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CAPITOLO 2. MATERIALI E METODI

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2. MATERIALI E METODI

2.1 METERIALE ESAMINATO

Al fine di indagare l’aspetto funzionale e le proprietà meccanica dello scheletro post-craniale degli zifidi, in particolare per ciò che riguarda il rachide, sono stati esaminati gli scheletri di tre zifidi (Ziphiidae Gray, 1865). Per un’analisi comparativa è stata presa in considerazione anche la colonna vertebrale del delfinide Delphinus delphis.

Tutti gli esemplari analizzati sono conservati fanno parte della collezione osteologica del Museo di Storia Naturale e del Territorio di Calci (Pisa).

A ogni individuo è assegnato un codice alfanumerico in cui le lettere indicano la provenienza (MSNUP, Museo di Storia Naturale e dell’Università di Pisa) e la cifra che segue indica il numero di catalogazione (tab. 2).

Tutti gli esemplari sono in buono stato di conservazione.

Museo Specie Formula vertebrale Famiglia Scheletro montato MSNUP 268 H. ampullatus C7:T8:L10:Ca15 Ziphiidae Sì

MSNUP 269 M. bowdoini C7:T10:L10:Ca19 Ziphiidae Sì

MSNUP 270 Z. cavirostris C7:T9:L11:Ca17 Ziphiidae Sì

MSNUP 289 D. delphis C7:T14:L19:Ca34 Delphinidae sì* * montato su tavola espositiva per scopi didattici

Tabella 2. Elenco degli esemplari esaminati nel presente studio.

Hyperoodon ampullatus (Forster, 1770) (MSNUP 268)

Lo scheletro dell’iperodonte boreale (fig. 19), proveniente dalle Isole Faroer, fu acquistato nel febbraio del 1893 (Braschi et al., 2007).

L’esemplare, esposto nella Galleria dei Cetacei, è lungo 700 cm. Il cranio è lungo 164 cm e largo 67 cm. Lo scheletro post-craniale è costituito da 40 vertebre, di cui 7 cervicali (che costituiscono un blocco unico in quanto tutte e sette fuse tra loro), 8 toraciche, 10 lombari e 15 caudali. Sono presenti 9 paia di coste, di cui la prima ascrivibile all’ultima vertebra cervicale. Si contano inoltre 9 archi emali (9 ossa chevron).

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1. l’arto pettorale destro è incompleto; mancano il radio, l’ulna, le ossa carpali, le ossa metacarpali e le falangi relative;

2. l’arto sinistro è privo di alcune falangi prossimali; sono presenti soltanto le dita I (presenti solo le prime due falangi), II (presente solo la prima falange), III, (presenti solo le prime tre falangi), IV (presente solo la prima falange); manca il dito V.

Figura 19. Scheletro di Hyperoodon ampullatus (MSNUP 268) conservato presso la Galleria dei Cetacei del Museo di Storia

Naturale dell’Università di Pisa).

Figura 20. Scheletro di Mesoplodon bowdoini (MSNUP 269), conservato presso la Galleria dei Cetacei del Museo di Storia Naturale

dell’Università di Pisa).

Mesoplodon bowdoini Andrews, 1908 (MSNUP 269)

L’esemplare di mesoplodonte (fig. 20), acquistato nel 1897, proviene dalla Nuova Zelanda. Lo scheletro è lungo 361 m, con un cranio di 66.3 cm di lunghezza e 33.5 cm di larghezza. Sono presenti 46 vertebre: le 7 vertebre cervicali si presenta in un blocco fuso costituito dalle prime tre vertebre cervicali, mentre dalla quarta in poi le vertebre cervicali si presentano ancora separate; seguono 10 vertebre toraciche, 10 lombari e 19 vertebre caudali (delle quali, secondo la ricostruzione, le ultime sette sono interamente ricostruite). mancano le ultime 7 vertebre caudali, interamente ricostruite; questo incrementa il numero delle vertebre fino a 46. Sono presenti 10 paia di coste, di cui 5 sternali. Gli archi emali sono in tutto 8. Le ossa dell’apparato ioideo sono assenti.

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Lo scheletro, sebbene in buono stato di conservazione, non si presenta:

1. Sono assenti le ossa dell’apparato ioideo;

2. Sono presenti solo tre falangi prossimali, delle quali una ascrivibile al dito I sinistro, una al dito II sinistro; la terza è stata rinvenuta in prossimità dello scheletro, per cui non è possibile attribuirla a un arto in particolare.

Ziphius cavirostris Cuvier, 1823 (MSNUP 270)

Dalla nota storica di Braschi et al. (2007) si evince che lo zifio in questione (fig. 21) fu trovato spiaggiato a Pietrasanta nel 1823.

