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Capitolo 2 L'evoluzione 'multi-level' della politica di coesione

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Capitolo 2

L'evoluzione 'multi-level' della politica di coesione

2.1. La politica di coesione, promotrice della Multilevel Govenance

La politica di coesione ebbe un nuovo inizio con la riforma del 19881, quando si

definirono i principi fondamentali dell'intervento strutturale, mantenuti fino ad oggi2.

Infatti, fino a questo momento, la politica di coesione europea era davvero minimale, poiché si esauriva con gli stanziamenti dei fondi da parte della Comunità e con gli Stati che incassavano tali risorse: come i fondi venissero spesi e chi ne beneficiasse erano decisioni spettanti agli esecutivi nazionali, senza nessun tipo di vincolo; per questo fino al 1988 non si può parlare di una vera e propria politica di coesione.

In seguito all'allargamento del 1986, che portò la Spagna, il Portogallo e la Grecia nella Comunità Economica Europea, si sentì la necessità di articolare la policy basandola sul principio di programmazione che, per la prima volta in tema di coesione, poneva l'azione strutturale in ottica pluriennale; ciò avrebbe dato maggiore sistematicità e sicurezza finanziaria alle attività promotrici della convergenza. In generale si introdusse un quadro regolamentare uniforme, che funzionasse ugualmente nei diversi contesti nazionali.

Date le disparità che si erano venute a definire con l'allargamento, si decise di incrementare notevolmente le risorse europee destinate alla politica di coesione; ciò pose le basi per un rafforzamento del ruolo della Commissione nella politica regionale. Infatti, mentre prima l'intervento strutturale era inteso come mera politica redistributiva, per cui la Comunità si limitava ad erogare risorse agli Stati più poveri, con la riforma '88 la Commissione si aggiudicava il compito di fissare i criteri e di definire i soggetti beneficiari delle risorse.

1 Pag.107, Hooghe, 2001, op.cit. “While the Commission did not use the term “multi-level” governance to describe the 1988 reform, multi-level governance was indeed the goal”.

2 Si incrementarono notevolmente le risorse a partire da questo momento e addirittura dal 1987 al 1993 le allocazioni raddoppiarono; nei paesi beneficiari del Fondo di Coesione (Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda) la dotazione finanziaria per la coesione arrivò ad assestarsi circa al 4% del loro Pil, una quantità che gli studiosi paragonano alle risorse finanziarie stanziate dal Piano Marshall, per le economie nazionali distrutte dalla Seconda Guerra Mondiale. Il Fondo di coesione nasce con il Trattato di Maasticht per finanziare progetti in campo ambientale e dei trasporti; trova una prima regolamentazione nella riforma del 1993, come risorsa finanziaria da imputare direttamente agli Stati recanti un Pil pro capite annuo inferiore al 90% della media comunitaria; fu espressamente richiesto dai rappresentanti spagnoli come side-payment per l'adesione della Spagna al Trattato sull'Unione europea.

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E' evidente come questo momento storico della politica di coesione segni uno slittamento forte delle competenze dall'autorità statale a quella sovranazionale3, in tema

di politica di sviluppo.

Altro motivo di svolta è rappresentato dall'inclusione di un principio che diventerà fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di convergenza: il principio della partnership. Hooghe lo definisce come “un potente strumento per rompere con la logica dei due livelli”, passando dunque da un rapporto duale (Stato-Ue) ad una multi-level governance, in cui la Commissione europea, le autorità nazionali e quelle sub-nazionali collaborino, strettamente e di continuo, nel definire ed implementare i programmi per i fondi comunitari4.

Da tale principio deriva una sorta di divisione del lavoro (così come lo definisce Hooghe), in cui ogni attore fa ciò che meglio sa fare.

Emerge anche l'idea strategica per cui gli attori sub-nazionali possiedono la conoscenza specifica per risolvere i problemi locali e, in virtù di ciò, possono essere coinvolti nel decision making.

Dunque secondo tale principio, dalla preparazione della programmazione fino all'esecuzione e alla messa in opera dei programmi, si deve ricercare una forte concertazione tra Commissione, Stato e autorità regionali e locali, pur rispettando l'ordinamento interno di ciascun Stato membro.

Proprio in base alle differenze interne, la partnership ha dato risultati diversi: infatti il principio è stato recepito in modo diverso negli Stati federali (Belgio, Germania), negli Stati regionali (Italia, Spagna), in quelli con un “devolution system” (Regno Unito) e in Stati centralizzati (Irlanda, Grecia). La costante, in ogni caso, è l'influenza che il principio di partnership ha esercitato sulle relazioni tra Stato centrale ed autorità sub-nazionale. Spesso si riscontra ciò non tanto a livello di decentramento formalizzato e

3 La politica di coesione come politica comunitaria che si occupa dei problemi strutturali interni ad ogni Stato membro venne così accettata, poiché più capace, secondo molti, di risolvere i problemi in modo più efficiente che al livello statale. Certo però è che nel tempo si sono mantenuti forti punti di criticità, quali la persistenza delle disparità e il perpetrarsi di iniquità in molte regioni. Infatti si parlò di un parziale fallimento della politica di coesione quando si vide che la crescita delle regioni povere si aveva solo nei paesi più ricchi, mentre si doveva puntare alla crescita nelle regioni povere dei paesi più poveri, per ritornare sulla strada della convergenza europea. Così per qualcuno la responsabilità di tale situazione va vista nei regolamenti mal scritti, per altri nella scarsezza delle risorse; altri ancora, seguaci della corrente di pensiero del “trickle down”, credono che si dovrebbero convogliare tutte le azioni, e dunque i finanziamenti, sulle forze produttive capaci a loro volta di estendere i vantaggi ottenuti alla società, dove migliorerebbero gli standard di vita.

