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LINEE GUIDA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE Di P. Mariano Pappalardo

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Academic year: 2022

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LINEE GUIDA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE Di P. Mariano Pappalardo

1. Un orizzonte più vasto

Papa Giovanni Paolo II, agli albori del terzo millennio, invitava la Chiesa ad un rinnovato impegno missionario, riscontrando la necessità di una NUOVA EVANGELIZZAZIONE.

La Nuova Evangelizzazione non consiste solo nel “dire di nuovo” il vangelo in un mondo che, in grande parte, ne ha perso la memoria ma anche annunciare il vangelo in “un modo nuovo” trovare:

con fantasia, creatività ed audacia,

nuove forme, priorità, stili, logiche, scelte, nuove parole, per dire il vangelo di sempre come fosse la prima volta e sempre con rinnovata freschezza.

2. Lo stile evangelizzatore di Gesù a. E’ itinerante e comunitario:

- Itinerante: Gesù non ha una scuola propria dove gli eventuali discepoli devono recarsi; è Lui che va incontro a possibili discepoli del Regno incontrandoli “per via”.

- Comunitario: Gesù non è un predicatore solitario, ma aggrega a sé un gruppo di discepoli/apostoli. E quando invia questi ultimi in missione li invia “a due a due”.

Spesso il nostro attuale stile di evangelizzazione è dissonante dallo stile di Gesù: abbiamo le “nostre” strutture in cui vogliamo che la gente si rechi e noi siamo “stanziali”. Il più delle volte il nostro stile è individualistico, ognuno per conto proprio.

E’ necessario richiamare che il “come” mette a nudo il “cosa”: così è avvenuto che abbiamo creato un cristianesimo statico (paralizzato) e individualistico.

b. E’ relazionale:

L’annuncio di Gesù predilige lo stile relazionale, anzi fa della relazione, (quasi un con-tatto fisico/corporeo) il suo punto di forza per entrare nel cuore dei suoi interlocutori.

Vive la relazione a cerchi concentrici:

- Con la folla - Con i discepoli

- Con singole persone (Samaritana, Zaccheo, il giovane ricco

… il buon ladrone)

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- La relazione con il Padre fonda e sostiene tutte le altre.

Quando Gesù entra in relazione con qualcuno, gli cambia la vita.

Spesso il nostro comportamento tradisce distacco, distanza, quasi indifferenza.

Investiamo poco sulle relazioni personali ed empatiche, prediligiamo quelle generiche e poco

“compromettenti”. Oggi il più delle volte il vangelo si dice e si dà dentro le relazioni personali, (EG 127-128) attraverso le quali accogliere con empatia, ascoltare con attenzione, accompagnare con costanza e con prudenza fino a guidare all’incontro personale con Cristo (EG 169-170)

Saper e voler dedicarsi al ministero dell’accoglienza che non giudica, all’ascolto che esprime prossimità e consola spesso fa la differenza (EG 171). E’ necessario che sia noto a tutti quando i presbiteri sono a disposizione per questo ministero indicando luoghi e tempi, per evitare ai fedeli l’imbarazzo della ricerca. Questo ministero nascosto e spesso trascurato (ascolto, confessione, direzione spirituale) è vero strumento di evangelizzazione, seme del Regno destinato a portare molto frutto.

Abbiamo perso la percezione che la Chiesa antica, consapevole che i cristiani “fiunt, non nascuntur1” era costituita da diverse categorie di credenti:

- quelli in divenire: i catecumeni, gli eletti, gli illuminati

- quelli ormai “fatti” attraverso la scelta personale e la ricezione dei tre sacramenti dell’IC : gli iniziati