La lunghezza dello scheletro montato è 504 cm (per una lunghezza del corpo di 560 cm). Il cranio è lungo 77 cm e largo 48,7 cm. La colonna vertebrale consta di 44 vertebre, 7 cervicali (di cui le prime quattro fuse a formare un blocco unico, distinto dalle successive tre vertebre cervicali che permangono separate), 9 toraciche, 11 lombari e infine 17 caudali (le ultime due sono interamente ricostruite), cui sono associate 9 ossa chevron. La gabbia toracica è costituita da 9 paia di coste.

Lo scheletro si presenta in buono stato di conservazione, anche se alcuni elementi scheletrici mancano o sono incompleti:

1. il cranio presenta, in veduta caudale, un foro alla sommità del capo, in posizione caudale rispetto alla cresta nucale (fig. 22);

2. la porzione distale del rostro è danneggiata e la mandibola è incompleta: Braschi et al. (2007 ) stimarono che mancavano i primi 10 cm distali della mandibola;

3. le ossa ioidee sono incomplete, manca infatti un tiroiale;

4. la serie sinistra delle coste è incompleta; sono infatti presenti solo 7 coste anzi che 9; 5. gli arti pettorali sono incompleti a livello delle falangi, in particolare le falangi del dito I

sinistro e quelle del dito V destro e sinistro sono ricostruite, mentre sono assenti l’ultima falange del dito II sinistro e tutte quelle del dito I destro;

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Figura 21. Scheletro di Ziphius cavirostris (MSNUP 270). Tavola approntata da S. Richiardi e disegnate da E. Cristofani

(tavola non pubblicata).

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Delphinsu delphis Linnaeus, 1758 (MSNUP 289)

L’esemplare di delfino comune appartiene al Mar Tirreno (Braschi et al., 2007). Lo scheletro, montato su una tavola a scopo didattico, risulta lungo 191 cm; 44,2 cm e 18,4 cm sono rispettivamente la lunghezza e la larghezza del cranio. La colonna vertebrale è costituita da 74 vertebre: 7 cervicali (di cui le prime due sono fuse in un unico blocco), 14 toraciche, 19 lombari e 34 caudali. Sono presenti 14 paia di coste. Gli archi emali sono 22.

Sono assenti le ossa ioidee e i rudimenti pelvici.

2.2 RACCOLTA DATI

Misure morfometriche

Al fine di poter effettuare il rilevamento osteometrico, gli scheletri sono stati smontati dai rispettivi sostegni e le componenti d’interesse sono state fotografate in veduta craniale, caudale, laterale destra e sinistra, dorsale e ventrale.

Tutte le fotografie che forniscono una veduta craniale e caudale sono state scattate in modo che l’obiettivo giacesse lungo la retta che lo congiunge perpendicolarmente ai piani sagittale e trasversale dell’elemento osseo considerato; per fotografare le vertebre in veduta ventrale e dorsale l’obiettivo è stato invece fissato in modo che fosse perpendicolare ai piani sagittale e frontale delle stesse; infine, per fornire una veduta laterale, l’obiettivo è stato posizionato perpendicolarmente rispetto ai piani frontale e trasversale. Per fare ciò ci si è serviti di un piccolo cavalletto. Le fotografie scattate, oltre a fornire un supporto visivo alla descrizione della componente ossea considerata, costituiscono un importante elemento di analisi, in quanto utilizzate per misurare l’inclinazione degli archi neurali e delle spine neurali lungo la colonna vertebrale.

I dati osteometrici d’interesse fanno riferimento a quelli definiti negli studi di Buchholtz (2001), Buchholtz & Schur (2004) e Buchholtz et al. (2005). Per le misurazioni è stato usato un calibro (con unità di misura pari al centimetro e con risoluzione di 0,1); per le dimensioni di componenti particolarmente piccole è stato usato un calibro elettronico di precisione (in questo caso l’unità di misura è il millimetro, con sensibilità fino alla seconda cifra decimale, ovvero 0,01). Laddove la dimensione da rilevare superava la capacità del calibro, la misura è stata presa mediante un metro flessibile (con unità di misura pari al centimetro e risoluzione di 0,1) seguendo la perpendicolare al piano d’interesse. Nel caso in cui le misure non potevano

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Figura 23. Parametri presi in

considerazione (Buchholtz & Schur, 2004): lunghezza del corpo vertebrale (CL), larghezza del corpo vertebrale (CW), altezza del corpo vertebrale (CH), altezza del processo neurale (NPH), altezza dell’arco neurale (NAH), altezza della spina neurale (NSH), inclinazione dell’arco neurale (NAI) e inclinazione della spina neurale (NSI).

essere rilevate né con il calibro né con il metro flessibile, sono state utilizzate delle tavole per la proiezione ortogonale sul piano orizzontale o verticale a seconda della misura d’interesse: una volta proiettati i punti sul piano si è proceduto alla misurazione mediante riga (l’unità di misura era in questo caso il centimetro, con una risoluzione di 0,1). A causa della diversa sensibilità degli strumenti utilizzati, tutte le misure che seguono sono state convertite in millimetri (mm); gli angoli, espressi in gradi (°), sono stati misurati con un goniometro:

