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1.1 L 1. INTRODUZIONE

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(1)

1.

INTRODUZIONE

1.1

L

A CELLULOSA

Generalità, tipi, strutture

La cellulosa rappresenta il componente strutturale principale delle pareti cellulari di organismi vegetali, pur essendo prodotta anche da alcuni tipi di funghi e batteri.

Dal punto di vista chimico si tratta di un polimero lineare, microfibrillare, semicristallino, costituito da unità di D-glucosio unite da legami β-1,4 glicosidici (fig.1.1).

Fig.1.1: La struttura molecolare della cellulosa.

Il grado di polimerizzazione medio ponderale ( DPw) dipende dalla fonte naturale ed

in genere ha valori compresi tra 8000 e 10000. Il corrispondente grado di polimerizzazione medio numerale ( DPn) varia invece tra 3000 e 5000 e il grado di

cristallinità tra 50% e 90%.

La struttura secondaria della cellulosa è stata ampiamente studiata attraverso tecniche di diffrazione dei raggi x che hanno rivelato la presenza di almeno quattro forme polimorfe fondamentali, con ulteriori differenziazioni messe in luce da recenti studi [1]. Di seguito sono riportate le rappresentazioni proposte per le celle elementari delle quattro forme polimorfe (fig.1.2).

In particolari condizioni le diverse strutture possono interconvertirsi le une nelle altre, come rappresentato schematicamente in fig.1.3. In particolare è significativa la trasformazione della cellulosa I (nativa) in cellulosa II (rigenerata) che è la forma commercialmente più utilizzata. I processi utilizzati per indurre tale trasformazione sono

(2)

comunemente noti come rigenerazione e mercerizzazione. Il primo prevede la solubilizzazione della cellulosa in solvente organico seguita da riprecipitazione in acqua, mentre nella mercerizzazione le fibre di cellulosa sono rigonfiate in NaOH o NH3

concentrati. In generale le diverse forme polimorfe differiscono anche per ciò che riguarda flessibilità, grado di cristallinità e legami idrogeno intracatena ed intercatena.

Fig.1.2: Rappresentazione delle celle elementari di cellulosa I, II, III, IV [2].

Fig.1.3: Interconversione delle forme polimorfe della cellulosa.

Per ciò che riguarda la sovrastruttura, le catene polisaccaridiche nelle pareti cellulari si arrangiano in microfibrille filiformi (ognuna di diametro di circa 15-20 nm) in cui si alternano zone cristalline e zone amorfe. Fasci di microfibrille si raccolgono in macrofibrille (diametro 60-300 nm), le quali a loro volta si dispongono parallelamente a formare strutture lamellari (fig.1.4). In questa complessa “architettura macromolecolare”

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rivestono un’importanza primaria i legami a idrogeno intermolecolari che si instaurano tra i numerosi gruppi ossidrilici presenti (fig.1.5).

Le fibre di cellulosa nativa così organizzate risultano relativamente resistenti, ad esse corrispondono uno sforzo a rottura che supera 1 GN/m2 e moduli elastici compresi tra 70 e 137 GN/m2 [3].

Fig.1.4: Rappresentazioni della disposizione delle catene di cellulosa nelle pareti cellulari.

(4)
(5)

Le fonti naturali e gli usi commerciali della cellulosa [2], [3]

Le fonti naturali principali di cellulosa sono il cotone ed il legno (conifere e latifoglie) oltre ad altri organismi vegetali come bambù, canapa, paglia, iuta, lino, sisal, ecc... La cellulosa viene isolata dalle pareti cellulari e non si trova mai in forma pura. Nella tabella sottostante viene elencato il contenuto medio percentuale di cellulosa nelle diverse fonti (tab.1.1).

Tab.1.1: Percentuale di cellulosa nelle diverse fonti naturali (Polymer Data Handbook, 1999 by Oxford University Press, Inc.pag.39).

Fonte naturale Cellulosa (%)

Cotone 94

Canapa 77

Lino 75

Kapok (cotone di Giava) 75

Sisal 75

Ramia 73

Iuta 63

Legno (conifere e latifoglie) 50

Bambù 40-50

La cellulosa con 7,5 × 1010 tonnellate che si accrescono e scompaiono ogni anno rappresenta il materiale organico maggiormente rigenerato sulla Terra. Essa risulta di fatto il polimero naturale più abbondante ed è di immensa importanza tecnologica, assieme ad una vasta gamma di suoi derivati.

Per ciò che riguarda gli usi commerciali, attualmente il legno (cellulosa associata prevalentemente ad emicellulosa e lignina) viene utilizzato direttamente come combustibile e materiale da costruzione, ma per il futuro si prevede lo sviluppo di altri

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usi come ad esempio la conversione della cellulosa in alcool o altri possibili combustibili. A seguito di minimi trattamenti, i materiali cellulosici sono sfruttati nell’industria tessile che utilizza cotone, lino, iuta e canapa. Dopo significativi trattamenti industriali (che possono prevedere o meno una derivatizzazione chimica), la cellulosa è convertita o trasformata in svariati prodotti e derivati quali materiali cartacei, membrane, fibre tessili (rayon e acetato di cellulosa), esplosivi (nitrato di cellulosa), film, lamine, colle, vernici.

Da tenere presente, soprattutto riguardo al campo di applicabilità della cellulosa, che questo polisaccaride risulta di per sé insolubile in acqua e nei comuni solventi organici ed infusibile (la decomposizione ha luogo prima che si raggiunga la temperatura di fusione) a causa prevalentemente della fitta rete di legami idrogeno intercatena, ai quali si sommano interazioni idrofobiche. Molti dei suoi derivati (ad esempio esteri ed eteri) possono d’altro canto essere processati nel fuso o in soluzione, perciò è pratica comune quella di trattare soluzioni di derivati cellulosici fino ad ottenere la forma desiderata (fibre, film, lamine,...) e rimuovere successivamente il gruppo modificante a dare cellulosa in struttura rigenerata. Questo è ciò che accade ad esempio nel ben noto processo viscosa (o xantato) in cui la cellulosa è resa solubile attraverso il trattamento con NaOH e CS2 e viene rigenerata per acidificazione della soluzione. Si ottengono in

questo modo il rayon, fibra utilizzata nell’industria tessile, ed il cosiddetto cellophane, film trasparente che trova applicazioni nell’imballaggio.

È possibile affermare in sintesi che le reazioni chimiche più importanti dal punto di vista industriale sono quelle che coinvolgono i gruppi ossidrilici nelle posizioni 2, 3 e 6 delle unità di glucopiranosio (eterificazione ed esterificazione in particolare). Queste reazioni possono avvenire in fase omogenea, in complessi sistemi in grado di solubilizzare la cellulosa (l’argomento è stato ampiamente revisionato [4-7], considerando anche processi in cui la solvatazione avviene assieme ad una derivatizzazione) oppure in fase eterogenea. In questo caso l’accessibilità chimica e fisica della cellulosa (cfr.§2.2.2) dipende ampiamente dall’origine e dai precedenti trattamenti, i quali determinano differenti caratteristiche di struttura, grado di cristallinità, grado di polimerizzazione, entità dei legami a idrogeno. In generale sulla superficie e nelle zone amorfe, in cui la quantità di legami idrogeno è minore e le catene sono più distanti, può aver luogo una maggiore interazione con altre specie chimiche. Inoltre il procedere di una reazione può essere influenzato dalla capacità di reagenti e solventi di essere

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assorbiti e di rigonfiare le fibre di cellulosa. La capacità di rigonfiare fibre di cotone per alcuni solventi, valutata da misure di “liquid retention value” LRV [8], decresce nel seguente ordine:

Dimetilsolfossido (DMSO) > Dimetilformammide (DMF) > Etilenglicol > Acqua >> Metanolo > Etanolo ~ Acido acetico > Nitrometano > Toluene > Dicloroetano

1.2

C

ARTA E PRODOTTI CARTACEI

[9,10]

Nonostante l’elevata diversificazione dei prodotti cartacei si può far riferimento ad una definizione generale di questo tipo: materiale costituito da un feltro di fibre di cellulosa, ottenuto per deposizione da una sospensione acquosa diluita su una rete metallica molto fine. Pur avendo tutti noi grande familiarità con questo materiale e nonostante sia stato parte essenziale della civiltà dell’uomo per almeno duemila anni, esso non è affatto un materiale semplice: presenta in effetti un’elevata complessità dal punto di vista morfologico, fisico e chimico.

