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(1)III CAPITOLO: IL FULL COSTING E LA CONTABILITA’ PER CENTRI DI COSTO

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III CAPITOLO:

IL FULL COSTING E LA CONTABILITA’ PER CENTRI DI COSTO.

III. 1 Il full costing in generale e il concetto di costo pieno

Nell’ultimo paragrafo del primo capitolo sono state ampiamente e dettagliatamente descritte le varie fasi di progettazione e attuazione di un sistema di determinazione dei costi.

Si è detto poi che, definiti i fabbisogni informativi, una delle più delicate scelte da comporre per progettare un sistema di calcolo dei costi a supporto dell’attività di direzione, è quella relativa al metodo di calcolo dei costi.

Si tratta di scegliere la “filosofia” in base alla quale impostare la rilevazione dei singoli elementi di costo con riferimento anche a tutta la strumentazione di programmazione e controllo. Una volta scelta una configurazione di costo, è opportuno mantenerla a preventivo e a consuntivo, sia quando si calcola il costo di prodotto, sia quando si determinano i costi dei centri di responsabilità: è un problema di chiarezza e coerenza di impostazione.

Esistono diversi metodi di calcolo dei costi, ma l’attenzione di questo capitolo è rivolta al full costing, ossia dunque al calcolo del costo pieno, tramite cui vengono imputati al prodotto tutti i costi, indipendentemente dal fatto che essi possano essere classificati come specifici o come comuni, fissi o variabili.

Non si cerca quindi una relazione oggettiva e univoca tra la risorsa produttiva utilizzata e l’oggetto di calcolo, ma si desidera giungere ad una configurazione di costo che ricomprenda tutti i costi di una specifica area gestionale (ad esempio, il costo pieno di fabbricazione) o dell’impresa nel suo complesso (costo pieno aziendale). Vi sono pertanto diverse possibili configurazioni di costo pieno in relazione all’ampiezza degli elementi di costo considerati nel calcolo.

Sottraendo queste differenti configurazioni di costo pieno dai ricavi, si possono di conseguenza ottenere o il risultato industriale o il reddito operativo o addirittura il reddito netto. Quest’ultimo, ad esempio, lo si ottiene quando nel

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costo di un prodotto vengono inseriti oltre ai costi di fabbricazione, quelli di commercializzazione e i costi di struttura generale, compresi anche gli oneri finanziari e le imposte1.

Considerando ora alcuni esempi di impieghi che il management fa delle informazioni di costo pieno. Tali impieghi riguardano:

1. la valorizzazione delle rimanenze ai fini del bilancio;

2. l’analisi di redditività;

3. la risposta alla domanda “quanto è costato?”;

4. rendere i prezzi conformi a quelli stabiliti dai contratti;

5. calcolare i prezzi “regolamentati”;

6. definire il “prezzo normale”.

La valorizzazione delle rimanenze

Il costo pieno di produzione è la base per valorizzare, tra le attività dello stato patrimoniale, le rimanenze di semilavorati e di prodotti finiti e, nel conto economico, il costo del venduto. Quando un’impresa realizza in economia (a uso interno) un edificio, un macchinario o altra immobilizzazione materiale, l’ammontare dei costi rilevato costituisce, anche in questo caso, il costo pieno del bene in questione, valore capitalizzato nello stato patrimoniale e che risulta assimilabile, in linea di principio, al costo storico con il quale si registra l’acquisto di un bene a utilizzo pluriennale2.

L’analisi della redditività

L’analisi di bilancio attraverso indici (o tecniche simili) è utile per conoscere la redditività dell’intera impresa. I sistemi di contabilità dei costi permettono di svolgere analisi del tutto simili, ma in relazione a singole “parti” o segmenti di impresa, come un prodotto, una linea di prodotto (un insieme di prodotti tra loro

1 Bubbio, 1994: pag. 95.

2 Negli USA le informazioni di costo pieno sono anche utilizzate per comunicare, nell’ambito dell’informativa verso l’esterno, il reddito dei principali segmenti di business. L’Accounting Standards Board impone infatti che le relazioni di accompagnamento ai bilanci annuali delle grandi imprese contengano indicazione dei ricavi, del risultato operativo e del capitale investito per ciascuno dei principali business dell’impresa. Queste informazioni non sono invece obbligatorie in Italia.

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correlati, come tutti i capi di abbigliamento di una certa collezione), uno stabilimento, una divisione, una filiale di vendita o qualunque altra porzione d’impresa ritenuta interessante. Utilizzando i principi della contabilità dei costi è possibile, per ciascuno di questi oggetti, determinare il costo pieno, cioè i costi diretti più un’adeguata quota di costi indiretti. Se un certo segmento di business non generasse una redditività ragionevole (cioè se i ricavi non eccedessero i correlati costi di un ammontare in grado di garantire un adeguato ritorno al capitale investito) allora ciò comunicherebbe l’esistenza di un problema3.

Rispondere alla domanda “quanto è costato?”

Il problema di misurare il costo di un oggetto sorge in una molteplicità di contesti: qual è stato il costo per bonificare un certo fiume inquinato? Quanto è costata l’ultima campagna elettorale di un certo partito? Qual è stato lo scorso anno il costo del servizio di raccolta dei rifiuti di Reggio Emilia? Quanto è costato alle Poste s.p.a. consegnare a Milano una raccomandata spedita da Palermo? Qual è stato il costo di gestione del bar della facoltà di ingegneria?

Quanto è costato un determinato progetto di ricerca?

A queste domande viene normalmente data una risposta ricorrendo al costo pieno dell’oggetto del costo.

Rendere i prezzi conformi a quelli stabiliti da contratto

I costi pieni sono utilizzati in taluni contratti ove l’acquirente ha concordato di acquistare beni o servizi dal venditore a un prezzo basato sul costo. Ogni anno vengono stipulati un grande numero di contratti simili. A causa dei possibili diversi criteri di misurazione dei costi, quello specifico da utilizzare nel contratto deve essere dettagliatamente specificato.

Calcolare i prezzi “regolamentati”

Molti prezzi sono stabiliti non dal mercato, ma da specifiche Authority, come per esempio i prezzi dell’elettricità, del gas, dell’acqua, di alcuni servizi aeroportuali

3Vedi Anthony, Hawkins, Macrì, Merchant, 2001: pag. 82.

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ecc. In ciascuno di questi casi, l’Authority definisce normalmente il prezzo come il costo pieno più un margine di profitto. In molte circostanze, inoltre, l’Authority fornisce un manuale (a volte di molte pagine) che specifica in grande dettaglio le modalità di calcolo dei costi.

La definizione del prezzo normale

Una delle principali finalità economiche di un’impresa è quella di conseguire un’adeguata redditività del capitale investito, cioè delle attività che l’impresa utilizza. A questo scopo, i ricavi delle vendite devono essere sufficientemente elevati da (1) coprire tutti i costi e (2) generare un reddito adeguato al capitale investito.

Un’impresa sopravvive nel tempo solo se i ricavi complessivi superano di un certo ammontare i costi complessivi. I prezzi di vendita, però, devono essere stabiliti distintamente per ciascun prodotto. Come è possibile, agendo sul prezzo dei singoli prodotti, ottenere un reddito complessivo d’impresa soddisfacente?

La risposta è nell’idea che ciascun prodotto dovrebbe farsi carico di una quota ragionevole dei costi complessivi sostenuti dall’impresa. In altri termini, il prezzo di vendita di un prodotto dovrebbe essere sufficientemente alto da (1) recuperare i costi diretti, (2) recuperare una quota di tutti i costi indiretti e (3) generare un reddito soddisfacente, adeguato cioè all’investimento necessario alla produzione e commercializzazione del prodotto in esame. Un prezzo così stabilito è denominato prezzo normale (normal price)4.

