CAPITOLO I
Evoluzione Geologica
1.1 ‐ Evoluzione Geodinamica dell’area di studio
L’area oggetto di studio rientra nel settore meridionale della Catena Appenninica, nella Piana Campana, un edificio strutturale costituito da insiemi sovrapposti di unità tettoniche fortemente deformate alloro interno.
La tettonica estensionale, legata all’apertura del Bacino Tirrenico nel Tortoriano superiore (1.1 My) e la tettonica compressiva che portò allo sviluppo della Catena, sono conseguenti alla subduzione ed al roll‐ back della placca Adria al di sotto del blocco Sardo‐Corso, che costituisce il margine Europeo.
L’evoluzione geodinamica di tutta l’area è controllata dall’interazione tra le due placche maggiori, la Placca Europea e la Placca Africana. Queste sono separate da una fascia crostale più “mobile“ e tettonicamente complessa comprendente placche minori come l’Iberica e l’Adria.
La storia geologica dell’Appennino, in particolare, è legata alla cinematica dalla placca Europea a Ovest e dalla Placca Adria a Est. La complessa evoluzione geodinamica del mediterraneo può essere schematizzata in quattro fasi:
• Fase di apertura Oceanica (Giurassico medio‐ Superiore); • Fase di transizione (Cretaceo Inferiore);
• Fase oceanica di convergenza (Cretaceo superiore‐ Eocene medio);
• Fase di collisione continentale (Eocene Superiore – Attuale).
1.2 ‐ Catena Appenninica
La Catena Appenninica si sviluppa partendo dalla Pianura Padana lungo tutta la penisola italiana e può essere suddivisa in due archi maggiori: l’Appennino Settentrionale a Nord e l’Appennino Meridionale a Sud.
L’Appennino Settentrionale si estende dal Monferrato fino alla regione Laziale‐Abruzzese con uno sviluppo di oltre 500 km e separato a NW dall’arco alpino, dalla linea Sestri‐Voltaggio. Il settore è caratterizzato da una propagazione di thrust sia tramite strutture duplex che strutture a fan imbricati entrambi in sequenze piggy‐back.
L’Appennino Meridionale, che comprende l’Abruzzo, il Molise, la Campania e la Sicilia è contraddistinto da uno stile tettonico dominato da duplex a grande scala e da quantità di raccorciamento e arretramento flessurale maggiori rispetto all’arco Appenninico Settentrionale.
Queste due grandi strutture hanno stili tettonici differenti, entità di raccorciamento e rotazione molto dissimili e sono separate da un lineamento tettonico noto come linea di Ortona‐Roccamonfina.
Fig. 1.1: Schema Strutturale dell’Italia e zone limitrofe, da www.dst.unipi.it.
1.3 ‐ Evoluzione geologica della piana campana
La Piana Campana è una depressione strutturale che borda il margine occidentale dellʹAppennino. Essa costituisce la parte emersa del bacino peritirrenico rappresentato dal Golfo di Napoli. I bacini peritirrenici rappresentano le aree di transizione tra il margine occidentale dellʹAppennino ed il bacino tirrenico. Sono aree soggette a forte subsidenza, colmate con depositi marini e continentali di età pliocenica e pleistocenica (Bartole R. et al., 1984; Ippolito F. et al., 1973; Mariani M. & Prato R., 1988).
Lʹevoluzione di questi bacini è stata controllata da complessi sistemi di faglie dirette e trascorrenti neogenico quaternarie, prevalentemente ad andamento appenninico, dovute a fenomeni geodinamici distensivi. Questi sistemi hanno accompagnato la rotazione antioraria della catena e la creazione del Tirreno, formando un sistema bacino di retroarco ‐ catena appenninica‐avanfossa, ed hanno smembrato il settore occidentale dellʹAppennino, ribassandolo verso il Tirreno spesso con forti rigetti (DʹArgenio B. et al., 1973; Incoronato A. & Nardi G., 1987; Patacca E. & Scandone P, 1989; Scandone P., 1980).