1.2.1 M

ATERIE PRIME E COMPOSIZIONE CHIMICA

Le fibre di cellulosa per la produzione di materiali cartacei vengono estratte da diverse piante, alcune di origine erbacea, ma in larga prevalenza da alberi (il 90% delle fibre vergini). Maggiormente sfruttate sono le conifere, con legno non troppo resinoso (ad esempio abeti e certi tipi di pino), ma anche latifoglie, come pioppi, querce, aceri, ecc...

Si deve considerare la distinzione tra legni teneri (softwoods), dai quali si ottengono fibre più lunghe, spesse e dalla maggiore resistenza meccanica e legni duri (hardwoods), che forniscono fibre più corte e sottili, capaci di impartire minore resistenza meccanica, ma maggiore levigatezza e opacità ad un foglio di carta, in quanto tendono a distribuirsi in modo più uniforme sul piano. È possibile modulare queste proprietà attraverso l’utilizzo di opportune miscele.

(8)

In aggiunta alle fibre ottenute direttamente da organismi vegetali, sono significativamente utilizzate fibre riciclate da “carta straccia”. La percentuale di fibre ottenute da riciclo varia molto da paese a paese a seconda della disponibilità di fibre vergini, della domanda del mercato e delle differenti norme vigenti in merito, rimanendo comunque in ascesa negli ultimi anni. Naturalmente a seconda delle proprietà che si intende conferire al prodotto la quantità utilizzabile di fibre da riciclo deve essere limitata.

La composizione chimica di un prodotto cartaceo dipenderà principalmente dal tipo di pianta utilizzata come materia prima e dai trattamenti chimici e meccanici a cui questa viene sottoposta. La cellulosa è infatti presente nei tessuti vegetali in percentuali variabili assieme ad altri componenti tra i quali i principali sono le emicellulose e le lignine, mentre si hanno piccole quantità di altre sostanze quali per esempio cere, grassi, resine, proteine, sostanze minerali, ecc. che sono in genere indicate con il nome collettivo di “incrostanti”.

Le emicellulose sono β-polisaccaridi di zuccheri diversi dal glucosio o in cui esso è copolimerizzato con altri zuccheri come xilosio, mannosio, arabinosio o con acidi uronici. Esse non sono, come il nome potrebbe suggerire, dei precursori biosintetici della cellulosa e la loro funzione nelle pareti cellulari è scarsamente conosciuta. Comunque sia, il loro grado di polimerizzazione è troppo basso per renderle un importante componente strutturale e varia tra 150 e 200.

Le emicellulose sono in generale gradite per la fabbricazione della carta in quanto, essendo relativamente solubili e rigonfiabili, facilitano il processo di feltrazione, cioè quel processo chimico-fisico che consente alle fibre di unirsi tenacemente mentre si procede all’essiccamento della sospensione acquosa (cft.§1.2.2). Esse inoltre interagiscono molto bene con la cellulosa stabilendo efficaci legami a idrogeno nel foglio finito. Esistono infatti evidenze sperimentali che correlano positivamente la resistenza alla trazione con il contenuto di emicellulose.

Le lignine sono costituite invece da materiali polimerici complessi, caratterizzati da una certa eterogeneità anche all’interno della stessa specie vegetale. Da studi di degradazione di lignine di varia natura risulta che le unità monomeriche principali siano quelle di seguito riportate (fig.1.6).

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OH CH CH CH2OH OH CH CH CH2OH OH CH CH CH2OH OCH3 H3CO OCH3

Fig.1.6 : Le unità monomeriche principali nella lignina..

Fra le unità monomeriche si instaurano legami carbonio-carbonio, ma anche legami eterei, coinvolgendo entrambi sia gli atomi di carbonio dell’anello aromatico che quelli delle catene laterali.

La lignina nel tessuto vegetale stabilisce efficaci legami con cellulosa ed emicellulosa svolgendo un ruolo determinante nel conferire stabilità e resistenza meccanica al legno, mentre invece produce effetti indesiderati nella carta. La sua presenza infatti ha l’effetto di ostacolare la formazione di legami idrogeno tra le fibre di cellulosa a causa della rigidità che impartisce loro e di diminuire di conseguenza la resistenza meccanica del foglio. Inoltre poiché è ricca di gruppi cromofori può conferire alla carta una colorazione grigia o bruna, in genere indesiderata. Infine la stessa presenza di legami multipli e gruppi funzionali crea dei punti preferenziali di attacco da parte di vari agenti esterni, soprattutto in presenza di luce, con formazione di derivati colorati e degradazione. Per questo la colorazione della carta contenente significative percentuali di lignina non è stabile nel tempo, ma tende a diventare più scura. Nella tabella sottostante sono indicate le composizioni di alcuni tipi di legno comunemente utilizzato per produrre materiali cartacei (tab.1.2).

(10)

Tab.1.2: Composizione percentuale di alcuni tipi di legno. Cellulosa (%) Emicellulose (%) Lignine (%) “Altri” (%) Abete 41 30 27 2 Betulla 40 37 20 3 Pino 39 30 27 4

1.2.2 M

ATERIALI CARTACEI

:

PROCESSO DI PRODUZIONE

Il punto di partenza per l’ottenimento di prodotti cartacei è rappresentato dalla preparazione della cosiddetta pasta di cellulosa (pulp). Tralasciando per il momento la produzione da carta straccia e concentrandosi su quella da legno, è necessario innanzitutto separare al meglio cellulosa ed emicellulosa dalla lignina (per i motivi già elencati) e nel contempo disperdere quanto più possibile le singole fibre polisaccaridiche nella pasta, possibilmente senza provocare la rottura di elevate percentuali di legami glicosidici. Questo scopo può essere raggiunto attraverso differenti processi, i quali prevedono tutti un iniziale sminuzzamento del legno e successivamente possono poi essere suddivisi in metodi che prevedono un trattamento meccanico spinto e metodi che utilizzano reattivi chimici per la dissoluzione della lignina.

Trattamento meccanico spinto (paste meccaniche)

Questo trattamento consiste sostanzialmente nella frantumazione dei tondelli di legno preventivamente scortecciati con apposite macchine dette macine. Le paste di legno così ottenute, dette paste meccaniche, sono costituite da fibre molto rigide e voluminose e non presentano la flessibilità di quelle contenute nelle paste chimiche. Inoltre con un trattamento di questo tipo non si ha di fatto allontanamento della lignina, con le conseguenze già citate. La carta ottenuta dalle paste meccaniche ha eccellente opacità, ma scarsa resistenza meccanica oltre ad una limitata stabilità alla luce.

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Negli ultimi anni sono state apportate significative modifiche per l’ottimizzazione del processo di frantumazione del legno ed in alcuni casi è stato associato un pretrattamento con vapore a 110-150°C che rende i frammenti di legno molto più malleabili. In questo caso si parla di paste termomeccaniche, che sono le più utilizzate per la produzione di giornali quotidiani. Infine per incrementare la resistenza meccanica che la fibra sviluppa nel foglio è possibile eseguire un pretrattamento con NaHS a pH 9-10. Si ottengono così paste termomeccaniche che hanno una percentuale maggiore di fibre lunghe e più flessibili rispetto a quelle ottenute mediante trattamento termomeccanico semplice.

Trattamenti chimici: processo “al solfito” e processo Kraft o “al solfato” (paste chimiche)

Nei trattamenti chimici di delignificazione (pulping) si ha in generale la solubilizzazione e l’allontanamento della lignina mediante processi ad elevata temperatura e pressione, effettuati in soluzione acquosa acida, alcalina o neutra. La solubilizzazione della lignina avviene introducendo opportuni gruppi funzionali che ne aumentano la solubilità in acqua e/o riducendo il suo grado di polimerizzazione.

Nel trattamento in ambiente acido cosiddetto “al solfito” viene utilizzata una combinazione di biossido di zolfo ed acqua. Il nucleofilo più attivo presente nella miscela risulta essere lo ione bisolfito che si origina assieme allo ione solfito dai seguenti equilibri:

SO2 + H2O H2SO3

H2SO3 H+ + HSO3

-HSO3- H+ + SO32-

La solubilizzazione della lignina avviene prevalentemente attraverso la sua solfonazione che permette l’introduzione di gruppi idrofilici ed in minima parte a seguito di reazioni di idrolisi che ne riducono il peso molecolare. Alcune importanti reazioni di idrolisi e solfonazione coinvolte nel processo sono rappresentate in figura (fig.1.7).

(12)

O OCH3 SO32 O O CH3SO3 C O C H OR H O C H3CO SO32 ROH CH O C SO3 C O OCH3 O C OR C C H / HSO3 ROH O C SO3H C C

Fig.1.7 : Reazioni di idrolisi e solfonazione coinvolte nel processo” al solfito”.

