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CAPITOLO II I COLLOQUI INVESTIGATIVI

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CAPITOLO II

I COLLOQUI INVESTIGATIVI

SOMMARIO: 1 - Nascita e soggetti che possono eseguirli. 2 - La ‘’necessaria’’ autorizzazione e gli appositi registri. 3 - Situazioni legittimanti. 4 - Modalità ed utilizzo consentito delle informazioni raccolte. 5 - I colloqui investigativi all’estero. 6 - Permessi di soggiorno ai fini investigativi. 7 - Considerazioni finali sui colloqui investigativi.

1- Nascita e soggetti che possono eseguirli

Tale istituto, il quale consente la facoltà di avere colloqui con detenuti ed internati, fu introdotto in piena emergenza antimafia; Fu all’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa che il d.l. 6 settembre 1982 diede tale possibilità. Data l’esperienza positiva e l’utilità di questo istituto nella lotta alla criminalità interna, il legislatore per contrastare il

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14 terrorismo lo ha esteso anche a quest’ultimo fenomeno. Esso è disciplinato all’art 18 bis (Introdotto con l’art 16, d.l. 8 giugno 1992, n. 206, convertito con modificazioni, nella l. 7 agosto 1992, n. 356), della legge 26 luglio 1975 n. 354 (meglio nota come ‘’norme sull’ordinamento penitenziario…’’), più volte modificato. Considerata la delicatezza del tema, il legislatore si è preoccupato di circoscrivere con cura l’area dei soggetti legittimati. Il comma 1 prevede un’elencazione di soggetti appartenenti alla polizia giudiziaria che hanno la facoltà di visitare gli istituti penitenziari e possono essere autorizzati ad avere colloqui personali con i detenuti e gli internati, si tratta nello specifico del personale della Direzione investigativa antimafia e dei servizi centrali e interprovinciali, nonché gli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili, a livello centrale, dalla predetta direzione e dei predetti servizi. La scelta di circoscrivere i soggetti legittimati muove sull’esigenza di garantire un maggiore grado di specializzazione verso quel specifico fenomeno.

Va ricordato poi per completezza che la Dia si avvale anche del personale del Corpo di polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato, ciò in seguito alla modifica dell’art 108, comma 8 del ‘’codice antimafia’’ operata dal d. lgs. n. 218 del 2012.

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Il comma 1 bis (introdotto dal d.l. 27 luglio 2005, n. 144 convertito nella Legge 31 luglio 2005, n. 155 così come integrato del d.l. 30 dicembre 2005, n.272, convertito nella legge 21 febbraio 2006, n. 49) ha ampliato la cerchia dei soggetti legittimati1. Prevedendo che i colloqui

investigativi con finalità di prevenzione e repressione dei delitti commessi con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico possono essere svolti dai responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della Polizia di Stato o dell’Arma dei carabinieri competenti per la svolgimento di indagini in materia di terrorismo, nonché agli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili di livello centrale e, limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del terrorismo, a quelli del Corpo della guardia di finanza, designati dal responsabile di livello centrale.

Nell’area dei soggetti legittimati è anche da annoverare il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; Che però a differenza dei primi non necessita di alcuna autorizzazione2; E’ il comma 5 dell’art 1 FRANCO DELLA CASA e GLAUCO GIOSTRA, ordinamento penitenziario commentato, Quinta edizione, Wolter Kluwer Italia Srl, pag 235. 2 GUIDO SALVINI, I colloqui investigativi e i permessi di soggiorno a fini investigativi per il contrasto del terrorismo, in Le nuove norme di contrasto al terrorismo, commento al Decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, a cura di Andrea Antonio Dalia, Giuffrè Editore, Milano, 2006, pag. 3.

