“We shall not cease from exploration”
Filippo Carlà
Il dipartimento di Storia e Tutela dei Beni cul
turali dell’Università degli studi di Udine ha or
ganizzato (Udine, 9-10 novembre 2006) il con
vegno “Viaggi e viaggiatori. Storie di itinerari e di identità culturali”. Il tema, assai interessante, lo è anche per le evidenti ripercussioni sulla più stretta attualità intorno alle tematiche della mi
grazione, dello sradicamento e soprattutto del
l’incontro tra culture, e ha permesso un approc
cio assai vario e multidisciplinare, in grado di coinvolgere le molte anime del dipartimento stesso, che riunisce studi storici, storico-artisti
ci, archeologici, archivistico-librari, filologici, storico-cinematografici.
La tematica del viaggio nei suoi diversi aspet
ti — alla quale allude il titolo tratto da Little Gid- ding di Thomas S. Eliot — impone una prima, immediata, distinzione: se da un lato sta il viag
gio reale, l’effettivo trasferimento fisico di uo
mini ma anche di oggetti, dall’altro vi sono gli spostamenti “mentali”, in un altrove che può es
sere spaziale ma anche temporale, gli sposta
menti rappresentati, pensati, immaginati, e non ultime le espressioni metaforiche, per cui la vi
ta terrena stessa è, alla fine, concepibile come una forma di viaggio anche per evidenziarne la provvisorietà. In tutti i sensi, il concetto stesso di viaggio è fortemente connaturato all’uomo e accompagna le sue espressioni creative fin dai primordi: viaggi sono l’Epopea di Gilgamesh e ovviamente V Odissea, alle radici stesse della produzione letteraria umana.
Anche chi volesse rifiutare il trasferimento fisico, perché faticoso o poco desiderato, non può rinunciare a viaggiare con la mente, che è
in fondo il più immediato portato dell’idea del- T Altro; “chi vuole andare a tomo a tomo vada:
vegga Inghilterra, Ungheria, Francia e Spagna;
a me piace abitar la mia contrada”, scriveva Ario
sto nel 1518 (Satire III, 19), ma aggiungendo poco oltre che il resto del mondo, intellettual
mente, pur lo incuriosisce, e “il resto de la ter
ra, senza mai pagar l’oste, andrò cercando con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra; e tut
to il mar, senza far voti quando lampeggi il ciel, sicuro in su le carte verrò, più che sui legni, vol
teggiando” (ivi, 21-22).
La carta stampata, carta geografica o libro, è dunque lo strumento per eccellenza del viaggio figurato; ogni libro, anzi, è un viaggio, un per
corso tracciato dai concetti, codificati dalle pa
role, attraverso il territorio del segno, e la bi
bliografia, quindi, è la bussola per orientarsi, la promessa infinita di comunicazione, e dunque di viaggio nello spazio mentale, come ha ben messo in evidenza, nella prolusione all’incon
tro, Attilio Mauro Caproni (Libro e bibliogra
fia: cioè il viaggio della memoria). Oggi la car
ta stampata è stata affiancata da altri strumenti, in particolare dalle narrazioni per immagini con
sentite dalla tecnica cinematografica che, come il libro, sollecita e agevola il viaggio della men
te, non solo quando parla direttamente di paesi lontani o mostra spostamenti fisici altrui.
Va nondimeno sottolineato come la tematica del viaggiare sia fortemente presente nelle pro
duzioni cinematografiche, recenti e meno re
centi; nel corso dell’incontro, l’attenzione si è appuntata sulla rilevanza del tema in opere ita
liane degli ultimi anni (Roy Menarmi, Pondus
“Italia contemporanea”, dicembre2006, n. 245
animi. Il viaggio nel cinema italiano contempo
raneo), in cui il viaggio è stato usato soprattut
to per evidenziare il disagio e l’insoddisfazione di fronte a un certo tipo di pressione sociale e per indicare il rinnovamento del paese apporta
to dai migranti (Vesna va veloce di Carlo Maz
zacurati), anche attraverso la proiezione sulle esperienze di migrazione, estere o interne, degli italiani stessi (Lamerica e Così ridevano di Gian
ni Amelio). Anche le opere di Boustani, su cui si è soffermato Marco Rossetti ( “A viagem ” di Christian Boustani: un viaggio nelle immagini, tra storia dell 'arte e nuove tecnologie), che han
no alla radice a loro volta l’esperienza della mi
grazione (il regista, libanese, è naturalizzato francese), realizzate con le nuove tecnologie del
la videoarte e della computer animation, si ap
puntano sul tema dello spostamento e dell’in
contro di culture: A viagem racconta del primo viaggio portoghese in Giappone nel 1543 e del
la comunicazione tra due civiltà radicalmente altre, mentre il dialogo con il proprio passato è oggetto delle tre Cités Antérieures (Siena, Bru
ges, Toledo), ovvero un racconto per immagini dei tre centri urbani che, agli occhi del regista, hanno mantenuto più evidenti tracce del loro passato medievale, ancora vivo e pulsante.