Le condizioni di elevata temperatura e bassi valori di pH determinano anche l’idrolisi di legami glicosidici in modo casuale lungo le catene polisaccaridiche di cellulosa ed emicellulosa.

Negli ultimi decenni i trattamenti di delignificazione in ambiente acido, anche se non ancora del tutto abbandonati, sono stati progressivamente sostituiti da quelli in ambiente alcalino o neutro. Il processo attualmente più utilizzato (con numerose varianti) per la rimozione della lignina è il cosiddetto processo Kraft o “al solfato” nel quale viene adoperata una miscela di idrossido di sodio e solfuro di sodio. La chimica del processo risulta decisamente più complessa rispetto al trattamento acido e comporta una sequenza di reazioni (che contribuisce in larga parte alla dissoluzione della lignina) in cui il primo stadio è l’attacco all’ossidrile fenolico. Lo ione fenossido così generato è in grado di

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eliminare un gruppo alcossidico dal carbonio in α all’anello aromatico e subire un attacco nucleofilo sullo stesso atomo da parte di ioni OH– o SH–. Quindi si ha la formazione di un anello epossidico con rottura del legame β-aril etere (fig.1.8).

H C O C H O OR OCH3 H C O C H O OCH3 ( ) H C C H O O (S ) OCH3 OH SH O H C O C H O O H OCH3 RO H (S H)

Fig.1.8: Meccanismo di rottura di un legame aril etere durante la delignificazione in ambiente alcalino.

Anche in ambiente alcalino i componenti polisaccaridici (cellulosa ed emicellulosa) vanno incontro a degradazione. In particolare il più importante processo degradativo che ha luogo durante il pulping alcalino è quello conosciuto come peeling, nel quale le singole unità monomeriche sono rimosse in modo sequenziale a partire dall’estremità riducente della catena (fig.1.9). La riduzione del DP (grado di polimerizzazione) di cellulosa ed emicellulosa è però meno significativa rispetto al trattamento acido, in quanto la rottura dei legami glicosidici risulta sequenziale e non casuale. Ciò può in parte spiegare la maggiore resistenza meccanica delle paste di cellulosa ottenute con il trattamento alcalino, rispetto a quelle ottenute con trattamento in ambiente acido.

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La depolimerizzazione dei polisaccaridi attraverso il processo sopra citato è controllata da una reazione più lenta rispetto alle reazioni di peeling che coinvolgono le stesse estremità riducenti (fig.1.10). Si deve sottolineare che tale reazione produce gruppi terminali carbossilici che influenzeranno la carica superficiale delle fibre e quindi in generale la loro capacità di interazione con altre specie chimiche.

O CH2OH O Cell OH OH H, OH OH CH2OH O Cell OH OH CHO OH CH2OH O Cell OH CH2OH O Cellulose-OH HOC H CH2OH C H O C OH H C O CH2OH ulteriore degradazione COOH C HO H CH3 COOH C HO CH2OH CH2 HC OH CH2OH COOH C HO H CH2 CH2 CH2OH H

(15)

O CH2OH O Cell OH OH H, OH OH CH2OH O Cell OH OH CHO OH CH2OH O Cell OH CH2OH O OH CH2OH O Cell OH OH COOH

Gruppo terminale stabile

COOH C HO CH3 CH2 O Cell

Fig.1.10: Reazioni di termine del processo di depolimerizzazione della cellulosa durante il pulping alcalino.

Trattamenti di sbianca (bleaching)

Per la maggior parte degli usi della carta sono necessari dei trattamenti di sbiancatura in quanto le paste chimiche presentano una colorazione marrone dovuta al contenuto residuo di lignina, che in dipendenza dalla materia prima e dal tipo di trattamento è compreso tra 3,5% e 6,5%

Ci sono sostanzialmente due tipi di processi: quelli che portano alla modifica chimica dei gruppi cromofori per ossidazione o riduzione, lasciando inalterato il contenuto di lignina e quelli che completano la delignificazione e rimuovono carboidrati residui. Nella pratica vengono utilizzati molti tipi di ossidanti tra cui: diossido di cloro, ipoclorito di sodio, ozono, cloro e altri ancora.

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Raffinazione (refining)

Il processo di raffinazione o refining corrisponde ad un trattamento meccanico effettuato sulla sospensione acquosa delle fibre che vede il passaggio forzato del pulp attraverso un piatto metallico stazionario ed uno rotante.

Esso rappresenta di fatto il processo più importante a cui le fibre vengono sottoposte, in termini di sviluppo delle caratteristiche della sospensione e delle proprietà del foglio di carta che si otterrà da queste.

Un gran numero di modifiche hanno luogo durante il refining e la loro piena comprensione risulta assai difficile. Innanzitutto la parete cellulare primaria, che di norma non viene rigonfiata facilmente ed anzi preserva la parete secondaria dal rigonfiamento, viene parzialmente rimossa, esponendo così la parete cellulare secondaria all’assorbimento di acqua. Il rigonfiamento che ha luogo rende le fibre morbide e più flessibili. Inoltre alcuni componenti strutturali microfibrillari vengono persi dalla superficie della parete provocando un significativo aumento dell’area superficiale. Bisogna tuttavia considerare che avviene anche un inevitabile accorciamento delle fibre il quale tende a ridurne la resistenza, ma che non sempre è indesiderabile in quanto rende maggiormente uniforme la distribuzione delle fibre sul piano del foglio.

Come già detto, il trattamento di raffinazione influenza notevolmente le proprietà del prodotto finale. Un foglio di carta ottenuto da fibre raffinate presenta una maggiore resistenza meccanica, elevata densità, bassa opacità, maggiore levigatezza della superficie ed una più uniforme distribuzione della massa sul piano del foglio rispetto ad uno prodotto con fibre non raffinate.

Additivi

Differenti additivi possono essere usati per migliorare l’efficienza del processo di formazione del foglio (ritentivi, flocculanti, disperdenti) e per impartire allo stesso specifiche proprietà, quali ad esempio un incremento della resistenza meccanica “a secco” o “ad umido”, levigatezza, opacità o lucidità della superficie, buona stabilità all’invecchiamento, permeabilità controllata ad acqua o grassi, colore uniforme, ecc. Essi sono presenti in genere in piccole percentuali (0-5% w/w), nonostante ciò possono rappresentare una frazione rilevante dei costi di produzione.

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Vi sono additivi a basso peso molecolare, ma più spesso si tratta di specie polimeriche, frequentemente dotate di carica, che esplicano la loro funzione venendo adsorbiti sulla superficie o nei pori delle fibre. Quelli usati per modificare le proprietà di massa sono normalmente aggiunti alla sospensione umida, mentre le proprietà superficiali possono essere influenzate con trattamenti che seguono la formazione del foglio ed il processo di asciugatura: presse di collatura, immersione del foglio in una soluzione dell’additivo, spray, schiume. Da sottolineare che nella maggior parte dei casi non vengono stabiliti veri e propri legami covalenti tra la pasta di cellulosa o il foglio di carta ed i differenti composti chimici utilizzati, mentre risultano fondamentali le interazioni ioniche superficiali ed i legami a idrogeno.

Le fibre di cellulosa presentano normalmente carica superficiale negativa a causa della presenza di gruppi acidi introdotti durante i processi di delignificazione e sbiancatura. Questi possono essere gruppi carbossilici (─COOH) ed anche gruppi solfonici (─SO3H) in caso di delignificazione con il processo “al solfito”. Il carattere

anionico della cellulosa determina una significativa affinità nei confronti di specie cationiche e molti additivi sono appunto prodotti in forma cationica in modo da massimizzare la loro ritenzione. In particolare polielettroliti sono ampiamente utilizzati per assistere la ritenzione di fibre, cariche ed altri additivi di natura anionica e per l’incremento della resistenza a secco e ad umido. Si rimanda ad alcuni riferimenti per una trattazione più completa delle diverse funzioni e dei tipi di additivi nella produzione della carta [9,10].

Formazione del foglio

Il processo di formazione di un foglio di carta corrisponde essenzialmente ad una veloce filtrazione che vede la distribuzione di una sospensione acquosa di fibre su una rete molto sottile di materiale metallico o plastico. Attraverso questa rete la sospensione viene parzialmente essiccata a formare inizialmente un intreccio di fibre ad elevato contenuto di umidità. Nonostante vi siano numerose variazioni sul principio di fondo, la macchina Fourdriner (raffigurata in modo schematico di seguito, fig.1.11) rappresenta un sistema ben consolidato per l’ottenimento di tale intreccio di fibre.