L’affermazione precedente indica una “tendenza generale”, non tanto una prescrizione rigida per il calcolo del prezzo di un prodotto. Molte volte, infatti, il prezzo di un prodotto non viene determinato come somma del suo costo pieno più una quota necessaria a generare un’adeguata redditività. Spesso, per esempio, i prezzi sono stabiliti stimando il valore che l’acquirente attribuisce a quel prodotto e che dunque è disposto a pagare. Ciò nonostante, la determinazione del

4 Alcune persone si domandano se i costi pieni siano effettivamente utilizzati come base per il calcolo dei prezzi. Da una ricerca che ha avuto oggetto grandi imprese di produzione è risultato che l’85% utilizzava il costo pieno. Govindajaran e Anthony, 1983.

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costo di un prodotto definisce un buon punto di partenza per decidere quale dovrebbe essere l’effettivo prezzo di vendita.

Abbiamo dunque descritto alcuni degli scopi per cui il management di un’azienda sceglie di utilizzare la configurazione di costo pieno e ci siamo resi conto del fatto che tale tipo di configurazione di costo fornisce un volume di informazioni superiore rispetto ad una configurazione <<parziale>> e può comunque essere scomposta e disaggregata in base agli scopi conoscitivi.

Il principio dell’allocazione dei costi, più precisamente dei costi comuni e dei costi speciali non economicamente attribuibili in modo diretto, e quindi dell’individuazione di idonee basi di riparto.

Il calcolo del costo di prodotto in ottica full costing differisce tra le aziende, oltre che a seconda del settore – manifatturiero, commerciale o di servizi – in cui operano, anche in relazione alle modalità di svolgimento dei processi produttivi5. Esse, infatti, influenzano l’identificabilità dell’oggetto di costo <<unità di prodotto>> ai fini dell’attribuzione dei costi, e, conseguentemente, l’entità dei costi di produzione che possono essere convenientemente imputati in modo diretto rispetto a quelli che devono essere invece allocati secondo criteri di riparto, ossia i costi indiretti comuni relativi a fattori impiegati per due o più prodotti (overhead costs); in tal senso, ai due estremi di un ipotetico spettro di una classificazione, si distinguono aziende operanti <<su commessa>> e aziende operanti con processi <<a flusso continuo>>.

• Nelle aziende operanti su commessa il processo si attiva su un prodotto/servizio specifico ed individuabile sulla base di un ordine ben definito da parte del cliente. In tal caso abbiamo un <<procedimento diretto>>

di calcolo dei costi di produzione unitari, <<diretto>> nel senso che i costi vengono imputati (direttamente o indirettamente) ad una commessa specifica.

Solo al termine della produzione di quella commessa sarà possibile conoscere il suo costo effettivo (a consuntivo). Si parla in tal caso di sistema di calcolo dei costi per commessa6.

5 Cinquini, 2001: pag. 68

6 Cinquini, 2003: pag. 70

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• Nelle imprese operanti con processi di produzione a flusso continuo, al contrario, si producono masse di prodotti/servizi omogenei tra loro indifferenziati (standardizzati); nelle imprese in cui la produzione avviene a flusso continuo il costo unitario di produzione risulta un costo medio, in quanto ottenibile dal rapporto tra l’ammontare complessivo dei costi di produzione sostenuti in un dato periodo di tempo (materie prime, manodopera ed altri costi) e la quantità totale di output ottenuta; in questo modo, ad esempio, è calcolabile il costo di un barile di petrolio lavorato in una raffineria, o il costo di una movimentazione di un conto corrente bancario. Si parla di <<procedimento indiretto>> di calcolo dei costi (o sistema di calcolo dei costi per processo), nel senso che il sistema può determinare soltanto il costo complessivo di produzione relativamente ad un periodo di tempo ed il costo unitario può essere calcolato solo indirettamente mediante il rapporto costi/output.

La maggior parte dei sistemi di produzione si colloca in una posizione intermedia rispetto ai due estremi indicati e presenta quindi delle caratteristiche proprie sia dei sistemi per commessa che dei sistemi a flusso continuo; sono pertanto dei sistemi misti. Un esempio è costituito dalla produzione per lotti: qui abbiamo la presenza di prodotti differenziati ma omogenei all’interno di un lotto (si pensi a tutte le imprese manifatturiere di prodotti di largo consumo). Nella produzione per lotti avremo l’attribuzione diretta ai singoli prodotti dei costi dei materiali (come nel sistema per commessa) e l’allocazione dei costi indiretti di trasformazione (manodopera indiretta e altri costi indiretti di produzione) sulla base del costo di trasformazione mediamente assorbito dal volume complessivo di prodotti che attraversa il processo produttivo (come nel sistema per processo).

III. 2 Il full costing a base unica e a base multipla

Nell’ambito del calcolo del costo pieno è possibile ricorrere a differenti criteri per l’imputazione dei fattori produttivi non direttamente attribuibili all’oggetto di

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calcolo7. Così si può optare per un’imputazione dei costi comuni direttamente agli oggetti di calcolo oppure si può decidere di allocare prima i costi in prescelti centri di costo o su prescelte attività e poi da questi agli oggetti di calcolo finali.

Il primo metodo è spesso conosciuto nella prassi aziendale con il termine

“calcolo del costo pieno su base unica aziendale”. In questo caso, infatti, si usa un’unica base di ripartizione (di frequente, le ore MOD o le ore macchina) per calcolare il coefficiente attraverso il quale imputare all’oggetto di calcolo, senza passaggi intermedi, tutti i costi dei fattori produttivi non direttamente attribuibili all’oggetto di calcolo.

Nel caso del secondo criterio si tratta invece di calcolo del costo pieno che fa ricorso a basi di allocazione differenti per i differenti centri di costo. esso è conosciuto nella prassi come calcolo del costo pieno su basi multiple aziendali8. Per applicare il metodo del costo pieno su base unica aziendale, cioè nella sua forma più semplice, è sufficiente attribuire direttamente al prodotto il costo delle materie prime consumate e, volendo, anche quello della manodopera diretta.

Tutti gli altri costi vengono invece sommati tra loro e, attraverso un prescelta base (ore di MOD o ore macchina o altre basi ancora), imputati ai prodotti. Viene individuata dunque un’unica base di riparto per l’imputazione di tutti i costi indiretti, sia di produzione che di struttura, ossia i costi generali. Le fasi del procedimento di determinazione delle quote di tali costi da ripartire sono le seguenti:

¾ Scelta degli elementi di costo indiretto da includere nel calcolo: essi vengono considerati nell’ambito di un’unica aggregazione di costi indiretti (cost pool), che rappresenta un contenitore strumentale al calcolo della quota di costi indiretti generali da ripartire;

¾ Scelta della base di riparto: scegliendo una base di riparto, si ottiene che il volume di costi indiretti allocati sull’oggetto di costo varia proporzionalmente

7 Si noti che, se l’oggetto di calcolo dei costi fosse il prodotto, gli unici fattori produttivi che entrano direttamente nel prodotto sono le materie prime, gli eventuali semilavorati acquistati all’esterno, i materiali di confezionamento e la manodopera diretta, laddove esista ancora e non operi quindi tramite macchine in grado di funzionare anche senza l’apporto costante e diretto dell’uomo.

8 Bubbio, 1994: pagg. 95-96.

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rispetto al variare della base prescelta. Il problema consiste nella corretta identificazione delle basi in funzione degli obiettivi dell’allocazione;

¾ Calcolo del coefficiente di riparto: si ottiene dal rapporto tra costo indiretto e base di riparto;

Determinazione della quota di costo da attribuire all’oggetto di costo: si determina facendo il prodotto tra coefficiente di riparto e volume della base riferibile al prodotto (vedi fig. sottostante).

Materiali indiretti

Manodopera Altri costi indir. produz.

Altri costi indir. struttura indiretta

Costi generali

Fonte: Cinquini (2003)

Data l’unicità della base, si può cogliere quanto sia critica la sua scelta per la significatività del costo che ne risulta. Sino a quando il fattore produttivo manodopera ha avuto un peso rilevante nell’attività produttiva di molte imprese, questa ha costituito una base estremamente significativa e largamente utilizzata.