4 “This is a very ambitious goal, given that these uniform procedures were expected to work equally well in twelve different political systems, having diverse territorial relations and regional policy traditions, in some cases with extremely weak subnational authorities”, p.2, Hooghe L. “Cohesion policy and European Integration”, Clarendon Press Oxford, 1996.

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istituzionalizzato, quanto a livello informale, per cui si è venuta a costituire un'arena politica, dove le autorità regionali presentano i loro interessi di fronte allo Stato centrale, in modo più aperto e diretto che in precedenza.

Tale principio nacque dalla convinzione della Commissione Delors, secondo la quale solo il coinvolgimento generalizzato dei soggetti interessati avrebbe potuto condurre alla realizzazione di interventi realmente efficaci. Su questa linea, vennero promossi regolamenti comunitari che sollecitavano un maggiore coinvolgimento sub-nazionale, in tutte le fasi di policy, dalla programmazione all'implementazione e al monitoraggio. Va detto però che il Consiglio dei Ministri, la Commissione e il Parlamento europeo puntualizzarono più volte che, nonostante fosse vivo l'interesse a stabilire una relazione efficace tra Commissione e autorità regionali, si doveva rigorosamente rispettare l'assetto delle competenze interno agli Stati membri, nonché le disposizioni del diritto comunitario, che da sempre riconoscono lo Stato come unico soggetto di diritto nella Comunità.

Occorre però vedere anche il lato oscuro del principio: molti ritengono che questo abbia dato luogo ad una maggiore laboriosità dell'iter amministrativo, che avrebbe complicato notevolmente il funzionamento delle pubbliche amministrazioni, già di per sé inefficienti in molti Paesi .

Quest'ottica non è condivisa da chi, invece, si aspetta grandi risultati dall'applicazione di tale principio, capace di sedimentare una “thinking capacity” adeguata, quanto irrinunciabile, per il perseguimento degli obiettivi.

A partire dalla riforma successiva (1993), il coinvolgimento in base al principio di partnership si estese anche a soggetti diversi dalle autorità pubbliche regionali e locali, andando ad includere i gruppi di interessi sociali ed economici, che fossero ritenuti dallo Stato validi partner per la programmazione. Secondo Hooghe tale estensione del principio, in realtà, diluì5 il ruolo privilegiato delle regioni a cui, fino a quel momento, il

partenariato era stato dedicato in via esclusiva; infatti, se fino al '93 le regioni potevano cercare di far leva sul riconoscimento europeo, che conferiva loro uno status esclusivo, ormai il moltiplicarsi dei partner faceva sì che le regioni non si trovassero più su un gradino superiore rispetto a tutti gli altri interlocutori dello Stato.

Ciò è stato interpretato dallo stesso Hooghe come segno della mancanza di interesse, da

5 D'altra parte, “critics of partnership argue that responsabilities should be divided so that each level of goverment is accountable for what it can do best. An explicit division of labour would imply some renationalization of cohesion policy, for it would make it more dificult for the Commission to play a role within countries”, p.108, Hooghe, 2001, op.cit.

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parte della Commissione, ad alterare le relazioni territoriali nazionali, cosa di cui il meccanismo di partnership sarebbe stato capace6.

In seguito alla disillusione delle autorità sub-nazionali, data da tali sviluppi, il Parlamento europeo intervenne, nel 1999, proponendo una sorta di “patto di partenariato” tra la Commissione e le regioni, in modo da valorizzare nuovamente l'attore regionale, nel periodo 2000-2006, disponendo un contatto diretto tra questo e il livello sovranazionale. Ma il commissario per la politica regionale, Michel Barrier, affermò di essere fermamente di avviso contrario, enfatizzando come la responsabilità del buon funzionamento del principio di partnership fosse dello Stato membro e non, di certo, della Commissione. E anche quando gli fu chiesto che cosa si sarebbe fatto nel caso in cui, nel singolo Stato, non si fosse applicato il principio nelle fasi di programmazione, Barrier ribadì che la concretizzazione del partenariato è competenza dello Stato in virtù del preordinato principio di sussidiarietà, che consegna all'autorità nazionale il compito di individuare i partner per il dibattito, le autorità che prenderanno le decisioni e gli incaricati della negoziazione con la Commissione7.

A questo punto, occorre sottolineare come si avverta un'evoluzione del pensiero di Hooghe, a proposito del ruolo della Commissione nel contesto multi-level europeo; nei testi che l'autore scrisse nel 1996 e che si basano sull'osservazione dei primi due periodi di programmazione, si fa spazio l'idea che la multi-levl governance abbia la possibilità di instaurarsi nel contesto europeo, proprio perché le innovazioni, portate dai regolamenti, facevano propendere verso tali considerazioni. In tale contesto, spiccava la Commissione con il ruolo di promotrice dei livelli sub-nazionali, definendo così un nuovo assetto di governance, connesso ai meccanismi di integrazione europea. Diversamente, in un testo del 2001, redatto dunque alla luce dei regolamenti del '99, Hooghe afferma che la Commissione avrebbe potuto esercitare una maggiore pressione sui governi nazionali, affinché questi coinvolgessero maggiormente le regioni nella fase di definizione strategica e di programmazione.

Infatti, negli anni '80-'90, la Commissione era molto più vicina alle regioni, tanto è vero che il pensiero “multi-level governance” teorizzava un meccanismo di alleanza tra il livello sovranazionale e quello sub-nazionale, volto a smembrare la figura dello Stato

6 D'altra parte, “Critics of partnership argue that responsabilities should be divided so that each level of goverment is accountable for what it can do best. An explicit division of labour would imply some renationalization of cohesion policy, for it would make it more dificult for the Commission to play a role within countries”, p.108, Hooghe, 2001, op.cit.

