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Capitolo 1 La misura della distanza oggi e nel passato

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

La misura della distanza oggi e nel passato

1.1 Misurare una distanza

Il presente lavoro di tesi si occupa di strumenti che misurano le distanze lineari. Prima di affrontare lo studio di tali strumenti e delle metodologie da essi adoperate, viene spontaneo domandarsi cosa vuol dire misurare.

Misurare è un’esigenza dell’uomo che nel relazionarsi col mondo circostante ha la necessità di quantificare i fenomeni che osserva.

Misurare significa confrontare una grandezza con un campione e determinare quante volte la prima è contenuta nel secondo o viceversa.

Ovviamente parlando della misura di una distanza tra due punti il campione al quale noi ci riferiamo è, nel sistema M.K.S., il campione di lunghezza, ovvero il metro. Infatti la lunghezza è una grandezza fondamentale del Sistema Internazionale, la cui unità di misura è il metro.

Ora ci chiediamo cos’è l’oggetto delle nostre misure, ovvero cos’è la distanza. In geometria euclidea la distanza tra due punti è, appunto, la lunghezza del segmento che li separa.

Questa è la cosiddetta distanza lineare, esiste anche il concetto di distanza angolare tra due punti. Essa è l’angolo sotto il quale i due punti sono visti da un determinato punto di osservazione e, ovviamente, dipende da quest’ultimo. Questo lavoro, però, si interessa solamente dei metodi per la misura della distanza lineare, anche se molti dispositvi attualmente in commercio sono in grado di misurare sia l’una che l’altra.

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1.2 Caratteristiche principali di uno strumento

Gli strumenti di misura delle distanze (ma, in generale, tutti gli strumenti di misura) si differenziano per metodologie usate, principi di base, progettazione, costi, errori, problemi, ecc.

La valutazione di uno strumento dal punto di vista scientifico si fa considerando alcune caratteristiche, alcuni indicatori, che ci permettono di raffrontare strumenti di concezione e metodi di misura completamente diversi.

Alcuni di questi indicatori sono il fondoscala, la risoluzione, la sensibilità, l’errore, l’accuratezza, la precisione.

Ogni strumento ha un output ( una lancetta o un display digitale o altro ) dove estrinseca il risultato ottenuto dalla misura. Questo output ha, per motivi fisici, dimensioni limitate, il fondoscala è l’estensione massima dell’output, in altri termini è la differenza tra la massima e la minima distanza esprimibili dall’output. Definiamo la risoluzione come la minima frazione di fondoscala che causa una variazione osservabile dell’output dello strumento.

Si capisce, quindi, che, indipendentemente da ciò che si misura, la risoluzione è un numero puro. Per tutti gli strumenti topografici la risoluzione è un parametro importante.

Se, per esempio, abbiamo più strumenti in grado di misurare da 0 a 10 km, su due distanze di 100 m e di 100,01 m alcuni percepiscono la differenza ( hanno risoluzione 1 cm / 10 km = 1 p.p.m., 1 parte per milione ) altri danno eguale risultato.

Si capisce, credo, da questo esempio l’importanza della risoluzione.

La sensibilità ( in inglese sensitivity ) è invece la minima variazione della quantità che misuriamo che viene rilevata dallo strumento.

Come si può intuire, questa non è una grandezza adimensionale, ma ha le stesse dimensioni della grandezza che si misura, nei nostri casi il metro ( nell’esempio precedente il suo valore è cm 1 ).

Un parametro fondamentale per comprendere l’utilità, l’innovazione, i vantaggi di una data metodologia o di uno strumento è ovviamente l’errore. La definizione di

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errore è banale: l’errore ε è uguale al valore assoluto della differenza tra la quantità Q misurata e quella vera, cioè

ε = | Qmis – Qvera | . ( 1 . 1 ) Esiste un errore intrinseco che non è eliminabile perché legato alla fisica ( ad es. rumore termico ) ed uno estrinseco.

Tra i vari tipi di errore estrinseco possiamo ancora distinguere tra l’errore estrinseco sistematico e quello detto ‘ random ’. Il primo è dovuto al sistema di misura, alle metodologie usate, a come viene concepito e costruito ( spesso si evidenzia con tensioni di offset, costanti e non, ecc. ). Questo errore è quello che l’avanzare della tecnologia tende continuamente e sensibilmente a ridurre come si capirà in seguito. Il secondo è l’errore dovuti a fenomeni casuali e improvvisi, ma complessivamente eliminabili ( ad es. vibrazioni, fenomeni atmosferici, disturbi elettromagnetici, ecc. ).