- quelli in crisi: i penitenti

Ciascuna di queste categorie aveva doveri e diritti diversi. Oggi pensiamo ai cristiani in maniera indistinta, oppure li distinguiamo in: vicini, lontani, praticanti, non-praticanti, di fatto, solo di nome, sulla carta oppure anche nella vita. Da tutti, però, pretendiamo tutto allo stesso modo. Gradi diversi di appartenenza, nell’ottica di una riscoperta del percorso di fede come un cammino catecumenale, dovrebbero prevedere anche una diversificazione di approccio ad ogni singola categoria di credenti, non in senso discriminatorio, ma nell’ottica di un accompagnamento graduale alla riscoperta della fede e quindi della graduale appropriazione del mistero e all’assunzione dei doveri di vita cristiana (EG 171).

c. E’ conviviale

Gesù predilige la mensa.

E’ a tavola che annuncia e realizza il Regno

- Alla mensa della Parola: “Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. (Mc 6,34),

poi moltiplicherà il pane della sua Parola perché ciascuno possa saziare la fame di verità. Gesù spezza l’annuncio del Regno con novità e autorevolezza, con semplicità e concretezza, suscita stupore, fa ardere i cuori.

1 TERTULLIANO, Apol. XVIII,4

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- Alla mensa Eucaristica: Gesù spezza se stesso perché la Parola prenda carne, diventi corpo, cibo e nutrimento. La mensa eucaristica (Parola crocifissa-vita offerta in sacrificio) svela l’autenticità e l’efficacia della Parola, che diventa un Corpo dato e sangue sparso, capace di rendere i fedeli suo corpo, popolo di Dio in comunione col Padre e raccolto in unità.

- Alla mensa dei peccatori (poveri, ultimi, esclusi, discriminati) Gesù manifesta l’eterno progetto di Dio come Misericordia inclusiva.

Alle tre mense si rende manifesto come l’Amore deve essere - Annunciato (mensa della Parola) - realizzato (mensa eucaristica) - condiviso (mensa dei peccatori)

La Parola:

Nella prospettiva di una nuova evangelizzazione, è necessario che i fedeli, come auspicato dal Concilio Vaticano secondo, si nutrano più abbondantemente alla Mensa della Parola.

E’ urgete rimettere la Scrittura al centro della vita cristiana e riappropriarsi della rivoluzionaria essenza del messaggio evangelico

Non basta quella annunciata durante le celebrazioni eucaristiche.

Specifiche celebrazioni della Parola permettono non solo di radunare i fedeli attorno alla Parola ed avere un tempo più prolungato di annuncio e di riflessione sul testo biblico, ma potrebbero altresì togliere “dall’imbarazzo eucaristico” in cui fedeli e pastori vengono a trovarsi in circostanze particolari. (Cfr. diversi gradi di appartenenza alla comunità ecclesiale, possono prevedere diverse forme di preghiera. Non tutto deve essere sempre e comunque celebrazione eucaristica).

Una più ampia diffusione della Lectio Divina comunitaria, è auspicabile come forma privilegiata di annuncio e di catechesi.

Forme tradizionali e nuove forme creative di Annuncio, incontri, raduni, meeting, giornate di studio, mettendo a tema quelle che Papa Francesco chiama le sfide del mondo attuale (EG 52-75): l’economia dell’esclusione; l’idolatria del denaro;

l’iniquità generatrice di violenza; la cultura del relativismo e dell’apparenza; la famiglia;

l’inculturazione della fede; l’ecologia integrale (LS 137), la giustizia, la pace, l’integrazione, la dignità e i diritti delle persone, un rinnovato interesse per la cultura. Senza cadere nella tentazione autoreferenziale di volere dare risposte “a domande che nessuno si pone” ( EG 155)

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4 L’Eucaristia: non è solo atto di culto, ma sacramento che edifica la comunità. Se la celebrazione eucaristica non genera comunità affettive ed effettive, se non fa dei molti “un cuor solo e un’anima sola”, se non trasforma i fedeli “simile sibi”, cioè in credenti che assumono lo stile della pro-esistenza, capaci di accogliere e donare perdono, operare la pace, sviluppare sensibilità e rispetto per tutti e per tutto, capaci di difendere e di custodire i fratelli e il creato (LS 9;11 ), diventa un rito vuoto, sterile, dove regna la noia che è figlia dell’abitudine. Solo comunità autentiche rendono visibile il vangelo. Perché il vangelo non resti una bella utopia, ma possa apparire credibile e possibile, c’è bisogno di qualcuno che

“ci prova”, qualcuno che dia vita ad un umanesimo evangelico cui poter prestare realmente fede.