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centrale, “onnipresente” e “onnipotente”. A partire dal 1999, invece, si avverte una certa distanza tra la Commissione e le regioni8 e, a tal proposito, molti sostengono che si tratti

di un allontanamento crescente tra i due livelli9.

Una riflessione sul ruolo della Commissione è indispensabile per ricostruire le dinamiche del sistema comunitario e dunque per capire se si possa parlare di persistenza dell'assetto Stato-centrico o dell'affermazione della multi-level governance; infatti la posizione del livello sovranazionale è discriminante, poiché la situazione cambia a seconda che questo sia assimilabile ad un semplice agente degli esecutivi nazionali o che invece, almeno sotto certe condizioni, sia capace di compiere azioni autonome10. I neo-funzionalisti affermano che la Commissione opera autonomamente11 e ciò è indispensabile per il processo di integrazione; infatti la sua libertà decisionale è irrinunciabile per passare dalla valutazione di un insieme di condizioni contingenti e particolaristiche (dettate dai singoli Stati) alla determinazione di un “common European interest and bargain”12.

Il pensiero di Hooghe rimane però ancorato all'idea che la politica di coesione abbia ormai sradicato il modello di governance Stato-centrico, poiché riscontra una mutua dipendenza tra i tre livelli, più che una gerarchia. Per chiarire ciò, Hooghe cita un rapporto della Commissione, in cui si dice che

8 I critici però ravvisano un tentativo indiretto di promuovere la partnership nella riforma '99, nella proposta di definire una riserva premio da attribuire agli Stati la cui performance era stata di particolare successo; mentre però la Commissione propose una riserva che si assestasse sul 10% delle risorse finanziarie attribuite al singolo Stato, il Consiglio abbassò tale percentuale al 4% e conferì la competenza ai governi nazionali di valutare i termini del successo stesso. Viene ciò ritenuto una spinta verso la partnership, perché la Commissione, contemporaneamente alla definizione di tale riserva, enfatizzò molto il ruolo che la partnership avrebbe giocato nel definire esperienze di successo all'interno dei singoli Stati; d'altra parte invece è chiara la volontà degli Stati di disporre il più autonomamente possibile dei fondi assegnatigli, escludendo la possibilità che l'autorità sovranazionale decidesse le sorti di quel 10% di risorse, da attribuire in funzione di una logica premiale.

9 Successivamente si cercherà di indagare se i fatti concernenti il nuovo periodo di programmazione 2007-2013 confermino o meno tale tendenza.

10 Può essere utile ricordare brevemente come viene costituita la Commissione europea, in base al diritto comunitario: il Consiglio propone al Parlamento europeo un candidato alla Presidenza, che il Parlamento deve approvare a maggioranza dei suoi membri. Qualora non passi, il Consiglio deve fare un'altra nomina entro un mese. Una volta eletto il Presidente della Commissione, è questo che elegge i Commissari da elenchi presentati dagli Stati membri. Il Presidente dunque formula una proposta di composizione del collegio che deve essere approvata dal Consiglio a maggioranza qualificata. Una volta costituito il collegio, questo deve essere sottoposto collettivamente al voto di approvazione del PE. Solo in seguito a ciò la Commissione verrà nominata ufficialmente dal Consiglio a maggioranza qualificata.

11 I neo-funzionalisti riconoscono alla Commissione molteplici qualità: detiene capacità informative, creatività, svolge una funzione di mediazione tra i livelli nazionale e sub-nazionale, riesce a coordinare le informazioni provenienti dai diversi livelli e persino ad aiutare gli attori a far emergere le proprie preferenze “non rivelate”. Viene definita, con un'espressione molto efficace, “network istituzionalizzato della conoscenza”.

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“as an institution, the delivery system developed for the Structural Funds is characterized by multi-level governance, the Commission, national governments, regional and local governments are formally autonomous, but there is high level of shared responsability at each stage of the decision making process. The relationship is, accordingly, one of partnership and negotiation, rather than being hierarchical one”13.

L'intento del principio di partnership è creare un network che lavori per il raggiungimento degli obiettivi di coesione; le regioni rappresentano i nodi della rete, perché capaci di catalizzare les forces vives sul territorio e di metterle in connessione con il livello nazionale.

Il partenariato è stato interpretato dalle entità sub-nazionali come una legittimazione a partecipare al decision making, in cui poter rivestire un ruolo di co-decisore. Resta però il fatto che si tratta di una legittimazione proveniente dall'esterno, cioè dal livello europeo, e non dall'ordinamento nazionale, comunque vincolante: gli Stati conservano il diritto sovrano di individuare chi e come possa accedere a determinate competenze. Così ciascun Stato membro si è avvicinato a tale principio con maggiore o minore reticenza, in base agli assetti interni e al percorso giuridico-storico tracciato; di fatto il partenariato ha assunto un ruolo più o meno effettivo, correlato al grado di centralizzazione preesistente.

La partnership va poi affiancata al principio di complementarietà e di sussidiarietà, che insieme costituiscono il trittico alla base del sistema multi-level; i livelli non definiscono un decision making per “compartimenti stagni”, ma operano in una fluida continuità, orientata all'obiettivo. In un sistema così fatto, si responsabilizza il livello più prossimo alla realtà ed a cui si richiede un intervento (principio di sussidiarietà); il livello più “alto” interviene in modo complementare all'azione degli altri livelli (principio di complementarietà); tutti i livelli collaborano per raggiungere un certo obiettivo (principio di partnership).

