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Capitolo 2 Il marketing al tempo della Grande Rete

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Academic year: 2021

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Capitolo 2

Il marketing al tempo della Grande Rete

“Da quando il consumatore è diventato conscio del potere che può esercitare, e da quando ha preso gusto ad esercitarlo, si è ribaltata la vecchia formula, secondo la quale erano i produttori ad esercitare il controllo sui consumatori. Le regole del gioco sono cambiate. Sono i consumatori oggi ad avere la meglio sulle aziende produttrici. Se un’azienda non risponde alle esigenze dei consumatori e non offre loro ciò che vogliono, lo farà qualcun altro, e quell’azienda morirà”.

Mitchell H. Caplan, Amministratore Delegato di E*Trade

2.1 Ripensare il marketing nella società postmoderna: la teoria del

Societing di Giampaolo Fabris

Nel capitolo precedente abbiamo già parlato di come le vecchie tecniche di

marketing non siano più efficaci nell’età postmoderna e di come queste rendano le aziende incapaci di dialogare e cogliere l’attenzione dei suoi clienti reali e potenziali.

Quando parliamo di marketing tradizionale ci riferiamo a quelle tecniche di stampo kotleriano che hanno governato il mercato almeno fino agli anni ’80 del ‘900 e ormai inefficaci perché estremamente semplicistiche.

In particolare si possono individuare quattro fasi diverse del marketing classico, che adesso andrò a citare velocemente per dovere di completezza.

1. Orientamento alla produzione. Tale approccio al marketing nacque in

corrispondenza del forte sviluppo economico dei primi anni del secolo scorso che rese necessario la definizione di norme in grado di regolare i rapporti tra mercato e imprese.

Le aziende che hanno adottato questo modello si ispirano infatti ai modelli fordista e taylorista, fondati sulla produzione di massa di prodotti standard a basso costo, volti a costruire una domanda stabile e prevedibile.

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Il management si focalizza sugli aspetti tecnico-produttivi piuttosto che su quelli commerciali, convinti di trovarsi di fronte a un pubblico che preferisce prodotti ampiamente diffusi e a basso costo.

Non si tratta quindi di marketing vero e proprio, ma di vendita “nuda e cruda”, al fine di ottenere il maggior profitto possibile.

2. Orientamento al prodotto. L’azienda si pone come decisore assoluto dei bisogni dei consumatori. Convinti di sapere cosa vogliono i consumatori, le imprese concentrano tutti i loro sforzi sulla produzione di beni superiori in termini di qualità e prestazioni, diventando spesso miopi di fronte agli sviluppi del mercato e dei concorrenti.

3. Orientamento alle vendite. Le aziende si concentrano su un’aggressiva attività di marketing, convinte che se non opportunatamente sollecitati i consumatori non compreranno in misura sufficiente i prodotti delle imprese. L’attenzione principale del management è ancora all’interno dell’impresa, è ancora sul prodotto: non si cerca di capire perché il cliente compra un certo bene, ma si cerca solo di vendere di più.

4. Orientamento al marketing. Col passare degli anni le imprese cominciarono a capire che non era più possibile immettere sul mercato prodotti che non rispondevano alle reali esigenze dei clienti. Si cominciano quindi a fare le prime ricerche di mercato, grazie alle quali l’impresa era in grado di

segmentare e targettizzare i suoi clienti in gruppi omogenei, e a tradurre i loro bisogni in prodotti coerenti.

“Lo scopo non era più quello di trovare i clienti corretti per il prodotto, ma il prodotto corretto per i clienti” (Kotler, 2004, p.26).

Dal punto di vista manageriale, “il marketing è stato spesso descritto come “l’arte di vendere i prodotti”, ma molti sono sorpresi di scoprire che l’aspetto più importante del marketing non è affatto la vendita! La vendita è solo la punta dell’iceberg del marketing” (Kotler, 2004, p.12, cit. Peter Drucker).

