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Il conto corrente estero può essere pignorato?

Autore: Redazione | 20/05/2021

Quale procedura per il pignoramento presso terzi di un conto corrente situato in Ue e fuori dall’Unione Europea.

Quando non è possibile investire in Bitcoin, l’unico apparente modo per tenere i soldi lontani da occhi indiscreti è depositarli in un conto estero. Ma, per chi utilizza

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questa soluzione solo per sfuggire ai creditori, le cose non sono così semplici come potrebbero apparire a prima vista. Alla domanda: «Il conto corrente estero può essere pignorato?» bisogna infatti dare risposta positiva, almeno in astratto.

Nulla esclude che il creditore possa risalire a un conto situato in un Paese dell’Ue o fuori dall’Ue. Ma, come si vedrà a breve, la procedura è molto più complessa rispetto a quella prevista per i conti italiani, circostanza questa che potrebbe disincentivare l’avvio dell’esecuzione forzata, almeno per crediti di importo esiguo.

Ci sono poi ulteriori fattori a rendere il pignoramento del conto all’estero più complicato.

Di tanto parleremo qui di seguito. Lo faremo alla luce dell’entrata in vigore del regolamento 1215/2012, il cosiddetto Bruxelles I-bis, entrato in vigore il 10 gennaio 2015 che riguarda il riconoscimento, all’interno dei confini dell’Unione Europea, di tutte le decisioni emesse da un organo giudiziale di uno Stato Membro.

Ci riferiremo non solo ai più usati conti correnti stranieri come Bunq, Viabuy, N26, Monese, B1, ma a qualsiasi altro rapporto bancario intrattenuto fuori dall’Italia.

Ma procediamo con ordine e vediamo se il conto corrente estero può essere pignorato.

Come funziona il pignoramento del conto corrente?

Patiamo da ciò che prevede la nostra legge riguardo al pignoramento dei conti correnti situati in Italia.

Quanto alla procedura, questa può essere avviata solo da chi è in possesso di un

«titolo esecutivo» ossia un documento che sancisca con certezza il credito.

Titoli esecutivi sono solo le sentenze (anche se di primo grado), i decreti ingiuntivi non opposti o quelli provvisoriamente esecutivi (ad esempio, quelli in materia condominiale), gli assegni (fino a sei mesi dalla loro emissione), le cambiali (fino a tre anni dalla loro emissione), i contratti di mutuo firmati dinanzi al notaio (e, di solito, rilasciati alle banche).

Il possessore del titolo di credito deve notificare al debitore il cosiddetto atto di precetto: si tratta di un’intimazione a pagare entro 10 giorni. Dopodiché, dovrà

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notificare il cosiddetto atto di pignoramento presso terzi, indirizzandolo sia alla banca che al debitore. Da quel momento, la banca sottopone a “blocco” le somme indicate nell’atto di pignoramento (ossia quelle dovute al creditore aumentate della metà per coprire anche i costi della procedura).

Nell’atto di precetto è indicata una data di udienza in cui il giudice, letti gli atti e verificata la regolarità della procedura, assegna le somme pignorate al creditore.

Fino a quel giorno, il debitore non può eseguire prelievi dal proprio conto se l’importo in esso presente è inferiore rispetto all’importo pignorato. Se invece il deposito dovesse essere superiore alle somme pignorate, è possibile il prelievo dell’eccedenza.

Se il conto corrente è d’appoggio alla pensione o allo stipendio di lavoro dipendente, il pignoramento subisce dei limiti. Quanto alle somme in esso già presenti alla data di notifica del pignoramento, queste possono essere pignorate solo nella misura che eccede il triplo dell’assegno sociale (1.380,84 euro per il 2021). Quanto alle successive mensilità che saranno accreditate mensilmente, queste possono essere pignorate fino a massimo un quinto.

Il conto corrente estero può essere pignorato?

Il conto corrente all’estero può essere astrattamente pignorato. Difatti, il nostro Codice civile stabilisce la responsabilità del debitore, per le obbligazioni da questi contratte, con tutti i suoi beni presenti e futuri. Quindi, anche i beni all’estero fanno parte dei beni sottoposti alla garanzia dei creditori e da questi aggredibili.

I problemi sono però di carattere pratico. Ci sono due ostacoli per il creditore che intende pignorare il conto corrente del debitore situato all’estero.