(18)

Fig.1.11: Sezione di formazione del foglio di una macchina per la produzione della carta

A seguito del processo di formazione si ha un contenuto di umidità pari a circa l’85% e la rete di fibre ottenuta possiede la resistenza fisica sufficiente da poter essere trasferita ad elevata velocità verso la pressa. A questo livello la struttura del foglio viene consolidata attraverso l’espulsione fisica dell’acqua racchiusa, fino ad un contenuto medio del 65%. Segue la sezione di essiccamento che avviene su cilindri riscaldati con vapore e porta all’ottenimento del prodotto finale.

1.2.3 M

ATERIALI CARTACEI

:

PROPRIETÀ MECCANICHE

Con particolare riferimento ad un foglio di carta si può parlare di un materiale di spessore variabile costituito da reti distese di fibre, in quanto giacciono prevalentemente sul piano del foglio, risultando di fatto ortogonali alla direzione z.

Il modello di riferimento per la distribuzione delle fibre sul piano x-y è quello casuale. Questo tipo di distribuzione determina chiaramente delle zone di maggiore o minore densità che influenzano le proprietà meccaniche (e non solo) del prodotto finito, ma rappresenta comunque un buon obbiettivo strutturale nella produzione della carta. Altre caratteristiche fondamentali nello sviluppo delle proprietà meccaniche sono: la capacità delle fibre di formare legami tra loro lungo le aree di contatto e la resistenza

(19)

intrinseca delle fibre stesse. Queste caratteristiche vengono variamente influenzate dai diversi trattamenti descritti in precedenza.

Il modello descrittivo maggiormente avvalorato da dati sperimentali per ciò che riguarda la resistenza meccanica della carta considera infatti la combinazione di legami tra le fibre lungo le superfici di contatto e la resistenza intrinseca delle fibre, come è rappresentato schematicamente in figura (fig.1.12).

Fig.1.12: Rappresentazione delle forze agenti sulla “rete” di fibre sul piano x-y.

Per quanto riguarda in particolare le interazioni interfibra, si tratta prevalentemente di

legami a idrogeno multipli che si instaurano nel momento in cui viene sottratta acqua dalla sospensione umida in corrispondenza della formazione del foglio. In realtà il problema della natura dei legami interfibra è stato ampiamente dibattuto per anni e la centralità dei legami idrogeno è stata confermata da esperimenti di deuterazione (che mostrano percentuali da 0,4% a 2% di gruppi –OH legati in più nella carta rispetto a fibre non legate) e da esperimenti di formazione del foglio in mezzi non acquosi che portano a prodotti con minore resistenza alla trazione. Risulta infatti estremamente importante il

(20)

ruolo dell’acqua, data la sua elevata tensione superficiale, affinché le fibre possano trovarsi ad una distanza di pochi nanometri, tale da rendere possibile la formazione di legami idrogeno. Per comprendere questo si può considerare che la differenza di pressione tra due superfici separate da un film di spessore x è data da

=

p

x

2

σ

dove σ è la tensione superficiale dell’acqua. La diminuzione dello spessore del film d’acqua porta ad una elevata differenza di pressione che permette alle fibre di raggiungere la distanza relativa necessaria per la formazione di legami a idrogeno. Ad ogni modo non risulta ancora chiaro quali siano precisamente le specie chimiche coinvolte nei legami idrogeno. Pare che oltre ai numerosi gruppi ossidrilici presenti sulle catene cellulosiche siano coinvolte anche le emicellulose e comunque il trattamento meccanico di refining svolge un ruolo primario nella capacità delle fibre di formare legami.

Nell’analisi della resistenza meccanica presenta una rilevanza significativa anche il contenuto residuo di umidità, in quanto l’acqua va a competere per i siti in grado di dare legami idrogeno portando ad una progressiva perdita di tenacia all’aumentare dell’umidità relativa (fig.1.13).

(21)

Le proprietà meccaniche dei prodotti cartacei restano comunque legate alla resistenza intrinseca delle fibre e ciò è dimostrato dal fatto che la resistenza alla trazione risulta essere una funzione lineare del numero di fibre che vanno incontro a rottura durante il test.

Riassumendo possiamo dire che un analisi dettagliata delle proprietà meccaniche della carta risulta assai complessa e che in generale esse dipendono da numerosi fattori:

Natura delle fibre (grado di cristallinità, grado di polimerizzazione) Resistenza delle fibre

Distribuzione delle fibre sul piano Entità dei legami a idrogeno tra le fibre

variabili strettamente connesse tra loro ed influenzate significativamente dai trattamenti di delignificazione, sbianca, refining, aggiunta di additivi.

Da sottolineare infine che le proprietà meccaniche dei prodotti cartacei sono caratterizzate da anisotropia direzionale, in quanto la maggior parte delle fibre tendono ad allineare il loro asse parallelamente alla direzione in cui la sospensione fluisce lungo la macchina. Infatti la risposta allo stiramento nella direzione di macchina e nella direzione ad essa perpendicolare presentano profili differenti.

1.2.4

I

NTRODUZIONE ALLE TECNICHE DI MODIFICA DI

CELLULOSA

,

CARTA ED ALTRI MATERIALI A BASE DI

CELLULOSA

Come già descritto, esiste un’ampia gamma di additivi utilizzati nella fabbricazione della carta per migliorare l’efficienza del processo di formazione del foglio (ritentivi, flocculanti, disperdenti) e per impartire allo stesso specifiche proprietà e nella maggior parte dei casi non vengono stabiliti veri e propri legami covalenti tra la pasta di cellulosa o il foglio di carta ed i differenti composti chimici utilizzati, mentre risultano fondamentali le interazioni ioniche superficiali ed i legami a idrogeno (cft.§1.2.2).

(22)

Le metodologie convenzionali di modifica chimica della cellulosa che verranno trattate in seguito hanno invece interessato solo in parte i materiali cartacei e più propriamente sono riferite a prodotti dell’industria tessile basata sul cotone o cellulosa di varia origine modificata attraverso l’innesto di catene polimeriche o molecole a basso peso molecolare, al fine di alterare diverse proprietà del substrato come: resistenza agli urti, all’abrasione e all’usura, elasticità, repellenza ad acqua e/o a grassi, attività antibatterica, ecc. I prodotti di tali modifiche hanno suscitato particolare interesse nell’ambito dei materiali a matrice sintetica caricati con fibre naturali, in cui l’innesto di catene macromolecolari sintetiche è sfruttato per cercare di superare i comuni problemi di incompatibilità all’interfaccia tra le due fasi.

1.3 C

OPOLIMERIZZAZIONI AD INNESTO

(

GRAFTING

)

SU CELLULOSA

[11], [12]

Un copolimero ad innesto può essere definito come un materiale polimerico contenente una catena principale, lineare o ramificata, omo- o co-polimerica (oppure un substrato di natura inorganica) sulla quale vengono accresciute o legate in un successivo atto reattivo della catene laterali. Si parla di innesto di catene macromolecolari anche riguardo all’accrescimento di queste su superfici planari o di particelle sferiche.

A seconda dell’approccio sintetico si possono distinguere differenti processi di copolimerizzazione ad innesto (o grafting):

Grafting “from” → polimerizzazione di catene laterali a partire da un macroiniziatore contenente funzionalità pendenti.

Grafting ”through” → processi di omo- o co-polimrerizzazione di un macromonomero.

Grafting “onto” → processi in cui macromolecole preformate sono connesse alla catena principale a seguito di un successivo atto reattivo.

Da sottolineare comunque che in letteratura è spesso utilizzata indistintamente l’espressione “innesto su” (grafting “on” o “onto”).

(23)

Nell’ immagine sottostante sono raffigurati schematicamente i processi di grafting “from” e grafting “through” (fig.1.14).

Fig.1.14: Rappresentazione schematica di processi di tipo grafting “from” e grafting “through”.

Lo scopo principale della sintesi di copolimeri ad innesto è quello di modificare il substrato in modo tale che vengano ritenute (totalmente o in parte) le sue proprietà e si possano aggiungere le proprietà delle catene laterali innestate. Ciò è di particolare interesse per i polimeri di origine naturale come polisaccaridi, polinucleotidi e acidi polinucleici: materie prime ampiamente disponibili, rinnovabili, economiche, biodegradabili, ma che spesso presentano proprietà poco versatili.

I processi di copolimerizzazione ad innesto su cellulosa portati avanti negli ultimi decenni sono prevalentemente di tipo grafting “onto” o grafting “from”. Di seguito verranno descritte sommariamente le caratteristiche generali di tali processi.