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18 bis ad attribuirgli tale facoltà ai fini dell'esercizio delle funzioni di impulso e di coordinamento previste dall'articolo 371 bis codice di procedura penale. Facoltà di colloquio dunque ricollegata al compito di un coordinamento generale per un’efficacia azione investigativa su scala nazionale. Preme ricordare che su questo potere si pone un problema, causato da una mancata previsione espressa, di una possibile o meno delegazione dello stesso ai soggetti estranei all’ufficio. Il ministero sostiene una soluzione negativa3, ritenendo possibile la delega solo ai magistrati addetti alla procura. Più condivisibile, a mio parere, sembra invece essere la soluzione positiva; E ciò per un motivo di coerenza, la polizia giudiziaria ha già di per sé il potere di svolgere i colloqui di propria iniziativa (sia pur dietro autorizzazione) quindi non avrebbe senso togliere la possibilità di una delega alla p.g. da parte del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Discussa è poi la possibilità di svolgere i colloqui investigativi da parte di un sostituto procuratore nazionale applicato presso una Dda, negativa sul punto è la risposta del Csm ravvisando in ciò una

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commistione di atti del tutto eterogenei ed incompatibili tra di loro4.

Da ultimo, per completare la cerchia dei legittimati, è da ricordare che l’art. 6 del disegno di legge di conversione del Decreto-legge n. 7 del 2015 modifica alcune norme del Decreto-legge n. 144 del 2005 e introduce nell’art. 4 del d.l. 144 del 2005 una norma temporanea volta a consentire, fino al 31 gennaio 2016, ai Direttori dei servizi di informazione, ovvero al personale dipendente espressamente delegato, di effettuare colloqui personali con i soggetti detenuti o internati, al solo fine di acquisire informazioni per la prevenzione dei delitti con finalità terroristica di matrice internazionale5. Nella norma si precisa poi che tali colloqui sono effettuati su richiesta del Presidente del Consiglio dei Ministri, formulata anche a mezzo del Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) e previa autorizzazione del Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, concessa quando sussistono specifici e concreti elementi informativi che rendano assolutamente indispensabile l’attività di prevenzione6. È, 4 Per un approfondimento si veda Relazione Csm del 26 gennaio 1994, Doc. giustizia. 94, 639. 5 Delibera CSM del giorno 18 marzo 2015. 6 MARIA FRANCESCA CORTESI, Il decreto antiterrorismo – I riflessi sul sistema processuale, penitenziario e di prevenzione in Dir. Pen. e Processo, 2015, 8, 918.

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inoltre, previsto che dello svolgimento del colloquio sia data comunicazione scritta al Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, che provvederà alla relativa annotazione in un registro riservato, e ne venga informato il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir).

2- La ‘’necessaria’’ autorizzazione e gli appositi

registri

Si è già precisato nel paragrafo precedente che i soggetti legittimati dai commi 1 e 1 bis necessitano di autorizzazione, è necessario adesso chiarire il modo in cui ciò avviene. E’ il secondo comma del citato art 18 bis a precisare da chi deve essere rilasciata, l’autorità è diversa a seconda della posizione processuale del ristretto; Se si tratta di persone sottoposte ad indagini dal p.m., qualora invece si tratti di internati, di condannati o di imputati, dal Ministro di grazia e giustizia o da un suo delegato. Qualora il soggetto si trovi in una posizione giuridica multipla, ovvero soggetti internati, imputati o condannati che sono sottoposti ad indagini per altro fatto, sarà necessaria l’autorizzazione di tutte le autorità competenti salvo il

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soggetto non sia sottoposto a custodia cautelare per il reato in relazione al quale è indagato ( art. 4 comma 4 del d.m. 2 agosto 1993). Il provvedimento autorizzativo dovrà contenere, in base art. 1 del d.m. 2 agosto 1993, l’indicazione dell’autorità che l’ha emanato, la data di emissione, l’indicazione dei soggetti autorizzati a svolgere il colloquio e i nominativi dei detenuti e degli internati con cui dovrà svolgersi tale colloquio. Il legislatore in un’ottica di garantire l’incolumità e la sicurezza del detenuto ha previsto, all’art 1 del decreto ministeriale 2 agosto 1993, che l’autorizzazione abbia validità per un periodo ristretto. Tale periodo consta di quindici giorni dalla data di emanazione, facendo comunque salva la possibilità da parte dell’autorità che lo rilascia di assumere una diversa determinazione; Garantendo così un certo bilanciamento di interessi.