Successivamente, con il venir meno della centralità di questa risorsa a vantaggio di altri fattori produttivi, si è teso a sostituire questa base con altre basi come le ore macchina o le quantità di altri fattori. In generale, comunque, il criterio che

COSTI INDIRETTI COSTI DIRETTI

Materiali diretti

Manodopera diretta

Base di allocazione PRODOTTO

Altri costi diretti

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deve guidare la scelta è quello della significatività del fattore produttivo, poiché in base a questo fattore si distribuiscono sugli oggetti di calcolo (solitamente i prodotti) quote rilevanti dei costi di un’impresa. Tale significatività è legata al peso che il fattore produttivo ha nel processo di produzione e nel condizionarne tempi e modi di svolgimento.

Inoltre, poiché il fattore produttivo può esprimersi in quantità fisiche o monetarie, si suggerisce, ove possibile, di utilizzare come base d’imputazione le quantità fisiche. Questa scelta aiuta a interpretare meglio il coefficiente unitario d’imputazione e le sue eventuali variazioni. Optando infatti per le quantità fisiche, le sue variazioni non sono influenzate da variazioni del prezzo-costo del fattore produttivo scelto come base, ma solo da sue variazioni di volume o da variazioni del numeratore.

Ciò assicura una maggior confrontabilità nel tempo dei coefficienti unitari ottenuti e una più semplice interpretazione delle eventuali variazioni del coefficiente di imputazione stesso.

Il FC a base unica può dunque trovare applicazione nelle realtà aziendali con processi produttivi semplici, dove la quota dei costi indiretti sul totale non è elevata. Evidentemente nelle realtà aziendali più complesse questo metodo non è adatto ad esprimere il contributo dei fattori produttivi alla formazione del prodotto finale, soprattutto se l’attribuzione dei costi vuole essere coerente con il principio funzionale o causale.

Esso, infatti, opera nella misura in cui l’impiego dei fattori produttivi indiretti per l’ottenimento del prodotto è effettivamente proporzionale alla variazione della base di allocazione prescelta per l’imputazione: in tale caso la base di allocazione è anche realmente un driver di costo rispetto ai costi indiretti che alloca sul prodotto. È intuitivo che quanto più diversificati sono i fattori produttivi contenuti nell’aggregazione dei costi indiretti, tanto più è probabile che la base di allocazione di tale aggregazione non sia effettivamente anche un driver per tutti i fattori indiretti, con conseguenze distorsive rispetto al principio funzionale9.

9 Cinquini, 2003: pag. 76.

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Si impiega allora il FC a base multipla, ovvero si attua il riparto dei costi indiretti con basi differenziate, quantitative o a valore, a seconda delle caratteristiche delle diverse aggregazioni di costi indiretti che si vanno a costituire (vedi figura sottostante)

Altri costi indiretti di produzione

Altri costi indiretti di struttura Materiali indiretti Manodopera *

Centro di aggregazione 1

Centro di aggregazione 2

Centro di aggregazione 3

Fonte: Cinquini 2003.

Passiamo quindi alla descrizione del calcolo del costo pieno secondo il criterio delle basi multiple aziendali e delle tre logiche applicabili.

La configurazione del costo pieno secondo tale criterio , oltre a prevedere l’imputazione dei costi all’oggetto di calcolo, indipendentemente dalla loro variabilità e specificità, prevede una loro preventiva localizzazione in prescelti centri di costo. Qualora si desideri seguire questo criterio di calcolo, è necessario

COSTI INDIRETTI COSTI DIRETTI

Materiali diretti

Base di allocazione 1 Base di allocazione 2 Base di allocaz. 3

PRODOTTO

Altri costi diretti

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disporre di un piano dei centri di costo. La definizione di questi centri può seguire diverse logiche10:

¾ La logica per aree funzionali;

¾ La logica gerarchico-causale (Methode des Sections Homogènes);

¾ La logica per attività (Activity based costing).

La logica per aree funzionali suggerisce di definire i centri di costo con riferimento alle macro-funzioni rispetto alle quali è possibile aggregare le varie attività svolte. Si possono così avere centri di costo relativi alla funzione approvvigionamento, a quella di fabbricazione, a quella commerciale, a quella amministrativa, a quella di R&S e così via. Ognuna di queste aree funzionali (un macro centro di costo) può essere poi ulteriormente suddivisa in una serie di sotto-centri che si riferiscono ad attività più ristrette, anche se aggregabili sempre secondo la logica funzionale. Ad esempio, nell’area commerciale si potrebbero avere l’area vendita, della distribuzione fisica dei prodotti, dei servizi pre- e post- vendita.

La logica gerarchico-causale, invece, suggerisce di individuare i centri di costo con riferimento a unità organizzative (centri di responsabilità) che consumano risorse per produrre beni intermedi o servizi interni più o meno direttamente collegati al processo di trasformazione principale. Questo processo principale è quello che porta ad ottenere i prodotti o i servizi offerti ai clienti esterni all’impresa. È rispetto a questo processo che è possibile individuare: sezioni o centri produttivi principali (ad esempio, i reparti di fabbricazione, i magazzini materie prime e prodotti finiti, le filiali commerciali o i singoli agenti di vendita), sezioni o centri di servizi comuni (ad esempio, il centralino o l’ufficio contabilità generale). Il numero e la tipologia di questi centri varia da impresa a impresa in relazione alla suddivisione dei compiti che ci si è data e al grado di analisi necessario per rispondere efficacemente ai fabbisogni informativi manifestati da chi svolge in impresa attività direzionali (decisione, guida, controllo).

Le sezioni o centri di costo devono essere individuate rispettando, in generale, alcuni criteri:

10 Sòstero, 1991: pag. 40.

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• Si devono ricercare le relazioni di causalità tra la risorsa produttiva consumata (il singolo elemento di costo), lo scopo per il quale questa è stata consumata e il luogo (l’unità organizzativa) nel quale è stata consumata.

• Le singole sezioni devono essere raggruppate in attività tra loro omogenee in termini di scopi per i quali vengono svolte;

• Le singole sezioni devono essere caratterizzate da prestazioni identificabili in modo chiaro, anche se possono essere prestazioni di diversi centri di varia natura;

• Le prestazioni della singola sezione o del centro devono essere esprimibili mediante parametri espressione del livello di attività svolto dal centro (unità di prestazione o unità d’opera); ne sono un esempio le ore macchina e le ore di manodopera nei reparti di fabbricazione, il numero delle telefonate del centralino, il numero delle persone presenti in azienda per l’ufficio paghe e stipendi. L’unità di prestazione o unità d’opera è dunque l’unità di misura prescelta per sintetizzare la prestazione svolta in una sezione o in un centro di costo.

In alcuni casi, applicando questa logica, si possono avere degli elementi di costo di dubbia localizzazione; per questi si creano talvolta dei centri di costo ai quali non corrispondono precise responsabilità organizzative. Questi centri di costo vengono definiti “fittizi”.

Resta l’ultima logica, quella per attività, che è anche quella proposta dalla più recente letteratura di cost accounting statunitense.

Quest’approccio è molto simile al precedente, in quanto prevede che il piano dei centri rispetto ai quali aggregare i costi venga organizzato individuando le attività svolte in impresa al fine di ottenere il prodotto/servizio offerto al cliente esterno. In particolare, queste attività possono essere distinte, ricorrendo al modello della catena del valore, in attività primarie e attività di supporto.