La mensa dei poveri: è il laboratorio dove si apprende l’arte della compassione. Nello stile di Gesù la compassione è la capacità di “stare con” le persone, ma soprattutto di “stare dentro” le varie situazioni esistenziali che le persone vivono. Allo stesso modo la Chiesa, e in particolare i pastori, sono chiamati a “Stare dentro” la vita dei fedeli loro affidati: dalle relazioni familiari, al mondo del lavoro, della scuola, dello sport, della politica, delle associazioni. Già l’incipit di GS 1 indicava questa direzione: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.

Una Chiesa ripiegata su se stessa non sarà mai in grado di evangelizzare. Pastori ripiegati su se stessi non hanno né l’odore, né il sapore del vangelo, e non saranno mai in gradi di spargere nel mondo il dolce profumo di Cristo” (Cfr. Paolo 2 Cor 2,15).

“EsserCI” è oggi una delle parole più evangeliche, è uno degli atteggiamenti più vicini alla logica del Regno. “EsserCI” è annuncio fatto di concretezza, di vicinanza, di assunzione di responsabilità, di condivisione, di solidarietà. Per annunciare di fatto il vangelo, c’è bisogno di “fatti di vangelo”.

3. La Nuova Evangelizzazione e l’Iniziazione Cristiana

Atteggiamento di fondo psico-spirituale: passare dall’ossessione del “si dovrebbe fare”, al sereno e serio compimento di “ciò che è possibile fare”. “La realtà è più importante dell’idea” (EG 231 – 233).

a. L’IC più che un problema sacramentale, è una opportunità ecclesiale.

L’IC dei fanciulli e dei ragazzi ai sacramenti o meglio alla vita cristiana, ha senso solo in una tensione ben più ampia, quella di mettere in cammino le nostre comunità verso una fede adulta, una carità operosa, una speranza gioiosa. Compito principale è l’edificazione di comunità cristiane evangeliche, autentiche, coerenti, accoglienti, gioiose, operose, attraenti, pur tra le inevitabili fragilità e

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le concrete povertà antropologiche, esistenziali in cui le comunità vengono a trovarsi. Coloro che cominciano l’IC

- Hanno il diritto di trovarsi di fronte comunità veramente fraterne che rendano il vangelo credibile, possibile e attendibile.

- Hanno il diritto di vivere all’interno di comunità oranti, formate dall’azione liturgica dove si respira una vera e profonda esperienza di Dio.

- Hanno il diritto di toccare con mano una comunità che non è fuori dal mondo, in un piccolo eldorado spirituale, ma dentro la concretezza della realtà, capace di farsi carico delle difficoltà, delle contraddizioni, dei bisogni reali della gente.

Una comunità cristiana deve essere capace di “toccare” la vita, la

“carne” degli uomini e delle donne del nostro tempo, con la forza del vangelo.

E’ necessario dare un volto nuovo alle nostre comunità, percorrendo la via pulchritudinis (EG 167), un volto dinamico, giovane. L’IC cristiana deve mettere in luce che le nostre comunità si impegnano a percorrere la via degli inizi del vangelo, a riscoprire le primizie della fede, quasi una sorta di “ritorno in Galilea”, (Cfr. Delio Lucarelli, Mi vedrete in Galilea. Lettera pastorale post-sinodale) per riascoltare da capo il vangelo, nel luogo del primo incontro con Gesù, su un terreno di confine e un crocevia di popoli e culture.