Già a metà degli anni ’80 si registrò una forte battuta d’arresto del marketing

(conosciuta in letteratura come “mid-life crisis of marketing”) che aprì gli occhi alle aziende sul loro modo di operare in totale squilibrio con le esigenze del pubblico e con i cambiamenti della società.

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Il caso della New Coke rappresenta l’emblema di questa crisi.

L’azienda produttrice della Coca-Cola si trovò a dover contrastare l'ascesa dei suoi concorrenti, in particolare Pepsi, che stavano piano piano conquistando maggiori quote di mercato.

Sul finire degli anni settanta la Pepsi pianificò una massiccia campagna televisiva ai danni di Coca-Cola, con l’intento – riuscito – di far riflettere in merito al valore di marca e dimostrare che l’inimitabile sapore Coca-Cola in realtà non esisteva.

Dunque Coca-Cola si trovò a dover fronteggiare lo storico sorpasso di Pepsi e, dopo un’enorme ricerca di mercato per capire cosa volessero gli americani, Coca-Cola lanciò la New-Coke.

Non appena però si diffuse l’annuncio ufficiale della nuova cola, esplose il caos. Nacquero veri e propri moti di rivolta e alcuni consumatori, colti dal panico, corsero nei supermercati ad acquistare le ultime scorte della vecchia Coca. Anche coloro che non erano assidui bevitori della Coca-Cola erano sbigottiti dall’idea di veder

scomparire un prodotto così profondamente ancorato nella tradizione americana. L’azienda inizialmente non diede peso alle critiche e portò avanti la politica della New-Coke, ma dopo settantanove giorni la rete televisiva ABC interruppe la trasmissione “General Hospital” per annunciare la notizia del ritorno alla vecchia formula: la Classic Coke.

La Classic-Coke in poco tempo tornò a riguadagnare la leadership nei confronti della Pepsi, e arrivò a incassare quanto non aveva mai fatto in precedenza1

.

Lo sbaglio di Coca-Cola fu proprio quello di non aver tenuto in considerazione gli aspetti intangibili, come il nome della marca, la sua storia, il packaging, ma soprattutto il patrimonio culturale e valoriale che l’aveva elevata a simbolo. Per gli americani la valenza simbolica della bibita si era dimostrata più importante del gusto.

Questo episodio, considerato come l’inizio della “mid-life crisis of marketing”, ha fatto crollare tutte le sicurezze che i marketer si erano costruiti fino agli anni Ottanta. Il grande flop della multinazionale americana ha messo in luce il bisogno di

ridefinirsi del marketing: il marketing, che fino a quel momento viaggiava a vele

                                                                                                               

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spiegate, pronto a diventare la funzione fondamentale dell’azienda, era appena entrato in una fase di declino (Cova, Giordano, Pallera, 2012, pp. 27-28).

Maffesoli, nel 1988, è stato uno dei primi sociologi, osservando la crisi del progetto moderno – sul quale il marketing tradizionale si fonda –, a introdurre il discorso della postmodernità e del cambiamento d’epoca e a individuare una diversa

organizzazione della società, non più individualista, ma “tribalizzata”, un

cambiamento che ovviamente si sarebbe riversato anche sul modus operandi delle imprese.

Il progetto moderno2

basato sul progresso ha emancipato le condizioni di vita dell’uomo, non solo dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto sociale. L’incessante ricerca di libertà da ogni condizionamento esterno e di individualità che hanno caratterizzato l’epoca moderna, ha finito però per rendere l’individuo

irrimediabilmente solo, la libertà è diventata portatrice di inquietudine, lo

sradicamento si è tradotto nella perdita di ogni punto di riferimento e i sentimenti di angoscia e insicurezza hanno messo in forte crisi l’esistenza individuale.

La società postmoderna va costruendosi proprio sulle rovine dei principi della società moderna. Al processo di sradicamento se ne oppone uno di ri-radicamento attuabile tramite la ricerca di appartenenza comunitaria.

Dopo il crollo delle grandi ideologie, delle meta-narrazioni che nella modernità orientavano le azioni individuali, nella postmodernità il fattore che sembra in grado di contribuire alla definizione dei processi identitari è proprio il consumismo3

.