Poi c’è un tipo di errore estrinseco grave dovuto a malfunzionamento di un particolare dispositivo o di una sua parte oppure dovuto al cattivo impiego o all’errato utilizzo del sistema di misura da parte dell’utente. Per ovviare a questi problemi le case produttrici, oltre a fornire, con gli strumenti, adeguati manuali d’uso, stanno effettuando, negli ultimi anni, notevoli sforzi tecnologici con lo scopo di creare interfacce tra sistema e utente in modo da rendere più semplice l’utilizzo.

L’errore di cui abbiamo parlato è quello assoluto ε. A volte viene, dalle case costruttrici dei sistemi di misura, considerato anche un altro errore, l’errore relativo

εr che si definisce come il rapporto tra l’errore assoluto e il valore vero della

quantità che noi dobbiamo misurare, ovvero:

εr = ε / Qvera. ( 1 . 2 )

Altri parametri di valutazione di un metodo di misura sono certamente l’accuratezza e la precisione.

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L’accuratezza ( che molti, erroneamente, confondono talvolta con la sensibilità e talvolta con la risoluzione ) è l’errore massimo dello strumento garantito dalla casa produttrice ( escluso, ovvio, quello estrinseco grave ). Quest’errore non sarebbe un numero puro, ma, spesso, l’accuratezza viene data non come errore assoluto, ma come errore relativo e, quindi, anch’essa riferita in p.p.m..

La precisione, invece, è il parametro che tiene conto della “ ripetibilità ” di una misura.

Definiamo Pr., la precisione della i-esima misura che operiamo:

Pr. = 1 – | (Xi – X) / Xi | ( 1 . 3 ) In questa formula X rappresenta la media dei valori ottenuti da n misure, calcolata, appunto, su n misure effettuate, mentre Xi è il valore della i-esima misura. Si vede dalla formula ( 1 . 3 ) che il valore di Pr. può variare tra 0 ed 1:

0 < Pr. < 1. ( 1 . 4 ) Nel caso in cui tutte le misure forniscono lo stesso identico risultato, la precisione è massima e Pr. = 1.

Più la precisione è alta e più noi, eseguendo un’unica ( o poche ) misure possiamo esser “ certi ” dell’esito.

Definiti il concetto di misura della distanza e i parametri importanti per orientarsi nelle applicazioni pratiche che riguardano ogni genere di misura, ora possiamo passare ad osservare i sistemi di misura veri e propri.

Iniziamo col presentare, nella successiva pagina, quello che è uno schema a blocchi descrivente un generico sistema di misura.

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SCHEMA A BLOCCHI

Ovviamente il primo blocco è il trasduttore che trasforma la quantità fisica oggetto della nostra misura in un’altra quantità fisica proporzionale che a noi risulta più agevole da misurare ( ad es. un segnale elettrico, ecc. ).

Il secondo blocco viene denominato blocco di condizionamento ed è spesso composto da attenuatori e/o amplificatori, il suo principale scopo è quello di

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adattare la dinamica del segnale che rappresenta la grandezza sotto misura alla dinamica di ingresso del blocco di elaborazione.

Il terzo blocco è la parte matematica che elabora i calcoli e fornisce un risultato, un output che, come di consueto, viene poi ( quarto ed ultimo blocco ) visualizzato all’utente su un display .

1.3 Breve storia della misura della distanza

In precedenza abbiamo parlato dell’esigenza insita nell’uomo di misurare, di quantificare, e la distanza tra due punti è stata probabilmente una delle prime cose che l’uomo preistorico ha dovuto imparare a calcolare. Gli era necessaria per valutare la possibilità di agguantare una determinata preda o per non allontanarsi eccessivamente dalla propria abitazione o, ancor di più, per scappare, trovare riparo dai pericoli con i quali il mondo circostante lo minacciava. Le prime unità di misura adottate sono state ovviamente relative a parti del corpo umano ( ad es. il braccio, il piede, il passo, ecc. ). Al di là dell’uomo preistorico i primi scritti che descrivono metodi per misurare le distanze li troviamo presso i romani. La prima unità di misura non collegabile al corpo umano è lo stadion di Eratostene ( circa i nostri 300 m ) di cui parla il grande architetto romano Vitruvio. In generale si può affermare che quasi tutti i grandi popoli del passato, cioè Babilonesi, Egizi, Arabi, Cinesi, Greci, Ebrei, avevano escogitato sistemi di misura di distanza fondati su campioni quali aste, canne, rudimentali regoli, funi, ecc.. Sia Vitruvio che Erone parlano anche dei primi odometri ( strumenti basati su una ruota che gira ) che verrano ripresi secoli avanti dal genio di Leonardo Da Vinci per i suoi contapassi per uomo e per cavallo e più avanti ancora da Christopher Schissler per i primi rilevamenti e le prime cartografie dei territori.