La riforma del 1988 ha dato, dunque, un contributo senza precedenti al percorso di multi-level governance europeo, visto che ha posto le basi per un riconoscimento di competenze e di funzioni a tutti i livelli di governo, nelle politiche comunitarie; ciò ha

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sicuramente dato una forte scossa sia alle regioni, che assumono così coscienza del loro ruolo, sia agli Stati che hanno dovuto cominciare a considerarle come interlocutori rilevanti.

E' vero però che le intenzioni di Delors, nel definire i nuovi regolamenti sui fondi strutturali, sono state poi disattese da molti governi nazionali, che hanno interpretato in modo diverso i principi sanciti.

Alla base di ciò ci fu, in alcuni casi, un'interpretazione distorta del principio di sussidiarietà: per la Danimarca e l'Inghilterra, ad esempio, il principio significava un impegno da parte dell'autorità nazionale nel recuperare certe responsabilità, trasferite alla Commissione; per l'Inghilterra, il cui assetto interno era fortemente centralizzato, il principio non era di certo interpretabile nel senso di un maggior coinvolgimento delle autorità sub-nazionali, quasi inesistenti o comunque prive di ruolo nelle politiche comunitarie14.

La lezione europea fu invece meglio interpretata dagli Stati federali o regionali, la cui logica risultava già maggiormente in linea coi presupposti comunitari (infatti le entità territoriali hanno una connotazione politico-istituzionale)15. Comunque sia, il principio di partenariato ha prodotto anche aspre conflittualità tra le regioni e lo Stato, in seguito ad un dichiarato atteggiamento di sfida delle prime nei confronti dell'autorità centrale16. In definitiva, si può constatare che, in questa fase della storia della politica di coesione, la Commissione si aggiudica un maggiore spazio, dettando le regole di funzionamento dell'azione strutturale comunitaria, ma anche influendo sulla politica regionale nazionale di ogni Stato membro; parallelamente al rafforzamento del livello comunitario, si pone una forte rivalutazione dell'attore sub-nazionale. In effetti la posizione dello Stato sembra essere ridimensionata dall'accaparramento di competenze sia, cioè da parte del livello sovranazionale, che dal basso, da parte del nuovo co-protagonista regionale.

14 Vedi Leonardi R., “Coesione, Convergenza e coesione nell'Ue, 1995.

15 Difatti la Commissione ricorda che “while partnership is now viewed as an established fact, it has been implemented very patchily and its objectives vary significantly from one Member State to another”, tratto da Commission internal document on partnership, 1996.

16 Così prima tra tutte va ricordata la Spagna in cui tale principio ha contribuito al proseguimento dei conflitti tra Stato e Comunidades Autònomas; Hooghe riporta che, per il periodo 2000-2006, le autonomie spagnole hanno richiesto insistentemente di partecipare alla stesura del QCS, ma lo Stato si è rifiutato di coinvolgerle debitamente, motivando ciò alla luce di una mancanza, da parte delle autorità sub-nazionali, di un know how tecnico e amministrativo; ciò fa sì che le CA non siano ritenute dallo Stato come partner utili alla stesura del documento (va ricordato come all'elaborazione del QCS avevano interesse a partecipare le regioni più deboli rientranti nell'ex obiettivo 1).

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2.2. La critica inter-governamentalista

Come è lecito aspettarsi da quanto detto in precedenza, nella prospettiva inter-governamentalista, la riforma del 1988 non implica assolutamente una perdita di potere da parte degli Stati. Infatti il rafforzamento del ruolo della Commissione sarebbe stato voluto proprio dal Consiglio dei Ministri, poiché alle più sostanziose risorse comunitarie, dedicate alla politica, doveva affiancarsi una più pressante “presenza europea”.

L'allargamento del 1986 infatti aveva richiesto un maggior budget per la coesione e, proprio per questo, gli Stati creditori netti (Francia, Regno Unito e Germania) ritennero che un maggior ruolo della Commissione non si dovesse più avvertire come un'intrusione negli “affari” nazionali. Anzi era auspicabile una maggiore ingerenza comunitaria nella gestione dei fondi strutturali, visto che la maggior parte delle risorse sarebbero andate ai nuovi Paesi e a quelli più deboli, non dotati di buone capacità gestionali e di efficienza amministrativa: la Commissione dunque sarebbe stata la garanzia di una sana gestione finanziaria.

Un'altra argomentazione a favore del permanere di una posizione forte dello Stato centrale è di ordine quantitativo, poiché il 90% del budget dei fondi strutturali fu destinato a finanziare misure proposte dagli Stati, progettate in partenariato tra Stato, Commissione ed autorità sub-nazionali, dal primo individuate. Solo un 10% dei fondi fu destinato dalla riforma '88 alle Iniziative Comunitarie, programmi definiti in via esclusiva dalla Commissione, per far fronte a problematiche regionali specifiche; si tratta dell'ambito in cui la Commissione dispone di una vasta autonomia, definendo gli interventi, le condizioni di eleggibilità e costruendo un contatto diretto con le regioni, indipendentemente dal consenso degli Stati17.

In realtà, la Commissione sarebbe un semplice “servitore” degli Stati anche a causa del suo assetto politico-burocratico: infatti è composta da varie Direzioni generali (DG), i cui interessi sono divergenti e proprio la natura frammentaria di tale istituzione fa sì che l'azione sia frutto del conflitto tra le varie DG, motivate ad incrementare il proprio potere. Questo renderebbe dunque vana l'autonomia decisionale della Commissione; è per sua stessa natura che la Commissione

“...is a servant which provides ideas and information, and

17 Il discorso esposto fin qui ci porta a riflettere sui possibili significati del fatto che i regolamenti del 2006 abbiano soppresso completamente le Iniziative Comunitarie; si è ritenuto opportuno integrare l'intervento, prima oggetto delle iniziative, nei programmi nazionali, elaborati in base ai tre obiettivi, per cui vedi infra (capitolo 4).