Senza comunità ecclesiali mature, dal volto evangelico non si inizia nessuno a niente.

Camminare insieme con coloro che devono essere iniziati, vivendo con loro le tappe formative e sacramentali è un dono in cui la comunità degli adulti ha l’opportunità di testimoniare ai più piccoli la gioia di aver incontrare il Risorto, e i più piccoli possono ricordare agli adulti che il Regno appartiene a coloro che sanno essere come bambini.

b. Dalla preoccupazione di come completare l’ IC, all’impegno a far si che L’IC sia completa.

Spesso siamo più preoccupati dei tempi, delle tappe, delle scadenze dell’itinerario di IC e non piuttosto che sia un percorso completo, integrale ed inclusivo. E’ necessario considerare che tempi e scadenze in sé non hanno una efficacia formativa, ciò che dà forma cristiana è la

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sinergia tra catechesi, liturgia e carità. In genere i nostri percorsi tanto assillati dal “quanto devono durare”, finiscono per proporre percorsi monchi, sbilanciati sul versante dottrinale-moralistico, poco significativi e poco incisivi sul versante liturgico e del tutto privi dell’aspetto caritativo.

Non possiamo limitarci a far sì che i nostri ragazzi “sappiano” il minimo indispensabile di ciò che significano i sacramenti che vanno a ricevere, è necessario far loro sperimentare la pienezza della vita cristiana non solo con l’approccio alle verità da credere, ma anche alla salvezza che si dice e si dà nell’azione liturgica, e all’amore-carità che rende credibile il vangelo, che si vive e si testimonia nel servizio.

L’IC cristiana non può essere un atto accademico in miniatura rinchiuso nelle stanze del catechismo, ma è chiamata a realizzarsi affrontando la vita là dove è vissuta, provando a renderla feconda con la parola e la logica del vangelo.

c. Dalla predilezione per i piccoli, all’interesse per gli adulti.

E’ sotto gli occhi di tutti che la “pastorale pediatrica”

ottiene scarsi risultati. Il vulnus di fondo consiste nel fatto che obblighiamo i bambini a fare ciò che gli adulti non fanno. Ne risulta la convinzione che la fede sia faccenda da bambini di cui è possibile liberarsi una volta divenuti adulti. Il tempo che i bambini passano nei nostri ambienti è talmente esiguo che non incide quasi per nulla nella loro formazione; le figure di riferimento che offriamo loro spesso sono così poco significative che non hanno nessuna presa su di loro; i valori che presentiamo sono talmente contraddetti dal mondo adulto in cui sono immersi, che ai loro occhi appaiono puri vaneggiamenti e illusioni da creduloni.

Certo che se facciamo fatica con i bambini, molto più complesso è progettare e attuare un piano pastorale che metta al centro gli adulti e in modo più specifico le famiglie.

- Una pastorale per le famiglie, con le famiglie

Gli interlocutori privilegiati dell’evangelizzazione sono le famiglie, le quali però non devono essere considerate solo come oggetto della trasmissione della fede, ma devono essere aiutate ad assumere un ruolo da protagonisti, come soggetti attivi capaci di consegnare la fede ai propri figli, come un dono prezioso. Si può considerare quanto detto del tutto velleitario, in considerazione dell’attuale congiuntura, ma più che una velleità è una sfida, una pro-vocazione (un costante richiamo alla chiamata e alla missione che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore). Non dimentichiamo

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che il più delle volte siamo stati noi ad abbandonare i genitori. Nella società odierna il loro compito non è facile. Non possiamo limitarci a colpevolizzarli, vanno sostenuti, aiutati, stimolati; vanno compresi e stimati nella consapevolezza che abbiamo molto da imparare da loro, anche dalle loro fragilità e inadeguatezze. Le famiglie vanno guardate con simpatia e un pizzico di complicità, mettendo in campo tutte le strategie possibili in loro favore. Le risorse interne alle relazioni familiari vanno valorizzate e fatte esplodere per il bene della comunità tutta.