Innanzitutto si deve sottolineare che di solito esclusivamente le zone amorfe di fibre di cellulosa semicristallina sono soggette a reazioni di grafting e solo cellulosa largamente rigonfiata può vedere coinvolte le zone cristalline. Per questo rivestono un’importanza primaria nella razionalizzazione dei risultati di reazioni di innesto: il tipo materia prima (origine della cellulosa, peso molecolare, grado di cristallinità) e il tipo di trattamento preliminare (rigonfiamento in diversi solventi, trattamenti meccanici, ecc.) a cui queste sono sottoposte che può portare a diversi gradi di rigonfiamento o parziale decristallizzazione del polisaccaride.

(24)

Processi di tipo grafting “onto”

Numerose reazioni chimiche sono state utilizzate per legare polimeri o piccole molecole su fibre di cellulosa. Nella maggior parte dei casi viene sfruttata la nucleofilicità dei numerosi gruppi ossidrilici presenti sulla superficie delle fibre in reazioni di condensazione ed addizione.

Di seguito vengono elencati gli agenti di coupling maggiormente utilizzati.

Specie contenenti gruppi metilolo (CH2-OH)

Molecole o macromolecole contenenti gruppi CH2-OH attivati possono reagire con i

gruppi OH della cellulosa, in presenza di catalizzatori acidi, a formare stabili legami covalenti con il polisaccaride (fig.1.15). Gruppi reattivi ammidometilolo, ottenibili per reazione di ammidi con formaldeide, sono stati ampiamente usati per l’innesto di molecole su cotone in modo da impartire differenti proprietà [13] [14].

Fig.1.15: Innesto tramite reazione di gruppi CH2─OH

Specie contenenti gruppi isocianato

Gli isocianati sono gruppi funzionali ben noti per la loro reattività nei confronti di specie nucleofile recanti idrogeni attivi. Essi reagiscono in condizioni blande con i gruppi ossidrilici della cellulosa e sono utilizzati per l’innesto di polimeri o piccole molecole su cotone [15], legno e fibre di cellulosa [16] (fig.1.16).

(25)

Fig.1.16: Innesto di specie contenenti gruppi isocianato.

Derivati triazinici

La s-Triclorotriazina è significativamente utilizzata per la sintesi di additivi utilizzati nell’industria tessile del cotone [17] [18] [19] [20]. Derivati triazinici possono reagire con gruppi nucleofili come –OH, ─SH e –NHx in soluzione basica ad 80°C a formare

legami covalenti stabili [21] (fig.1.17).

Fig.1.17: Innesto su cellulosa sfruttando la reattività di derivati triazinici.

Organosilani

Gli alcossisilani non sono in grado di reagire direttamente con i gruppi ossidrilici della cellulosa. Essi in primo luogo vanno incontro ad idrolisi in ambiente acquoso, quindi i risultanti silani idrolizzati possono adsorbirsi sulla superficie della cellulosa grazie alla formazione di legami a idrogeno. La condensazione di silanoli tra loro e con i gruppi – OH della cellulosa a dare legami Si-O-Si e Si-O-C può avvenire soltanto ad elevata temperatura ed i legami Si-O-C sono comunque sensibili a successiva idrolisi. Ad ogni modo la rete di legami Si-O-Si appare preservare la superficie modificata dall’idrolisi dei legami Si-O-C [22] [23] [24] (fig.1.18).

(26)

Fig.1.18: Innesto su cellulosa a partire da organosilani.

Derivati anidridici

Polimeri recanti funzionalità anidridiche possono essere innestati su fibre di cellulosa ancora per reazione con i gruppi ossidrilici (fig.1.19). Questi processi vengono sfruttati ad esempio nella produzione di compositi rinforzati con fibre naturali per incrementare l’adesione superficiale tra la matrice polimerica e la carica (filler).

Fig.1.19: Innesto su cellulosa sfruttando la reattività di gruppi anidridici.

Metodi non convenzionali di funzionalizzazione della cellulosa sono stati riassunti in modo esauriente da Heinze [25].

(27)

Processi di tipo grafting “from”

I processi maggiormente utilizzati per l’innesto di catene macromolecolari con tecniche di tipo grafting “from” sono rappresentati da polimerizzazioni radicaliche convenzionali.

Le fasi di inizio per sistemi di questo tipo possono corrispondere a reazioni redox o reazioni di trasferimento di catena che coinvolgono il substrato o ancora si può avere la formazione di radicali a seguito di irraggiamento con radiazioni di opportuna energia. In ognuno di questi casi ha luogo la formazione di omopolimero.

Nell’analisi generale di questo tipo di processi si deve considerare (oltre a quanto già detto in merito ai parametri che influenzano l’accessibilità della cellulosa) che differenti specie chimiche presenti assieme alla cellulosa, quali lignine, emicellulose o sostanze cosiddette “incrostanti” (cere, grassi, resine, proteine, sostanze minerali, ecc...) possono interferire con le reazioni d’inizio e propagazione, ad esempio partecipando a processi di trasferimento o termine di catena. È stato altresì documentato che in alcuni casi le lignine non determinano effetti negativi e possono esse stesse fornire siti d’inizio per il grafting [26].

Innesto a seguito di irraggiamento[27]

Una radiazione ionizzante che interagisce con la cellulosa può dare origine a radicali liberi in accordo con due processi generali:

1) L’energia della radiazione viene selettivamente assorbita da gruppi cromoforici presenti sul substrato. Questo è il caso ad esempio dei gruppi carbonilici nei confronti della radiazione UV.

2) L’energia della radiazione viene assorbita in modo casuale dal substrato a livello dei siti di collisione con i fotoni ad alta energia. Questo è il caso appunto delle radiazioni ad elevata energia, come raggi-γ, plasma, elettroni accelerati.

In entrambi i casi l’assorbimento può generare una grande quantità di radicali e quindi causare la depolimerizzazione della cellulosa tramite processi ossidativi.

La radiazione UV può essere utilizzata in presenza di un agente fotosensibile che agisce da accettore primario della radiazione. Come conseguenza dell’assorbimento, le specie fotoeccitate possono generare radicali liberi i quali sono poi trasferiti alle fibre di

(28)

cellulosa. Ad ogni modo l’agente fotosensibile può agire da iniziatore portando alla formazione di omopolimero. La presente tecnica viene usata per la ricopertura di cotone con polimeri sintetici.

Di significativo interesse risultano i recenti studi condotti sul grafting di monomeri acrilici su materiali tessili a base di cellulosa, preventivamente ossidati per l’introduzione di gruppi carbossilici e carbonilici da sfruttare come agenti fotosensibili. In queste condizioni è possibile limitare la depolimerizzazione del substrato con brevi tempi d’irraggiamento, ottenendo buone rese di innesto, nonostante risulti inevitabile la formazione di omopolimero. La scelta appropriata dei monomeri potrebbe portare ad incrementi delle proprietà meccaniche, della stabilità termica e della resistenza di questi materiali ad agenti chimici o biologici [28, 29].

Reazioni di innesto iniziate da sistemi redox

Quattro sistemi redox sono stati ampiamente studiati in merito al grafting di monomeri vinilici su cellulosa: ioni per solfato[30], idroperossidi/ioni Fe(II) [31,32], ioni Ce(IV) [33] e ioni Mn(III) [11,34].

Ioni persolfato:

Ioni persolfato in soluzione acquosa decompongono per riscaldamento a ioni radicali solfato i quali possono reagire con acqua o con substrati contenenti gruppi OH:

S2O82- → 2 SO4¯·

SO4¯· + H2O → HSO4¯ + HO·

SO4¯· + R-CH2-OH → HSO4¯ + R-ĊH-OH

La velocità di decomposizione dello ione persolfato è aumentata dalla presenza di alcoli a basso peso molecolare e un polialcol ad elevato peso molecolare come la cellulosa può reagire in modo analogo.

(29)

I radicali ossidrilici generati nelle reazioni sopra indicate possono estrarre un idrogeno dal substrato e dare inizio all’innesto oppure addizionarsi ad un monomero vinilico, dando inizio all’omopolimerizzazione:

HO· + Cell-H → H2O + Cell·

Cell· + nM → Cell-Mn-1M·

HO· + nM → HO- Mn-1M·

Idroperossidi / ioni Fe(II):

Una tipica reazione di ossidoriduzione utilizzata per l’inizio di processi di grafting è

la decomposizione di perossido di idrogeno ad opera di ioni Fe2+ [31]:

H2O2 + Fe2+ → OH¯ + HO· + Fe3+

I radicali HO· formati, come già visto, possono estrarre un atomo di idrogeno dalla superficie delle fibre creando siti d’inizio per l’innesto di catene macromolecolari in presenza di monomeri vinilici. Gli stessi radicali possono inoltre dare inizio all’omopolimerizzazione, quindi anche in questo caso non abbiamo a che fare con un sistema che fornisce in modo selettivo prodotti di grafting. L’efficienza dell’innesto può essere comunque incrementata attraverso la scelta di opportune condizioni di reazione, come ad esempio un’elevata concentrazione iniziale di H2O2 e ioni Fe2+ o un’elevata

concentrazione di monomero. È inoltre noto che la presenza di ioni Fe3+ risulta negativa per il grafting in quanto questi ioni possono reagire con i macroradicali formatisi sul substrato, riducendo il numero dei siti attivi per l’innesto [32]. Grazie all’aggiunta di agenti riducenti alla miscela è stato possibile aumentare in parte la velocità di reazione e la resa di grafting [34,11]. Infine si nota che in questi sistemi i monomeri maggiormente reattivi (come etilacrilato) risultano più efficienti per l’innesto rispetto a monomeri meno reattivi (come vinilacetato) [35].