                                                                                                               

2  “L’epoca che si definisce della modernità è ancora giovane, anche se sul suo momento

iniziale si possono fare tante congetture, tutte ugualmente legittime, vi è chi (come chi scrive) sostiene che abbia inizio con l’avvio della Rivoluzione industriale e abbia circa due secoli alle spalle. Per altri la sua comparsa va fatta risalire al lontano 1476 con l’invenzione della macchina da stampa da parte di Gutenberg, per altri ancora prende l’avvio con il secolo successivo quando Lutero si ribella all’autorità della Chiesa. Vi è chi ritiene che si origini con la Rivoluzione americana (1776) o con la Rivoluzione francese (1789) e, forse più correttamente, si indica che il periodo storico della modernità nasca con il cogito ergo sum di Cartesio o con l’Illuminismo. Comunque, qualunque sia la sua origine, storicamente

parlando è stata, parafrasando il titolo di un noto libro sul secolo scorso, un’epoca breve” (Fabris, 2009, p.13).  

3  “Dopo il crollo dei vecchi sistemi, sono in molti coloro che attribuiscono al consumismo un

ruolo centrale nella loro costruzione identitaria (…) il paracadute sociale è il consumismo. Oggi, ciò che riesce ad accumunare gli individui è dunque il fattore di consumare la stessa cosa, tutti insieme, nello stesso momento. Il sistema dei consumi diventa in tal modo centrale nell’esistenza individuale. Trascorriamo più tempo a consumare che a lavorare”. Cova B., 2010, Il marketing tribale, 2nd Ed., Milano, Gruppo 24 Ore, p. XI  

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Il consumismo come fatto sociale (Cova, 2010), elemento di appartenenza a un gruppo, in grado di sopperire al vuoto nella costruzione dell’immaginario sociale di sé dovuto al progressivo sgretolamento dei vecchi valori sociali e istituzionali che prima ci rappresentavano (famiglia, lavoro, stato sociale).

È questa le realtà a cui il marketing è chiamato a rispondere.

Nella teoria molti studiosi hanno cominciato a parlare di un passaggio da un marketing transazionale a un marketing relazionale, dove al centro delle pratiche aziendali si pone il consumatore, come sovrano assoluto, ma nella pratica questo appare essere più uno stratagemma del management, “una sorta di mantra da recitare sempre più spesso: per autoreferenzialità, perché lo fanno i competitor, perché è comunque considerato doveroso e politically correct” (Fabris, 2009, p.236).

Ma se le imprese fanno finta di aver compreso e aver adattato le politiche interne ai nuovi bisogni della società, i consumatori hanno preso concretamente le distanze dalla reverenza che avevano nei confronti di chi produce. Questi hanno assunto una tale capacità di autonomia, di discrezionalità di scelta e di consapevolezza che non ha precedenti, e insieme alla recente globalizzazione e il sorgere di strumenti

tecnologici avanzati hanno fatto “esplodere” questa trasformazione già in atto, rendendola un fenomeno globale con cui le imprese devono fare necessariamente i conti se non vogliono collassare.

Per questo Fabris sostiene l’idea di un marketing come societing4 che meglio descrive l’esigenza dell’impresa di ridefinirsi come figura sociale facente parte di una comunità: “un neologismo (quello del societing) usato come ponte tra il marketing e la sociologia”5

.

Il societing può essere definito non tanto come cambiamento/evoluzione del marketing, ma come cambiamento di ideologia, che in un certo senso corrisponde alla trasformazione in atto.

                                                                                                               

4  I primi a parlare di Societing furono Badot, Bucci, Cova in: Societing: Managerial

Response to European Aestheticization, nel 1993.

Societing sostituisce il concetto di market con quello di society, ma il suffisso –ing sta comunque a significare l’agire dell’impresa sui mercati (Fabris, 2009, p.4).  