L’atteggiamento di indifferenza mostrato da una parte delle nostre famiglie è non di rado una sorta di autodifesa, in quanto si sentono giudicate, quasi messe sul banco degli imputati. Un rinnovato patto educativo-religioso con le famiglie è inderogabile. Non è più possibile utilizzare i bambini in modo funzionale per attirare gli adulti, occorre attrarre gli adulti, fare lo sforzo di saper stare con loro, assumersi l’onere di accompagnarli con gradualità e pazienza, comprendendo anche le fatiche e i disagi che vivono, e i bambini troveranno un alveo educativo più sereno e soprattutto più convergente.

E’ tempo di dare sfogo alla fantasia e alla creatività di una pastorale per le famiglie, con le famiglie. Tutte le nostre attività, proposte, iniziative, le stesse strutture devono essere pensate a misura delle famiglie, offrendo loro quei servizi che possano facilitare la loro partecipazione agli eventi comunitari.

- La Chiesa domestica luogo in cui apprendere i “preambula fidei”

E’ necessario riscoprire le case come luoghi ordinari in cui la comunità cristiana vive e si incontra. Ripartire dalla “Domus Ecclesiae”, dalla Chiesa che vive nelle case, riscoprire la Chiesa domestica, è riscoprire il luogo originario dei “preamboli” della fede e della vita cristiana. Che i genitori siano i primi educatori della fede dei propri figli, non significa che devono far loro il catechismo, ma che devono far in modo che all’interno della famiglia si possano sperimentare concretamente i fondamenti stessi della fede creduta, celebrata e vissuta: l’amore, l’ascolto, il perdono, il servizio, il ringraziamento, l’accoglienza, la condivisione, la preghiera, ecc.

Le famiglie sono rimaste preda dei maestri del nulla, non possiamo permettere che vadano alla deriva, dobbiamo farci carico della ricerca di senso che molte di loro fanno a tentoni, senza punti di riferimento.

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- L’obiettivo non è il successo pastorale, ma seminare germi di Regno

Il successo di una scelta pastorale non si misura sulla quantità numerica, ma sulla qualità dell’offerta e sulla convinzione della risposta. Non siamo chiamati a stravolgere le logiche del mondo, ma a seminare germi di Regno, a offrire lievito di vangelo, sale di senso, ad accendere luci di fede, fuochi di carità, a far gorgogliare sorgenti di speranza. La Chiesa va sempre ripensata pensando al mondo. La comunità oggi va organizzata e vissuta a misura di famiglia.

d. Catechisti di qualità: dalla formazione alla acquisizione della forma evangelica.

Fatto salvo il principio che è tutta la comunità a doversi far carico della trasmissione della fede e che quindi è necessario che ogni comunità cresca nella capacità di essere comunità educante, è indubbio che i catechisti hanno un ruolo irrinunciabile nei percorsi di IC. I nostri catechisti, in maggioranza donne, alcune delle quali con esperienza di insegnamento, con una età media considerevole, sono fedeli di buona volontà che si sono resi disponibili per un servizio tanto delicato quanto esigente, senza in genere una preparazione specifica. La qualità del catechista però non si misura solo sulle abilità e sulle acquisizioni culturali, dottrinali, psico-pedagogiche, didattiche, che pur sono necessarie, ma sulla capacità di acquisire una “forma evangelica”. Esperti in umanità, i catechisti devono essere aiutati a far si che in loro il vangelo prenda forma. Per loro infatti il vangelo non è solo un contenuto da trasmettere ma uno stile da testimoniare. Agli occhi dei piccoli sono loro che incarnano cosa significhi “essere di Cristo”. Aiutare i catechisti ed accompagnarli a vivere bene il loro ministero non può limitarsi a fornire loro informazioni di dottrina cristiana, quanto piuttosto aiutarli ad intraprendere un cammino di formazione spirituale. Parroci e catechisti devono sentire la necessità inderogabile della formazione. Come avviene per gli altri ministeri: ministri straordinari della comunione, o lettori, ecc…