1. lunghezza del corpo vertebrale (CL): decorre lungo l’asse longitudinale del corpo vertebrale, dalla superficie craniale a quella caudale; è stata misurata in veduta ventrale

2. larghezza del corpo vertebrale (CW): è stata rilevata sia in veduta craniale che in veduta caudale a livello della superficie

intervertebrale;

3. altezza del corpo vertebrale (CH): tale misura, analogamente a CW, è stata rilevata in veduta craniale e in veduta caudale a livello della superficie intervertebrale;

(NB: Le misure CW e CH sono state rilevate sia in veduta craniale che in veduta caudale, ma in accordo con i lavori di Buchholtz sono state prese in considerazione solo quelle relative alla superficie anteriore del corpo vertebrale);

4. altezza del processo neurale (NPH): tale misura è stata, presa in veduta caudale; decorre dal margine dorsale del processo fino alla superficie dorsale del corpo vertebrale in veduta caudale in corrispondenza del piano sagittale del corpo stesso; la misura è perpendicolare al piano orizzontale;

5. altezza dell’arco neurale (NAH): è la distanza compresa tra la superficie dorsale del corpo vertebrale e la linea orizzontale passante per la metapofisi;

6. altezza della spina neurale (NSH): è la distanza compresa tra la linea orizzontale passante per la metapofisi e il margine dorsale del processo neurale;

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(NB: a differenza di NPH, perpendicolare al piano orizzontale, le misure NAH e NSH (fig. 23) sono state prese seguendo l’inclinazione degli archi neurale e delle spine neurali rispettivamente);

7. Inclinazione dell’arco neurale (NAI): è l’angolo, espresso in gradi, compreso tra la superficie dorsale del corpo vertebrale e la linea che decorre medialmente lungo il processo neurale in veduta laterale (fig. 23); tale misura è stata presa empiricamente sull’immagine fotografica in veduta laterale sinistra;

8. Inclinazione della spina neurale (NSI): è l’angolo compreso tra la linea orizzontale passante per la metapofisi e la linea che decorre medialmente lungo la linea mediana del processo neurale in veduta laterale (fig. 23); l’angolo è stato misurato empiricamente sull’immagine fotografica in veduta laterale sinistra;

9. lunghezza dei processi trasversi (TPL): decorre lungo l’asse longitudinale del processo trasverso, dal margine distale al punto mediano del margine prossimale, in corrispondenza della superficie laterale del corpo vertebrale.

10. Lunghezza delle metapofisi (MtL): lungo la linea che congiunge il margine craniale della metapofisi alla base della stessa.

Ulteriori parametri morfometrici derivano dal rapporto di alcune delle misure sopra elencate:

11. lunghezza relativa (CL/CH): questo parametro, che ci permette di identificare la forma del corpo vertebrale come disco o cilindro a seconda che CL sia minore o maggiore di CH, è stato estrapolato da Buchholtz & Schur, 2004;

12. momento di forza (CW X CL2): identifica la regione "più forte" del rachide, ovvero i siti di maggiore tensione e, di conseguenza, suggerisce la presenza delle inserzioni muscolari più potenti (Cozzi et al., 2009; Sljiper 1946);

13. momento di resistenza (CW X CH2): rappresenta le forze interne del rachide che offrono più resistenza alla curvatura (Sljper 1946; Zotti et al., 2011; Viglino et al., 2014);

14. momento di resistenza laterale (CW2 X CH): rappresenta le forze interne che offrono maggiore resistenza alla curvatura in senso latero-laterale (Sljper 1946; Zotti et al., 2011).

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Massa, Volume, densità

Per capire quali parti del rachide contribuiscano al galleggiamento e quali invece costituiscano le componenti più dense, le vertebre sono state pesate singolarmente mediante una bilancia. Al fine di stimare il centro di massa (baricentro) della componente assile costituita dalla testa e dalla colonna vertebrale, sono stati pesati anche il cranio e la mandibola. La massa di tutte le vertebre, del cranio e della mandibola è espressa in grammi (g).

La massa delle varie componenti è stata rapportata alla lunghezza cumulativa, al fine di normalizzare le dimensioni degli scheletri, caratterizzati non solo da una lunghezza diversa ma anche da un numero diverso di unità vertebrali. Il baricentro è stato stimato sulla lunghezza cumulativa e la massa cumulativa e l’analisi è stata svolta sia per la singola colonna vertebrale, sia per la colonna vertebrale con cranio annesso e, infine, per tutto lo scheletro assile, per valutare quale delle componenti incide di più sul baricentro dello scheletro e in quale misura.