Diverso è il discorso relativo alle arti figura
tive: se le rappresentazioni, e non solo quelle del lontano o dell’esotico, possono stimolare la fan
tasia dello spettatore e suscitare fantasie evoca
tive, la pittura e la scultura, costituzionalmente statiche, non possono rappresentare il viaggio e lo spostamento. Su questo si appuntò la sfida, contenutistica e tecnica, del futurismo, fin da su
bito affascinato e ispirato dai mezzi di traspor
to e dalla velocità: “Come i nostri antenati tras
sero materia d’arte dall’atmosfera religiosa che incombeva sulle anime loro, così noi dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita contem
poranea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la Terra, ai transatlantici, alle Dreadnoughts, ai voli meravigliosi che solcano i cieli, alle auda
cie tenebrose dei navigatori subacquei, alla lot
ta spasmodica per la conquista dell’ignoto”
(Boccioni, Carrà, Russoio, Balla, Severini, Ma
nifesto dei pittori futuristi. 11 febbraio 1910). Il desiderio di rappresentare il dinamismo, la ce
lebrazione dell’aeroplano e il contesto storico di grande espansione dell’aviazione, militare ma anche civile, conduce alla nascita dell’aeropit
tura, il cui manifesto è del 1929 (Alessandro Del Puppo, Immagini dall’aeroplano: la geografia simbolica dell’aeropittura futurista). Nuova
mente, dunque, il viaggio come tema centrale d’indagine; questa volta, però, conformemente alla più generale dottrina futurista, la possibilità di spostamento appare fine a se stessa e non fi
nalizzata — né accompagnata — dalla possibi
lità di conoscenza e d’incontro.
Spostarsi, conoscere, incontrare, si è detto:
siamo così passati a considerare non più il viag
gio mentale, o metaforico, ma il viaggio fisico, lo spostamento reale. Vi sono naturalmente le condizioni concrete dello spostamento, dei mez
zi di trasporto, delle difficoltà linguistiche, cul
turali, economiche (Andrea Saccocci, De cam- biis monetarum: problemi valutari del viaggia
tore medievale), e dunque l’evoluzione tecnica e tecnologica, che ha cambiato radicalmente lo stile di vita e il modo di procedere dei viaggia
tori. Sull’aumento della mobilità degli antiqua
ri, e dunque sul miglioramento delle loro cono
scenze, metodologie, potenzialità scientifiche in connessione con l’introduzione delle strade fer
rate, e sulle prospettive che l’evoluzione tecno
logica può affacciare agli antichisti si è soffer
mato Ludovico Rebaudo (/ viaggi degli anti
quari). È necessario però sottolineare come al
cuni mestieri, tra cui quello dell’antichista e del
lo studioso d’arte, non possono e non potranno mai in alcun modo prescindere dallo sposta
mento perché non possono prescindere dalla co
noscenza autoptica dell’oggetto di studio, qua
lunque sia la nuova tecnologia di riproduzione grafica a disposizione: rispetto ai taccuini con schizzi di cui hanno parlato Donata Levi (Dal
l’erudizione alla connoisseurship. I taccuini di viaggio degli storici dell’arte) e Pietro Ruschi (Il viaggio di un antiquario da Roma a Firenze alla metà del ’700, su un percorso di Giovanni Gaetano Batteri), si sono avute le fotografie pri
ma, le riprese digitali poi, ma non si potrà mai rinunciare alla vista diretta del quadro, del pa
lazzo, dell’epigrafe.
