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143, relativamente all'art.1, il testo del decreto legge n

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Parere ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195 sul disegno di legge n. 1018 di conversione del decreto legge 16 settembre 2008, n. 143, relativamente all'art.1, il testo del decreto legge n. 143 in particolare sull'art. 4, comma 8 bis.

(Delibera del 5 novembre 2008)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 5 novembre 2008 ha deliberato il seguente parere:

«1. Il disegno di legge n. 1018 di conversione del decreto legge 16 settembre 2008 n.

143, relativo ad interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario, sul quale questo Consiglio ha già espresso parere approvato con delibera del 7 ottobre 2008, ha subito in sede di conversione alcune modifiche rispetto al testo originario.

Oltre a quelle sulle quali già ci si è pronunciati, si segnala l’inserimento del nuovo comma 8 bis all’art. 4, il quale, in un contesto normativo dedicato alla disciplina per le sedi disagiate, dispone la secca abrogazione dell’art. 36 del D.lgs. n. 160/06 come modificato dalla Legge n.

111/07.

La norma che verrebbe integralmente abrogata prevede che ai magistrati ai quali è stato prolungato o ripristinato il rapporto d’impiego, ai sensi degli artt. 3, commi 57 e 57 bis, della legge n. 350/2003 e 2, comma 3, del Decreto legge n. 66/2004 convertito dalla Legge n.

126/2004, alla data di ordinario collocamento a riposo indicata dall’art. 35 dello stesso Decreto legislativo, deve essere aggiunto un periodo commisurato al servizio non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza, ma per il conferimento delle funzioni direttive di cui all’art. 10, commi da 11 a 16, dello stesso decreto legislativo n. 160/06 occorre non aver superato il settantacinquesimo anno d’età.

Com’è noto, il citato art. 3 della legge finanziaria del 2003 ha previsto che il pubblico dipendente sospeso dal sevizio o che abbia chiesto il collocamento in quiescenza a seguito di un procedimento penale poi conclusosi con sentenza definitiva di proscioglimento, “ha il diritto di ottenere, su propria richiesta, dall’amministrazione di appartenenza il prolungamento o il ripristino del rapporto di impiego, oltre i limiti di età previsti dalla legge, per un periodo pari a quello della durata complessiva della sospensione ingiustamente subita”. Peraltro il periodo di prolungamento del rapporto di impiego è pari non soltanto a quello del servizio non svolto per effetto della sospensione, come prevedeva la norma originaria, ma anche a quello “non espletato per l’anticipato collocamento in quiescenza, cumulati tra loro” (art.1, comma 1, lett.c del D.l. n. 66/04). Si stabilisce inoltre che il prolungamento venga disposto anche oltre “ i limiti di età previsti dalla legge, comprese eventuali proroghe “ (art.1, comma 1, lett.b del D.l. citato).

Si precisa, quindi, che il C.S.M. disponga “ la continuazione del servizio per il periodo corrispondente alla sospensione ingiustamente subita e per il periodo di attività non prestata in dipendenza della cessazione anticipata del rapporto di impiego” (art. 2, comma 3, del D.l.

citato), in funzione sostanzialmente risarcitoria per le vicende giudiziarie trascorse.

Successivamente con la legge n. 150/2005 ed in particolare con i decreti legislativi attuativi della legge delega la disciplina per i magistrati interessati dalla normativa eccezionale citata è stata raccordata con il nuovo regime previsto per il conferimento degli uffici direttivi.

Pertanto il decreto legislativo n. 20/06 agli artt. 2, 3 e 4 (relativo al regime transitorio) nonché, per l’appunto, l’art. 36 del D.lgs. n. 160/06 hanno stabilito la disciplina da applicare estendendo la possibilità di accedere agli uffici direttivi anche a coloro i quali si trovano nelle condizioni descritte in precedenza.

In particolare l’art. 36 del D.lgs. n. 160/06 nell’originaria formulazione si limitava a prevedere che ai fini del conferimento degli uffici direttivi ai magistrati ai quali era stato prolungato o ripristinato il rapporto di impiego doveva essere aggiunto un periodo pari a

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quello della sospensione subita e del servizio non espletato, cumulati fra loro. Peraltro, con la novella introdotta dal comma 8 dell’art. 2 della Legge n. 111 del 2007 si è inteso porre un limite a tale possibilità, nel senso che ai magistrati che si trovano nella condizione descritta dalla norma, e che protraggono il servizio oltre i limiti massimi di pensionamento, non possono essere conferiti nuovi incarichi direttivi qualora abbiano superato il settantacinquesimo anno d’età.