5  Badot O., Bucci A., Cova B., Societing: Managerial Response to European

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Il marketing classico ha da sempre avuto una forte connotazione ideologica ispirata da una filosofia verso il mercato, centrata sul raggiungimento della massima

utilità/profitto, ben testimoniata anche dal corredo concettuale e metaforico di tipo bellico di cui fa uso: “piano strategico/tattico”, “colpire il consumatore”, che colloca quindi il consumatore in un piano subalterno.

È questa ideologia moderna, alla stregua del consumatore come nemico da abbattere, a essere stravolta.

Il marketing non può più essere concepito come una disciplina concentrata sull’allocazione di un prodotto, o sulle migliori strategie per indurre all’acquisto. Ciò che deve essere discusso e ridefinito è l’idea del profitto come valore primo da raggiungere. I risultati economici e il profitto devono adesso viaggiare a braccetto con la creazione di un “valore condiviso e partecipato dagli stakeholder” (Fabris, 2009, p.196) e la responsabilità sociale dell’impresa6

.

Questi sono i 10 punti individuati da Fabris (2009) sui quali si dovrebbe rifondare il marketing:

1. Transazione d’epoca. L’epoca moderna sorretta dall’individualismo, dalle grandi ideologie e dal progresso sta volgendo al termine per far spazio a un’epoca postmoderna ricca di complessità, relativismo e incertezza.

2. La conoscenza come fattore di produzione. Il vecchio adagio secondo il quale sono le aziende a detenere la capacità creativa e innovativa è messo in

discussione nel mondo contemporaneo. Le aziende devono diventare flessibili e aprirsi al consumatore, che diventa a sua volta produttore,

ideatore. Il prodotto cessa di essere il punto focale a favore del dialogo e della collaborazione.

                                                                                                               

6 Per dirlo con Cova, Giordano e Pallera (2012, pp. 246-247) “Piuttosto che il cambiamento

di un paradigma in un altro tipo di transizione – dallatransazione alla relazione, dal prodotto

al servizio, dal prodotto/servizio all’esperienza, dal prodotto/servizio alla soluzione, dalla creazione alla co-creazione, dal singolo alla “tribù”, dal mercato alla rete, dal cliente allo stakeholder – ciò che l’adozione del termine societing renderà possibile sarà la presa in considerazione di tutte queste oscillazioni in maniera responsabile: la nostra sfera d’azione

non sarà più il mercato ma la società, con tutte le conseguenze che ciò implica.

(…) Societing (society-ing) quindi, che contiene la parola società, e non più marketing perché: (1) non sono più gli attori di mercato ad agire; (2) tutti possiamo agire sulla società, con azioni che hanno ricadute anche sul mercato. Le imprese come le comunità e le tribù. Il centro, oggi, è la società, non più il mercato”.

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3. La società postmoderna è l’espressione culturale dell’economia postindustriale. La globalizzazione e le tecnologie informatiche hanno

capovolto le regole economiche tradizionali e hanno inaugurato un fenomeno di inarrestabile “orizzontalizzazione”. L’informazione diventa democratica, accessibile a tutti, e questo provoca effetti che si ripercuotono su tutte le sfere della società. Aziende e individui si trovano adesso sullo stesso piano e dovrebbero collaborare nella quotidianità.

4. Una nuova centralità del consumo. Come già ho accennato in precedenza, nella società postmoderna la relazione azienda/cliente non cessa con

l’acquisto, ma si protrae anche dopo. Consumo come “agire sociale dotato di senso” (Max Weber) che alla dimensione economica affianca valenze sociali, semiotiche, antropologiche.

5. Dall’individualismo alla nuova socialità. Segue quanto detto al punto uno. L’individuo in quanto animale sociale ricerca nella società contemporanea quei valori che aveva perso nella modernità: comunità al posto di

individualità, legame invece di libertà, autenticità al posto di innovazione. 6. Dalla transazione alla relazione. Gli sforzi delle imprese prima concentrati

esclusivamente al raggiungimento del massimo profitto possibile, devono adesso essere rivolti sulla costruzione di relazioni a lungo termine con i clienti.

