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Conclusioni Dopo questo

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Academic year: 2021

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Conclusioni

Dopo questo excursus tra le opere d’arte di Quattrocento e Cinquecento, cerchiamo ora di riassumere i principali elementi venuti alla luce da questa discussione.

Il gruppo, non proprio omogeneo, di opere analizzate ci permette, nonostante tutto, di enucleare alcuni caratteri comuni e alcuni aspetti significativi circa l’approccio avuto dall’arte con questo particolare soggetto mitologico, nel delicato momento di passaggio dal Medioevo all’Era Moderna, che comporta la codifica di un nuovo linguaggio figurativo, edificato però sui contenuti della cultura antica.

Per quanto riguarda la figura di Elena, lo studio della genesi del personaggio e della sua definizione nella tradizione orale e religiosa arcaica, e poi nell’epica, ci ha permesso di evidenziarne i tratti salienti, in particolare il suo legame con alcune divinità connesse ai temi della fecondità e della rigenerazione, e la sua appartenenza alla sfera dell’eros, sono tutti aspetti che rimarranno tipici del personaggio, malgrado i continui riadattamenti della sua storia.

L’analisi dei testi classici e della letteratura posteriore a Omero, mette invece in evidenza come, col mutare delle condizioni storiche, la ricezione del personaggio vada adeguandosi man mano alle esigenze di un diverso ordinamento etico e culturale, e, man mano che il mito si codifica attraverso i testi scritti, vada anche perdendo alcuni tra i suoi tratti più caratteristici, legati alla sfera del sacro e del misterico, per assumere connotati prettamente umani. Tale umanizzazione ha comportato, nel caso di Elena, l’affermarsi di un deciso atteggiamento di condanna nei confronti del personaggio, che finisce per diventare incarnazione dei vizi e dell’immoralità femminili, a cui si associano il pericolo, il disonore e la morte.

La condanna sembra riguardare, quindi, non tanto Elena stessa in quanto personaggio epico, quanto il potenziale erotico dell’universo femminile che ella rappresenta.

Vediamo come tali giudizi rimangano più o meno confinati ad un’area strettamente letteraria, per quanto l’esigenza di imporre un codice morale da parte della letteratura ufficiale, non possa evitare che, nell’epoca del fiorire del pensiero classico, intorno ad Elena nasca un vero e proprio dibattito imperniato su tema della colpa, dibattito che offre interessanti spunti di riflessione intorno alla natura e alla funzione del personaggio stesso, a cominciare dal suo legame con la Necessità celeste e con le forze inalienabili che muovono

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il destino degli uomini, che ne fa l’interprete di una volontà divina intrascendibile, fino ad arrivare alla completa assoluzione e, anzi, alla glorificazione negli encomi dei sofisti, dove ella viene esaltata in virtù del proprio primato di bellezza, che in quanto tale la rende esente da colpa.

La redenzione del personaggio sembra ormai un dato acquisito nella letteratura medievale, dove, nelle numerose rivisitazioni dei poemi del ciclo troiano, l’episodio della sua partenza per Troia con Paride viene di volta in volta reinterpretato in base alla scelta di seguire le versioni della storia più o meno favorevoli alla parte greca o a quella troiana: la vicenda viene presentata quindi come una fuga d’amore, legittimata dalla purezza dei sentimenti che l’hanno ispirata, oppure come un rapimento brutale da parte dei troiani, in cui la donna non ha dunque alcuna parte di colpa.

L’analisi delle immagini miniate presenti sui manoscritti dei poemi medievali, mette in luce tale situazione attraverso le diverse impostazioni date alla rappresentazione dell’episodio.

In maniera particolare emerge come, attraverso queste immagini, si vada definendo una lettura della vicenda in chiave matrimoniale, che vede nell’unione dei due amanti della mitologia il modello ideale di unione coniugale consacrata dall’amore e dall’impareggiabile bellezza dei suoi protagonisti.

Abbiamo visto poi come, nel primo Quattrocento, il tema del Ratto di Elena ottenga un posto privilegiato tra i soggetti abitualmente affrontati dalla pittura dei così detti “cassoni nuziali”, utilizzati per il corredo matrimoniale, e parte fondamentale del mobilio delle case della media e alta borghesia comunale. Quasi senza soluzione di continuità con la produzione delle immagini miniate, spesso realizzate dalle stesse botteghe che si occupavano della produzione dei dipinti per cassoni, il mito di Elena e Paride continua ad possedere una forte connotazione nuziale e un significato benaugurante per le coppie di novelli sposi a cui il mito veniva associato.

Sorprendentemente immune dal processo di moralizzazione attraverso cui i temi classici sono sottoposti durante il passaggio dall’Antichità al Medioevo, il carattere originario più profondo del personaggio, la sua connessione con le pulsioni amorose e con la sfera erotica, rimane quindi il suo aspetto più caratteristico. La destinazione intima e privata di questi prodotti artistici permette in questo senso uno sviluppo più libero di tali temi.

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Durante il Rinascimento il sorgere e l’affermarsi della filosofia neoplatonica comporta una generale rilettura del mito in chiave simbolica e allegorica che pone l’accento sul significato trascendente delle storie mitologiche. L’importanza che il sentimento amoroso e la bellezza occupano all’interno della concezione neoplatonica del mondo fa sì che la storia di Elena e Paride acquisti un valore particolarmente pregnante, soprattutto in relazione all’altrettanto significativo episodio del Giudizio di Paride, letto come una metafora delle tensioni dell’anima umana, indirizzata al bello e all’amore.