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keep stock of mutual commitments”18.

2.3. La politica di coesione nell'ottica multi-level

Marks, autorevole sostenitore dell'approccio multi-level governance, analizza il periodo di programmazione 1989-1993, al fine di rispondere alle affermazioni “realiste”. Tale contributo è interessante per più motivi: innanzitutto fornisce una lezione di metodo per orientarsi nelle diverse tappe che costituiscono la programmazione strutturale, per un dato periodo; chiarisce poi le fondamenta dell'idea di governance proposta da questo modello, a partire dal quale si tenterà di capire se oggi, giunti al 2006, sia sempre opportuno affidarsi alla governance multi-livello o se (e in che misura) qualcosa sia cambiato.

Il pensiero di Marks è molto vicino a quello di Hooghe e risale agli anni '9019, quando ancora molti sostenevano che la politica di coesione avesse cambiato notevolmente gli assetti di governance, in favore di una rete costituita da mutue interdipendenze tra i tre livelli “di governo”

“Cohesion policy provides a direct nexus between subnational and supranational actors. This clearly alters the traditional gatekeeping role of national governments between domestic and European politics”20.

La sovranità dello Stato, progressivamente erosa secondo Marks e Hooghe, consta di tre elementi: i confini territoriali definiti geograficamente, la struttura unificata dell'autorità politica e il monopolio legittimo sul controllo delle organizzazioni sociali e delle relazioni internazionali21. Ciò si traduce nel fatto che, benché lo Stato resti un attore

fondamentale, nella politica di coesione, le competenze di decision making siano disperse sui vari livelli, “not more unified under the umbrella of national state”22. E ciò

si verificherebbe a causa della complessità della policy e della necessità di informazione, di expertise, di capacità organizzativa e dunque la legittimazione proveniente dalle disposizioni costituzionali non sarebbe più sufficiente23.

18 p.92, Hooghe, 1996, op.cit.

19 Si è già sottolineato come, in un testo del 2001, l'idea di Hooghe si sia modificata alla luce degli sviluppi della politica di coesione.

20 p.7, Hooghe, 1996, op, cit.

21 Si tratta della definizione, che fa Hooghe, di sovranità; lui stesso ricorda come esistano molte definizioni di sovranità e come siano ancora aperte controversie sul significato di questa.

22 p.16, Hooghe, 1996, op.cit.

23 Questo è ormai accettato e riconosciuto nella fase di implementazione della politica dove è decisamente innegabile la partecipazione delle regioni; ciò che invece necessita di essere ancora

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Da qui l'emergere del network politico, definito dall'autore come organizzazione dipendente da un insieme di risorse, in cui la partnership è l'espressione istituzionale di questa forma di controllo implicito e incrociato24.

E' opportuno, a questo punto, precisare come l'evidenza empirica dimostri che, effettivamente, le regioni possiedono risorse rilevanti per il processo decisionale: non tutto si gioca sulla legittimazione costituzionale. D'altra parte però è vero anche che non tutte le regioni dispongono di tali risorse e capacità; così esistono casi in cui l'attore regionale non riesce ad affermare il proprio ruolo, oltre a non godere di un supporto giuridico che tuteli la sua partecipazione: il principio di partnership non riesce a dare un sostegno rilevante, in questo contesto. Ecco perché le regioni degli Stati federali o “quasi-federali” sono più incisive sulla politica comunitaria e perché le regioni economicamente e/o politicamente più forti trovano il modo di imporsi. L'influenza effettiva regionale può sia esercitarsi all'interno dello Stato, sia esternamente, anche attraverso gli Uffici regionali di contatto a Bruxelles.

Molteplici fattori economici, politici ed istituzionali fanno sì che le disparità partecipative non esistano solo tra i diversi Stati, ma anche tra le singole regioni, addirittura internamente ad un Paese.

Marks divide il processo della politica di coesione in tre fasi25: a) la definizione del budget;

b) la creazione dell'assetto istituzionale con la definizione dei regolamenti; c) la programmazione strutturale26.

La prima fase (definizione del budget) costituisce un memento fondamentale per la politica di coesione, poiché si decide il quantum e, implicitamente, i criteri secondo cui

dimostrato è la partecipazione di esse in fase decisionale; la presente trattazione vuole proprio analizzare ciò, in particolare nella fase propriamente di programmazione che, per il prossimo periodo, si concretizza con l'elaborazione del QSN, da cui poi discendono i programmi operativi nazionali e regionali.

24 “Regions had long been absent from the national formulation and development policies, which had only been for the regions and not by the regions”, p.64, Nanetti R., “EU Cohesion and territorial restructuring in the Member States”, in Hooghe, 1996, op.cit.

25 Secondo Marks la suddivisione del processo segnato dalla politica di coesione è funzionale al poter formulare una risposta per le seguenti domande che l'autore si pone: “To what extent have state executives been able to project their domestic power into the European arena? To what extent is decision-making in cohesion policy shared with non-central state actors, both sub-national government beneath the central state and supranational actors above the state? Answers to these questions inform our conception of the Euro-polity, and provide leverage in the debate between those who argue that the EU is part of an overarching system of multi-level governance and those who argue that the EU is characterized by state-centric governance”, p.389, Hooghe, 1996, op.cit.