7. Il consumatore partner e committente. Le nuove tecnologie permettono all’utente di acquisire potere nei confronti dell’azienda. Questo diventa parte attiva nel processo di comunicazione, è consapevole, esperto, collabora con l’impresa alla creazione di significati, diventa prosumer: consumatore e allo stesso tempo produttore.

8. Il tramonto del marketing di massa. Il marketing di massa appare

inappropriato già dagli anni ’80, quando alla mera gestione del rapporto tra domanda e offerta di beni si sostituisce la gestione di relazioni proficue tra impresa e cliente. Si sostituiscono, al marketing di massa, altre strategie, come il marketing personalizzato, il marketing one to one, che negli ultimi anni, soprattutto a causa dell’empowerment del consumatore, diventano inefficaci. È necessario quindi comprendere il nuovo contesto sociale e culturale e ripensare il marketing sino in fondo le sue fondamenta.

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9. La dimensione sociale del marketing. Società, consumo, individui, mercato, quotidianità viaggiano tutti su un unico binario. L’impresa diventa attore sociale, sfrutta il suo nuovo ruolo per dialogare con il consumatore e cogliere i suoi bisogni, ma allo stesso tempo ha delle responsabilità sociali ed etiche nei confronti di quest’ultimo e del contesto in cui è inserito. Il consumatore comincia a stare attento a tutta la filiera produttiva; dunque, l’impresa deve farsi carico di tematiche come l’ecosostenibilità, l’energia pulita e il riciclo, prima considerate estranee alle logiche di mercato.

10. Dal marketing al societing. C’è bisogno di una profonda rivalutazione delle frontiere del marketing “alla luce dei nuovi scenari di una società

postmoderna e delle nuove responsabilità sociali da cui non può astenersi dal confrontarsi”7

.

Come fa notare sempre Fabris, i presupposti per un marketing “diverso”, rivolto al dialogo, ci sono, ma si sono davvero sradicate le vecchie tradizioni? Sembrerebbe ancora presto per parlare di una totale ridefinizione, ma intanto vedremo nel

prossimo paragrafo quali altre strategie hanno adottato le imprese per rintracciare il consumatore postmoderno.

 

2.2 Le nuove frontiere del marketing

 

Uno scenario, come quello postmoderno, ricco di incertezze, ha portato a una vera e propria esplosione di orientamenti di marketing, spingendo chiunque lo volesse a tentare di darne la propria personale definizione.

In molti si resero conto di come la pratica di marketing e alcuni dei suoi principali paradigmi, quali, per esempio il modello delle 4P8

, dovevano essere rivisti e rielaborati data l’inefficacia dimostrata.

                                                                                                               

7  www.ninjamarketing.it/2010/05/21/addio-a-giampaolo-fabris-padre-del-societing   8  Il modello delle 4P è stato introdotto nei primi anni Sessanta dal professor Jerome

McCArthy, anche se a Kotler se ne deve l’enorme diffusione.

Il modello consiste  nel dividere le varie attività di marketing dell’azienda in quattro diverse macro-aree: Prodotto (product), Prezzo (price), Punto vendita (placement) e Promozione (promotion).  

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Si comincia a capire che il consumo non deve essere considerato solo come ricerca di appagamento dei bisogni primari, ma come ricerca di esperienze che va ben oltre il momento dell’acquisto.

Per questo Kotler (1999) al modello delle 4P – orientato più alla prospettiva del venditore piuttosto che al consumatore – sostituisce il modello delle 4C,

maggiormente sensibile ai cambiamenti avvenuti nella società:

1. Customer value (valore per il cliente)

2. Change (capacità dell’azienda di cambiare la sua politica interna, la sua struttura e la sua offerta al mercato)

3. Convenience (maggiore facilità per i consumatori di trovare i prodotti e di interagire con l’azienda)

4. Communication (attivare un dialogo proficuo e continuo con i consumatori).

Nonostante questa definizione aggiornata e se vogliamo un po’ semplicistica, Kotler sembra comunque appartenere ancora a quella scia di esperti legati al classico modello di marketing definito da segmentazione, targeting e posizionamento, che in molti casi non basta più a strutturare uno studio strategico del mercato.