Tale disposizione ha inteso porsi come un contemperamento fra il diritto alla cosiddetta riparazione per una ingiusta sospensione dalle funzioni subita in seguito ad un procedimento penale conclusosi favorevolmente per il magistrato e l’esigenza dell’Amministrazione della giustizia di affidare gli uffici direttivi a magistrati che si trovino ancora nel pieno dell’efficienza fisica ed intellettuale e che possano assicurare, per un congruo periodo, la permanenza di tali condizioni ottimali.

Ed infatti la circostanza che nell’ordinamento sia prevista, in via eccezionale, la possibilità di far protrarre ad alcuni magistrati il rapporto d’impiego anche oltre i limiti ordinari di collocamento a riposo in ragione di una prevalente causa “risarcitoria”, nulla toglie alla opportunità e ragionevolezza che ha indotto il legislatore a prevedere un parziale condizionamento nella carriera di tali magistrati ai quali viene anteposto un primario interesse pubblico alla maggiore efficienza nella direzione degli uffici rispetto alle loro aspirazioni personali volte a raggiungere ulteriori e più prestigiosi uffici direttivi. Si può, in proposito, riconoscere che una previsione eccezionale derogatoria rispetto alle regole ordinarie comporta, di per sé, una specificità della disciplina che per taluni aspetti necessariamente si discosta dalla normalità delle altre situazioni.

Occorre quindi considerare che tale limite si pone come la traduzione normativa di una valutazione compiuta dal legislatore in base a dati di comune esperienza per cui è interesse dell’Amministrazione della giustizia avere dirigenti perfettamente in grado di assicurare continuità ed efficienza che, per evidenti ragioni di natura, possono essere meglio garantiti da magistrati con la necessaria esperienza ma anche con la dinamicità richiesta dal gravoso incarico. Né si può pensare, in assenza di una specifica previsione di legge, che ogni situazione possa essere demandata ad un accertamento concreto da eseguirsi caso per caso, anzitutto per evidenti ragioni di difficoltà diagnostica ma ancor prima perché in tale materia le regole vengono logicamente dettate discrezionalmente dal legislatore in via generale ed astratta sulla base di considerazioni oggettive che si fondano su dati di comune esperienza.

Tanto è vero che anche le nuove disposizioni introdotte dalla Legge n. 133/081, costituite dall’attribuzione all’amministrazione di appartenenza del dipendente di un potere discrezionale in ordine all’accoglimento dell’istanza di trattenimento in servizio e dall’indicazione delle esigenze dell’amministrazione (“organizzative e funzionali”) e dei requisiti soggettivi del dipendente ( la “particolare esperienza professionale acquisita”) che consentono di accogliere l’istanza di trattenimento, dovrebbero trovare applicazione anche per i magistrati e rappresentano una chiara linea di tendenza del legislatore in materia di protrazione degli incarichi oltre determinati limiti d’età.

2. Orbene, l’intento della modifica apportata in prima lettura dal Senato sembra viceversa rivolto a consentire la possibilità, ai magistrati che si trovano nelle condizioni sopra descritte, di essere legittimati a concorrere per il conferimento di uno degli incarichi direttivi indicati dalla norma, senza limiti anche se abbiano superato il settantacinquesimo anno d’età.

1 Le nuove disposizioni (art. 72, comma 7, legge n. 133/08) dovrebbero inserirsi nel procedimento che prevede la facoltà di prolungare il rapporto di servizio sino al compimento del 75° anno di età per il personale di cui all’art. 1 della legge 27 del 1981 e, quindi, anche per i magistrati ordinari.