Dal punto di vista morfologico ‐ strutturale, i bacini peritirrenici possono essere raggruppati in tre fasce principali:
1) bacini toscani settentrionali (tra La Spezia e Piombino); 2) bacini tosco‐laziali (tra lʹisola dʹElba ed il Circeo);
3) bacini campani (tra Terracina e la Penisola Sorrentina) (figura 1.2). La maggior parte di essi si possono individuare allʹinterno di
depressioni trasversali alla catena definite ʺsemigrabenʺ, caratterizzate da blocchi basculati lungo faglie rotazionali a basso angolo con direzione prevalente NO‐SE. Fig. 1.2: Bacini neogenici del margine tirrenico (da Mariani M. & Prato R., 1998). Fig. 1.3: Schema tettonico del margine campano (da Milia A. 1996).
Le piane costiere campane sono controllate da due sistemi di faglie: uno ad andamento appenninico e lʹaltro ad andamento antiappenninico. Questi sistemi delimitano la Piana del Garigliano a nord, tra i Monti Aurunci ed il Monte Massico, e la Piana Campana a sud, compresa tra il Monte Massico a NO, i rilievi della Penisola Sorrentina a SO, dai monti del casertano, dalla dorsale del Partenio e dai margini più occidentali dei Monti Picentini ad E (figura 1.3). Questi semigraben costieri, separati da alti strutturali, si sono formati per mezzo di una fase tettonica tardo neogenico ‐ quaternaria. Questa fase distensiva si verifica dopo un lungo periodo di relativa stabilità, durante il quale diversi cicli morfogenetici rimodellano il paesaggio derivato dalla fase tettonica compressiva mio‐pliocenica. Secondo alcuni Autori si riconoscono almeno due fasi tettoniche distensive, la prima allʹinizio del Pleistocene inferiore, la seconda al limite Pleistocene medio‐superiore (Brancaccio L. et al., 1991).
Secondo A. Milia et al. (1998), nellʹarea campana si possono riconoscere tre fasi tettoniche estensionali ed una trascorrente. Queste fasi hanno prodotto sistemi di faglie orientate rispettivamente N‐S, NO‐SE, NE‐ SO, E‐O, tutte posteriori alle fasi tettogenetiche tortoniano ‐ plioceniche inferiori. Le faglie con andamento N‐S hanno dislocato le unità mesozoico terziarie sovrascorse nel Miocene; le faglie con andamento appenninico, datate Pleistocene inferiore, hanno creato strutture ad horst e graben (come il graben di Sorrento e lʹhorst di Monte Faito). Nel Pleistocene inferiore‐medio un nuovo sistema di faglie con andamento
NE‐SO disloca e riattiva quelle ad andamento appenninico, creando le depressioni trasversali alla catena, che gli Autori definiscono ʺhalf‐ grabenʺ (semigraben), associabili ai bacini peritirrenici. Ne è un tipico esempio il Golfo di Napoli, la cui genesi è associata alle faglie dirette NE‐SO. Le faglie orientate E‐O tardo quaternarie sono a carattere trascorrente.
Sulla base di indagini geofisiche, eseguite da vari Autori, si è potuto stabilire che il tetto delle unità mesozoico ‐ terziarie, che costituisce il basamento carbonatico della piana campana, risulta essere ribassato verso il centro della piana ed il Mar Tirreno (Aprile F. & Ortolani F., 1979; Carrara E. et al., 1974; F. Barberi et al. 1980 e La Torre P. et al. 1982, stabilendo che le faglie dirette, con andamento NE‐SO e NO‐SE, ribassano il basamento verso il centro della Piana del Sarno, dove raggiunge una profondità di 2000 m., mentre un alto strutturale emerge in corrispondenza dellʹisolotto di Rovigliani (Barberi F. et al., 1980; La Torre P. et al., 1982; Berrino G. et al., 1998).
Il massimo ispessimento della copertura sedimentaria allʹinterno dei bacini campani avviene nel Pleistocene; i sedimenti di ambiente deltizio e lagunare raggiungono spessori notevoli e sono spesso in eteropia con complessi piroclastici e lavici, che a volte ne influenzano la geometria.