Al di là di questo, però, è l’intenzione, e lo scopo, del viaggio che preme definire, in rap
porto a quanto fin qui detto sull’intima connes
sione tra essere umano e mobilità geografica:
un viaggio può dunque essere occasionato da motivazioni concrete, esigenze specifiche che solo spostandosi si possono soddisfare. E non si tratta naturalmente solo di esigenze conosci
tive, come nei casi sopra accennati, cui devono essere aggiunti i viaggi di esplorazione, prati
cati con assiduità fin dal mondo antico (Stefa
no Magnani, Racconti di viaggio lungo la co
sta africana)-, lo spostamento ha infatti finalità economiche e politiche estremamente rilevan
ti e spesso interconnesse.
In primo luogo vi è, naturalmente, il com
mercio: non solo gli uomini, ma anche gli og
getti viaggiano, il più delle volte per procurare un guadagno all’artefice del loro spostamento.
Il dato archeologico rivela senz’ombra di dub
bio come già da epoca preistorica e protostori
ca vi fossero scambi e contatti tra aree e popo
lazioni diverse, come hanno mostrato Elisabet
ta Borgna e Paola Guida Cassola (Viaggi per ma
re e per terra nelle regioni altoadriatiche nel
l’età del bronzo) sottolineando pure il maggio
re prestigio, ma anche l’esclusione dal corpo so
ciale, che toccavano a chi praticasse la mobilità già in queste società antiche. Per le epoche suc
cessive, i rinvenimenti di oggetti di diverse pro
venienze ci aiutano a ricostruire le reti dei con
tatti commerciali (Marina Rubimeli, Oggetti in viaggio: le anfore romane tardoantiche dalle Grandi Terme diAquileia) e anche culturali, spe
cie nel caso della compravendita di libri, opere d’arte, oggetti da collezione ecc. (Angela Nuo
vo, Libri in viaggio: distribuzione e commercio dei libri nel Rinascimento-, Andrea De Marchi, Imballaggio, spedizione e messa in opera delle pale d’altare: alcuni esempi quattrocenteschi), ma anche dell’esportazione di pellicole cine
matografiche (Leonardo Quaresima, Sulla rot
ta di Hollywood: il cinema tedesco in America
negli anni trenta). È vero che ad accompagnare gli oggetti non deve essere sempre una sola per
sona in tutti i luoghi e per tutta la loro esisten
za: il rinvenimento fisico in un determinato luo
go, dunque, non implica un arrivo diretto dal luogo di produzione e un solo intermediario, ma può sottintendere, prima del deposito, lunghi viaggi, usi diversi, più mani e anche lunghi pe
riodi di tempo; è però altresì vero che essi non si muovono mai da soli e anche quando, oggi, sono spediti via posta, qualcuno — un autista, un pilota — li accompagna: a spostarsi è co
munque l’uomo.
Il viaggio è strettamente connesso, oltre che all’economia, anche alla politica. Non solo esi
stono ambasciatori e diplomatici che si sposta
no al servizio dello Stato, come il veneziano Navagero (Claudio Griggio, L’itinerario diNa- vagero in Francia e Spagna), che ci ha lascia
to descrizioni economiche, etnografiche, de
mografiche sulle terre che attraversò alla metà del Cinquecento; non solo determinate strade o rotte, per il loro interesse strategico, devono es
sere strenuamente difese e ben dotate di infra
strutture (particolarmente interessante il caso delle vie terrestri e fluviali che legano Roma al mare, oggetto di attenzione assidua da parte del potere politico dall’età antica fino alla seconda metà dell’ottocento e all’affermazione delle motonavi, come ha mostrato Patrizia Augusta Verduchi, Dal mare a Roma lungo il Tevere). È la mobilità stessa che, come già accennato, è connessa, fin dai tempi più antichi, al prestigio e al potere. Il discorso è di non poca rilevanza, perché rientra nel vivissimo dibattito sulle for
me di egemonia e imperialismo legate non alla conquista territoriale ma a un potere economi- co-commerciale, e dunque allo spostamento (con il frequente uso di una prospettiva com
paratistica, che coinvolge per lo più Venezia, l’impero britannico, gli Stati Uniti: cfr. già dal titolo Stefano Latini, Supervenezia o la risco
perta della colleganza, “Limes”, 2004, n. 2). A monte, e spesso la si richiama in questo dibat
tito, vi è anche la talassocrazia ateniese del V secolo a.C., rievocata da Maddalena Zunino
(Remare, navigare, viaggiar per mare. Mobi
lità democratica e mobilità aristocratica nell’“Athenaion Politeia” pseudosenojbntea), che ha rivelato come già nel corso di quell’e
sperienza vi fosse un alto livello di elaborazio
ne teorica e si fosse identificato come strumen
to essenziale del dominio ateniese sugli “allea
ti” una privazione e/o distorsione della loro mo
bilità, impedita se commerciale e mirata al pro
fitto, vincolata alla destinazione ateniese e al
l’omaggio verso il centro del potere, nei casi giudiziari e politici. Viaggio e spostamento era
no determinanti, naturalmente, anche negli Im
peri territoriali, ove era necessario rendere pos
sibili spostamenti rapidi su lunghe distanze, per garantire l’esercizio della sovranità; non a ca
so Roma, così come l’impero inca, è famosa an
che a livello divulgativo per i suoi sistemi stra
dali. Mobilità ed esercizio del potere sono sem
pre strettamente interconnessi.