Ciò che distingue questa logica dalla precedente è che si aggregano le risorse consumate con riferimento al tipo di attività svolta e non al luogo nel quale queste vengono impiegate; così, ad esempio, la micro-attività “lavorazione al tornio” deve ricomprendere tutti i singoli elementi di costo relativi alle risorse

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consumate per svolgere questa attività (ore di energia elettrica, ore di manodopera, ore computer), indipendentemente dall’unità organizzativa nella quale si sono impiegate queste risorse. In quest’approccio ciò che è rilevante è l’attività svolta e non il centro di responsabilità nel quale si è realizzata l’attività. Sempre questo nuovo approccio suggerisce di ricercare, con riferimento alle singole attività-centro di costo, il fattore produttivo che determina il costo e che potrebbe essere diverso dal volume dell’attività svolta.

Quindi non si cerca più l’unità d’opera, ma il “cost driver” o determinante di costo. quest’ultimo potrebbe essere, a livello di processo di trasformazione, il numero di riattrezzaggi o il numero degli ordini lanciati in produzione, mentre livello amministrativo potrebbe essere il numero delle bolle di accompagnamento.

Nei paragrafi successivi, partendo da quanto detto fin qui, si approfondisce l’argomento sui centri di costo adottando un’ottica orientata all’individuazione concreta e pratica dei centri di costo, che molto ci servirà nel capitolo successivo.

III. 3 La contabilità per centri di costo III. 3.1 La logica di funzionamento

La logica sottostante la contabilità per centri di costo è dunque quella di aggregare i costi indiretti, rispetto all’oggetto di costo finale, in raggruppamenti intermedi (i centri di costo) in modo da delineare con migliore approssimazione il consumo di risorse da parte degli oggetti di costo finali. Le aggregazioni intermedie di costi indiretti, infatti, sono utili per evidenziare se gli oggetti di costo finali utilizzano in diversa misura, oppure in maniera esclusiva, alcuni fattori produttivi e/o i servizi di un aggregato di fattori produttivi.

Secondo il grado di impiego di tali servizi da parte di oggetti di costo intermedi e/o finali si procede all’imputazione dei corrispondenti costi (attraverso basi di

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riparto in genere collegate, in maniera più o meno diretta, al volume di produzione).

Il calcolo del costo di prodotto secondo la contabilità per centri di costo tipicamente si svolge attraverso le seguenti fasi:

• Individuazione dei centri di costo;

• Localizzazione dei costi nei centri di costo;

• Chiusura dei centri di costo intermedi su quelli finali;

• Chiusura dei centri di costo finali sull’oggetto di costo.

La fase di individuazione dei centri di costo produce come output il piano dei centri di costo ovvero l’insieme di tutti i centri di costo utilizzati per il calcolo dei costi dei costi di prodotto (un centro di costo, in prima approssimazione, può essere assimilato ad una unità organizzativa).

I centri di costo possono essere classificati, lo ricordiamo, in base al criterio gerarchico ed a quello funzionale. Con il criterio gerarchico si pone l’attenzione sul procedimento di calcolo del costo e si distinguono i centri in intermedi e finali, secondo che il totale dei costi dei centri sia attribuito, rispettivamente, ad altri centri di costo oppure all’oggetto di costo finale. Il criterio funzionale, invece, porta a differenziare i centri di costo in base alla natura dell’attività svolta, pertanto si individuano i centri:

¾ Produttivi (trasformano gli input per ottenere l’output per il cliente finale);

¾ Ausiliari (erogano servizi di supporto ai centri produttivi);

¾ Comuni o di struttura o funzionali (erogano servizi a favore di tutta l’azienda, quindi sia dei centri produttivi sia di quelli ausiliari).

È possibile incrociare i due criteri ed ottenere per ogni centro la doppia classificazione (i produttivi sono finali, gli ausiliari intermedi, mentre i comuni possono essere sia finali sia intermedi). Inoltre possono essere inseriti nel piano dei centri di costo anche i cosiddetti centri virtuali (non hanno un riferimento diretto o indiretto con l’organizzazione, ma sono identificati per accumulare costi indiretti che non sono relativi né ad unità organizzative né ad altri centri di costo:

ad esempio, i costi perle pulizie, la vigilanza) e quelli temporanei (centri di costo

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costituiti per un periodo di tempo relativamente breve, ad esempio in occasione dello svolgimento di un determinato progetto).

La fase successiva è rappresentata dalla localizzazione delle voci di costo per centri di costo. In questa fase si procede alla quantificazione del costo delle risorse impiegate nel centro, sorge allora la necessità di avere almeno le seguenti informazioni di base11:

• I centri nei quali le risorse umane svolgono la loro attività ;

• La localizzazione degli impianti relativamente ai centri prima identificati;

• I centri che utilizzano determinate attrezzature;

• I prelievi dei materiali di consumo da parte dei singoli centri;

• Le rimanenze di semilavorati nei singoli centri;

• Misure sull’ammontare delle altre risorse eventualmente impiegate (ad esempio lo spazio occupato, oppure i servizi esterni utilizzati).

Tali informazioni consentono di svolgere sia la localizzazione diretta dei costi rispetto ai centri (ad esempio l’imputazione dei costi per materiale di consumo ad un determinato centro), sia quella indiretta (ad esempio la ripartizione, mediante idonea base di riparto, dell’ammortamento di un’attrezzatura utilizzata nel tempo da due o più centri).

A questo punto l’indagine compiuta per individuare i centri di costo dovrebbe avere evidenziato anche le relazioni esistenti tra i diversi centri di costo intermedi e quelli finali. In altre parole dovrebbe essere chiaro quali siano i centri di costo che:

¾ Erogano servizi all’azienda nel suo complesso;

¾ Erogano servizi a favore di altri centri di costo;

¾ Producono un output destinato al cliente finale;

¾ Svolgono attività non classificabili tra le precedenti (ad esempio, i centri di costo che forniscono servizi sia ad altri centri di costo, sia al cliente finale) Dopo avere delineato le possibili relazioni tra i centri di costo, si chiudono (si dice anche “si ribaltano”) i centri di costo intermedi su quelli finali, ossia in base

11 Giannetti, 2004: pp. 57 e ss.

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alle relazioni tra i centri di cui si decide di tenere conto, si procede all’attribuzione ai centri finali del totale dei costi dei centri intermedi12

L’ultima fase della contabilità per centri di costo prevede l’attribuzione dei costi localizzati (ed eventualmente ribaltati) sui centri finali all’oggetto di costo finale.

La chiusura dei centri, sia di quelli intermedi, sia di quelli finali, avviene mediante l’impiego di opportune basi di riparto13.

III. 3.2 L’individuazione dei centri di costo

L’output della fase di identificazione dei centri di costo rappresenta la base sulla quale poggia il funzionamento della contabilità per centri di costo.

Al variare della quantità e tipologia dei centri di costo individuati mutano le informazioni che è possibile ottenere sul consumo di risorse, la significatività dell’informazione di costo ottenuta, la possibilità di impostare un’azione di controllo sugli aggregati di costo.

Il Cinquini (2003) definisce quali sono i tipici principi per individuare i centri di costo, ossia14:

a. omogeneità delle attività compiute all’interno del centro di costo in modo che esso abbia un output omogeneo;

b. omogeneità della dotazione di fattori produttivi (vi possono essere centri che svolgono le medesime operazioni ma che utilizzano fattori produttivi diversi);

c. significatività dei costi localizzati nel centro;

d. possibilità di individuare un responsabile per il centro al fine di consentire un controllo dei costi mediante la responsabilizzazione.

Tali principi sembrano sufficientemente esplicativi, tuttavia per un loro completamento approfondiamo i seguenti aspetti (derivanti dai punti precedenti) che può essere utile considerare nella fase di individuazione dei centri di costo:

a. lo scopo sottostante l’individuazione dei centri di costo;

12 Cinquini, 2003, pp. 88-90

13 Giannetti, 2004, p. 60.

14 Cinquini, 2003: pag. 82

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b. le caratteristiche delle attività raggruppate all’interno dei centri di costo.