anche i catechisti devono ricevere un mandato ufficiale da parte della Chiesa locale dopo una previa preparazione, mandato da rinnovare ogni quattro anni come avviene per gli altri ministeri a seguito della partecipazione a percorsi di “aggiornamento”. Garanti della formazione sono i parroci, coadiuvati dall’ufficio catechistico diocesano.

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Se la priorità dell’evangelizzazione sono gli adulti e le famiglie, è del tutto logico preoccuparsi di formare catechisti per gli adulti, figure quasi del tutto assenti nella nostra Chiesa locale. Questo compito appare inderogabile.

e. Dall’isolamento autosufficiente alle sinergie educative - Comunità ecclesiali ed altre agenzie educative

Una educazione integrale e una Iniziazione completa richiede che la comunità ecclesiale non solo non viva una sorta di antagonismo nei confronti delle altre agenzie educative presenti sul territorio, ma con esse dialoghi e possibilmente collabori per il bene delle famiglie e dei ragazzi. Le associazioni sportive, musicali, teatrali, ecc…

possono diventare luoghi privilegiati della trasmissione del vangelo, luoghi di Annuncio e di Evangelizzazione. Non si tratta solo di prendere accordi affinché le attività ludiche non si sovrappongano con il catechismo, si tratta piuttosto di entrare in sinergia e in collaborazione. Il dialogo, il confronto fa cadere i muri della diffidenza e dell’antagonismo e può far nascere esperienze positive e promettenti. Una parola buona, o una testimonianza di vita di un allenatore, o di un maestro di musica, ecc … agli occhi di un ragazzo, spesso vale molto di più della “lezione” di un catechista. La comunità ecclesiale deve riprendere la buona abitudine di frequentare i luoghi di vita dei suoi ragazzi e delle loro famiglie, deve riappropriarsi della capacità di “EsserCi”. In caso contrario si auto condanna all’isolamento e in definitiva alla marginalità.

- Catechesi e insegnamento della religione

Un aspetto importante è la relazione con il mondo della scuola. Se pur è vero che l’insegnamento della religione cattolica si distingue dalla catechesi, è pur vero che insegnanti di religione e catechisti non possono ignorarsi, anzi dovrebbero lavorare in sinergia in modo tale che l’intervento dell’uno completi quello dell’altro. Che le parrocchie o un gruppo di parrocchie, prevedano incontri periodici tra catechisti e insegnanti di Religione sarebbe del tutto logico e auspicabile.

- Catechesi, associazioni e movimenti ecclesiali

Nelle nostre comunità sono presenti movimenti e associazioni che propongono percorsi formativi per i fanciulli e i ragazzi.

Questi percorsi non possono essere “a latere”, o sostituirsi all’ordinario percorso di IC previsto dalle comunità parrocchiali. Anche in questo caso sono necessarie sinergie educative, strategie di collaborazione, iniziative

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di reciproco arricchimento. Occorre trovare vie più efficaci di convivenza feconda. Il dialogo fattivo e la programmazione coinvolgente sono scelte non più procrastinabili.

f. IC scelte ecclesiali e buon senso

Non possibile pensare che con la ricezione dei sacramenti abbiamo assolto al nostro dovere e tutto vada a posto quasi per miracolo.

- Catechesi e indicazioni delle scienze umane

Come la Grazia sacramentale suppone la natura, così ogni percorso di IC suppone di adeguarsi ai sani principi della pedagogia e della psicologia.