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Facendo un salto con gli anni, un grosso passo in avanti nello sviluppo della metrologia lo si deve a Furtenbach con il suo cassetto metallico ( 1644 ) contenente un nastro per la misura, che è a pieno titolo il precursore delle odierne “ rotelle metriche ”.

Oltre alle misure dirette delle distanze sono esistiti da sempre mezzi per la misura indiretta della distanza usando i più svariati sistemi e le più svariate regole di geometria. A poco prima dell’anno 1000 risalgono alcuni scritti del monaco Gerberto di Aurillac ( divenuto poi Papa col nome di Silvestro II ) nei quali espone come misurare distanze, lunghezze, larghezze, altezze con metodi indiretti e strumenti come l’astrolabio, gli specchi, l’asta pitagorica, ecc. ecc..

Per la verità, bisogna dire che già nell’antichità esistevano ed erano utilizzate aste simili, citiamo brevemente l’asta di mira, quella d’ombra ( o gnomone ), e il baculo, detto anche bastone di Giacobbe che consisteva in pratica in due aste semplici collegate tra loro ad angolo retto. L’importanza del baculo è fondamentale soprattutto per la storia delle misure di distanza angolare.

Comunque, quasi la totalità di questi metodi indiretti si fondano su un uso eccellente dei regoli e sulle similitudini tra triangoli, spesso utilizzate in passato per misure molto grandi.

1.4 Albori dell’ottica nelle misure di distanza

L’utilizzo dell’ottica per misurare le distanze non è recentissimo come si potrebbe credere, certo le moderne tecnologie elettro-ottiche hanno poco in comune con le tecniche ed i mezzi in voga nei secoli scorsi, ma l’idea di integrare la metrologia con l’ottica era già presente quattro o cinque secoli fa.

Infatti, dopo la diffusione, negli ambienti scientifici dell’epoca, del cannocchiale kepleriano, compaiono i primi sistemi che funzionano sfruttando l’angolo parallattico, un angolo in grado di collegare un campione di misura noto alla distanza incognita da calcolare.

Il primo sistema di misura basato sull’ottica è del ‘600 e lo si deve ad un astronomo veneto, tale Geminiano Montanari. Tale sistema fu denominato “ livella diottrica ”

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ed era dotato di un cannocchiale con oculare positivo, di stadia, di varie coppie di fili distanziometrici.

Il primo invece ad applicare un sistema ottico per il rilevamento topografico dei terreni fu l’inglese William Green.

Nel corso del diciottesimo secoli furono in molti in tutta Europa ( soprattutto in Francia e in Germania ) a cimentarsi con la costruzione di cannocchiali in grado di segnalare la distanza dell’obiettivo puntato, tra gli altri ci provò con dignitosi risultati, per l’epoca, s’intende, uno scienziato ben più famoso per altre invenzioni, l’inglese Watt.

Von Reichenbach con la collaborazione di Von Fraunhofer nel 1810 costruì un cannocchiale con stadia graduata e molto più preciso perché contemplava l’aggiunta di una costante additiva e una formula di calcolo innovativa, che, però, sarà giustificata scientificamente solo negli anni successivi da un italiano, Ignazio Porro, che inoltre inventerà altri due tipi di cannocchiale. Il primo, detto “stereogonico” ha la particolarità di avere il punto nodale esterno all’obiettivo coincidente col vertice dell’angolo parallattico, il secondo detto “ centralmente anallattico ” ha invece il vertice coincidente proprio col centro del cannocchiale stesso ( in modo tale da eliminare, o quanto meno ridurre, la costante additiva ). Il Porro costruirà anche un terzo cannocchiale detto “ stenallattico ” che evita l’uso di formule trigonometriche ed è antesignano degli odierni riduttori.