Il quarto comma dell’art 18 bis prevede poi un regime derogatorio per i casi di ‘’particolare urgenza’’. In particolare il Ministro dell’intero, o tramite sua delega il Capo della Polizia, può attraverso apposito provvedimento attestare che si tratti di un caso di particolare urgenza. In questi casi non sarà necessaria l’autorizzazione del Ministro della Giustizia, tuttavia

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dell’avvenuto colloquio e necessario darne a quest’ultimo immediato avviso; Obbligo di comunicazione in capo al Direttore dell’istituto penitenziario (o suo delegato) in cui si è svolta il colloquio, che è tra l’altro tenuto anch’esso ad annotare su un apposito registro (art 5 d.m. 2 agosto 1993), che conserva personalmente e non può mostrare ad altri, tutti i dati relativi al colloquio ovvero oltre gli estremi del provvedimento autorizzativo anche i nominativi degli investigatori e del detenuto, nonché la data e l’ora di inizio e di fine del colloquio. Questa registrazione è importante nella scoperta di abusi da parte del personale dei servizi segreti. Il Ministro della Giustizia, in seguito alla comunicazione appena menzionata provvederà così all’annotazione nell’apposito registro.

Non è da dimenticare infatti che le autorizzazioni ai colloqui devono essere annotate, in base all’art 18 bis comma 3, seguendo un ordine cronologico con l’indicazione dei soggetti autorizzati nonché dei detenuti o internati sottoposti a colloquio, in un ‘’registro riservato’’. Tale registro va conservato, a seconda dell’autorità che ha rilasciato l’autorizzazione, presso la segreteria del ministro della giustizia o del suo delegato o presso la cancelleria della procura. L’art 3 del citato d.m. del 1993 precisa poi che le modalità in cui tale

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annotazione debba avvenire siano quelle previste per la tenuta degli atti conservati presso le segreterie di sicurezza e per la tenuta dei registri per l’annotazione delle intercettazioni telefoniche.

La parte finale del comma 5 dell’art 18 bis prevede inoltre che i provvedimenti autorizzativi, siano essi quelli ordinari del comma secondo o quelli del Ministro dell’interno attestanti i casi di particolare urgenza, debbano essere comunicati al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Ciò però non sempre, ma solo quando tali provvedimenti riguardino uno dei delitti indicati nell’art 51 commi 3 bis e 3 quater (comma introdotto dal d.l. 18 febbraio 2015, n.7) del codice di procedura penale.

3- Situazioni legittimanti

L’innovazione è stata principalmente quella di allargare l’area dei reati interessati dai colloqui investigativi. E’ necessario anzitutto precisare che sotto il profilo soggettivo, l’interessato può essere tanto uno straniero quanto un cittadino italiano e che, rispetto ai fatti oggetto dell’investigazione, può rivestire sia il ruolo di persona a

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vario titolo coinvolta ( quindi indagata o indagabile ) sia di testimone, potendo in questa ipotesi riferire di circostanze apprese da altri (per esempio un caso non infrequente può essere quello del detenuto che apprenda dai compagni di cella notizie utili in merito ad attività terroristiche). Da chiarire è anche la circostanza che può trattarsi ‘’di delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico’’. Su cosa intendere per ‘’eversione dell’ordine democratico’’ si è pronunciata anche la Cassazione7, dichiarando che si tratta di un concetto che

non può che riferirsi al classico terrorismo interno, giustificando la sua soluzione sulla base del fatto che una norma nazionale non può sindacare la « democraticità » di un diverso ordinamento statuale. E’ chiaro dunque come il fenomeno del terrorismo interno, seppur non visto come minaccioso quanto quello internazionale, continua a non essere trascurabile e degno al contrario di monitoraggio ai fini preventivi.