Ma non necessariamente interessi specifici muovono il viaggio, e questo può rispondere a stimoli più generali e meno definiti. In primo luogo, lo spostamento è certamente fuga, per al
lontanarsi, spesso senza ritorno, da condizioni sociali, economiche, politiche che rendano fati
cosa la sopravvivenza, o dalla guerra, anche ap
pena finita o imminente (Paul Fussell, Abroad.
British Literary Travelling between thè Wars, Oxford, Oxford UP, 1980). Anche spostamenti non definitivi possono rispondere all’esigenza di una fuga, da se stessi, dalla propria società, da situazioni e condizioni che appaiono soffo
canti. Questo tipo di esperienza si conclude però spesso con una delusione, con l’impossibilità di allontanarsi da un disagio che è, in realtà, inte
riore. Una motivazione del genere sembra an
che oggi spesso alla base del turismo, fenome
no che ora sappiamo essere tipico non solo del- 1 ’ età contemporanea, se una sorta di industria tu
ristica ben oliata appare già operante in epoca romana (Tony Perrottet, Route 66 A.D. On thè Trail ofAncient Roman Tourists, New York, Ran- dom House, 2002), sempre meno ristretto a una cerchia di privilegiati e condizionato con ogni evidenza dalla voglia di una sospensione, alme
no provvisoria, della quotidianità e dei normali rapporti sociali.
Nel turismo, come in tutte le forme di viag
gio più in generale, il desiderio di fuga è come finalità alternativo o parallelo a una ricerca di co
noscenza, di esperienza diretta che rende lo spo
stamento uno dei processi formativi per eccel
lenza, pur non potendo negare che le due cose vadano frequentemente di pari passo: quando Philip Warren, protagonista del romanzo 11 giu
dizio di Paride (trad. it. Roma, Fazi, 2006), si al
lontana dagli Stati Uniti per un anno dopo gli stu
di, per apprendere, incontrare e scegliere il pro
prio destino, il suo creatore, Gore Vidal, ce lo mostra sinceramente convinto che il “periodo per riflettere” sia anche “un preludio alla celebre fu
ga che sarebbe certamente stata la sua vita» quan
do l’avesse finalmente iniziata” (e fuga doppia dunque, perché fuga dall’inizio di una fuga!).
Prima di soffermarsi sull’aspetto “conosciti
vo”, però, sembra opportuno mettere in rilievo ancora il carattere particolare in questo senso dei
“viaggi di religione”, i pellegrinaggi, condizio
nati — in modo del tutto esplicito — sia da una voglia di allontanamento dalla materialità, dal mondo terreno, quanto dal desiderio forte di un’e
sperienza conoscitiva trascendentale, che si ri
tiene debba verificarsi con maggiore facilità in luoghi pervasi di significato perché vi si trovano particolari oggetti e reliquie, o sono stati abitati, attraversati, frequentati, da personaggi venerati.
La grande affermazione di questo tipo di viag
gio si colloca alla fine del mondo antico (Ar
naldo Marcone, Viaggio e viaggiatori tra Tarda Antichità e Alto Medioevo), quando il modello offerto dalle donne della famiglia imperiale ro
mana (Elena, madre di Costantino, per prima) e l’intercessione di alcuni padri della Chiesa diffondono la prassi del pellegrinaggio in Terra Santa, per vedere direttamente i luoghi della vi
ta e della passione di Cristo. Vi furono alcune forme di incertezza, di non piena convinzione dell’utilità di questo tipo di esperienze, per cui all’idea di un Girolamo, secondo cui la visita di quei luoghi aiutava a meglio comprendere e vi
vere la religione, si affiancò un Gregorio di Nis-
Note a convegni
sa, per cui i luoghi santi devono essere sempre nel cuore, anche di chi non li abbia mai visitati.