I depositi quaternari che colmano queste depressioni, riferibili a successioni in facies paralica e continentale, raggiungono spessori notevoli, arrivando a 700 m. nella Piana del Garigliano e nellʹarea dei
Campi Flegrei e raggiungendo addirittura uno spessore di 3000 m in corrispondenza della Piana del Volturno. Anche nel bacino di Salerno ‐ Valle del Sele la sedimentazione epiclastica è intensa, con spessori della successione che superano i 1500 mt. nellʹentroterra del Golfo di Salerno (Mariani M. & Prato R., 1988). Allʹinterno di queste potenti successioni si rilevano notevoli spessori di depositi vulcanici, costituiti da lave basaltiche ed andesitiche, da tufi andesitici e da piroclastiti, ai quali sono intercalati depositi clastici di ambiente marino e di ambiente di transizione e/o continentale (Ortolani F. & Aprile F., 1978). Queste vulcaniti, la cui età va dal Pliocene superiore e si protrae per tutto il Pleistocene, sono dovute ad una risalita di fusi dal mantello lungo le linee tettoniche, attivatesi in seguito ad un regime estensionale agente in questa zona di retroarco, che hanno dato vita ad una intensa attività vulcanica di tipo potassico, creando i distretti vulcanici di Roccamonfina, del Somma‐Vesuvio, dei Campi Flegrei e di Procida, delle isole Pontine e di Ischia. Parte di queste vulcaniti deriva anche dallʹattività magmatica di apparati vulcanici collassati ed ora sepolti da piroclastiti e depositi alluvionali, come gli antichi edifici vulcanici sepolti di Parete, la cui presenza è suffragata dalla forma piuttosto circolare delle anomalie gravimetriche registrate nella zona (Rapolla A. et al., 1989), e dal ritrovamento in profondità di lave calcalcaline, basaltiche ed andesitiche (Di Girolamo P. et al., 1976).
Altre indagini di tipo gravimetrico, insieme con i profili sismici a riflessione effettuati nel Golfo di Napoli, integrate con osservazioni vulcanologiche, hanno permesso di evidenziare un minimo gravimetrico al centro della piana, corrispondente alla grossa ʺDepressione di Acerraʺ, limitata da faglie dirette con andamento SO‐ NE ed E‐O (R. Scandone et al. 1991). Ai suoi margini sono presenti due anomalie positive dovute ai prodotti effusivi di Parete e del Somma‐ Vesuvio. Gli Autori hanno spiegato questo minimo ipotizzando il crollo del tetto della camera magmatica di una caldera (Barberi F. et al., 1978; Finetti I. & Morelli C., 1974; Rosi M. & Sbrana A., 1987; Santacroce R., 1987; Scandone R. et al., 1991).
A. Milia & M.M. Torrente (1997) attribuiscono questa depressione alla complessa interazione di un sistema di faglie con andamento NO‐SE, che hanno interessato lʹarea durante il Pleistocene inferiore.
Gli studi stratigrafici e paleontologici, effettuati sui campioni estratti da vari pozzi profondi siti allʹinterno di tutta la piana, hanno permesso di comprendere lʹevoluzione nello spazio e nel tempo degli ambienti sedimentari allʹinterno della Piana Campana.
In particolare è stato riscontrato che nel corso del Pleistocene e Olocene cʹè stata una differenziazione nel tasso di subsidenza tra il settore nord‐ occidentale della Piana Campana (aree a nord del Volturno) e quello a sud (Piana Campana s.s.).
Le aree a nord del Volturno risultano essere scarsamente subsidenti visto che le successioni flegree più antiche sono ricoperte da depositi
alluvionali. Nellʹarea napoletano‐volturina, invece, il ribassamento è stato maggiore. Con i pozzi Castelvolturno1 e Castelvolturno3 (Ippolito F. et al., 1973) è stato possibile raggiungere i sedimenti più antichi, posti ad una profondità di 3000 m. dal piano campagna. Lʹanalisi stratigrafico‐paleontologica di questi sedimenti ha confermato unʹetà non più antica dellʹEmiliano (1.45‐1.15 Ma), stabilendo un tasso di sedimentazione intorno ai 2 mm/a (Balducci S. et al., 1983; Bernasconi A. et al., 1981 Cinque A. et al., 1987).
