire nelle aziende un Black Belt ogni 300 dipendenti, nello stabilimento di Livorno, che conta circa 600 dipendenti, sono presenti 2 Black Belt. Ogni anno devono definire un piano di lavoro dove indicano le aree di miglioramento, le risorse e gli obiettivi economici. Questo

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supporto ai Black Belt e provvedono ad aggiornare continuamente la metodologia Six Sigma con strumenti innovativi.

6.5 La metodologia Six Sigma

Gli “strumenti” della metodologia Six Sigma sono: • approccio “DMAIC”,

• dati statistici,

• definizione degli obiettivi per la performance del processo.

L’approccio DMAIC è un modello di “problem solving” che definisce una procedura di analisi e miglioramento del processo articolata in 5 fasi:

• Define. E’ la prima fase dello studio del problema: si descrivono in modo chiaro ed univoco lo scopo del progetto, i miglioramenti da raggiungere e come misurarli.

• Measure. In questa fase bisogna focalizzarsi sullo sforzo di miglioramento raccogliendo informazioni sulla situazione attuale del processo.

Pertanto, è necessario estrapolare i dati di riferimento sull’attuale performance del processo e determinare se il sistema di misura adottato è valido.

Questi risultati vengono riassunti in indici significativi della capacità del processo.

• Analyze. Rappresenta la fase centrale dell’analisi sperimentale: si eseguono delle prove specifiche volte ad identificare le cause reali della bassa performance del processo.

• Improve. Si elaborano i dati ricavati dalle prove precedenti e si cerca di sviluppare soluzioni per risolvere le cause più rilevanti.

• Control. In ultima analisi si devono rielaborare i dati registrati per valutare sia le soluzioni che i piani di miglioramento. In particolare si deve fare una verifica dei risultati ottenuti e controllare che i cambiamenti apportati soddisfino i criteri di controllo e di conformità adottati dall’azienda.

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