Ciò nonostante, l’abitudine — e anche la mo
da, presso gli strati sociali che potevano per
mettersi l’impegno economico di una simile esperienza — si diffuse; e così in età medieva
le e moderna i pellegrinaggi continuano, in di
rezione di Roma, ma anche di Santiago de Com
postela, o di Bari, o di molte altre località, per uomini e donne, giovani e anziani (il ricordo non può non correre al petrarchiano “vecchierei ca
nuto e bianco”), come ha mostrato l’analisi con
dotta da Flavia De Vitt (Friulani e pellegrinag
gi nel Quattrocento) sui testamenti redatti da co
loro che si misero sulla via del pellegrinaggio non certi, date le difficoltà e la lunghezza del percorso, di tornare vivi. Un caso particolare in questo contesto è quello messo in evidenza da Bruno Figliuolo (Ilpellegrinaggio dell’umani
sta: Bernardo Michelozzi 1497-1498), ovvero il viaggio in Terra Santa di Bernardo Michelozzi e Bonsignore Bonsignori che, sottraendosi al
l’organizzazione spesso pianificata fin nei mi
nimi dettagli della maggior parte dei pellegri
naggi, decisero di viaggiare per terra e non per mare e unirono alle motivazioni religiose anche quelle scientifiche dell’umanesimo, la visita ai luoghi della classicità e la ricerca di codici di autori antichi.
Non solo il Cristianesimo, naturalmente, at
tribuisce rilevanza al pellegrinaggio: è ben no
to come Tlslarn sia saldamente imperniato sul viaggio religioso, vero strumento per la crea
zione di una comunità, non solo per l’obbligo, imposto a tutti i musulmani, di recarsi una vol
ta nella vita alla Mecca se i loro mezzi lo con
sentono, ma per la stessa biografia di Maomet
to, mercante, il cui spostamento a Medina — l’Egira — segna l’inizio stesso dell’era islami
ca, come ha mostrato Giovanni Curatola (Viag
gi islamici, alla Mecca e oltre...), ma anche co
me il pellegrinaggio al Gange per purificarsi sia praticato ogni anno da milioni di induisti. An
che altri tipi di “fedi”, non religiose, infine, pos
sono dare motivo di veri e propri pellegrinaggi:
è il caso, per esempio, dei viaggi a Gorizia dei
realisti francesi, che vi venivano a visitare la tomba di Carlo X e a incontrare Enrico V, rite
nuto dai sostenitori dei Borboni, esiliati dopo la Rivoluzione di luglio, il legittimo sovrano (in
tervento di Roberto De Feo, Pélerinage à Go- ritz. Le impressioni di Sosthène de la Ro- chefoucauld e altri realisti francesi sull’esilio dei Borboni di Francia).
Ma, come già si è accennato, la motivazione per eccellenza del viaggio, quella che più spesso si confessa e rende esplicita, è l’occasione di co
noscenza, di incontro, di studio; il Bildungsreise dunque, che tanta importanza ha avuto nei seco
li dell’era moderna (e contemporanea) in parte prendendo il posto dei pellegrinaggi, con cui con
divide una funzione “iniziatica”, e ha avuto spes
so l’Italia come meta privilegiata, specie nella forma del Grand Tour (cfr. la bibliografia di At
tilio Brilli, da ultimo Viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale, Bologna, Il Mu
lino, 2006). Oggetto di grande interesse sono sta
ti e sono dunque i viaggi in Italia di personaggi illustri (come Montaigne o Goethe), tematica toc
cata nell’incontro da Lorenzo Finocchi Ghersi (Virginia Woolfe Vanessa Bell in Italia).