Passiamo adesso all’individuazione dei delitti che legittimano la richiesta di autorizzazione a svolgere i colloqui da parte degli investigatori. Va premesso che chiaramente ci si trova in una fase pre-procedimentale

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dove non ci sono formulazioni d’accusa cristallizzate e conseguentemente a ciò non può essere richiesta una completa definizione dei fatti-reato per i quali lo strumento del colloquio viene attivato. Malgrado tale margine di incertezza, tra i reati in grado di legittimare l’iniziativa degli investigatori vi fanno parte molti (se non tutti) di quei reati tipicamente a sfondo politico, ovvero quelli contro la personalità interna o internazionale dello Stato previsti al titolo 1 del libro secondo del codice penale. Legittimanti saranno chiaramente anche i c.d. reati mezzo, cioè reati funzionali al raggiungimento degli obbiettivi della organizzazione terroristica, volti ad esempio al finanziamento della stessa. Ciò amplia di molto l’arco dei reati legittimanti, potendosi anche trattare di reati comuni ove sia ravvisabile l’aggravante della commissione per finalità di terrorismo ( aggravante contenuta nell’art 1 delle legge 6 febbraio 1980, n. 15). Oggetto di approfondimento tramite colloqui potranno essere anche quei reati direttamente collegati al fenomeno dell’immigrazione clandestina; E’ sicuramente prospettabile, come infatti in molti sospettano, che il favoreggiamento dell’ingresso di stranieri nel territorio dello Stato venga sfruttato per l’intromissione nel territorio di soggetti già arruolati o in via di arruolamento in celle terroristiche.

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Questo ampio raggio di operatività dell’istituto è perfettamente in sintonia con le decisioni prese a livello europeo, in tal senso merita essere ricordata la decisione quadro del Consiglio d’Europa del 13 giugno 2002 che proprio in materia di lotta al terrorismo individua come reati connesso ad esso anche i furti, le estorsioni e la formazione di documenti falsi.

4- Modalità ed utilizzo consentito delle

informazioni raccolte

L’art 18 bis sul punto tace; Qualche indicazione proviene dal comma 4 art. 4 del d.m. 2 agosto 1993, il quale in maniera molto vaga dice solamente che i colloqui devono svolgersi ‘’di regola, in locali distinti e riservati’’. La lacuna legislativa è spiegabile con l’intento di evitare che « specifici adempimenti burocratici impedissero un penetrante attivarsi degli organi investigativi al fine di sollecitare sempre più diffuse condotte di collaborazione »8, ma al contempo crea qualche problema in merito

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all’impiego delle informazioni assunte tramite la strumento in esame.

Ci si è chiesti da più parti quale fosse l’utilizzabilità delle informazioni acquisite tramite i colloqui investigativi, in particolare se fossero utilizzabili nell’ambito di un procedimento penale o ai soli fini di intelligence.

Partendo dal caso in cui il collaboratore chieda espressamente che le notizie date non siano formalizzate negli atti di un procedimento penale, bisogna distinguere il soggetto che svolge tale colloquio; Se si tratta di un appartenente alla p.g., egli potrà utilizzare i dati acquisiti come ‘’notizie confidenziali’’ ed avvalersi dell’art 203 c.p.p. il quale gli da la facoltà di non rivelare il nome dell’informatore. In questo caso la notizia verrà inserita in una relazione di servizio utilizzabile solo all’interno dell’ufficio e non in sede processuale9. Discorso diverso se invece ad effettuare il colloquio sia il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (o un suo sostituto), questi, non potendo utilizzare la facoltà concessa dall’art 203 c.p.p. solo alla p.g., dovrà sempre documentare il contenuto del colloquio per una garanzia di trasparenza.