Nella società odierna le persone tendono invece ad assumere un approccio al consumo di volta in volta diverso a seconda dei casi, abbracciando un numero sempre più ampio di stili di vita diversi.

La permeabilità di questi ultimi, permette ai consumatori di passare con una certa disinvoltura da uno stile a un altro, anche molto diversi tra loro, non permettendo più al marketing tradizionale di segmentare i pubblici secondo target predeterminati. Il consumatore diventa sfuggevole, cambia idea facilmente e non si fa più

influenzare dalle aziende, per questo si sono create, soprattutto dopo l’introduzione delle tecnologie ICT, una miriade di altre strategie di marketing volte a cogliere l’attenzione dell’utente.

Negli ultimi vent’anni in molti si sono offerti di dare nuova vita al marketing, proponendo talvolta concetti trascurabili, non realmente adeguati al cambiamento in atto, talvolta concetti che si sono rilevati davvero molto efficaci nel contesto

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experiential marketing, viral marketing e per ultimo, ma non per importanza, il content marketing9

.

Cova, Giordano, Pallera (2012) hanno cercato di raggruppare queste panacee di marketing “non-convenzionale”10

secondo categorie coerenti con il focus di ciascuna di esse e ne hanno individuate cinque:

1. Market environment: riguarda tutte quelle panacee attente all’ambiente di mercato, a livello culturale, naturale, politico o sociale (green marketing, social marketing ecc.).

2. Market niche: comprende le strategie di marketing che operano un iper-frammentazione dei consumatori. Si tratta di gruppi di dimensioni molto più piccole rispetto a quelli definiti dal marketing classico: family marketing, micromarketing ecc.

3. Client relationship: strategie di marketing volte a conquistare relazioni durature tra aziende e clienti (customer centric marketing, loyalty marketing ecc.).

                                                                                                               

9  Content is king. Il contenuto è diventato il cuore pulsante di ogni strategia di marketing. I

social, i blog e i forum sono centrati sulle persone, dunque la creazione e la diffusione di contenuti originali, interessanti e divertenti diventa fondamentale per risultare autentici, creare engagement e coltivare le relazioni con i propri fan.  

10  Aprendo per la prima volta il libro di Cova, Giordano e Pallera sul marketing

non-convenzionale sono rimasta un po’ spaesata. Il titolo riporta a chiare lettere la dicitura “Marketing non-convenzionale”, quindi mi sarei aspettata di leggere un manuale dove il protagonista assoluto sarebbe stato proprio il “non-convenzionale”; ma già a partire

dall’introduzione sono rimasta sorpresa nel constatare la loro posizione, in antitesi con quella definizione. Poi ho provato a riflettere. Oggi sembriamo di fronte a un’assenza di

terminologia precisa che possa rendere giustizia al cambiamento in atto, ci si è limitati ad aggiungere dei suffissi ai concetti esistenti: da moderno a postmoderno, da convenzionale a non-convenzionale. Sicuramente questa mancanza di terminologia è dovuta anche alla dilagante confusione tra gli operatori del mercato “che tendono ad associare al concetto tutto un ventaglio di definizioni e di implicazioni anche operative molto diverse” (Cova,

Giordano, Pallera, 2012, p.61).

Non-convenzionale perché sono nati nuovi strumenti ICT per comunicare, perché oggi ogni cittadino può intervenire sulla società provocando degli effetti sul mercato, ma non era “non-convenzionale” anche la pubblicità in tv negli anni ’50, quando la norma erano la radio e la stampa?

Ciò che oggi è “non-convenzionale” semplicemente domani lo diverrà. In realtà esistono solo un buon modo e un cattivo modo di fare marketing. Oggi il buon modo di fare marketing si chiamano guerilla, viral o content marketing, domani potrebbero entrare in campo altri “stratagemmi”. L’importante è saper leggere la contemporaneità e i codici simbolici che la descrivono.