In merito al primo aspetto se, come abbiamo detto nel precedente paragrafo, si assume che lo scopo perseguito sia quello di determinare il consumo delle risorse da parte dei diversi oggetti di costo intermedi e finali al fine di pervenire al costo di un output finale quanto più possibile aderente al principio funzionale-causale, allora la fase di individuazione dei centri di costo non può prescindere dalla conoscenza del processo produttivo, delle relative attività di supporto e dei loro collegamenti. Pertanto è fondamentale un’approfondita analisi della complessiva attività dell’organizzazione in modo da identificare le principali relazioni causa- effetto tra impiego di risorse e risultati ottenuti (intermedi e finali). In particolare è utile esaminare la struttura organizzativa al fine di individuare le unità organizzative elementari tra le quali è ripartita la complessiva attività aziendale, i collegamenti tra di esse, le attribuzioni di responsabilità e di autorità15.

Tra i documenti che rappresentano la struttura organizzativa può essere utile visionare l’organigramma, ovvero il documento che evidenzia le unità organizzative e le loro relazioni. L’organigramma costituisce però un supporto per l’individuazione dei centri di costo e non si identifica, in genere, con il piano dei centri di costo, ossia con l’insieme dei centri di costo individuati. In effetti tale documento può avere una capacità informativa limitata, sia perché vi può essere uno scostamento più o meno rilevante tra quanto esso evidenzia ed il reale funzionamento di un’organizzazione16, sia perché vi può essere la necessità di disaggregare ulteriormente alcune unità organizzative in eventuali sottounità al fine di individuare i centri di costo.

In particolare, in relazione a quest’ultimo aspetto, potrebbe sorgere l’esigenza di individuare dei centri (o dei cosiddetti sottocentri all’interno di altri centri di costo) che non corrispondono a delle unità organizzative presenti nell’organigramma ma che sono comunque utili per monitorare il consumo delle risorse17. Tali aggregati possono avere una valenza economico-gestionale se sono necessari per mostrare come avviene il consumo delle risorse, oppure una

15 Cori, 2000: pag. 46

16 Cori, 2000: pag. 58

17 Coda, 1968: pag. 75 e ss.

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valenza esclusivamente contabile se raccolgono costi che nell’ambito del centro non sono attribuiti agli altri sottocentri, per ragioni tecniche (ad esempio perché si verificano fenomeni di congiunzione o di comunanza di costi tra i sottocentri)18 o di convenienza economica (i costi delle procedure di rilevazione sono giudicati troppo elevati in relazione ai benefici informativi derivanti dall’allocazione dei costi comuni ai sottocentri).(Vedi figura di seguito)

Nel caso in cui i centri di costo siano individuati con lo scopo di definire le responsabilità per l’impiego delle risorse (controllo dei costi19), i costi attribuiti ai centri devono essere controllabili da parte dei relativi responsabili. Il perseguimento di tale scopo può portare ad una non coincidenza tra i centri di responsabilità ed i centri di costo (se, ad esempio, gli aggregati individuati come sottocentri di un centro più ampio, sono costituiti da costi controllabili dal responsabile del centro che contiene i sottocentri, siamo in presenza di più centri /sottocentri di costo che fanno capo ad un unico centro di responsabilità).

In merito alle caratteristiche delle attività raggruppate all’interno dei centri di costo, innanzitutto dovrebbero essere tali da garantire una soddisfacente

18 Vedi capitolo precedente sui costi congiunti.

19 Agliati, 1994: pag. 30.

CENTRO DI COSTO

Centro 1 Centro 2 Centro n

Costi comuni di centro non localizzati nei

sottocentri

Livello principale del centro di costo

“Sottocentri”

(19)

omogeneità in termini di output del centro e di fattori produttivi impiegati.

L’intento di aggregare attività aventi caratteristiche omogenee risponde alla necessità di evidenziare, come già accennato anche nel paragrafo precedente, il diverso impiego di risorse da parte di oggetti di costo finali oppure intermedi dovuto a:

¾ un uso esclusivo di risorse (ad esempio lavorazioni svolte soltanto per un certo prodotto);

¾ un diverso impiego delle risorse condivise (ad esempio un diverso ricorso ai servizi di controllo qualità per un centro che realizza un certo prodotto, rispetto ad un altro centro che produce un altro prodotto).

La ricerca dell’omogeneità delle attività svolte nei centri di costo porta ad interrogarsi sul grado di dettaglio dei centri di costo. Un elevato grado di dettaglio dei centri può essere utile, in talune situazioni, per una più corretta attribuzione dei costi proprio perché evidenzia in maniera soddisfacente le modalità di consumo delle risorse. Non si tratta però di una conseguenza necessaria, poiché se non consente una migliore applicazione dei principi per l’individuazione dei centri di costo ricordati all’inizio di questo paragrafo, può portare solo un incremento della complicazione del sistema dovuto sia alle situazioni di comunanza e congiunzione che si generano (maggiore è il grado di analisi, più elevata è la quota di costi che migrano dalla classe dei costi speciali a quella dei costi comuni), sia alla difficoltà di gestire un maggior numero di centri di costo in termini di rilevazione, archiviazione ed elaborazione dei dati.

In talune situazioni, tuttavia, il grado di dettaglio dei centri di costo può convenientemente giungere fino ad identificare il centro di costo con singole persone o fattori produttivi.

(20)

III .3.3 Localizzazione dei costi nei centri di costo

In questa seconda fase si procede all’attribuzione dei costi ai centri di costo.

Restano esclusi solo i costi diretti di prodotto, che non costituiscono costi di funzionamento dei centri e sono attribuibili direttamente al prodotto a cui si riferiscono (materie prime, royalties per diritti di licenza, costi di trasporto specifici, ecc.). Spesso transitano per i centri i costi di mano d’opera diretta, pur essendo annoverabili tra i costi diretti di prodotto, perché dei centri produttivi costituiscono una risorsa particolarmente importante .

I costi, in questa fase, sono classificati per natura, cioè secondo le caratteristiche fisiche (es. mano d’opera) ed economiche (es. mano d’opera diretta o indiretta) del fattore produttivo sottostante. La classificazione per natura della contabilità analitica non è detto che coincida con quella di contabilità generale (l’esempio appena fatto ne è la dimostrazione); diverse sono infatti le finalità dei due sistemi contabili e, in ogni caso, le classificazioni dipendono dai collegamenti formali che si vogliono istituire tra i sistemi stessi.

Un esempio di classificazione, contraddistinto da un grado di aggregazione piuttosto elevato delle voci di costo, è il seguente:

¾ mano d’opera diretta e indiretta;

¾ stipendi tecnici;

¾ forza motrice;

¾ illuminazione;

¾ combustibili;

¾ materiali ausiliari e di consumo;

¾ manutenzioni;

¾ ammortamenti tecnici;

¾ costi diversi industriali;

¾ stipendi commerciali;

¾ trasporti;

¾ pubblicità e promozione;

¾ viaggi e trasferte;

(21)

¾ costi diversi commerciali;

¾ stipendi amministrativi;

¾ assicurazioni;

¾ costi postali, telefonici, ecc.;

¾ cancelleria e spese di ufficio;

¾ costi diversi amministrativi;

¾ costi diversi generali.

Tali costi vengono imputati ai centri che hanno determinato il fabbisogno delle corrispondenti risorse e solo a quelli, in base alla quantità di risorse consumata nel periodo di tempo considerato. È ovvio che l’importo da imputare ai centri (ad esempio mensilmente, o al limite, annualità mente) non è quello rilevato in Contabilità Generale (criterio della manifestazione numeraria), ma è l’ammontare di competenza economica del periodo considerato, in relazione al consumo della risorsa sottostante. Pertanto le fonti delle elaborazioni proprie della contabilità analitica consistono non solo nelle rilevazioni della Contabilità Generale, ma anche in una serie di altre rilevazioni elementari, come le bolle di lavoro, i buoni di prelievo e la contabilità di magazzino, ecc., che seguono analiticamente l’impiego dei fattori produttivi presso i vari centri.