9 FRANCO DELLA CASA e GLAUCO GIOSTRA, opera citata in precedenza, pag.

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Tralasciando questo caso delle notizie confidenziali l’interpretazione sembra tuttavia unanime nel ritenere che i contenuti dei colloqui non possano avere un uso processuale. In tal modo dunque avrebbero solo una valenza interna; Chiaramente ciò non è immune da critiche, infatti se è pur vero che in linea di massima le informazioni recepite dal colloquio investigativo non hanno una diretta utilizzazione processuale, non si può escludere a priori che si presentino momenti di emersione come ad esempio nel « giudizio abbreviato dove l’imputato accetta tutto il materiale probatorio esistente »10. C’è poi, ancora, chi sostiene che l’utilizzabilità

dipenda dalla qualità (testimone, imputato ecc.) che rispetto alle dichiarazioni effettuate assuma il detenuto o l’internato col quale si svolga il colloquio; si tratta di una posizione a mio parere non condivisibile, vista la necessità di un regime certo su una questione così complessa. Partendo proprio da questa inutilizzabilità processuale del colloquio, la dottrina maggioritaria ha ritenuto di conseguenza che non fosse necessaria l’assistenza difensiva. Sul punto si è pronuncia la Corte Suprema ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale in merito - agli artt.

10 DE LEO, C. pen. 95, 1444, nt. 43; dove tuttavia sottolinea la mera importanza

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2, 3 e 24 co. 2 Cost. - all’art 18 bis sollevata con riferimento proprio alla parte in cui conceda la possibilità di colloqui senza la presenza del difensore. La corte ha spiegato la sua decisione sostenendo come il diritto di difesa postuli necessariamente l’esistenza di atti processuali in senso stretto per poter operare; Cosa che non sono i colloqui i quali non hanno alcuna incidenza sul diritto di difesa.

5- I colloqui investigativi all’estero

Lo svolgimento di colloqui investigativi all’estero viene giustificato dal fenomeno del terrorismo internazionale, in particolare dalla natura transnazionale delle cellule di matrice islamica, visto che la cellula operante in un Paese è spesso l’interfaccia di quella radicatasi in un altro Paese, magari al solo fine di fornire supporto logistico alla prima e di consentirle di agire. Infatti, come dimostra l’esperienza delle indagini fin qui condotte, è frequente che soggetti di cui necessita effettuare il colloquio si trovino detenuti o sottoposti ad altre forme di custodia all’estero. Ovviamente, sempre nell’ottica di una maggiore efficienza del sistema antiterrorismo, le

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informazioni vengono scambiate tra le strutture di polizia; Ma un contatto delegato in certi casi si evidenzia insufficiente, perché la completezza dei dati di cui gli ufficiali di polizia giudiziaria italiani sono portatori in ordine alla situazione specifica può rendere più efficace un colloquio diretto in «trasferta» rispetto ad uno delegato ad altri11. Ecco che allora sarà preferibile un

colloquio all’estero.

In merito alle modalità con cui si arriva ad effettuare questo colloquio, bisogna anzitutto chiarire che non essendo il colloquio investigativo un atto di natura giurisdizionale in senso stretto è da escludere la richiesta mediante la procedura delle rogatorie internazionali. Tuttavia, l’indagine all’estero è collocabile in un’attività conoscitiva a forma libera. Quest’ultime attività, di regola, si realizzano mediante contatti ed incontri tra organi di polizia e uffici del pubblico ministero dei vari paesi. Concretamente però saranno necessari dei contratti preliminari tramite l’autorità diplomatica italiana presente sul posto per ottenere l’autorizzazione al colloquio da parte dello stato estero e la conseguente possibilità di accedere nel carcere ove si trovi il detenuto. 11 GUIDO SALVINI, opera citata in precedenza, pag. 22.