Il volume è stato misurato solo per la colonna vertebrale (nel presente studio non sono stati misurati il volume del cranio e della mandibola). Il progetto iniziale consisteva nello sfruttamento del principio di Archimede, secondo il quale un corpo immerso in un fluido sposta una quantità di fluido pari al suo volume; tuttavia in seguito ai primi tentativi è stato osservato empiricamente che le vertebre degli zifidi assorbono una notevole quantità d’acqua, motivo per cui l’acqua è stata sostituita con la sabbia. A differenza dell’acqua, la sabbia comportava il problema di doverla livellare; per questo motivo, una volta sistemata la sabbia nel contenitore, è stato utilizzato un livello in modo da non creare rendere uniforme lo strato superficiale.

Il contenitore usato per misurare la variazione del volume vertebrale è stato cambiato, a seconda delle esigenze, in funzione delle dimensioni delle vertebre prese in esame, così come il volume della sabbia impiegata per tale scopo.

È stato inoltre fissato un metro (l’unità di misura era il centimetro con una sensibilità di 0,1) sulla parete interna del contenitore per misurare:

1. l’altezza raggiunta dal volume di sabbia senza la vertebra;

2. l’altezza raggiunta dal medesimo volume di sabbia dopo che la vertebra era stata messa nel contenitore.

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Figura 24. Generazione dell’immagine tomografica. I raggi X, emanati da un tubo radiogeno che si muove a 360° intorno al paziente (campione), sono rilevati dai detector, i quali trasmetteranno l’informazione affinché questa sia elaborata in immagine tomografica. La densità è stata infine calcolata come rapporto tra la massa e il volume misurati (g/cm3). Le misure di massa, volume e densità sono state rilevate sia per gli zifidi sia per il delfino comune, al fine di poter confrontare la densità delle vertebre di cetacei che frequentano abitualmente l’habitat delle acque profonde con quella di un cetaceo (il delfino comune appunto) che si immerge a profondità inferiori ai 300 m.

2.3 TAC (TOMOGRAFIA ASSIALE COMPUTERIZZATA)

La TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) è stata eseguita presso il reparto di Radiologia dell’Ospedale di S. Chiara di Pisa.

La TAC, sviluppata nel 1972 dall’ingegnere inglese G. Hounsfield, costituisce attualmente una tecnica di radiologia essenziale di cui si serve la metodologia diagnostica per immagini; il cui campo d’impiego è in realtà piuttosto ampio: la sua applicazione spazia dalla medicina all’archeologia, allo studio dei tessuti molli e degli organi interni (Cranford, 1999; Soldevilla et al., 2005) e del sistema arterioso e venoso a essi associato (Costidis, 2013), alla paleontologia (Abel et al., 2012; Marino et al., 2000), a studi di necroscopia (Ketten, 2005), a quelli di idrodinamica (Fish et al., 2007) oppure, come in questo caso, allo studio della biomeccanica dello scheletro assile.

Questa tecnica sfrutta i raggi X per generare immagini bidimensionali in sezione (immagini tomografiche). Le immagini sono acquisite grazie a una rotazione continua a 360° del tubo radiogeno: il fascio di raggi X che viene proiettato sul corpo che poggia su un piano mobile (il corpo nel nostro caso è la vertebra, l’omero o la falange) descrive una spirale, mentre il piano stesso si muove all’interno del tubo radiogeno, ovvero all’interno del fascio di raggi X (fig. 24). L’insieme delle proiezioni di raggi X consente di ricostruire la struttura interna delle vertebre senza che queste vengano danneggiate.

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La TAC presenta un altro vantaggio: non occorre preparare il campione prima da osservarlo; nel nostro caso l’unico accorgimento prima dell’esecuzione della TAC è l’eliminazione delle componenti metalliche di sostegno inserite lungo l’asse longitudinale dell’osso.

Ogni sezione è suddivisa in una matrice 1024 x 1024 elementi di volume; ogni unità (elemento) di volume prende il nome di voxel, il quale è attraversato durante la scansione da numerosi fotoni. L’intensità della radiazione trasmessa viene misurata da una serie di rilevatori.

A partire dalla lettura dell’intensità, può essere calcolato, mediante algoritmi, il valore di attenuazione del tessuto (a ogni voxel è attribuito un valore di attenuazione specifico). A questo punto l’immagine può essere ricostruita come una matrice di elementi di immagine (pixel).

A ogni pixel è attribuito un valore numerico (valore tomografico), che corrisponde alla media di tutti i valori di attenuazione all’interno dei voxel rispettivi. I valori tomografici corrispondono a una scala di grigi: per ciascuna gradazione di grigio abbiamo un corrispondente valore di attenuazione del fascio di raggi in quel punto.

Principio fisico

Abbiamo detto che a un voxel corrisponde un determinato valore di attenuazione; quando, mediante complessi algoritmi, il voxel è convertito in pixel, il valore di attenuazione è convertito in una determinata graduazione di grigio.