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verranno ripartite le risorse27. Le prospettive finanziarie coinvolgono un periodo

settennale, come il ciclo di programmazione; fu proprio la riforma '88 a definire la pluriennalità sia delle prospettive che della programmazione, benché inizialmente si trattasse di un periodo di cinque anni28.

Le negoziazioni tra i governi nazionali stabiliscono “chi ottiene cosa”, sulla base di una proposta definita dalla Commissione; secondo la teoria originaria, i plafond nazionali che ne derivano definiscono un articolato sistema di compensazioni, c.d. side-payments, che gli Stati più ricchi stanziano per compensare quelli più poveri ed ottenere, in cambio, un avanzamento nel processo di integrazione. E' questo il punto cruciale che da sempre fomenta il dibattito tra i sostenitori della politica di coesione e chi invece sostiene un capitalismo più spiccatamente neo-liberale. I primi propendono per una concezione più interventista nel processo di integrazione, ispirandosi agli ideali del “regulated capitalism”, fermi nel proposito di creare una democrazia liberale europea, capace di regolare il mercato; i secondi invece sostengono l'opportunità di lasciare il mercato libero da interferenze politiche, in modo che si sviluppi una virtuosa competizione tra gli Stati per aggiudicarsi l'allocazione delle risorse.

Così si fronteggiano, da un lato, l'approccio della partnership che si basa sulle idee forti di inclusione e consenso, dall'altro l'approccio neoliberista che si fonda sulla logica della competizione29.

Questa, in realtà, è la ricostruzione più tradizionale del dibattito sulla politica di coesione che, oggi, viene sostituita da una nuova prospettiva connessa alla formulazione della strategia di Lisbona. Tale strategia, derivante dall'Agenda 2000 e rilanciata nel 2005, ritiene che l'intervento strutturale sia finalizzato, ovunque nell'Unione europea, al raggiungimento dei traguardi di crescita ed occupazione, attraverso l'innovazione; ciò vale per ogni azione strutturale, sia nelle regioni in obiettivo Convergenza che in quelle in obiettivo Competitività: il problema della crescita e dell'innovazione tecnologica riguarda assolutamente tutte le regioni d'Europa.

27 p.94, Hooghe op.cit. “While many policy areas can be described as institutions looking for funding, cohesion policy is funding looking for institutions”.

28 Il primo round di negoziazione pluriennale fu nel 1988, riguardante un periodo di 5 anni; mentre nel '93 si formularono prospettive finanziarie e dunque una programmazione dei fondi strutturali, organizzata su 6 anni, per poi con la riforma del 1999 definire un periodo di 7 anni, confermato per l'attuale programmazione.

29 Quest'ultima corrente di pensiero si riallaccia alla teoria della “U rovesciata”di Williamson, per cui il mercato riuscirà a bilanciare la distribuzione dei fattori economici, eliminando le differenze tra le aree più sviluppate e quelle meno ricche. Ciò avverrà a partire da un certo livello di reddito, da cui comincerà a discendere la curva che segna il livello delle disparità nazionali.

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Nel contesto delle negoziazioni per la definizione del budget finanziario, la Commissione non gioca un ruolo passivo, secondo Marks poiché orienta, con la propria proposta iniziale, la somma finanziaria su cui si definirà l'accordo.

E' vero però che, a proposito del budget, l'accordo raggiunto è essenzialmente inter-statale30, mentre la Commissione, pur essendo presente, fa da osservatore e svolge un

ruolo marginale, successivamente abbandonato per divenire pivot della strutturazione regolamentare.

Dunque la logica dominante in questa fase è il gioco delle parti tra contribuenti e beneficiari netti delle risorse strutturali, inscritte nella rubrica 1b del bilancio pluriennale, e di tutte le risorse comunitarie stanziate in bilancio.

Un punto di forza della Commissione, nel periodo esaminato da Marks, consisteva nel fatto che questa gestisse il 10% delle risorse per le Iniziative Comunitarie (IC), su cui aveva piena discrezionalità; da notare dunque come le IC siano ad oggi scomparse dai regolamenti e, a tal proposito, si ricorda che Hooghe parlava, già nel 1996, dell'unanime avversione degli Stati verso tale strumento, i cui obiettivi, secondo questi, avrebbero dovuto rientrare nei Quadri comunitari di sostegno31 (QCS).

La seconda fase (creazione dell'assetto istituzionale con la definizione dei regolamenti) rappresenta un momento in cui la Commissione svolge un ruolo decisivo, poiché detiene la facoltà di iniziativa legislativa che le dà, in tale ambito, una posizione privilegiata. Così la Commissione elabora un pacchetto di regolamenti da negoziare in Consiglio, in modo bilaterale con i singoli Stati.

Marks dunque vuole sottolineare come la Commissione giochi un ruolo “quasi alla pari” con quello dei singoli Stati: la Commissione avrebbe la possibilità di far fronte alla volontà del singolo esecutivo nazionale, facendo leva sull'importanza dell'attore sovranazionale nel raggiungimento di un accordo non “a somma zero”. D'altra parte, però, Marks si arrende all'evidenza, riportando il fatto che, a proposito della negoziazione del pacchetto Delors II (1993), i criteri di eleggibilità proposti dalla Commissione siano stati affievoliti in seguito ad un blocco creatosi in Consiglio; infatti alcuni Stati, alleandosi, riuscirono a far prevalere la propria posizione, minacciando di

30 Per il percorso di definizione delle prospettive finanziarie 2007-13, vedi infra (capitolo 4).

31 Il QCS era un piano pluriennale elaborato e pubblicato dalla Commissione in base al piano di sviluppo elaborato da ciascuno Stato per le proprie aree in obiettivo 1; definiva in dettaglio gli impegni finanziari di ogni parte partecipante istituzionale e privata. Dal 1993 si stabilì che i Programmi Operativi venissero presentati come parte del QCS, per abbreviare i tempi; anche questi devono essere approvati dalla Commissione al fine di renderli effettivamente operativi, compiendo così gli ultimi passi della fase di programmazione.