Nell’addebito delle voci di costo ai centri sorge immediatamente un problema di misurazione: infatti in alcuni casi si è in presenza di costi diretti di centro (ad esempio mano d’opera, stipendi, ammortamenti di macchinari, ecc.), mentre in altri si debbono imputare costi indiretti di centro (ad esempio ammortamenti dei fabbricati, energia elettrica per forza motrice, illuminazione o altri). Il problema va risolto applicando il principio causale, ma, di volta in volta, come vedremo, la sua applicazione può comportare gradi di complessità differenti20.

Riportiamo ora di seguito, e a titolo esemplificativo, le modalità di localizzazione nei centri di alcuni tipici elementi di costo già sopra citati21:

20 Brusa, 1995: pag. 54-56.

21 La tabella è ripresa da Cinquini, 2003: pag. 86.

(22)

Costo Modalità di localizzazione (parametro)

Manodopera diretta e supervisione N. persone/costo del personale/ore MOD

Ammortamento impianti Localizzazione diretta (se l’impianto opera in un unico centro)

Assicurazione impianti Valore impianti (se unica globale)

Manutenzione impianti Localizzazione diretta (in presenza di centro manutenzione)

Affitti Spazio occupato

Ammortamenti fabbricati Spazio occupato Manutenzione fabbricati Spazio occupato

Riscaldamento/pulizia/vigilanza Spazio occupato/volume (in assenza di un centro virtuale)

Energia/acqua/gas Rilevaz. Cons. (costo diretto) o sulla base di un calcolo di consumo teorico

Materie di consumo Localizzazione diretta Prestazioni di terzi (consulenze) Localizzazione diretta

Pubblicità Localizzazione diretta

Viaggi/trasferte Localizzazione diretta

Comunicazioni telefoniche Rilevazione scatti/n. telefonate

Naturalmente per far funzionare il sistema occorre strutturare un’articolata documentazione e un manuale procedurale per la effettuazione delle rilevazioni che servono per localizzare i costi sui centri.

Pertanto, al termine del processo di localizzazione, i tipici elementi di costo localizzati nei centri (produttivi, ausiliari e di struttura) saranno22:

22 Tabella riportata da Cinquini 2003, p. 87.

(23)

Centri di struttura commerciali

Centri di struttura amministrativi

Centri produttivi e ausiliari

a) Stipendi commerciali a) Stipendi direzione generale a) Manodopera diretta e indiretta

b) Provvigioni di vendita b) Stipendi amministrativi b) Stipendi tecnici c) Viaggi e trasferte c) Stipendi altre aree

funzionali

c) Forza motrice

d) Pubblicità d) Compensi amministratori e sindaci

d) Illuminazione

e) Trasporti e) Consulenze e) Materiali ausiliari di consumo

f) Consulenze f) Spese postali e telefoniche f) Manutenzioni g) Mostre e fiere g) Cancelleria g) Lavorazioni esterne

h) Fitti passivi h) Ammortamenti i) Assicurazioni i) Combustibili

l) Spese diverse industriali

Per ognuna di queste voci si pongono problemi di definizione quantitativa e di localizzazione: ad esempio, per quanto riguarda la manodopera indiretta generalmente si localizza nel centro di costo in funzione di valori di tempo di impiego del lavoro (esempio mediante tabelle di rilevazione dell’impiego giornaliero della manodopera indiretta); per quanto riguarda i materiali generali di consumo e i combustibili, le bolle di prelievo sono lo strumento tecnico con cui si può calcolare l’ammontare di costo da imputare al centro; gli interventi di manutenzione interni provengono da un centro ausiliario e la misurazione del servizio reso al centro utente potrà avvenire mediante apposite registrazioni e documenti interni23.

23 Più approfonditamente su questi problemi cfr. Brusa, 1995: pp.54-71.

(24)

III. 3.4 Chiusura dei centri di costo intermedi su quelli finali

Una volta che i costi dei vari fattori produttivi sono stati imputati ai rispettivi centri, occorre tener presente che i centri ausiliari (centri intermedi) operano in funzione dei centri produttivi (centri finali), a cui prestano i propri servizi.

Pertanto, l’operazione successiva da compiere consiste nell’imputare o

<<ribaltare>> i costi dei centri ausiliari ai centri produttivi.

I criteri di imputazione dei costi dei centri ausiliari ai centri produttivi sono molteplici, cioè variano a seconda della prestazione che i primi svolgono a favore dei secondi.

In generale si può affermare che l’imputazione è attuabile in due modi:

a) misurando direttamente i servizi resi dai centri ausiliari ai centri produttivi mediante un’appropriata unità di misura di tali servizi;

b) in modo indiretto, in proporzione all’attività svolta dal centro utente, opportunamente misurata, oppure in base ad altri parametri, sempre relativi a qualche carattere del centro utente24.

In altre parole, anche il <<ribaltamento>> dei costi dei centri ausiliari sui centri produttivi comporta la distinzione tra costi diretti e costi indiretti.

Centri di costo intermedi (oltre ai centri ausiliari) sono da considerarsi anche i centri di struttura; i loro costi possono essere imputati, una volta scelta una opportuna base di riparto:

a) direttamente sul prodotto: si sceglie una base di riparto e si chiudono direttamente i centri di struttura sul prodotto;

b) sui centri di costo produttivi e ausiliari: in tal caso le modalità di chiusura sono le stesse viste per i centri ausiliari.

La scelta tra le due modalità di chiusura dei centri di struttura, e in particolare l’adozione del secondo procedimento, dipende dalla possibilità di individuare basi di riparto il più possibile aderenti al criterio funzionale25.

24 Brusa, 1995: pag. 71.

25 Cinquini 2003: pag. 88.

(25)

Il problema della chiusura dei centri intermedi (ausiliari e di struttura) sui centri produttivi può presentare maggiore complessità in presenza di rapporti reciproci tra centri, ossia di prestazioni di servizi anche tra centri intermedi e non solo tra questi e i centri finali. Ad esempio, un centro manutenzione potrebbe svolgere la sua attività non solo a favore dei centri produttivi finali, ma anche di altri come nel caso dei centri ausiliari (centrale termica e trasporti). In tale ipotesi le possibili via da seguire per la chiusura dei centri intermedi sono le seguenti26:

¾ allocare i costi dei centri intermedi senza considerare i rapporti reciproci (metodo diretto di allocazione);

¾ allocare i costi dei centri intermedi secondo una sequenza che tiene conto della prevalenza del servizio reso ad altri centri intermedi (metodo di allocazione a cascata); si chiudono per primi i centri intermedi che presentano la maggiore quota di servizio nei confronti di altri centri intermedi e si prosegue secondo tale criterio per gli altri centri;

¾ allocare i costi dei centri intermedi ai centri finali includendo esplicitamente i costi relativi alle prestazioni reciproche mediante l’impostazione di sistemi di equazioni lineari (metodo di allocazione reciproca).

III. 3.5 Chiusura dei centri di costo finali sull’oggetto di costo

La quarta fase consiste nell’attribuzione dei costi dei centri finali produttivi (e di struttura nel caso in cui essi non siano ribaltati su quelli produttivi) ai prodotti.

Dopo la chiusura dei centri ausiliari (ed eventualmente di struttura) i centri produttivi presentano un totale di costi che deve essere attribuito ai prodotti finali.

A questo scopo si deve trovare una quantità che esprima in modo omogeneo l’output dei singoli centri produttivi, ovvero il risultato in termini quantitativi dell’attività del centro. Infatti il problema tipico che si incontra nelle attività produttive consiste nella presenza di diversi tipi di prodotto lavorati a uno steso

26 Per una trattazione più approfondita si veda Cinquini 2003: p. 91.

(26)

reparto (centro di costo); quindi occorre trovare una unità che esprima in maniera omogenea l’output del centro di produzione, in modo da poter poi ripartire il costo proporzionalmente alle unità di output contenute, in misura diversa, in ciascuna tipologia di prodotto.