Dovrà passare ancora quasi un secolo prima che H. Wild ( da cui il nome di una importantissima azienda del settore ai giorni nostri ) costruisca il cannocchiale di lunghezza costante praticamente anallattico, nel quale, cioè, il vertice dell'angolo parallattico oscilla di pochi millimetri intorno al centro dello strumento, per cui la costante additiva è nulla solo per una data distanza, mentre è praticamente nulla per tutte le altre ( fatta eccezione per distanze di alcuni metri, che è inutile misurare indirettamente e con queste metodologie ).

Tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 c’è un enorme impulso per lo sviluppo dei sistemi topografici ed anche e soprattutto per quelli fondati sull’ottica, praticamente è tutto un proliferare di strumenti ( il più noto sarà opera del francese Sanguet ) che si copiano e si migliorano l’un l’altro.

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1.5 Il XX secolo: nascita dell’elettro-ottica

Nel XX secolo, poi, nasceranno le prime ditte: la Salmoiraghi ( di cui ricordiamo il Tari, importante strumento del primo dopoguerra ), la Zeiss, la Kern ( che brevetterà il primo riduttore ).

Il sogno di Galileo Galilei di poter misurare la distanza con la luce, però, si avvererà solo negli ultimi cinquant’anni con l’avvento massiccio dell’elettronica, anche se gli esperimenti con luce modulata operati nell’800 prima da Fizeau e poi da Michelson ci erano andati molto vicini.

Fino alla prima guerra mondiale, le distanze lineari erano calcolabili con precisioni, accuratezze e risoluzioni assai minori delle distanze angolari, ciò era dovuto soprattutto alle difficoltà che sorgevano a causa del terreno accidentato morfologicamente. Ma nel corso del secolo scorso le cose sono decisamente cambiate e la situazione nettamente migliorata. Già nel 1933 Balaikov ideò un distanziometro ad onde che alcuni anni dopo il suo connazionale Lebedev riuscì in qualche modo a costruire, e questo fu il primo distanziometro elettro-ottico della storia!

Vent’anni dopo, circa, si troverà in commercio il “ Geodimeter ” ( Geodetic Distance Meter ), primo distanziometro elettro-ottico utilizzato per scopi commerciali.

Esso fu brevettato dallo svedese Eric Bergstrand, diffuso dalla ditta Aga, e aveva una portata massima di km 10.

Nei primi anni ’50 la casa produttrice Aga introdusse una grande e storica novità tra i prismi che, posti sull’obiettivo, riflettevano la luce: il Corner Cube. Come vedremo in seguito questo prisma è ancora oggi il più utilizzato ed è stato determinante per lo sviluppo dell’elettro-ottica applicata alle misure.

Sono esisti vari modelli di Geodimeter, il modello 6a ( storicamente importante ), ad esempio, aveva come sorgenti di luce due lampade, una al tungsteno e l’altra al mercurio, la sua portata era tra i 15 m e i 25 km, aveva un errore quadratico medio di 5 mm + 1 mm per km, disponeva di quattro diverse frequenze di modulazione intorno ai 30 Mhz, possedeva numerosi prismi. Tra le altre caratteristiche che

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allora lo rendevano un “ gioiellino ” della tecnica c’era una quasi insensibilità all’umidità e una variazione nella misura di distanza minore di 1 mm per variazione di temperatura di 1 °C o di pressione di 3 mmHg. La misura veniva fatta confrontando la fase del segnale d’uscita con quello di ritorno, ma di questa idea e delle sue attuali applicazioni discuteremo abbondantemente in seguito.

Successivamente nascerà, per idea di un sudafricano ( Wadlei ), il distanziometro a microonde, chiamato “ Tellurometer ” che raggiungeva come portata addirittura i 150 km e su misure vicine a questa portata vantava una risoluzione di 2 p.p.m.. Infine nel 1968 costruito in tandem dalla Wild e dall’azienda francese Sércel ( per la parte elettronica ) compare il Distomat, leggero e compatto strumento di misura che negli anni successivi avrà un vero e proprio boom sia di vendita che di fama e sarà seguito da altri innumerevoli strumenti di questo genere.

Poi l’uso dei led, la scoperta del diodo all’arseniuro di gallio e, soprattutto l’introduzione del laser come sorgente di luce, cambieranno decisamente i metodi e le tecnologie, ma tutto ciò lo vedremo nei capitoli successivi presentando lo “ stato dell’arte ” nel settore, descrivendo e valutando il funzionamento degli odierni dispositivi.

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