Il processo finora descritto, ovvero l’elaborazione di un immagine tomografica a partire dal dato grezzo, si basa fondamentalmente sulla fisica dell’assorbimento dei raggi X. Dato un fascio di raggi X di intensità iniziale I0, al crescere del coefficiente di attenuazione di massa μe, si osserverà un’attenuazione dell’intensità (fino al raggiungimento di un valore di intensità It, dove il pedice t indica il mezzo attraversato dal fascio di raggi), si osserva che tale attenuazione (decremento) dell’intensità si verifica in maniera esponenziale. Il coefficiente di attenuazione di massa è funzione della densità ρ del mezzo t attraversato dai raggi X e dell’energia E del fascio di raggi stessi. La legge fisica che esprime tale relazione è:

I

t

= I

0

e

– μt

Questo significa che quando il mezzo attraversato dal fascio di raggi X è costituito da elementi con un numero atomico alto (materiale ad alta densità), lo spessore attraversato sarà notevole e l’energia sarà bassa in quanto il materiale in questione impedisce, in modo parziale o

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completo, il passaggio dei fotoni; i materiali che presentano questa proprietà sono detti radiodensi o radiopachi.

Al contrario, quando il fascio di raggi X attraversa un mezzo dotato di una basso numero atomico (materiale a bassa densità), lo spessore attraversato è ridotto e l’energia sarà maggiore poiché il materiale non è abbastanza denso da “schermare” il fascio di raggi, ovvero l’attenuazione sarà minore; i materiali che presentano tali caratteristiche prendono il nome di radiolucenti. Gli oggetti radiodensi appariranno chiari, mentre gli oggetti radiolucenti appariranno più scuri. Per estensione, vengono definite radiodense (chiare) o radiolucenti (scure) le aree dell’oggetto che compaiono nella radiografia.

In altre parole l’intensità che il fascio di raggi raggiunge nel mezzo (It) è direttamente

proporzionale all’energia (e) e inversamente proporzionale al coefficiente di attenuazione del mezzo (μt).

Radiodensità

La scala di grigio in funzione della quale si stabilisce se il materiale è radiodenso o radiolucente (chiaro o scuro rispettivamente) esprime qualitativamente la riadiodensità dell’oggetto in esame. Ogni tonalità di grigio corrisponde a un valore di attenuazione; tale valore è espresso dalla Scala Hounsfield, la quale consente di esprimere la radiodensità in termini quantitativi. I valori della Scala Hounsfield sono espressi attraverso unità Hounsfield (HU) in funzione di un valore di attenuazione di riferimento, quello dell’acqua, al quale è attribuito il valore zero; gli altri valori coprono uno spettro di 2000 HU e variano da -1000 a +1000, sebbene attualmente gli scanner moderni riescano a coprire un range di 4000 unità. L’unità Hounsfield è definita come:

HU = 1000 x (μ

x

acqua

)/ (μ

acqua

)

dove μacqua è il coefficiente di assorbimento dell’acqua e μx è il coefficiente di assorbimento

dell’oggetto considerato.

Il valore di radiodensità del tessuto osseo compatto è +3000, mentre quello del tessuto trabecolare +700.

Ricostruzione multi-planare e tridimensionale

In questo modo, il tomografo computerizzato presenta il risultato sul monitor grazie a un software di rendering. Per la visualizzazione e l’esplorazione delle immagini tomografiche è

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stato utilizzato RadiAnt Viewer 1.9.10 version (si tratta di un visualizzatore DICOM, Digital Imaging and Communications in Medicine, impiegato per immagini a scopo diagnostico). Una volta acquisita l’immagine tomografica, vengono visualizzate le sezioni sul piano frontale (o coronale), sul piano sagittale e sul piano trasversale.

Figura 25. I parametri per la TAC vengono impostati grazie a un software che fornisce l’input (a destra), mentre le immagini

tomografiche che costituiscono l’output (a sinistra) possono essere visualizzate su un computer grazie a un software di rendering (A); vertebra Ca1 di H. ampullatus dentro il tubo radiogeno (B); vertebra T1 di M. bowdoini (a sinistra) e falange di Z. cavirostris (a

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In dual-modality è stato inoltre possibile visualizzare l’immagine secondo una scala che va dal rosso al blu (fig.26) anziché secondo una graduazione di chiaroscuri Al colore rosso è associato un elevato valore di densità (materiale radiodenso), mentre al blu è associato un elevato valore di densità (materiale rediolucente) (fig. 26). È stata infine elaborata un’immagine 3D della componente ossea esaminata.

Figura 26. Immagine tomografica. La vertebra è posizionata sul piano lungo l’asse sagittale; si tratta di una sezione trasversale che

passa per il corpo vertebrale in corrispondenza dei processi trasversi. A destra, la radiodensità è rappresentata da una scala di diversi livelli di grigio: le aree bianche rappresentano il tessuto osseo compatto, mentre quelle grigie tendenti al nero rappresentano il parenchima della vertebra costituito da osso trabecolare; a sinistra, con l’applicazione dual-modality la scala di grigio è convertita in una scala a colori che va dal rosso (che corrisponde al tessuto osseo compatto) al blu (tessuto osseo trabecolare).