Infine, nell’ultimo capitolo, sono state analizzate alcune rappresentazioni del Ratto di

Elena eseguite nel corso del Cinquecento, cercando di individuare i prototipi comuni e di

chiarire gli intenti alla base delle differenti interpretazioni date all’episodio.

La tradizione del ratto violento rimane ancora viva nel corso dell’intero secolo, ricevendo particolare impulso dalla diffusione delle stampe realizzate da Marcantonio Raimondi su invenzione di Raffaello, in cui grande spazio viene riservato alla rappresentazione della battaglia.

Contemporaneamente a questo filone trovano poi ancora esplicazione in numerose occasioni quelle stesse tematiche di carattere amoroso e matrimoniale che abbiamo già visto nelle opere commissionate per le celebrazioni nuziali del secolo precedente: esempio eccezionale di questo discorso è il grande dipinto realizzato dal fiammingo Heemskerck, in cui i propositi celebrativi e le esigenze dinastiche si inseriscono in una dimensione naturalistica prospera e rigogliosa in cui l’episodio recupera tutto il carattere di sensualità feconda che gli era proprio.

Altrove le suggestioni idilliche date alla storia dalla versione ovidiana delle Eroidi, vengono riprese e adeguate allo spirito disimpegnato e profano degli apparati decorativi destinati al diletto privato, come nei casi, che abbiamo illustrato, dei palazzi sub-urbani di Parma e Sabbioneta e delle residenze mercantili genovesi.

Altro importante momento di riflessione sul tema mitico è l’allestimento della Grotta del Buontalenti a Boboli, dove il gruppo scultoreo dei due amanti trova la giusta collocazione all’interno di un ambiente simbolico incentrato sui motivi nella natura vivificatrice e dell’eros, e al contempo si pone quale momento saliente di una propaganda politica fondata sull’idea di una discendenza dinastica dei Medici da Enea, che vedeva quindi nell’episodio dell’incontro tra i due amanti l’evento che era all’origine del proprio mito di fondazione.

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La necessità dare una radice epica al proprio potere rimane una costante nell’ambito della propaganda politico-ideologica del secolo, che trova nell’arte uno dei suoi più importanti strumenti di diffusione. Nel caso degli affreschi del Palazzo Ducale di Mantova, dove il mito è utilizzato a fini prettamente politici, abbiamo osservato come l’episodio della fuga di Elena con Paride venga spogliato di quell’aspetto elegiaco che lo caratterizza altrove, per essere presentato sotto la luce di un’implicita condanna morale.

Un secolo più tardi lo stesso intento sarà alla base di un’altra notissima e importante rappresentazione del Ratto di Elena, il dipinto commissionato da Filippo IV di Spagna ed eseguito da Guido Reni nel 1627.

L’Elena di Guido era inizialmente destinata al Salon Nuevo dell’Alcazar di Madrid, e sappiamo, attraverso la testimonianza di Malvasia, che fu l’ambasciatore spagnolo Oñate a sollecitare l’esecuzione dell’opera per conto del re1. Fu Filippo a scegliere probabilmente il tema del Ratto di Elena, ma fu il Cardinal nipote Francesco Barberini, in quanto patrono ufficiale dell’artista, a imporre a Guido il taglio interpretativo da dare al soggetto.

Ciò che occorre rilevare in questo contesto è il significato eminentemente politico del dipinto, in cui il soggetto mitico si fa veicolo di un messaggio pertinente alle immediate contingenze storiche in cui si trovavano coinvolti i committenti e i destinatari dell’opera.

La situazione politica degli Stati europei era in quegli anni alquanto precaria, a causa della crisi scatenata dal problema dei territori protestanti della Valtellina, occupati dalla Spagna, che rischiava di scivolare presto in un conflitto aperto con la vicina Francia.

La realizzazione del dipinto, eseguito sotto le direttive di Papa Urbano VIII, voleva essere un monito, rivolto alla Monarchia spagnola, ad evitare l’imminente guerra, ritirando l’esercito dai territori occupati. Il parallelo tra le vicende contemporanee e quelle rappresentate nel quadro dovevano apparire lampanti, se al momento della consegna dell’opera finita, l’ambasciatore spagnolo rifiuterà di pagare il prezzo richiesto, mandando a monte la commissione2. Il riferimento a Filippo IV, che, come Paride, aveva in quel momento la possibilità di scongiurare l’insorgere di una guerra disastrosa, lascia intendere un severo giudizio morale sui fatti presenti, sottolineando le responsabilità di cui gli uomini di Ssato si facevano carico nel trascinare i Paesi in una guerra che sarebbe stata altrettanto sanguinosa e inutile.

1

Malvasia, 1841, II, pp.26-30.

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In questo senso il dipinto può essere letto in forma di un prudente messaggio politico da parte del papato alla Monarchia spagnola, portando il racconto mitico a un ulteriore livello simbolico che si realizza nell’immediata utilità diplomatica.

Il Ratto di Elena di Guido Reni si pone come uno dei maggiori esempi di opera d’arte al servizio della ragion di Stato, come chiarisce Anthony Colantuono nella sua monografia dedicata al dipinto, a cui rimando per un’analisi più approfondita dell’opera, che, per ragioni cronologiche, ho preferito escludere dal mio studio, anche se, data la sua importanza e la sua inerenza al tema trattato, non posso fare a meno di citarla3.

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Figura

Figura 112: Guido Reni, Ratto di Elena, 1627-29, olio su tela, cm. 253 x 265, Parigi, Louvre

Riferimenti

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