Generalmente si utilizzano unità di misura di input: si individuano cioè unità relative a un fattore produttivo o ad una risorsa significativa del centro: si utilizzano di solito le ore/uomo o le ore/macchina, cioè quante ore-uomo o macchina il centro ha lavorato in un periodo.

Rapportando il costo totale del centro al totale di output si ottiene un coefficiente unitario di costo. Esso ha una duplice funzione:

1) serve per l’imputazione dei costi ai prodotti, mediante la moltiplicazione tra esso e le unità di output contenute nei diversi prodotti;

2) serve come strumento di controllo di gestione, in quanto è un indicatore di efficienza del centro; l’andamento del valore del suo coefficiente di costo nel tempo è indicatore di maggiori o minori rendimenti dei fattori produttivi in esso impiegati27.

Quanto al punto (1) occorre poi, per l’imputazione ai prodotti dei costi dei centri produttivi, sommare i risultati di tali moltiplicazioni, prendendo in considerazione tutti i centri produttivi coinvolti nella trasformazione del prodotto in esame28. L’ultima precisazione da fare riguarda l’unità di misura della produzione della produzione, che come già detto, è sovente espressa in unità di tempo e può essere data da:

- ore assegnate o <<prodotte>>;

- ore effettive.

Il primo caso, che richiede la predeterminazione di tempi standard per le singole operazioni, è tipico delle produzioni per processo.

Il secondo invece caratterizza prevalentemente le aziende con produzione su commessa29.

27 Cinquini 2003: pag. 94.

28 Brusa 1995: pag. 84.

29 Per approfondimenti consulta Brusa 1995: pp. 84-87.

(27)

III. 4 La capacità produttiva e l’allocazione tramite centri di costo III. 4.1 Il concetto di capacità produttiva

La capacità produttiva di una risorsa o di una combinazione di risorse qual è un’azienda, è rappresentata, in prima approssimazione, dalla quantità massima o potenziale di output che può essere prodotta in un certo periodo. La capacità produttiva disponibile può essere utilizzata per intero oppure solo in parte. Vi sono, infatti, eventi di diversa natura (come, ad esempio, fermi macchina per manutenzioni oppure per ferie, scioperi) che possono influenzare il grado di utilizzo della capacità produttiva disponibile. Al fine di approfondire il concetto di capacità produttiva è utile distinguere tra30:

¾ capacità produttiva teorica;

¾ capacità produttiva pratica;

¾ capacità produttiva normale;

¾ capacità produttiva di budget;

¾ capacità produttiva consuntiva o attuale.

La capacità teorica rappresenta il massimo output che può essere prodotto in linea teorica, ossia senza tenere conto di interruzioni o sprechi che inevitabilmente si verificano durante il periodo considerato.

La capacità pratica tiene conto di interruzioni e cali della produttività dovuti, ad esempio, a ragioni tecniche (manutenzioni programmate, riparazioni, attrezzaggi), oppure a ragioni di mercato (ad esempio è abbastanza frequente che dopo l’ampliamento della capacità produttiva non si raggiungano i livelli di sfruttamento programmati, a causa dell’asincronia tra ampliamento della capacità produttiva e sviluppo della domanda di mercato31), oppure a ragioni normative (ad esempio la normativa sui contratti di lavoro che prevede un certo numero di giorni di ferie) o ancora a ritardi dei fornitori.

30 Cinquini e Silvi 2003: pp. 78-80.

31 Oltre a ciò una certa quota di capacità produttiva non utilizzata può essere dovuta alla scelta di soddisfare le richieste inattese di clienti considerati strategici, oppure per fronteggiare le punte di domanda.

(28)

La capacità normale è quella che si ottiene considerando l’andamento della domanda di mercato su un periodo di tempo che consente di eliminare le fluttuazioni dovute a fattori stagionali e/o ciclici. A differenza delle precedenti misure della capacità, quella normale considera le quantità vendute e non solo fattori tecnici e comportamentali.

La capacità di budget o programmata esprime il livello programmato di output in un certo periodo tenuto conto del livello programmato delle vendite e di quello delle scorte; è riferita, quindi, ad un orizzonte temporale più breve del precedente e considera, come nel caso precedente, il livello della domanda (prevista).

Infine la capacità attuale o consuntiva esprime la quantità di output realizzata in un certo periodo (a consuntivo quindi) e sconta tutti i fattori che non sono previsti in sede di programmazione.

Le relazioni tra i diversi concetti di capacità possono essere così delineate:

¾ la capacità produttiva teorica e quella pratica, esprimono ciò che potenzialmente può essere prodotto (facendo riferimento però a diverse condizioni produttive);

¾ la capacità produttiva normale e di budget evidenziano ciò che si chiede alla risorsa o alla combinazione di risorse, ossia il grado di utilizzazione della capacità produttiva (teorica o pratica) disponibile;

¾ la capacità attuale o consuntiva rappresenta ciò che è stato effettivamente prodotto.

Relativamente ai costi le misure di capacità possono essere impiegate per diversi motivi (calcolo del costo di prodotto, decisioni di make or buy, controllo dei costi, e così via); in questo capitolo vengono considerate le relazioni tra la determinazione del costo di prodotto mediante la contabilità per centri di costo e le misure di capacità produttiva32.

32 Sulla capacità produttiva vedi Riccardo Giannetti, 2004: pp. 71-73.

(29)

III. 4.2 Variazione del costo unitario di centro in base alla capacità produttiva

Come spiegato in precedenza, la chiusura di un centro di costo, finale oppure intermedio, implica come prima operazione il calcolo di un coefficiente di riparto dato dal rapporto tra il totale dei costi del centro e il totale della base di riparto. Le misure della capacità influenzano proprio la determinazione del coefficiente di riparto. La tabella qui di seguito evidenzia, per diverse misure di capacità, il calcolo del coefficiente di riparto (costi totali/ore macchina) di un ipotetico centro di costo lavorazione, in cui sono stati separati i costi fissi dai costi variabili:

Capacità produttiva Numero ore macchina

Costi fissi

Costi variabili

Totale costi

Coefficiente di riparto

Capacità teorica 1.000 500 2.000 2.500 2,50

Capacità pratica 800 500 1.600 2.100 2,63

Capacità normale 600 500 1.200 1.700 2,83

Capacità di budget 550 500 1.100 1.600 2,91

Capacità consuntiva 500 500 1.000 1.500 3,00

Fonte: Giannetti, 2004.

Si nota che il coefficiente di riparto varia secondo la misura della capacità considerata33; assumendo che il costo variabile unitario sia costante la variabilità del coefficiente di riparto è da attribuirsi alla diversa incidenza dei costi fissi per unità di base di riparto (ore macchina).

Pertanto la variabilità del costo unitario di centro è dovuta alla variabilità dell’incidenza del costo fisso al mutare delle unità di output.

Ciò significa che la variabilità del costo unitario dipende dall’ammontare di costi fissi, quindi in un centro di costo quanto più i costi fissi pesano sul totale dei costi del centro, tanto più varierà il costo unitario (coefficiente di riparto) di tale centro di costo al variare della quantità di output del centro.

33 Giannetti, 2004: pag. 73.

(30)

Vediamo ora gli impatti che il fenomeno sopra evidenziato può avere sulla determinazione del costo di prodotto nell’ambito della contabilità per centri di costo, considerando sia le relazioni tra centri di costo intermedi e finali sia la chiusura dei centri di costo finali sull’oggetto di costo finale.