Alle pendici del Vesuvio, sul versante meridionale, nel pozzo Trecase1, il top del substrato carbonatico meso‐cenozoico è stato intercettato a 1730 m. dal piano campagna ed i sedimenti marini più profondi sono stati datati 1.1 Ma.
La Piana del Sarno risulta aver avuto un forte tasso di subsidenza, attiva fino in tempi storici, come testimoniano le linee di riva versiliane e storiche sepolte a ‐4 m. s.l.m. (Albore Livadie C. et al., 1990; Cinque A., 1991).
Durante il Pleistocene medio superiore, si verifica una riduzione del tasso di subsidenza, che, in concomitanza con una fase regressiva del ciclo glacioeustatico, porta allʹemersione totale dellʹarea. Proprio in questo momento si ha la sedimentazione dei prodotti piroclastici che costituiscono lʹIgnimbrite Campana. Dopo la sua deposizione, una fase di relativa stabilità tettonica permette il succedersi di vari cicli morfogenetici, che ne rimodellano il tetto. NellʹOlocene la piana subisce la trasgressione versiliana, testimoniata dai numerosi terreni
paludosi che hanno caratterizzato lʹarea fino in età borbonica (Romano P. et al., 1994). Tutti questi studi hanno portato alla valutazione di un tasso medio di subsidenza che oscilla tra 1.2 e 3 m/Ka, mettendo in evidenza anche la travagliata e non omogenea evoluzione di questo bacino peritirrenico.
1.4 ‐ Il Golfo di Napoli: evoluzione e fisiografria
La Regione Campania è caratterizzata geologicamente da una forte estensione e vulcanismo plio‐quaternario che coinvolge anche l’area urbana di Napoli. I centri vulcanici maggiori, erano localizzati lungo la zona di cerniera tra la Catena Appenninica ed il bordo orientale del bacino Tirrenico. I prodotti vulcanici sono appartenenti alla Provincia Magmatica Romana che include il complesso vulcanico di Roccamonfina, il distretto Flegreo, con le isole di Procida ed Ischia, ed il complesso vulcanico del Monte Somma‐Vesuvio (Washngton H.S., 1906; Appleton J.D., 1972; Civetta L. et al., 1978; Ferrara G. & Tonarini S., 1985; Fornaseri M., 1985; Giraud A. et al.,1986).
Il Golfo di Napoli presenta i lineamenti fisiografici tipici di un settore di margine continentale passivo, con una piattaforma continentale il relativo slope ed il bacino. Rappresenta un bacino peritirrenico che copre un’area di circa 1000 km² caratterizzato da tettonica e vulcanismo attivi. Il modello strutturale Quaternario prevede un set caratterizzato da faglie normali e trascorrenti ad andamento NW–SE, in particolare le faglie trascorrenti rientrano nel settore E–W mentre le faglie normali hanno un andamento NE–SW. (Figura 1.5 Milia 1999). Le faglie normali, tra il Pleistocene medio superiore, sono responsabili dello sviluppo dell’half‐graben Golfo di Napoli e della Penisola Sorrentina, che rappresenta una cresta del blocco di faglia. (Milia 1996, Milia &Torrente 1997, Milia 1999)
Il substrato carbonatico Meso‐Cenozoico affiora nella Penisola Sorrentina ed immerge verso NW di 7°‐10°.
La piattaforma continentale del Golfo di Napoli si estende da profondità che variano tra i 100 e 180 metri. L’ampiezza della piattaforma differisce da un massimo di circa 20 km nel settore centrale a circa 2,5 km in corrispondenza delle isole di Capri e Procida.