Il tema può essere interessante nel valutare le esperienze formative di una singola personalità, e l’influsso che i viaggi possono aver avuto sul
la sua produzione (per esempio Simeone Vol
pato, Scipio Slataper da Trieste ad Atene: re
portagefotografico e letterario, si è intrattenu
to sul viaggio scolastico in Grecia cui partecipò lo scrittore, ancora diciottenne, redigendone poi una relazione), ma lo è soprattutto nell’ottica di considerare come la mobilità di personaggi im
pegnati nel campo delle lettere e delle arti sia sintomo e causa, poi, della propagazione di nuo
ve idee, modelli, stili: in'quest’ottica, per esem
pio, Flavio Fergonzi (Artisti italiani negli Stati Uniti 1950-1960) ha messo in evidenza la ne
cessità della generazione di pittori dell’imme
diato dopoguerra di capire, a fronte della crisi della cultura europea, cosa stesse producendo l’arte americana, e quindi la capacità di riporta
re in Italia le tecniche e gli stili ivi visti e ap
presi. Attraverso il viaggio, dunque, avveniva
no prima dell’avvento delle nuove tecnologie, ma in realtà avvengono tuttora, lo scambio in
temazionale, continentale o planetario, e la dif
fusione delle “novità”: è questo il caso descrit
to anche da Laura Casella (L’erudizione italia
na in Francia, l’erudizione francese in Italia. I viaggi di Niccolò Madrisio patrizio udinese nel primo Settecento): Madrisio, grazie al suo sog
giorno parigino, portò infatti in Friuli un’atten
zione alle tematiche e ai nomi del dibattito cul
turale, storico e politico francese, in quel mo
mento certo il più vivo d’Europa.
Non si viaggia, per conoscere, solo in Italia, naturalmente (e certo anche gli italiani si muo
vono): nascono così i “Grand Tour alternativi”
che scoprono ed esplorano altre aree del mon
do, come il Sud America, ritenuto esotico e pit
toresco (Mario Sartor, Artisti viaggiatori euro
pei in America latina nel XIX secolo: un inedi
to “Grand Tour”), o l’estremo Nord, il Circo
lo polare artico, la Lapponia (Roberto Navarri- ni, Il viaggio di Giuseppe Acerbi a Capo Nord nel 1799). La “meta alternativa” all’Italia più nota e più frequentata è però certamente il Vi
cino Oriente, non più affrontato con l’occhio del pellegrino che visita la Terra Santa, ma con l’occhio dell’etnografo e con quello dell’ar
cheologo che cerca le tracce delle più antiche civiltà urbane. Se il più celebre di questi viag
giatori è probabilmente Pietro Della Valle, che si recò in Mesopotamia agli inizi del Seicento lasciandoci consistenti diari di viaggio (Pietro Della Valle, In viaggio per l’Oriente. Le mum
mie, Babilonia, Persepoli, a cura di Antonio In- vemizzi, Alessandria, Dell’Orso, 2001), i se
coli successivi videro nell’area numerosi suoi emuli, tra cui un numero cospicuo di donne. A questo gruppo di visitatrici, e cultrici di ar
cheologia, come Agatha Christie, ha rivolto 1 ’ at
tenzione Frederick Mario Fales (Donne viag
giatrici in Oriente tra Settecento e Novecento), che ha ben messo in luce come, se il viaggio in Oriente, a differenza di quello in Italia, è viag
gio di formazione soprattutto perché scoperta ed esplorazione di un’alterità, di un diverso mondo, quello femminile lo è doppiamente, so
prattutto nell’ottocento vittoriano e borghese, perché è anche un prendere le distanze dalla pro
pria società d’origine (una fuga, come sopra l’abbiamo chiamata), è una ricerca identitaria e volta anche a definire il proprio genere come soggetto di cultura.
Il viaggio, la mobilità, lo spostamento, dun
que, sono conoscenza, fuga, affermazione di po
tere; riconoscimento di se stessi e coltivazione dei propri interessi, ma anche spaesamento e per
dita di prospettive; il muoversi e l’entrare in con
tatto che ne deriva appaiono in fin dei conti, da sempre — e lo mostra bene un incontro come quello organizzato a Udine, con la sua multidi- sciplinarità e il suo richiamo a una ricerca di ter
reni comuni tra settori di studio sempre più spes
so stagni — , una delle prerogative essenziali del- l’uomo e uno dei motori del divenire storico. So
lo la rinuncia a questa mobilità, o il tentativo, disperato, di impedirla, la rinuncia alla cono
scenza dell’Altro e al confronto con esso, la vi
sita distaccata di chi guarda dall’alto in basso il resto del mondo, sicuro di sé, della propria cul
tura di origine, sono antistorici e sterili. “Chi è che viaggia? L’Io del viaggiatore è poco più di uno sguardo, una forma cava in cui si imprime lo stampo della realtà, un recipiente che si lascia colmare dalle cose, dando loro tuttalpiù — con le sue idiosincrasie, le sue nostalgie e le sue in
quietudini — una forma, così come un recipiente dà forma all ’ acqua che lo riempie” (Claudio Ma- gris, L’infinito viaggiare, Milano, Mondadori, 2005, pp. 130-131).
Filippo Carlà