Un altro sistema redox interessante per reazioni di innesto è quello formato da idroperossido di cumene e ioni Fe2+. Il metodo basato su questa coppia redox è stato sviluppato da Simionescu ed i suoi collaboratori [36] per il grafting di acrilonitrile ed

(30)

isoprene su fibre di rayon a bassa temperatura (20-40°C) e tempi di reazione molto lunghi (maggiori di 100 ore), con condizioni ottimali di pH tra 3 e 7.

Perossiacidi quali l’acido peracetico si sono dimostrati attivi come iniziatori in reazioni di copolimerizzazione ad innesto di monomeri vinilici (come metil metacrilato e 4-vinilpiridina) su legno e fibre di cellulosa in condizioni relativamente blande (60°C, 1-3 ore) [1-37] e lo stesso sistema è stato utilizzato per il grafting su fibre di rayon e cellophane [38]. Un vantaggio sta nella possibilità di utilizzare questa tecnica su substrati contenenti lignina anche in percentuali significative, come paste di cellulosa (pulp) o lo stesso legno. Infatti pare che l’acido peracetico vada ad ossidare gli OH fenolici della lignina, i quali possono in genere ritardare o inibire la crescita delle catene per via radicalica. Le reazioni inizialmente coinvolte sono la formazione in situ di acido peracetico e la scissione omolitica del legame perossidico secondo lo schema:

CH3-COOH + H2O2 → CH3-(CO)-OOH + H2O

CH3-(CO)-OOH → CH3-(CO)-O· + HO·

I radicali ossidrile ed acetossile si comporteranno analogamente a quanto descritto per i precedenti metodi nei confronti del substrato e del monomero.

Questa tecnica è stata ulteriormente sviluppata da Hatakeyama [39] che ha combinato l’acido peracetico a ioni Fe2+ a dare un sistema redox in cui partecipa anche la seguente reazione:

CH3-(CO)-OOH + Fe2+ → CH3-(CO)-O· + Fe3+ + HO¯

In questo modo i radicali ossidrilici, principali responsabili dell’inizio dell’omopolimerizzazione (come visto per le altre tecniche) sono ridotti a ioni OH¯ in modo da ottenere un sistema maggiormente selettivo nei confronti del grafting. Nonostante questo risulta inevitabile la formazione di quantità significative di omopolimero.

(31)

Ioni Ce(IV) :

Ioni di metalli di transizione come Ce, Co, Fe, Mn, ecc. sono in grado di ossidare più o meno selettivamente polisaccaridi, producendo intermedi macroradicalici che possono dare inizio a reazioni di innesto di monomeri vinilici attraverso i meccanismi già citati. In questo caso i sistemi redox non producono necessariamente radicali a basso peso molecolare, responsabili della formazione di omopolimero, come per gli iniziatori precedentemente descritti. Di fatto però reazioni di ossidazione del monomero o altre reazioni collaterali determinano una inevitabile riduzione della resa di grafting, in favore della produzione di omopolimero.

In particolare sistemi d’inizio a base di ioni Ce(IV) in ambiente acido, a temperature moderate, sono stati ampiamente sfruttati per l’innesto di monomeri vinilici su polisaccaridi [40] [41] [42] grazie all’elevata efficienza di grafting dimostrata [43].

Il meccanismo prevede innanzitutto la coordinazione dello ione Ce(IV) da parte dei gruppi ossidrilici sui carboni C2 e C3 dell’anello piranosico della cellulosa come mostrato

di seguito.

O

OH

O

O

HO OH Ce (IV)

Quindi si ha l’ossidazione del substrato con rottura del legame C2-C3 e formazione di

macroradicali (fig.1.20) attivi quali siti d’inizio per il grafting [44]. Parallelamente il metallo si riduce a Ce(III). In assenza di monomero la reazione prevede essenzialmente l’ossidazione dell’anello piranosico a specie dialdeidica [45].

(32)

O CH CH OH O O OH OH Ce(IV) O CH CH OH O O O O H H Ce(IV) OH O C O O O Ce(III) H H OH

.

H

Fig.1.20: Meccanismo di inizio ipotizzato per reazioni di innesto iniziate da ioni Ce(IV)

È ragionevole pensare che anche la rimozione di idrogeno dai gruppi ossidrilici presenti sulla superficie del substrato sia coinvolta nella fase d’inizio della reazione d’innesto.

Molti sono i parametri che influenzano le reazioni di innesto iniziate da Ce(IV) [46,47], come ad esempio il pH del mezzo di reazione, le relazioni tra concentrazione di ioni Ce(IV) e reattività del monomero, la natura dell’anione e dell’acido usati ed inoltre rivestono particolare importanza caratteristiche della cellulosa quali cristallinità, peso molecolare e grado di rigonfiamento che influenzano l’accessibilità fisica del substrato. Per questo sono stati studiati in parte anche gli effetti di diversi pretrattamenti sulla resa di grafting [48].

Ioni Mn3+:

Complessi di Mn3+ con leganti a base di fosforo sono stati descritti per la prima volta nel 1961 [11] per l’innesto di monomeri vinilici su fibre di cellulosa (in particolare su pasta di cellulosa da legno) oltre che su derivati come esteri ed eteri. Tra i diversi complessi indagati, quelli con legante pirofosfato hanno portato ai risultati migliori: efficienze di grafting molto elevate (98-99%) per l’innesto su amido [11] con basse concentrazioni di iniziatore (1-3 mmol/l), temperature moderate (30°C) e tempi di reazione tra 1 e 3 ore in ambiente acquoso acido (pH=1.5-2.0). Esperimenti analoghi condotti su fibre di cellulosa hanno portato a risultati paragonabili [11].

(33)

Il meccanismo della fase d’inizio (studiato sfruttando esperimenti modello e spettroscopia ESR [11]) appare in parte analogo a quello descritto per gli ioni Ce(IV) (fig.1.20) anche se partecipa un’altra reazione, più veloce della precedente, che vede l’ossidazione dei gruppi aldeidici a radicali alcossido. Sostanzialmente è possibile affermare che ioni Ce(IV) e Mn(III) danno inizio a reazioni di innesto con meccanismi simili, ma questi ultimi, anche in virtù di potenziali redox minori (1,5V contro 1,7V), sembrano causare meno reazioni collaterali, rappresentando di fatto sistemi d’inizio più selettivi ed efficienti.

Tutte le tecniche di grafting sopra descritte sono state utilizzate (come già indicato) per tentare di alterare diverse proprietà del substrato come: resistenza agli urti, all’abrasione e all’usura, elasticità, repellenza ad acqua e/o a grassi, attività antibatterica, ecc. ed i prodotti di grafting ottenuti hanno suscitato particolare interesse nell’ambito dei materiali a matrice sintetica caricati con fibre naturali, in cui l’innesto di catene macromolecolari sintetiche è sfruttato per superare i comuni problemi di incompatibilità all’interfaccia tra le due fasi.

Per concludere possiamo osservare che tutte le tecniche d’innesto di polimeri sintetici fin qui descritte presentano alcune caratteristiche comuni:

Durante il processo può aver luogo una parziale degradazione delle catene di cellulosa.

Si ottengono in generale M n ed indici di polidispersità elevati (>2).

In molti casi l’omopolmerizzazione risulta dominante rispetto al grafting e non sempre è semplice separare l’omopolimero dal copolimero innestato.

Le catene innestate non presentano terminali attivi per successive fasi d’innesto e ciò rende impossibile l’ottenimento di copolimeri a blocchi.