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Dai lavori parlamentari emerge che l'intervento normativo è giustificato dalla necessità di rendere coerente la normativa in materia di conferimento degli incarichi direttivi con le affermazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2007. Rileva, al riguardo, il Consiglio che la relazione fra la sentenza della Corte costituzionale citata e la norma abrogativa richiamata in forma di conseguenzialità, sembra potersi escludere, atteso che l’oggetto della decisione del giudice delle leggi riguardava ben altro profilo rispetto all’intervento riformatore in esame. In particolare la decisione della Corte costituzionale in parola ha dichiarato l’illegittimità dell'art. 2, comma 45, della Legge n. 150/05 nella parte in cui non prevede che alle procedure per il conferimento degli incarichi direttivi possono partecipare i magistrati che hanno esercitato la facoltà di prolungamento del servizio oltre i 70 anni, ritenendo ragionevole il riferimento al 75° anno di età come termine ordinario massimo di permanenza in servizio consentito dalla legge.

3. Riguardo agli effetti dell’eventuale entrata in vigore della norma abrogativa in questione, occorre tener presente che l’art. 35 del D.lgs. n. 160, come modificato dalla Legge n. 111/07, prevede che le funzioni direttive di cui all’art. 10, commi da 10 a 14, possono essere conferite esclusivamente ai magistrati che al momento della data della vacanza del posto, assicurano almeno 4 anni di servizio prima della data di collocamento a riposo prevista al massimo di 75 anni d’età.

Restano quindi fuori dalla previsione di qualsiasi limite di durata le funzioni descritte dai commi 15 (funzioni direttive superiori giudicanti e requirenti di legittimità) e 16 (funzioni direttive apicali giudicanti e requirenti di legittimità) dello stesso decreto legislativo.

L'abrogazione dell'attuale formulazione dell’art. 36 D.lgs. n. 160/06 determinerebbe il sorgere di una seria incertezza interpretativa in ordine all'individuazione dei magistrati legittimati a concorrere per il conferimento di incarichi direttivi. Difatti da un lato si potrebbe sostenere la persistenza della necessità di un riferimento alla data massima di collocamento a riposo solo per il conferimento delle funzioni direttive previste dal comma 10 fino al comma 14 dell’art. 10 dello stesso decreto legislativo, non essendo previsto alcun riferimento alla data di pensionamento solo per gli incarichi direttivi descritti dai commi 15 (funzioni direttive superiori giudicanti e requirenti di legittimità) e 16 (funzioni direttive apicali giudicanti e requirenti di legittimità) dell’articolo in parola. Sicchè l’effetto immediato sarebbe quello di consentire ai magistrati interessati dalla disciplina di partecipare, senza limiti, ai concorsi relativi alle funzioni indicate dai commi 15 e 16 citati pubblicati successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione in esame.

Ma da un altro lato occorre tener presente che la normativa eccezionale prevista dagli artt. 3, commi 57 e 57 bis, della Legge n. 350/2003 e 2, comma 3, del Decreto legge n.

66/2004 convertito dalla Legge n. 126/2004, prevede, ai fini del recupero del periodo di sospensione e di servizio non espletato per l’anticipato collocamento a riposo, una deroga al termine massimo di permanenza in servizio del magistrato consentendo di protrarre il rapporto d’impiego oltre detto termine. Ciò dovrebbe comportare che, a coloro i quali sono stati riconosciuti i benefici della normativa speciale da ultimo citata, non sia applicabile alcun termine massimo di riferimento anche per il conferimento degli uffici direttivi di cui ai commi da 10 a 14 del citato art. 10, proprio in ragione della specifica funzione risarcitoria della disciplina da applicare a costoro.

4. L’introducenda norma, che esclude ogni limite di età per il conferimento di incarichi direttivi, lascia infine perplessi in relazione alla necessità di assicurare sempre il miglior andamento della pubblica amministrazione. In particolare l’astratta possibilità di conferire incarichi direttivi (eventualmente anche di merito accedendo alla seconda delle interpretazioni sopra prospettate) a magistrati che abbiano superato il settantacinquesimo anno di età

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(ovverosia l’età massima individuata in via generale e astratta dal legislatore per poter esercitare funzioni giudiziarie di qualsiasi genere) appare difficilmente conciliabile con l’interesse pubblico di garantire la maggiore efficacia possibile dell’amministrazione della giustizia. Tale interesse pubblico deve prevalere su esigenze private anche di natura risarcitoria, che evidentemente non possono mai essere soddisfatte con soluzioni con esso confliggenti.».

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