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6- Permessi di soggiorno ai fini investigativi

In linea di continuità strategica con l’istituto dei colloqui investigativi, l’art 2 del decreto antiterrorismo 2005 ha introdotto il nuovo istituto dei permessi di soggiorno ai fini investigativi, che garantiscono la permanenza nel territorio statale a stranieri non comunitari irregolari quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento relativi a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico, vi sia l’esigenza di garantire la permanenza nel territorio dello Stato dello straniero che abbia offerto all’autorità giudiziaria o agli Organi di polizia una collaborazione significativa avente le caratteristiche di cui all’art 9, comma 3, della legge 15 marzo 1981, n.8212.

L’art. 6, comma 1, lett. a), D.L. n. 7 del 2015 è poi intervenuto prevedendo la possibilità di ottenere tale peculiare permesso anche quando la collaborazione abbia ad oggetto delitti di ‘’criminalità transnazionale’’, completando, così il novero di fattispecie penalmente rilevanti per cui può essere ottenuto lo strumento in

12 SILVIA CLINCA, Interventi in materia di misure di prevenzione, Commento al

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analisi, trattandosi di reati di significativo allarme sociale per cui le informazioni offerte possono essere assai rilevanti ai fini della prevenzione e repressione degli stessi. Si tratta di una previsione senz’altro utile al fine di arricchire il materiale conoscitivo acquisibile per l’attività di indagine; Infatti, i colloqui preludono ad una vera e propria collaborazione processuale che potrà essere raggiunta, ove necessario, attraverso il rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi dell’art 2 del decreto legge 2005.

I permessi in esame rivestono una duplice funzione; se da un lato garantiscono la presenza del collaborante, che altrimenti potrebbe essere espulso, per tutta la durata delle indagini e anche oltre, al tempo stesso il permesso attribuisce al soggetto una misura «premiale» visto che il permesso, rinnovale anche più volte, sarà sicuramente un beneficio per il soggetto.

E’ da segnalare, però, che non ogni forma di collaborazione consente di ottenere la concessione del permesso di cui stiamo trattando. Essa, infatti deve soddisfare le le caratteristiche di cui all’art 9, comma 3, della legge n.82 del 1981; in particolare deve possedere carattere di intrinseca attendibilità, di novità o di completezza o per altri elementi deve apparire di

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notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristico-eversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni. Si tratta di requisiti abbastanza rigidi, soprattutto considerando che in una fase come quella dei colloqui investigativi è difficile valutare l’intrinseca attendibilità nonché importanza e completezza della collaborazione. Per far fronte a tale esigenza è in concreto ipotizzabile che siano adottati dei provvedimenti interlocutori quali la non adozione o non concreta esecuzione di decreti di espulsione che potrebbero essere emessi, in questo modo di garantirebbe la permanenza dello straniero nel territorio italiano sino ad una più approfondita verifica del contributo da lui offerto. In linea con ciò l’art 3 comma 3 del decreto antiterrorismo 2005 prevede che il prefetto possa omettere, sospendere o revocare il provvedimento di espulsione non solo quando sussistano le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno dell’art 2, ma anche quando sia necessario per l’acquisizione di notizie riguardanti la prevenzione di attività terroristiche.

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L’organo competente a rilasciare questo speciale permesso di soggiorno, annuale e rinnovabile per uguale periodi, è il Questore. Questi può arrivare al rilascio autonomamente o su « segnalazione » dei responsabili di livello almeno provinciale delle forze di polizia ovvero dei Direttori dei servizi di informativi e di sicurezza ovvero su «richiesta del Procuratore della Repubblica»13 competente in relazione alle indagini che coinvolgono il cittadino straniero. Le segnalazioni possono provenire tanto dai servizi informativi e di sicurezza quanto dalle forze di polizia e quindi avere origine tanto da una tipica attività di acquisizione di informazioni da parte dei servizi di sicurezza sia dai colloqui investigativi condotti dalle forze di polizia, con ciò si sottolinea come l’accostamento funzionale tra l’istituto dei permessi e quello dei colloqui sia tutt’altro che errato. Le norme prevedono che contemporaneamente alla segnalazione, al questore siano comunicati anche gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni per il rilascio, in particolare con riferimento alla rilevanza del contributo offerto dallo straniero. Tale necessità di fornire questi elementi è limitata nel testo della legge alle «segnalazioni», e non è 13 La legge di conversione ha chiarito che il potere di decidere se rilasciare il permesso, anche a seguito di richiesta del Procuratore della Repubblica, rimane comunque del Questore; In tal senso si spiega l’esplicito inserimento dell’inciso «autonomamente» in relazione ai poteri del questore.