Negli ultimi anni sono stati portati avanti anche alcuni esperimenti riguardanti l’innesto di polimeri sintetici su cellulosa attraverso tecniche di polimerizzazione radicalica controllata/vivente, i quali consentono in generale di ottenere macromolecole aventi grado di polimerizzazione, composizione, struttura e funzionalità ben definite, con

(34)

indici di polidispersione prossimi all’unità. Una particolare tecnica di polimerizzazione controllata la polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico (ATRP) sarà presa in esame nel paragrafo successivo, con particolare riferimento alle sue applicazioni nelle tecniche di grafting.

1.4 P

OLIMERIZZAZIONE

RADICALICA

A

TRASFERIMENTO ATOMICO

(ATRP)

La polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico (ATRP) rappresenta una delle recenti tecniche di polimerizzazione radicalica controllata (CRP) introdotte negli ultimi 10-15 anni ed è di grande interesse per l’ottenimento di macromolecole aventi grado di polimerizzazione, composizione, struttura e funzionalità ben definite. Questa e le altre tecniche di polimerizzazione radicalica controllata (DT: degenerative transfer; RAFT: reversibile addition fragmentation chain transfer polymerization; NMP: nitroxide mediated polymerization; SFRP: stable free radical polymerization [49] [50]) sono basate su un equilibrio che si instaura rapidamente tra una piccola quantità di radicali in fase di accrescimento ed una frazione maggioritaria di specie cosiddetta “dormiente”(o specie inattiva).

In particolare nella tecnica ATRP la specie “dormiente” corrisponde ad un alogenuro alchilico ed i radicali sono generati nell’equilibrio cosiddetto di trasferimento atomico (schema 1): un equilibrio di ossidoriduzione, coinvolgente un opportuno complesso di un metallo di transizione, il quale estrae un atomo di alogeno dalla specie “dormiente”, ossidandosi per un elettrone. L’equilibrio è caratterizzato dalle costanti cinetiche di attivazione (kact) e disattivazione (kdeact).

(35)

kact

R-X + Mtm /Ln R* + X-Mt (m+1)/Ln

kdeact

Kp Kt

Ln = leganti polidentati a base di N, S, P, O +M

X = Br o Cl R-R / RH+R=

Schema 1.1: Equilibrio di trasferimento atomico e fasi di propagazione e termine in ATRP.

Affinché un processo di polimerizzazione risulti “vivente” è necessario che siano trascurabili reazioni di termine e trasferimento di catena e che la fase d’inizio avvenga in un tempo trascurabile rispetto all’intero processo di polimerizzazione. Questo può avvenire in un sistema ATRP se sono soddisfatte due condizioni fondamentali: l’equilibrio di trasferimento atomico deve favorire la specie “dormiente” in modo da limitare la concentrazione di radicali e quindi la velocità delle reazioni di termine (kt[R]2)

(condizione termodinamica); lo scambio tra radicali in fase di accrescimento e specie “dormiente” deve essere molto veloce in modo che le catene crescano simultaneamente limitando la polidispersità (condizione cinetica).

Le catene polimeriche si accrescono per addizione del monomero agli intermedi radicalici, analogamente a quanto avviene nella polimerizzazione radicalica convenzionale e tale processo è caratterizzato da una propria costante di propagazione kp.

Allo stesso modo possono avvenire reazioni di termine (kt) prevalentemente per

accoppiamento. Tuttavia in condizioni di buon controllo solo una piccola percentuale delle catene (non più del 5%) va incontro a terminazione durante la fase iniziale (non stazionaria) del processo, cioè durante il tempo necessario al raggiungimento delle condizioni di equilibrio. Di fatto negli istanti iniziali si hanno concentrazioni del complesso X-Mtm+1/Ln non sufficientemente elevate per assicurare una veloce

disattivazione (vdeact=kdeact[R·][X-Mtm+1/Ln]) e hanno quindi luogo reazioni di

accoppiamento con conseguente crescita della concentrazione di disattivatore (X-Mtm+1/Ln). Infatti ogni reazione di termine porta all’irreversibile formazione di due

equivalenti di disattivatore. L’accoppiamento avviene rapidamente fino a che la concentrazione di radicali non raggiunge il valore corrispondente all’equilibrio termodinamico. In queste condizioni la velocità delle reazioni di termine (kt[R·]2) risulta

(36)

molto minore rispetto a quella della reazione di disattivazione (vdeact =kdeact

[R·][X-Mtm+1/Ln]) e può aver luogo un processo di polimerizzazione controllato.

Come già detto, tipicamente solo una piccola percentuale (~5%) delle catene in fase di accrescimento va incontro a terminazione nella prima fase del processo e con l’aggiunta di piccole quantità di disattivatore (~10%) questa può essere ridotta ulteriormente, salvo possibili complicazioni legate all’insolubilità del complesso o a reazioni collaterali con il monomero.

Analogamente ad altre tecniche “viventi” di polimerizzazione il peso molecolare del polimero prodotto corrisponde all’incirca al rapporto tra quantità di monomero reagito e concentrazione di iniziatore (DPn=∆[M]/[I]0) e si ottengono distribuzioni dei pesi

molecolari relativamente strette (1.0< M w / M n <1.5).

Di seguito verranno descritte le caratteristiche peculiari dei componenti di tipici sistemi ATRP.

MONOMERI. Un’ampia varietà di monomeri sono stati polimerizzati con successo attraverso questa tecnica: stirene e derivati, (met)acrilati, (met)acrilammidi, dieni, acrilonitrile ed altri monomeri contenenti dei sostituenti in grado di stabilizzare i radicali in fase di propagazione.

A parità di altre condizioni (sistema catalitico, temperatura, composizione) ogni monomero possiede una propria costante di equilibrio tra specie “dormiente” e specie attiva e di fatto il prodotto tra la costante di propagazione kp e la costante di equilibrio

keq= kact/kdeact determina essenzialmente la velocità di polimerizzazione che,

considerando trascurabile il contributo delle reazioni di termine ed il veloce raggiungimento delle condizioni di equilibrio può essere indicata come segue (con riferimento allo schema 1) :

Rp= kp [M][R·] = kp keq [M][I]0 × [Mt m/Ln]/[ X-Mt m+1/Ln]

con [I]0 = concentrazione di iniziatore al tempo zero.

La velocità di reazione risulta estremamente bassa se la costante termodinamica dell’equilibrio di trasferimento atomico non è sufficientemente elevata. Questa è presumibilmente la ragione principale per cui monomeri meno reattivi come olefine, alcheni alogenati, vinil acetato non sono stati polimerizzati con successo tramite ATRP.

(37)

INIZIATORI. Il ruolo principale dell’iniziatore è quello di determinare il numero delle catene polimeriche in crescita. Infatti, se la fase d’inizio è rapida e le reazioni di trasferimento e termine trascurabili, il numero delle catene in crescita è costante e pari alla concentrazione iniziale di iniziatore. In generale ogni alogenuro alchilico (R-X) con sostituenti attivanti sul carbonio alfa (ad esempio gruppi arilici, carbonilici o allilici) rappresenta un potenziale iniziatore ATRP. In particolare sono stati utilizzati alcani alogenati, alogenuri benzilici, alfa-aloesteri, chetoni e nitrili, solfonil alogenuri. Per ottenere polimeri con distribuzione ristretta dei pesi molecolari l’atomo di alogeno (X) deve migrare rapidamente e selettivamente tra le catene in accrescimento e il complesso del metallo di transizione (confronta schema 1). Ad oggi i migliori risultati di controllo sul peso molecolare sono stati ottenuti con bromuri e cloruri.

Per la scelta di un iniziatore adatto è necessario considerare sia l’influenza della parte alchilica (fattori sterici ed elettronici), sia la reattività del legame C-X. Il tutto in relazione alle caratteristiche del sistema catalitico e del monomero in modo tale da avere una fase d’inizio estremamente rapida rispetto alla propagazione e minimizzare le reazioni collaterali.

Da sottolineare che possono essere sintetizzati iniziatori variamente funzionalizzati, utilizzabili per ottenere architetture macromolecolari differenti: copolimeri “a stella”, a “pettine”, diversamente ramificati. Infine, come verrà ampiamente discusso in seguito, è possibile ottenere macroiniziatori per la sintesi di copolimeri a blocchi o ad innesto attraverso l’immobilizzazione dell’iniziatore su specie macromolecolari.

CATALIZZATORI. Il catalizzatore rappresenta il componente chiave del sistema ATRP dal momento che determina la posizione dell’equilibrio di trasferimento atomico e le dinamiche dello scambio tra specie “dormiente” e specie attiva. Ci sono numerosi prerequisiti per disporre di un efficiente complesso catalitico. Innanzitutto il centro metallico deve avere almeno due stati d’ossidazione facilmente accessibili che differiscano per un elettrone. Quindi il centro metallico dovrà avere una ragionevole affinità nei confronti dell’alogeno ed il legante dovrà complessare il metallo in modo significativo. Molti complessi di metalli di transizione (Cu, Mo, Cr, Ru, Fe, Ni, Pd) sono stati studiati come catalizzatori ATRP. I catalizzatori a base di rame risultano molto

(38)

vantaggiosi in termini di versatilità e costi. I leganti utilizzati (trattati di seguito) sono specie polidentate a base di azoto, fosforo, zolfo o ossigeno.