Obiettivi e criteri di scelta

Per l’analisi della TAC è stata scelta la Ca1 dello zifio e del delfino comune. L’esame è stato eseguito pe tutti gli esemplari (delfino comune incluso) per verificare:

1. Variazione di densità del corpo vertebrale;

2. Variazione di densità tra individui: sono state messe a confronto le densità della vertebra Ca1 dello zifio e del delfino comune. Ipotizziamo infatti che nel delfino comune non si osservi il pattern degli zifidi in relazione ai diversi stili di nuoto e, di conseguenza, agli habitat delle specie.

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Per raggiungere gli obiettivi sopra citati, per ogni immagine tomografica sono stati fissati dei criteri per la selezione delle aree da sottoporre ad analisi; tali criteri portano alla selezione di aree a densità omogenea:

1. esclusione delle aree i cui valori di radiodensità possono essere inficiati dalla presenza di fori, praticati lungo l’asse longitudinale della componente ossea (è ad esempio il caso dei fori praticati nelle vertebre, nell’omero e nelle falangi, con lo scopo di montare lo scheletro su sostegni metallici: questo ha portato a escludere dall’analisi la parte centrale del corpo vertebrale, dell’omero o della falange);

2. esclusione delle aree i cui valori di radiodensità possono essere alterati per la presenza di materiale esogeno (densità residua), presente nelle porzioni restaurate (ricostruite completamente o in parte);

3. esclusione della parte corticale (tessuto osseo compatto): è stato preso in considerazione solo il tessuto trabecolare, ovvero il tessuto osseo spugnoso che costituisce il parenchima del corpo vertebrale;

4. scelta di un parametro che permettesse di eseguire un confronto tra vertebre di diverse dimensioni e quindi tra animali di lunghezza molto diversa: si pensi, ad esempio, che l’esemplare di Hyperoodon ampullatus è lungo 700 cm, mentre Delphinus delphis non raggiunge i 200 cm; tali discrepanze si riscontrano ovviamente anche a livello delle singole vertebre, dell’omero e delle falangi; per questo motivo la selezione dell’area da sottoporre a esame è stata eseguita in modo che il diametro di tale area fosse pari alla metà del raggio della sezione trasversale del corpo vertebrale (vale a dire che il diametro dell’area selezionata è uguale a ¼ CW). In questo modo l’estensione dell’area è proporzionale alle dimensioni delle vertebre; questo significa che la superficie dell’area scelta per una vertebra rappresenta una determinata percentuale rispetto alla superficie totale della sezione trasversale della vertebra. Tale percentuale sarà quindi la stessa per ogni vertebra. Nello specifico nello zifio ¼ CW=20.3mm, mentre nel delfino comune ¼ CW=8.6mm. In questo modo l’area della superficie selezionata è uguale a circa il 7% in entrambi i soggetti (3.3cm3 nello zifio e 0.6cm3 nel delfino; fig. 27-28).

Sulla base del punto [1] l’omero di Z. cavirostris è stato escluso a causa dell’impossibilità di sfilare dall’osso i sostegni metallici.

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Per la scansione le vertebre sono state orientate lungo l’asse sagittale, con la superficie craniale rivolta verso il basso e la superficie caudale verso l’alto (fig. 25B)

Una volta che le ossa sono state sottoposte a scansione e selezionata l’area d’interesse, scelta secondo i criteri sopra citati, il software restituisce la superficie dell’area, espressa in mm2, la radiodensità minima (min), la radiodensità massima (max) e il valore medio di radiodensità (mean) con la deviazione standard (SD). I valori di radiodensità visualizzati dal software sono espressi in unità Hounsfield (UH).

La TAC è stata eseguita presso il Dipartimento di Radiologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa.

Figura 27. Selezione dell’area d’interesse in Ziphius cavirostris. Dimensioni di CW, ½ CW e ¼ CW (a sinistra) e area selezionata (a

destra).

Figura 28. Selezione dell’area d’interesse in D. delphis. Dimensioni di CW, ½ CW e ¼ CW (a sinistra) e area selezionata (a destra).

2.4 MICRO-TAC

Lo scopo della microTAC è verificare un riscontro dei risultati ottenuti con la TAC a livello della microstruttura dell’osso. Al pari della TAC, la microTAC non è un esame distruttivo né invasivo, quindi consente di studiare la struttura dell’osso senza danneggiarlo.

Le proprietà fisiche dell’osso, comprese le dimensioni, la morfologia e la distribuzione dei cristalli di apatite, influenzano le proprietà meccaniche del tessuto osseo. L’importanza della

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geometria dell’osso e la micro-architettura trabecolare in relazione alla forza dell’osso è stata ben documentata; tali informazioni sono utili per scopi medici, legati alla fisiologia e alla patologia dell’osso (Bagi et al., 2006; Hanson & Bagi, 2004).