Infatti, come dice Alex Giordano, co-fondatore di NinjaMarketing: “Il marketing non-convenzionale non esiste. Esiste un solo marketing: quello che funziona”.  

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4. Subjective experiences: panacee che hanno come obiettivo la creazione di esperienze, si vogliono suscitare nel cliente emozioni, sensazioni legate alla marca e al prodotto (emotional marketing, experience marketing ecc.). 5. Competence of the customer: si sfruttano le competenze del consumatore per

attivare un dialogo proficuo con esso in modo da riequilibrare i rapporti di mercato e collaborare alla creazione di soluzioni, significati e valori (empowerment marketing, knowledge marketing ecc.).

Come ho già detto in precedenza, all’interno di queste categorie ci sono alcune panacee che hanno contribuito al successo dell’impresa che le ha adottate e

rendendola creativa e proattiva agli occhi dei suoi clienti, ma non mi dilungherò sulle strategie messe in atto dalle aziende, in quanto il mio focus è incentrato sullo studio dei comportamenti degli utenti.

Quello che è importante capire adesso è che indipendentemente dalle strategie messe in atto, ciò che è cambiato e che ogni operatore deve tenere presente è il fatto che i consumatori sono diventati più scaltri, sono degli “anti-marketer”, ma sempre più spesso sono “pro-marca”, perché le marche sono fondamentali nella definizione della nostra vita. Quindi, piuttosto che inventare mille tipi diversi di marketing è

necessario studiare il contesto e capire cosa desiderano i consumatori dal nuovo marketing.

In questo modo si creerà un sistema dove tutti sono vincitori: il “non-convenzionale” sarà ancora più efficace nel produrre esternalità positive per tutti i soggetti coinvolti, che non si sentiranno più subordinati, ma parte attiva del processo di comunicazione e produzione, e le aziende, a parità di investimenti nel settore marketing,

raggiungeranno maggiori risultati11 .

                                                                                                               

11  Se nel marketing tradizionale per lanciare un nuovo prodotto sul mercato era necessario

investire ingenti somme di denaro per creare una campagna da declinare sui vari mass media, che poi, dopo un periodo determinato (di solito breve), perdeva la sua efficacia; nel marketing “non-convenzionale” si può stabilire una comunicazione già prima del lancio, creando così attesa e stimolando il passaparola. In questo modo, una volta lanciato il prodotto si otterranno risultati ancora maggiori, nasceranno conversazioni sparse su tutta la rete, che si ripercuoteranno anche nel lungo periodo, creando così una coda lunga (le campagne virali continuano ad attrarre interesse e traffico oltre il periodo iniziale del lancio. Questa è la dimostrazione del valore continuo delle campagne virali).

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Essenzialmente il nuovo marketing dovrebbe rivoluzionare il modo di trasmettere, comunicare e ricevere un messaggio, secondo una struttura in cui al centro c’è il consumatore. Le strategie cessano di essere stabilite a tavolino in un ufficio asettico di qualche direttore marketing, l’azienda deve, prima di tutto imparare a stare sul mercato.

La componente dell’intrattenimento12

diventa fondamentale per catturare l’attenzione e successivamente mantenerla, si creano esperienze rilevanti per il consumatore, che sentendosi coinvolto giocherà un ruolo importante nella diffusione spontanea del messaggio. Infatti, se prima la comunicazione era imposta dall’alto, oggi il dialogo e il passaparola tra gli utenti diventano linfa vitale per la sopravvivenza delle imprese.

                                                                                                                               

12  L’advertising diventa advertainment dove pubblicità e intrattenimento si fondono per dar

vita a delle piccole storie, di carattere giocoso, con il quale l’utente che osserva si può divertire, in attesa della “puntata” successiva. Nel mercato italiano, sono state spesso le compagnia di telefonia mobile a creare queste mini-storie: come le vicende familiari della famiglia Totti-Blasi per Vodafone, o le disavventure del trio Aldo, Giovanni e Giacomo per Wind.  

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