Il primo ostacolo è costituito dalla conoscibilità circa l’esistenza stessa del conto. Per i conti correnti italiani questo problema non si pone: infatti, ogni creditore può consultare (previa autorizzazione del Presidente del tribunale) il cosiddetto Registro dei Rapporti Finanziari, sezione speciale dell’Anagrafe tributaria. In questo database, curato dall’Agenzia delle Entrate ed alimentato dalle informazioni fornite dalle stesse banche, sono contenuti i dati dei contratti

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intrattenuti dai correntisti con gli istituti di credito. In buona sostanza, in esso sono indicati i conti correnti degli italiani (non però il saldo).

Ebbene, il Registro dei Rapporti Finanziari vale solo per i conti italiani e non (ancora) per quelli esteri. Difatti, l’obbligo delle banche di fornire al Fisco le informazioni circa i propri correntisti non può estendersi agli altri Stati dell’Ue o extra Ue.

Dunque, questo comporta che il creditore deve venire a conoscenza del conto estero del debitore per altre fonti, diverse dall’Anagrafe Tributaria. E qui il problema: non esistendo degli archivi pubblici, si tratta di un gioco a mosca cieca dal quale è difficile uscire vittoriosi. Di solito, si viene a conoscenza del conto straniero del debitore perché questi se n’è servito in precedenza negli scambi commerciali con lo stesso creditore (ad esempio, ricevendo bonifici o effettuando pagamenti). Oppure il creditore incarica un’agenzia di investigazioni.

Il secondo ostacolo per il pignoramento del conto estero è dato dalla procedura, una procedura speciale e più farraginosa rispetto ai conti nazionali, che non tutti gli avvocati peraltro conoscono e che, pertanto, intraprendono controvoglia con il timore di sbagliare. Peraltro, tanto più è complesso l’iter giudiziario, tanto più è alta la parcella del legale, cosa che rende poco conveniente al creditore pignorare un conto corrente estero. A ciò si aggiunga il costo dell’interprete, visto che ogni atto giudiziario destinato in un Paese estero va tradotto nella lingua di quest’ultimo.

Come si pignora il conto corrente all’estero?

Relativamente al pignoramento presso terzi di conti correnti esteri, la questione si presenta assai più complessa rispetto ai conti correnti nazionali.

Bisogna distinguere il caso in cui si debba procedere in uno Stato extra-Ue, rispetto ad un pignoramento presso terzi da eseguirsi in un Paese dell’Ue.

Nei Paesi non aderenti all’Unione europea, l’esecutività delle sentenze italiane è disciplinata o da convenzioni multilaterali, o bilaterali, o da consuetudini, o dalla normativa interna statale, che potrebbe addirittura non prevedere il riconoscimento dei provvedimenti emessi dai nostri tribunali.

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Invece, nel caso di conti correnti situati in uno Stato Ue, il creditore deve ottenere preliminarmente il riconoscimento del titolo esecutivo nel Paese in cui intende procedere. Non è quindi prevista l’ipotesi della possibilità di procedere direttamente nei confronti del terzo, sulla base di un procedimento automatico, come invece avviene in Italia. Vale ancora, infatti, il principio generale in base al quale i procedimenti di esecuzione forzata, incluso il pignoramento presso terzi, sono assoggettati alle singole norme nazionali. Ne deriva che il creditore procedente debba dapprima rendere esecutivo il provvedimento del giudice in base al quale intende procedere, dopodiché verranno applicate le norme nazionali del Paese di destinazione. Più esattamente, in base al regolamento 1215/2012, le decisioni in materia civile e commerciale emesse dai giudici italiani e già esecutive, sono considerate tali anche in un altro Stato membro.

Alla luce del nuovo regolamento, un provvedimento di condanna pronunciato da un giudice italiano, purché esecutivo, si deve quindi intendere come automaticamente riconosciuto nel Paese di destinazione.

Il creditore deve munirsi di una copia autentica della decisione debitamente tradotta ed asseverata, nonché dell’attestato rilasciato dall’autorità giudiziaria italiana che certifica l’esecutività della decisione sulla base del modello di cui all’allegato I del regolamento stesso. Fatto ciò, il creditore può iniziare il procedimento di espropriazione forzata presso terzi, secondo quanto previsto dalla normativa locale.

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