Avremo allora che se si impiega la capacità produttiva consuntiva (ossia il livello di attività effettivamente realizzato) per determinare la base di riparto dei centri di costo intermedi e finali, in presenza di una significativa variazione della base di riparto e di un’altrettanto significativa quota di costi fissi, si può verificare una consistente oscillazione del costo dell’output finale. In altre parole si imputa per intero l’ammontare dei costi fissi all’output finale, anche se talvolta i costi fissi sostenuti danno la possibilità di realizzare volumi di output potenzialmente maggiori di quelli effettivamente realizzati. Se si interpreta il fenomeno in questi termini si può dire che si imputa all’output anche la quota di costi fissi che corrispondono alla capacità produttiva inutilizzata (la capacità produttiva inutilizzata può essere definita come la differenza tra la capacità produttiva che poteva essere realizzata e quella che effettivamente è stata realizzata).

L’imputazione dei costi della capacità produttiva inutilizzata a ben vedere non rispetta neanche il criterio funzionale in quanto porta ad attribuire i costi della capacità inutilizzata in maniera proporzionale al volume di servizi effettivamente richiesti quando non è dato identificare tale tipo di relazione (basta pensare che i costi di capacità inutilizzata potrebbero dipendere da scelte errate di dimensionamento compiute dal management e non dalla richiesta di servizi rivolta ai centri intermedi da parte dei centri finali, oppure ai centri finali da parte dell’oggetto di costo finale)34.

La soluzione al problema potrebbe essere quella di non imputare il costo della capacità inutilizzata agli oggetti di costo considerati ma per fare ciò è necessario innanzitutto definire a quale misura di capacità si fa riferimento.

34 Giannetti, 2004: pag. 77.

(31)

III. 4.3 Capacità produttiva, centri di costo intermedi e finali: le possibili soluzioni

Si può dire che la scelta della misura di capacità da utilizzare dipende dallo scopo di impiego di tale misura. Nell’ambito della determinazione dei costi di prodotto mediante la contabilità per centri di costo, si pone un problema di scelta tra la capacità pratica, normale e di budget, mentre si esclude quella teorica poiché appare di fatto non raggiungibile e quella consuntiva poiché potrebbe originare, in presenza di determinate condizioni, gli inconvenienti di cui si è detto nel paragrafo precedente. Il riferimento alla capacità pratica sembra in linea di massima preferibile poiché soddisfa le seguenti esigenze35:

1) include nell’attribuzione il costo della capacità produttiva teorica non utilizzata a causa delle inevitabili soste dovute a motivi tecnici o di altro tipo36;

2) esclude dall’attribuzione i costi della capacità inutilizzata dovuti a inefficienza, errori di programmazione, oppure ad una domanda inferiore alle aspettative.

Premesso che ai fini della determinazione del costo di prodotto la scelta della misura di capacità dovrebbe essere coerente con il criterio funzionale-causale, occorre però citare anche altre considerazioni che nella realtà influenzano la scelta della misura della capacità e l’interpretazione del costo di produzione ottenuto. In particolare occorre accennare all’effetto che la scelta di una misura di capacità può avere sulla coerenza tra comportamenti e contesto competitivo di riferimento. Così la scelta della capacità pratica appare indicata soprattutto per le imprese operanti in contesti altamente competitivi, dove i concorrenti tendono ad utilizzare pienamente la capacità produttiva disponibile al fine di ridurre i costi

35 Cfr. anche Sòstero, 1991: pag. 255.

36 Se si considera l’esempio riportato nella tabella del paragrafo precedente, il costo della capacità teorica inutilizzata sarebbe la quota di costo fisso corrispondente alla differenza fra capacità teorica e pratica ((1.000 – 800)/1.000) x 500 = 100. Se si utilizza la capacità pratica per imputare i costi del centro, nel casi di saturazione di quest’ultima misura di capacità, si imputa all’oggetto di costo l’intero ammontare di costi fissi, quindi anche la quota di costo relativa alla capacità teorica inutilizzata (100).

(32)

ed i prezzi (in tali ambiti non escludiamo neanche un possibile riferimento alla capacità teorica) e dove non c’è la possibilità di trasferire (attraverso il prezzo) al cliente i costi della capacità inutilizzata. In tale situazione tanto più un’azienda sarà in grado di dimensionare ed utilizzare la propria capacità produttiva vicino ai limiti massimi, tanto più riuscirà ad abbassare il prezzo di vendita senza sacrificare i margini di profitto. Trattasi a ben vedere di mercati dove assume rilievo il perseguimento di una leadership di costo.

Viceversa dove il livello di competizione si sposta maggiormente sulla differenziazione di prodotto/servizio, allora probabilmente vi è una minore sensibilità dei clienti al prezzo ed è possibile utilizzare anche una misura di capacità normale oppure programmata37.

Ciò premesso alcune possibili soluzioni al problema della distorsione che si può verificare utilizzando la capacità produttiva consuntiva per l’attribuzione dei costi dei centri, possono essere quelle di considerare :

1) solo i costi variabili;

2) i costi variabili e solo la quota dei costi fissi corrispondente alla capacità produttiva utilizzata.

La prima soluzione non considera il problema in quanto esclude dal calcolo i costi fissi. Tale metodo semplifica lo svolgimento della contabilità analitica, ma ha l’inconveniente di non mettere in evidenza i costi della capacità inutilizzata, inoltre presenta i limiti ed i vantaggi delle configurazioni di costo orientate al direct costing38.

Con la seconda soluzione, invece, è possibile evidenziare la capacità produttiva inutilizzata e depurare la determinazione del costo unitario dall’effetto derivante dalla diversa incidenza unitaria dei costi fissi. A tale fine è possibile operare secondo due modalità di calcolo. In base alla prima si rapportano i costi fissi ad un valore ipotetico della capacità produttiva al fine di determinare il coefficiente di riparto da moltiplicare poi per il volume di base di riparto effettivo (capacità consuntiva). L’altra modalità determina prima la quota di costi fissi da attribuire

37 Cfr. Cinquini e Silvi, 2003: pag. 100

38 Cfr. Cinquini, 2003: pag. 173 e segg.

(33)

moltiplicando tali costi per il rapporto capacità consuntiva (volume effettivo della base di riparto)/capacità ipotetica (volume potenziale della base di riparto), e successivamente utilizza il volume effettivo per l’attribuzione della quota di costi fissi così determinata.

Secondo entrambe le modalità si attribuiscono solo i costi della capacità utilizzata, quelli della capacità inutilizzata dovrebbero essere evidenziati in un apposito report per monitorare il loro andamento e decidere se procedere ad un ridimensionamento della capacità produttiva, adottare misure idonee ad incrementarne lo sfruttamento oppure non prendere alcuna iniziativa.

A conclusione dell’argomento si vuole riportare di seguito il modello CAM-I che distingue tra capacità produttiva, non produttiva e inutilizzata ed evidenzia poi quali costi della capacità inutilizzata sono da considerare nel calcolo del costo di prodotto e quali invece devono essere annoverati tra i costi del business.

MODELLO CAM- I MODELLO

TRADIZIONALE Inesistenza del mercato

Vincoli giuridici,contrattuali e politiche az.li

CAPACITA’

INUTILIZZATA

Eccesso di offerta Standby

Sprechi

CAPACITA’

NON PRODUTTIVA

Manutenzioni/Setup

CAPACITA’ STIMATA

CAPACITA’

PRODUTTIVA

Sviluppo di processo SVILUPPO DI PRODOTTO

Produzione beni/servizi

CAPACITA’ TEORICA CAPACITA’ PRATICA CAPACITA’ PROGRAMMATA

(34)

Fonte: Cinquini, 2003.

Inesistenza del mercato

CAPACITA’

INUTILIZZATA Eccesso di offerta Sviluppo processo

CAPACITA’

PRODUTTIVA Sviluppo prodotto

COSTO DEL BUSINESS

CAPACITA’

INUTILIZZATA

Vincoli giuridici, contrattuali e politiche aziendali

Standby Sprechi

CAPACITA’ NON PRODUTTIVA

Manutenzioni/Setups

CAPACITA’

PRODUTTIVA

Produzione beni/servizi

COSTO DI PRODOTTO

Fonte: Cinquini, 2003.

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