La microTAC è, come indica il nome, una versione miniaturizzata della TAC: essa consiste in una prima fase durante la quale viene eseguita una scansione esplorativa, per capire quale protocollo utilizzare; in seguito alla scansione si ha l’elaborazione del dato grezzo, il quale costituisce l’input sulla base del quale verrà costruita l’immagine binaria; infine, mediante algoritmi, si individua la porzione d’interesse e si avvia la seconda scansione, sulla base della quale verranno stimati i valori dei parametri che rendono possibile la definizione della micro-architettura del tessuto osseo trabecolare.

Per la micro-TAC sono state scelte le falangi, a causa delle ridotte dimensioni che tale analisi può supportare. I criteri di scelta dell’area da esaminare sono stati gli stessi stabiliti per la TAC. Le falangi sono state sottoposte a scansione in posizione orizzontale, con le superfici piatte parallele al piano orizzontale.

La microTAC segue lo stesso principio della TAC, ma a differenza di quest’ultima richiede tempi più lunghi in funzione della risoluzione dell’immagine da definire. Nel presente studio, il protocollo prevedeva 14 minuti di scansione (acquisizione del dato grezzo) e 20 minuti di elaborazione dell’immagine; in totale 34 minuti per ogni falange.

Per ogni falange sono state elaborate un’immagine 2D e una sezione trasversale in 3D. In seguito all’analisi della micro-architettura dell’osso, sono stati elaborati i seguenti parametri (Bagi et al., 2006; Hanson & Bagi, 2004):

1. Frazione di volume dell’osso (BV/TV) : è il volume dell’osso mineralizzato (BV, Bone Volume) per unità di volume del campione (TV, Total Volume). Questo valore di output richiede un input espresso in codice binario. La frazione di volume fornisce due metodi per la misurazione del rapporto BV/TV: uno è basato sui voxel, l’altro è basato su un sistema di reti di superfici (suface mesh). Nel primo caso BV/BT è semplicemente il numero di voxel del piano (in questo caso l’osso) diviso per il numero totale di voxel dell’immagine. Nel secondo, viene generata una serie di superfici e BV è il volume contenuto nella superficie, mentre TV è il volume che la superficie delimita .

2. Isosuperficie (BS/BV) (mm-1): dove BS (Bone Surface) è l’area della superficie dell’osso. La superficie dell’osso è costruita mediante la giustapposizione delle superficie

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alla come la somma delle aree dei triangoli), mentre il volume dell’osso è stimato mediante la costruzione di cubi a partire dall’immagine binaria. Il rapporto tra la superficie dell’osso (BS) e il suo volume (BV)è espressa in mm-1 (Lorensen & Cline, 1987).

3. Grado di anisotropia (DA; Odgaard, 1997; Harning & Mann, 1984): l’anisotropia è la proprietà secondo la quale un materiale muta le proprie caratteristiche a seconda della direzione nello spazio lungo la quale viene considerato (al contrario, l’isotropia indica la proprietà di un corpo di conservare le stesse caratteristiche meccaniche in ogni direzione nello spazio). L’osso trabecolare varia il proprio orientamento in funzione della tensione meccanica e può essere anisotropico. Il concetto sul quale è stato costruito l’algoritmo sfrutta il principio geometrico secondo il quale la sfera è il corpo isotropico per antonomasia, mentre l’ellissoide è un corpo anisotropico: gli assi (vettori) che si dipartono dal centro della sfera verso la periferia sono tutti uguali, mentre nell’ellissoide abbiamo assi di diverse dimensioni, a seconda della direzione verso la quale sono diretti; questo implica un cambiamento delle caratteristiche meccaniche nello spazio. Sostanzialmente, per determinare l’anisotropia, vengono virtualmente costruiti, all’interno del campione, un gran numero di vettori. Tali vettori originano da punti random e viaggiano all’interno del campione stesso. Quando ogni vettore raggiunge un confine (tocca un ostacolo, rappresentato in questo caso da una trabecola) tra il punto di partenza (in primo piano) e il punto d’arrivo (in secondo piano), viene calcolata un’intercetta per quel vettore. La lunghezza media dell’intercetta (MIL) su quel vettore è quindi la lunghezza del vettore divisa per il numero di volte che il vettore stesso incontra un ostacolo. Viene quindi costruita una nuvola di punti. A questo punto viene fittato un ellissoide sulla nuvola di punti e, successivamente si ottengono le lunghezze degli assi dell’ellissoide e l’orientamento di questi ultimi. Questo processo si ripete nuovamente per molti punti random e di volta in volta il parametro DA viene aggiornato con il nuovo calcolo della MIL, fino a quando non verrà raggiunto il numero minimo di punti di campionamento o fino a quando il coefficiente di variazione di DA non assume un valore al di sotto di una certa soglia. Il rapporto tra la MIL massima e la MIL minima è indicato con tDA (1 < tDA < ∞ ). Facendo nuovamente riferimento alla sfera e all’ellissoide presi prima come esempio, è intuitivo che possiamo trovare due condizioni limite. La prima è rappresentata dalla