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ri-nazionalizzare la politica regionale.

Inoltre Marks riporta che gli Stati, con riguardo alle aree da ricomprendere nell'obiettivo 2, presentarono una lista di aree nazionali che superavano, nel totale, le quote dei fondi riservate ai singoli Stati e da attribuire in base ai criteri di ammissibilità; questo apparente atto di forza, in realtà, portò paradossalmente a rafforzare, secondo l'autore, la “forza contrattuale” della Commissione, che assunse lo status di arbitro, proprio a causa del fatto che gli Stati proposero aree sovrabbondanti rispetto a quelle rese possibili dai regolamenti32.

L'analisi di Marks evidenzia l'arrivo dell'attore sub-nazionale nell'arena comunitaria, interessato a far pressioni sulla Commissione al fine di aggiudicarsi indirettamente più risorse possibili.

Infine la terza fase (programmazione strutturale) sposta le negoziazioni dal piano sovranazionale a quello nazionale, componendo un quadro in cui si muovono i tre livelli di autorità, in modo molto variabile da Paese a Paese.

Questa tappa va suddivisa in tre parti, visto che gli strumenti finanziari di cui la politica di coesione si serve sono tre: il Fondo di coesione, il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR) ed il Fondo sociale europeo (FSE; solo gli ultimi due sono propriamente detti fondi strutturali); ogni fondo è trattato da un autonomo regolamento, facente parte del pacchetto regolamentare della politica strutturale.

Innanzi tutto, il livello sub-nazionale viene escluso dalle negoziazioni per i progetti finanziati dal Fondo di Coesione, poiché gli attori in causa sono esclusivamente la Commissione e lo Stato membro ammissibile, essendo questo un fondo di natura nazionale e non regionale, poiché riguarda l'intera superficie statale e non le regioni o parti di esse33.

Marks stesso ammette la difficoltà di fare un'analisi generalizzata sulla programmazione

32 Si deve qui precisare che, per il prossimo periodo, tale decisione non è stata necessaria, visto che l'attuale obiettivo Competitività regionale e occupazione coinvolge tutte le aree non rientranti nelle regioni in obiettivo Convergenza. Se prima della riforma 2006, in questa seconda fase le regioni avevano interesse ad esercitare pressioni lobbistiche sulla Commissione, attivando ogni mezzo al fine di vedere aumentare le proprie possibilità di finanziamento comunitario, oggi l'attenzione regionale si viene dunque a focalizzare sul versante interno, per la ripartizione nazionale delle risorse. E' vero però che nella decisione della Commissione di attribuire una certa quota di fondi al dato Stato, ritroviamo implicitamente quelle risorse che ogni regione percepirà internamente, anche se in sede di riparto sarà decisivo anche il sistema di forze che si stabilirà in sede nazionale. Va notato che la suddetta decisione deriva, in realtà, da criteri di riparto contenuti nelle prospettive finanziarie, dunque inseriti nella decisione del Consiglio e del PE a tal proposito.

33 In termini tecnici il Fondo di coesione si riferisce al livello NUTS I, mentre gli altri fondi, in base all'obiettivo che supporteranno, si riferiscono ai livelli NUTS II e III. Il fondo di coesione dunque non è un fondo regionale a differenza dei fondi strutturali.

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dei fondi strutturali, poiché il ruolo regionale è diverso in ogni Stato; dunque afferma che

“The task, then, is to describe this diversity and attempt to explain variations in decision-making across different countries”34.

In questa fase è azzardato generalizzare affermando l'esistenza di una multilevel governance; infatti i fattori da considerare sono molti e non dipendono soltanto dagli input comunitari, ma anche dalla volontà del livello nazionale di ignorare o, al contrario, valorizzare le pressioni provenienti dal basso e dalla sua capacità di farlo35. Vanno dunque considerate anche le relazioni interne ad un singolo Stato, ricordando che

“To understand the distribution of power in cohesion policy, one has to refer not just to the distribution of formal authority but also to financial dependences, informational asymmetries, and the embeddedness of institutional norms.36”

In particolare, nella riforma Delors I (1989-1993), la fase di programmazione era divisa in tre tappe: la definizione da parte dello Stato dei piani di sviluppo, la negoziazione di questi con la Commissione che poi avrebbe adottato il QCS, ed infine la definizione dei programmi operativi regionali e nazionali, anch'essi approvati dalla Commissione37. Esistono casi in cui le incalzanti pressioni sub-nazionali non potevano essere ignorate: l'esempio è quello della Germania dove, addirittura, il ruolo nazionale diventa secondario, poiché infatti i piani regionali di sviluppo venivano elaborati dai Lander e successivamente venivano rimessi ad un sistema di contrattazione e negoziazione, sia verticalmente con il governo federale, sia orizzontalmente con gli altri Lander; inoltre, alle negoziazioni del QCS, i funzionari del governo federale vennero sempre accompagnati da rappresentanti regionali.

L'esempio opposto è invece dato dalla Francia, dalla Grecia, dall'Irlanda e dal Regno Unito, dove i governi centrali dominarono la formulazione dei futuri contenuti del QCS;

34 p.399, Hooghe, 1996, op.cit.

35 Come già sostenuto in precedenza la multi-level governance parte dal presupposto che anche allo Stato convenga aprire l'arena di policy alle regioni, perché dotate di risorse fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi.