Queste scienze umane ci dicono che i primi anni di vita dell’uomo sono quelli più importanti, sono anni nei quali si accolgono e si sedimentano le esperienze fondamentali. E’ quindi del tutto fuori luogo pensare che iniziare a 6 anni sia troppo presto. Questa convinzione mette in evidenza che ancora si pensa la catechesi in forma scolastica.

La CEI ha proposto un catechismo dei bambini da zero a sei anni “Lasciate che i bambini vengano a me” (1973) testo affidato particolarmente ai genitori, rimasto totalmente evaso. Il catechismo però mette bene in evidenza la convinzione, confermata dalla psicologia e dalla pedagogia, che prima si comincia meglio è. Nell’ottica della Nuova Evangelizzazione e di una ritrovata centralità della famiglia, il catechismo in questione potrebbe e dovrebbe trovare una accoglienza più favorevole.

- I catechismi CEI e i principi ispiratori non negoziabili

In una visione di Chiesa più comunionale sarebbe auspicabile accogliere le indicazioni che fin dagli anni ’70 la CEI consegnava alle comunità ecclesiali italiane. La catechesi prevede un percorso dai 6 agli 11 anni scandito dai tre catechismi dei fanciulli “Io sono con voi”; “Venite con me”; Sarete miei testimoni” pensati come preparazione alla ricezione dei sacramenti della prima comunione e della cresima. Si passa poi ai catechismi dei ragazzi e degli adolescenti “Vi ho chiamati amici” , “Io ho scelto voi”; e al catechismo dei giovani “Non di solo pane”. I catechismi, attuazione della riforma conciliare e concretizzazione di quanto affermato nel Documento base per la catechesi, in evidente difformità con lo stile del catechismo di San Pio X, sono testi di grande valore con una forte afflato biblico-liturgico-antropologico. Non sono però testi di facile fruizione, cosa che, da una parte ha fatto proliferare una molteplicità di guide, sussidi, albi attivi, e dall’altra ha evidenziato

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l’esigenza della formazione dei catechisti, nella consapevolezza che i catechismi, senza catechisti formati, restano testi muti. A metà degli anni

’90 la CEI ha indicato il RICA come il modello cui anche l’IC dei fanciulli e dei ragazzi dovrebbe ispirarsi. Nasce così una proposta di IC nell’ottica di un percorso catecumenale, assunto anche dalla nostra Chiesa reatina nel sinodo diocesano del 2005.

Sono passati molti anni, e molto è cambiato. I catechismi avrebbero bisogno di una revisione, ma ancora sono i testi di riferimento imprescindibili. Penso però che le indicazioni di fondo e i principi ispiratori conservino la loro validità. Provo ad esemplificarle:

1. La centralità della comunità soggetto attivo dell’IC che percepisce insito nella propria vocazione-missione il compito di essere comunità educante che testimonia e trasmette la fede.

2. La scelta preferenziale per gli adulti e le famiglie che diventano oggetto e soggetto di evangelizzazione.

3. L’attenzione ai catechisti, nella consapevolezza che non sono i testi (catechismi) a trasmettere la fede, ma il rapporto personale, avvincente, coinvolgente, convincente con una persona che ha già incontrato il Signore Risorto (catechista).

4. L’ispirazione biblica, liturgica, antropologia dei contenuti e il metodo relazionale, narrativo, esperienziale come forme più adeguate della trasmissione della fede.

5. La consapevolezza che l’IC è un cammino di accompagnamento che non può prevedere interruzioni o pause ma che va portato avanti senza soluzione di continuità e che non termina con la ricezione dei sacramenti (cresima) ma che prosegue in una sorta di percorso mistagogico negli anni della pre-adolescenza e dell’adolescenza fino ad una fede adulta.

A quanto detto, l’ispirazione catecumenale dell’IC, aggiunge ulteriori attenzioni:

1. Nelle mutate condizioni socio-culturali si intravvede la necessità di far precedere la catechesi vera e propria con iniziative di primo annuncio e di evangelizzazione e di farla seguire da una vera e propria mistagogia.