La porzione settentrionale è caratterizzata da uno shelf continentale morfologicamente irregolare e da un sistema di banchi vulcanici, tra i quali citiamo il banco di Gaia, il Banco di Penta Palummo, il Banco di Miseno ed il Banco di Ischia. Il settore meridionale, ad est di Capri, ha una stretta piattaforma continentale con un cuneo di piattaforma ad una profondità di circa 150‐165 m ed uno slope, con un gradiente medio di 6° verso NW. Nel settore centrale, la piattaforma continentale è larga 20 km, con un cuneo di piattaforma ad una profondità di 165 mt nella parte meridionale e 180 mt nella parte nord‐ovest; lo slope ha un gradiente medio di circa 3° ed immerge da W‐NW. Nel settore centrale del Golfo di Napoli, tra Ischia e Capri, è presente un alto strutturale noto come Banco di Fuori. Questo rilievo sottomarino forma una dorsale sottomarina asimmetrica con una sommità piuttosto piatta ed il fianco sud‐orientale più ripido di quello nord‐occidentale.
Una faglia normale (N 10°), con un forte rigetto verticale, ne delimita il margine sud‐occidentale e divide la parte sommersa del Golfo di Napoli in due settori. Il settore occidentale, molto articolato, caratterizzato dalla presenza di numerosi apparati vulcanici, alcuni dei
quali isolati (vulcano Fusi, Banco di Gaia, Banco di Nisida, Monte Dolce) ed altri raggruppati in complessi; il settore orientale è caratterizzato da unità sedimentarie organizzate in una struttura monoclinale (Fusi N. et al.; 1991).
Nella zona orientale, tra la scarpata ed il Banco di Fuori, ad una profondità di 300‐500 mt, è presente un’area a dolce pendenza, definita bacino pensile, mentre ad ovest di Capri il bacino raggiunge le massime profondità, la Fossa della Zi’ Rosa, tra 1000 e 3000 mt (Milia A., 1996).
La morfologia del bacino si addolcisce spostandosi da NE verso SO, dove prevale l’erosione dei piccoli canali.
Nella zona Settentrionale del Golfo di Napoli, a nord dei complessi vulcanici, rientra il Golfo di Pozzuoli, circondato dai Campi Flegrei, che raggiunge i 100 metri di profondità.
I processi di trasporto dalle aree di mare basso ai settori più profondi del Golfo di Napoli, sono fortemente condizionati dalla presenza di due canyon sottomarini che incidono la scarpata continentale e parte della piattaforma, rispettivamente il canyon Dohrn, che si trova nel settore orientale, ed il canyon Magnaghi, che drena il settore occidentale del golfo. Entrambi i canyons si sviluppano prevalentemente in direzione NE‐SO, presentano delle aree di testate molto complesse, che incidono la piattaforma fino a profondità di 250 metri e raggiungono i 1300 metri alla base della scarpata continentale. I loro versanti possono raggiungere anche pendenze di circa 30‐35 °
(Aiello G. et alii., 1999). Il canyon Magnaghi si origina in corrispondenza dell’area vulcanica nord‐occidentale tra Capo Miseno ed Ischia e presenta una testata trilobata con tre canali tributari principali che confluiscono verso il bacino attraverso un incisione principale che si allunga in direzione NE‐SO a nord del Banco di Fuori (Milia A., 1999). Ad assolvere la funzione di via preferenziale per lo smaltimento dei sedimenti a sud del Banco di Fuori è presente il canyon Dohrn, lungo circa 25 Km, profondo più di 150 metri e largo quasi 2 Km, si estende dal ciglio della scarpata fino alle zone più profonde del bacino, ad ovest di Capri. Il canyon Dohrn nella parte iniziale, è diviso in due rami principali: uno meridionale ed uno settentrionale, entrambi con un andamento generale NE‐SO, che confluiscono prima di giungere nel bacino profondo. Il canale settentrionale si inoltra all’interno della piattaforma attraverso un canale detto “Ammontatura”, la cui formazione sembra essere precedente alla messa in posto dei più recenti edifici vulcanici del Golfo di Pozzuoli; ipotesi avvalorata dall’interruzione improvvisa del canale in corrispondenza dell’edificio vulcanico sommerso di Nisida. Il ramo meridionale, invece, è alimentato da una serie di canali tributari, la cui distribuzione sembra legata a lineamenti tettonici. (Milia A., 1996; Aiello G. et al., 1999).