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condizione MILmax / MILmin = 1; in questo caso siamo di fronte a qualità del tutto analoghe a quelle della sfera, dove gli assi che si dipartono dal centro verso la periferia hanno tutti uguale lunghezza: in altre parole, sui vettori che vengono tracciati casualmente viene fittata, attraverso una serie di algoritmi, una sfera, quindi l’elemento esaminato è isotropico. Nel secondo caso in cui si osserva la condizione MILmax / MILmin = ∞, allora gli assi (cioè i vettori) assumono diverse dimensioni e le proprietà dell’ellissoide fittato mutano al variare dell’orientamento dei vettori nello spazio e, di conseguenza, l’elemento analizzato è anisotropico. Il parametro DA è uguale al reciproco di tDA, quindi la relazione matematica che lega tDA a DA è:

DA = 1 – (MILmin / MILmax) =1 – 1/tDA

Il valore di DA è compreso tra 0 e 1. Se DA = 0 indica che la struttura è isotropica; questo è coerente con quanto detto sopra: se tDA = 1, allora DA = 1 – 1 = 0. Se DA = 1, la struttura è anisotropica, infatti, sostituendo il termine tDA con il valore di anisotropia (che come detto prima è ∞) avremo 1 – 1/tDA = 1-1/∞ = 1 - 0 = 1.

Il grado di anisotropia indica come le strutture della micro-architettura sono orientate all’interno del volume considerato.

4. Connettività (Conn): è il numero di strutture connesse in una rete (l’osso trabecolare è una struttura di questo tipo) e può essere determinata attraverso la caratteristica di Eulero (la caratteristica di Eulero, X, fu definita inizialmente per i poliedri, con la formula X=V–S+F, dove V è il numero dei vertici, S è il numero degli spigoli e F è il numero delle facce del poliedro; la relazione di Eulero asserisce che X=V–S+F=2). La Connettività (β1) è calcolata come:

Conn. = β1 = 1 – Δχ

dove Δχ è il contributo del campione dell’osso alla caratteristica di Eulero dell’osso al quale si connette (Odgaard & Gundersen, 1993; Toriwaki & Yonekura, 2002).

5. Densità di connettività (Conn. D) (mm-3): questo parametro è calcolato dividendo la connettività per il volume del campione. Mediante algoritmi i voxel vicini sono usati per calcolare la caratteristica di Eulero del volume al fine di determinare il contributo del volume alla connettività della struttura dalla quale è stato preso. Tale parametro viene misurato sull’unità di volume (mm3) ed è definito quantitativamente dalla seguente

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Conn.D = β1 / volume del campione

6. Structure model index (SMI): è un metodo usato per determinare la geometria della struttura trabecolare, di forma laminare o tubulare. Questi due tipi di struttura rappresentano due estremi, ma in natura troviamo strutture intermedie. L’indice SMI usa la variazione dell’area di superficie dell’osso (BS, espressa dall’isosuperficie) quando il volume aumenta in modo infinitesimale. I valori di questo parametro indicano se la struttura trabecolare è laminare (SMI=0), tubulare (SMI=3) o sferoidale (SMI=4). Nel caso di superfici concave, SMI assume valori negativi, che sono comuni nelle strutture trabecolari, rendendo difficile l’interpretazione dei risultati, tuttavia attualmente non esistono, da questo punto di vista, metodi migliori per stimare la forma della mirco-architettura dell’osso (Doube, 2015).

7. Spessore trabecolare (Tb, th) (mm): questo parametro definisce lo spessore in un punto come il diametro della sfera di maggiori dimensioni che fitta (è costruito) dentro la struttura e che contiene il punto. Sono stati calcolati il valore massimo (Tb,th Max), il valore medio (Tb,th Mean) e la deviazione standard (Tb, th SD) dello spessore trabecolare, a partire dai valori dei pixel. Questo significa che tali parametri sono calcolati mediante algoritmi una volta che il computer ha ricevuto l’input, che in questo caso è l’immagine binaria in 2D o 3D). Il tempo di processamento (cioè il tempo richiesto per la costruzione dell’immagine) dipende dalle dimensioni (pixel) (Dougherty & Kunzelmann, 2007; Hildebrand , 1999).

8. Spaziatura trabecolare (Tb.Sp) (mm): questo parametro, analogamente al precedente, viene calcolato a partire dai valori dei pixel dell’immagine binaria.

Per la micro-TAC è stato scelto un campione di 125mm3.

La micro-TAC (fig. 31) è stata eseguita presso l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Pisa.

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Figura 29. MicroTAC. Il sistema consiste nella forma miniaturizzata della TAC (A); le falangi di D. delphis e di Z. cavirostris sono

posizionate lungo l’asse longitudinale in modo che le superfici piatte siano parallele al piano orizzontale (B); veduta dall’alto delle stesse (C); falange di H. ampullatus durante la scansione (D); immagini tomografiche delle falangi di D. delphis e Z.

Riferimenti

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