2. Il percorso di IC non è pensato in vista della ricezione dei sacramenti, ma come formazione alla vita cristiana, di cui i sacramenti sono solo tappe.

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3. La convinzione che a fare il cristiano in pienezza non è solo il Battesimo, ma l’insieme dei tre sacramenti dell’IC, che vanno pensati in modo unitario anche se amministrati separatamente. E’

poi necessario far percepire con chiarezza che il culmine dell’IC non è la Cresima bensì l’Eucaristia anche se non si dovesse mutare l’ordine in cui questi sacramenti vengono amministrati.

4. L’auspicio (non è un obbligo) che i sacramenti dell’IC vengano collocati nel giusto e tradizionale ordine e cioè la Cresima prima dell’Eucaristia e la possibilità di amministrare Cresima e Comunione in un'unica celebrazione, quella in cui si amministra il Battesimo a coloro che non lo avessero ancora ricevuto.

5. Il necessario coinvolgimento delle famiglie e delle comunità chiamate a riscoprire, attraverso le tappe del cammino catecumenale dell’IC, (Cfr. RICA), la pienezza, la bellezza e la maturità della propria fede.

g. Comunione, uniformità, legittimi adattamenti - Comunione sulle opzioni fondamentali

La comunione non è solo una caratteristica della Chiesa, ma la sua stessa essenza. Una Chiesa che è comunione è una Chiesa Simbolica (sun-ballein); una Chiesa che non è comunione è una Chiesa Diabolica (dià-ballein). La comunione che la Chiesa è, si esprime anche nella comunione che i membri della Chiesa sono chiamati a realizzare anche nell’azione pastorale. Essendo la Comunione una cosa seria, si fa sulle cose serie, sui principi di fondo, sulle opzioni fondamentali, sulle scelte programmatiche, cose queste che possono trovare diverse legittime forme di attuazione, nell’ottica di una possibile, necessaria, doverosa inculturazione.

- Legittimi adattamenti

La nostra Chiesa, tanto disomogenea non solo a livello territoriale ma anche socio-culturale, se da una parte ha estremo bisogno di ritrovare una piena comunione sugli orientamenti di fondo riguardanti la Nuova Evangelizzazione e l’Itinerario di IC, dall’altra richiede una intelligente e creativa modalità di attuazione delle scelte di fondo nelle singole realtà.

Ciò non significa che ciascuno possa fare a suo piacimento, misconoscendo a cuor leggero le indicazioni della Chiesa Universale, Nazionale e locale, ma che è possibile con discernimento, nel confronto, nel dialogo e

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soprattutto custodendo il valore supremo dell’unità e della comunione, trovare le giuste forme di adattamento nell’accogliere la sfida della Nuova Evangelizzazione.

- Segnali di comunione

Per dare al popolo di Dio un chiaro segnale di comunione ecclesiale, le scelte degli inevitabili adattamenti non dovrebbero essere prese dai singoli parroci, ma almeno dal consiglio presbiterale-pastorale di zona, cui le singole comunità dovrebbero attenersi.

h. Pastorale pediatrica, pastorale geriatrica e la sfida della scelta preferenziale a favore dei giovani e degli adulti.

E’ opportuno sottolineare che la Nuova Evangelizzazione non può fossilizzarsi su una pastorale pediatrica, né su una pastorale geriatrica, ma esige la capacità di rivolgersi con coraggio a quella “terra di mezzo” (i giovani e gli adulti) che il più delle volte ci sfugge, ci crea problemi, e fa apparire fallimentari i nostri sforzi. Non di meno, senza dimenticare bambini e anziani, sono proprio i giovani e gli adulti l’oggetto di una rinnovata e coraggiosa azione pastorale che con cuori dilatati, con menti aperte, con ritrovato entusiasmo senza paure o reticenze, siamo chiamati a mettere in atto passando dalle molte parole a pochi ma significativi fatti.

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