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ripetuta con riferimento alla «richiesta del procuratore della repubblica»; Ciò sta a significare che il procuratore non è tenuto a spiegare quali siano le esigenze relative ad indagini che legittimano la richiesta, è una sua facoltà mantenere il segreto investigativo.

Provvedimento che ha un carattere più spiccatamente premiale a favore dello straniero sarà invece il rilascio della carta di soggiorno; Ciò può avvenire, in base all’art 2 comma quinto del decreto antiterrorismo 2005, quando la sua collaborazione abbia avuto una straordinaria rilevanza per la prevenzione nel territorio dello Stato di attentati terroristici alla vita o all’incolumità delle persone o per la concreta riduzione delle conseguenze dannose e pericolose degli attentati. Le modalità di concessione di tale beneficio sono le stesse del comma 1, ma qui si tratta di una collaborazione «completa» di cui si è accertata la rilevanza, e non di un semplice contributo come per il permesso di soggiorno.

Quindi ricapitolando il sistema si articola in due livelli: se si tratta di una più semplice collaborazione ordinaria potrà essere concesso il permesso di soggiorno, che sicuramente sarà un provvedimento premiale ma che viene rilasciato in un ottica strumentale ad un’indagine o ad un procedimento in corso; Quando siamo difronte ad

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una collaborazione verificata e di straordinaria rilevanza potrà essere rilasciata la carta di soggiorno, che consente al diretto beneficiario (nonché ai coniugi e ai figli minori se conviventi) la permanenza in Italia a tempo indeterminato.

7- Considerazioni

finali

sui

colloqui

investigativi

I profili di inutilizzabilità processuale, non cancellano quella che è l’utilità di questo istituto. Infatti lo strumento dell’art 18 bis costituisce uno dei principali strumenti utilizzabili dagli organi investigativi per instaurare un rapporto diretto con detenuti o internati i quali avendo fatto parte di organizzazioni criminali possono di certo fornire delle preziosi informazioni nella lotta al terrorismo14. Acquisire questo «prezioso patrimonio informativo»15 non è però sempre così semplice; ci sono infatti degli ostacoli obbiettivi che possono rendere difficile il contatto con soggetti coinvolti nel terrorismo internazionale. Con ciò si

14 FRANCO DELLA CASA e GLAUCO GIOSTRA, opera citata in precedenza, pag

232.

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vuole far riferimento alla diversità delle basi culturali e dei codici di comunicazione tra gli operanti e l’interlocutore. Questo non toglie che i colloqui rimangano uno dei punti di forza delle strategie di contrasto al terrorismo che si muovono in un ottica di sollecitare sempre più la collaborazione; non dimentichiamo infatti che l’istituto in esame risponde all’esigenza di incentivare e stimolare la collaborazione con la giustizia16. Inoltre l’istituto può assolvere una duplice funzione; Il collaboratore potrebbe infatti rivelare degli elementi utili allo sviluppo di procedimenti già avviati ma potrebbe anche dare delle informazioni utili per aprire un nuovo filone di indagini. E’ in quest’ottica che va spiegata la necessaria autorizzazione del p.m. (prevista al comma 2, lett b dell’art 18 bis) per i colloqui con persone indagate, la quale mira ad evitare sovrapposizioni tra l’attività di investigazione preventiva e le indagini già in corso.

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