LEGANTI. I ruoli principali del legante sono quelli di solubilizzare il sale del metallo di transizione nel mezzo organico ed “indirizzare” il potenziale redox del centro metallico verso il valore più appropriato per le dinamiche dell’equilibrio di trasferimento atomico. Il legante può risultare anche più importante dello stesso centro metallico in quanto permette di modulare in modo fine la reattività e la selettività del complesso nei confronti della reazione di trasferimento mono-elettronico, necessaria per l’ATRP, sfavorendo processi di-elettronici. Gli effetti dei leganti e le linee guida per le loro caratteristiche sono stati ampiamente revisionati in letteratura [51]. Leganti polidentati azotati (fig.1.21) risultano i più adatti per quanto riguarda i catalizzatori a base di rame. La loro attività nei sistemi catalitici per ATRP diminuisce in generale con il numero di siti coordinanti N4 > N3 > N2 >> N1 e con il numero di carboni che li collegano C2 > C3 >> C4.

Fig.1.21: Esempi di leganti usati per catalizzatori ATRP a base di rame.

SOLVENTI. Processi di polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico possono essere condotti in massa, in soluzione o in fase eterogenea. Svariati solventi come benzene, toluene, anisolo, difenil etere, acetato d’etile, dimetilformammide (DMF), alcoli, acqua e molti altri, sono stati utilizzati con differenti monomeri e sistemi catalitici.

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È necessario in ogni caso fare in modo che siano minimizzate le reazioni di trasferimento di catena ad opera del solvente, l’eventuale avvelenamento del catalizzatore da parte dello stesso, nonché reazioni collaterali assistite dal solvente, come l’eliminazione di HX che è favorita in solventi polari.

Date le enormi potenzialità della tecnica ATRP, negli ultimi anni essa è stata utilizzata per la sintesi di materiali polimerici aventi caratteristiche differenti e modulabili (schema 2) dal punto di vista della composizione (omopolimeri, copolimeri statistici, a blocchi, a gradiente, ad innesto), della topologia (polimeri lineari, a stella, a pettine, reticolati, ramificati), della funzionalità (macromolecole α,ω- difunzionalizzate, macromonomeri, specie ramificate con funzionalità terminali multiple, catene laterali funzionalizzate) e per ottenere vari tipi di compositi, come ibridi tra specie inorganiche e biopolimeri, copolimeri ad innesto da superfici, funzionalizzazione di materiale colloidale.

Schema 1.2: Le potenzialità della tecnica ATRP.

Di particolare interesse per il presente lavoro di tesi è la possibilità di accrescere catene polimeriche da superfici planari o particelle sferiche, legando ad esse molecole recanti gruppi iniziatori. Questo consente, in assenza di reazioni di trasferimento di catena o d’inizio per via termica, il procedere della polimerizzazione soltanto a partire da dette superfici.

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Molti gruppi di ricerca hanno lavorato in merito ad applicazioni dell’ATRP nel grafting “da” superfici (grafting ”from”, cfr.§ 1.3) come particelle di silice, wafers di silicio o superfici metalliche [52-59]; meno numerosi sono invece gli studi condotti su superfici organiche. In particolare Haddleton ed i suoi collaboratori [60] hanno riportato l’innesto di metil metacrilato (MMA) da resine Wang mentre recenti studi si sono rivolti al grafting da carta da filtro [61, 62], fibre di juta [63] e polvere di cellulosa [64].

Le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato che un semplice adattamento delle condizioni di omopolimerizzazione mediante ATRP a sistemi di questo tipo può portare ad un controllo non ottimale della crescita delle catene dalla superficie. L’aggiunta di iniziatore libero (cosiddetto iniziatore “sacrificale”) alla miscela di reazione permette di ristabilire le condizioni ottimali di controllo, aumentando la concentrazione totale di iniziatore. Infatti in questo modo è presumibile che siano alcune reazioni di coupling in soluzione a consentire il rapido raggiungimento della concentrazione di equilibrio per il disattivatore (X-Mt m+1/Ln). Gli stessi studi hanno altresì mostrato che risultati analoghi si

possono ottenere inserendo inizialmente una piccola quantità di disattivatore, evitando così la formazione di omopolimero [65, 66]. La tecnica ATRP ha consentito inoltre la sintesi di copolimeri a blocchi da superfici solide [65, 67-72].

Con particolare riferimento alla cellulosa, la tecnica ATRP è stata utilizzata, come detto, per l’innesto dalla superficie di carta da filtro (Whatman #1). In una prima fase i gruppi –OH accessibili sulla superficie vengono fatti reagire opportunamente con 2-bromoisobutirril bromuro a dare gruppi bromo-estere terziari, iniziatori attivi nelle polimerizzazioni di monomeri acrilici e metacrilici. Quindi vengono innestati, utilizzando tipici sistemi ATRP, un blocco di poli(metil acrilato) (PMA) e successivamente uno di poli(idrossietil metacrilato) (PHEMA), dimostrando la possibilità di intervenire sulle caratteristiche di idrofobicità ed idrofilicità della superficie della carta attraverso tecniche di grafting controllate [61]. In un successivo studio sono state accresciute catene macromolecolari di poli[2-(dimetilammino)etil metacrilato] (PDMAEMA) a partire dallo stesso substrato e a seguito di una fase di “immobilizzazione dell’iniziatore” analoga alla precedente. I gruppi amminici terziari presenti sulle catene sono stati quaternarizzati in un successivo atto reattivo, dimostrando la possibilità di innestare sulla superficie della carta polimeri con caratteristiche antibatteriche utilizzando la tecnica ATRP [62]. Infine un approccio reattivo del tutto

(41)

simile è stato seguito per l’innesto di polistirene (PS) su fibre di iuta, allo scopo di incrementare la compatibilità tra matrice polimerica sintetica e fibre naturali in compositi PS-fibre [63]. Questo studio ha evidenziato problemi legati all’uniformità della modifica mediante grafting che possono riguardare sia la fase di “immobilizzazione dell’iniziatore”, sia la successiva polimerizzazione mediante ATRP.

A partire da queste conoscenze, nel presente lavoro di tesi sono state utilizzate, quale substrato per l’innesto di catene macromolecolari mediante ATRP, fibre di cellulosa da legno (pasta di cellulosa ottenuta a seguito del processo Kraft di delignificazione e parziale refining cfr.§1.2.2 ) e carta da filtro Whatman n°1.

1.5 I

L SISTEMA CATALITICO

Cu(I)Br-Me

6

TREN

Come descritto nel paragrafo precedente, il catalizzatore rappresenta il componente chiave per polimerizzazioni secondo il metodo ATRP, dal momento che determina la posizione dell’equilibrio di trasferimento atomico e le dinamiche dello scambio tra specie “dormiente” e specie attiva. La reattività di un sistema catalitico può essere modulata in generale variando il legante, il controione, o lo stesso centro metallico. Un fattore altrettanto importante per ottenere un’elevata attività catalitica e buone condizioni di controllo in una polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico è la reattività dei terminali C-X della specie “dormiente” che dipende, oltre che dalla natura dell’alogeno, dal grado di sostituzione dell’atomo di carbonio e quindi dal tipo di monomero utilizzato. Per completezza bisogna considerare infine la polarità del monomero e del mezzo di reazione. Tutte queste variabili influenzano infatti la costante dell’equilibrio di trasferimento atomico (keq), definita come il rapporto tra costante di attivazione (kact) e

costante di disattivazione (kdeact) (cft.schema1).

Di conseguenza per la scelta di un opportuno sistema catalitico per ATRP devono essere considerate congiuntamente le caratteristiche del legante e dei suoi complessi con Cu(I) e Cu(II), l’entità delle interazioni Cu-alogeno, nonché la stabilità dei terminali C-alogeno della “specie dormiente”. Di seguito si porrà l’attenzione su catalizzatori a base di alogenuri di rame con leganti azotati (i sistemi più utilizzati).

Figura

figura 1.22, con particolare riferimento alla polimerizzazione di metil acrilato, esiste una  evidente  correlazione  tra  i  potenziali  redox  dei  complessi  catalitici  e  la  cinetica  di  polimerizzazione ATRP

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