36 p.103, Hooghe, 2001, op.cit.

37 Questo assetto sequenziale portava ad una dilatazione notevole dei tempi, tanto che la riforma Delors II (1994-1999) dette l'opportunità di ridurre il numero delle tappe a due, includendo i programmi operativi nel piano di sviluppo previsto. Si trattava dunque di un invio contestuale a cui sarebbe seguita l'adozione sovranazionale del QCS.

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agli attori sub-nazionali fu riservato un ruolo insignificante. La seconda tappa di definizione del QCS, prevedeva l'allocazione delle risorse comunitarie, a cui si giungeva tramite la negoziazione tra Stato e Commissione, svolta a porte chiuse e, tra l'altro, in modo poco trasparente. A tal proposito Marks afferma che

“Although we lack hard evidence and good secondary sources, it seems clear that these negotiations elevated the influence of those actors present at the bargaining table at the expense of not represented”38.

Il passo appena riportato fa una critica fondamentale all'assetto regolamentare: aver designato, anche in questa fase di programmazione, lo Stato centrale come interlocutore della Commissione, fa sì che chi siede al tavolo della contrattazione “a porte chiuse”, disponga di un ampio margine di libertà nel rappresentare e dunque modificare le istanze nazionali, anche nel caso in cui queste siano state formulate nel massimo rispetto della partnership. Le regioni che non sono presenti al momento delle negoziazioni possono vedere disattese le proprie richieste, anche se prese in considerazione al momento della formulazione del piano di sviluppo.

Così in Francia, in Grecia, in Irlanda, in Italia e in Spagna, il governo centrale, a partire dal 1988 e per molto tempo, svolse il ruolo di gatekeeper, affievolendo il ruolo regionale anche in questa terza fase. Mentre, in generale, ciò era causato soprattutto da un'evidente debolezza dell'autorità regionale, per la Spagna la questione era diversa; questo Paese infatti era dotato di un sistema di governo regionalizzato, in cui le Comunità autonome (CCAA) rivendicavano con forza la partecipazione alle politiche comunitarie, da cui continuavano ad essere escluse. Il paradosso consisteva nel fatto che, se da una parte le competenze regionali in tema di sviluppo economico erano state incrementate, dall'altra le CCAA non avevano nessun rilievo effettivo nella definizione dei piani di sviluppo e, tanto meno, nella loro contrattazione con la Commissione. Nonostante le Comunità Autonome venissero, in qualche modo, coinvolte nella stesura del documento, il governo centrale dava una visione d'insieme ai lavori e deteneva l'ultima parola sui contenuti. La Commissione, da parte sua, si oppose più volte all'atteggiamento “stato-centrico” spagnolo, ma si proseguì sulla stessa strada.

Gli argomenti di discussione al tavolo della negoziazione furono molti, tra cui va menzionato il diverbio tra la Commissione ed i rappresentanti spagnoli a proposito della

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partecipazione sub-nazionale alla definizione del piano di sviluppo regionale39.

La terza tappa coincideva con l'elaborazione dei Programmi operativi (PO) che definivano nel dettaglio le traiettorie da seguire per realizzare le priorità del QCS. La logica cambia rispetto alle fasi precedenti poiché, come Marks spiega, in questo momento il governo centrale deve ottenere l'informazione dai diversi attori; infatti se l'esecutivo poteva definire autonomamente le priorità generali, la concreta costruzione progettuale richiedeva ora il know-how locale e tutte quelle risorse che risiedono nel livello regionale. Ecco che l'argomentazione della necessità di informazione ritorna, convincendo della sua potenzialità nell'affermazione del ruolo regionale.

In questo ambito il principio della partnership riesce a dare i risultati migliori40, mentre la sua debole applicazione in precedenza mette comunque in crisi, secondo alcuni, il modello multi-level governance.

Secondo Marks, in fase di implementazione (una quarta fase, successiva alla programmazione fin qui descritta) la rilevanza sub-nazionale è massima, poiché i programmi operativi sono effettivamente eseguiti e monitorati dalle autorità regionali. Il peso regionale nella terza tappa (creazione dei programmi) si affievolisce pur rimanendo elevato; nella prima tappa descritta, attinente alla definizione dei piani di sviluppo, la funzione regionale si riduce e diventa minima al momento della negoziazione del QCS con la Commissione europea. Pur tenendo conto della variabilità tra i diversi Stati, in generale si può affermare che l'intensità del rilievo regionale varia seguendo tale ordinamento: stage 4>= stage 3>= stage 1>= stage 241; a questa sequenza corre inversamente il rilievo dello Stato centrale.

Di seguito è riportato lo schema elaborato dallo stesso Marks, per riassumere lo studio fatto, semplificato in base alle esigenze della presente trattazione42.

39 Altri temi ricorrenti di discussione furono la qualità degli input provenienti dagli attori sub-nazionali, i criteri tecnici seguiti, il rispetto del principio dell'addizionalità, la definizione delle regioni ammissibili all'intervento dei fondi strutturali.

40 Va però detto che soprattutto nella fase di implementazione e monitoraggio dei PO, le regioni hanno un ruolo chiave; si ricorda però che l'analisi della presente trattazione è finalizzata allo studio della fase di decision making attinente alla fase preparatoria della programmazione.

41 Come Marks semplifica a pag.408.

42 Si è scelto di riportare la Spagna e l'Italia, poiché sono i due paesi scelti per il confronto, a proposito del periodo 2007-2013 (vedi infra, capitoli 5 e 6); si è poi incluso la Germania come modello di Stato federale, caratterizzato dal decentramento decisionale, che definisce, fin dagli anni '90, un approccio

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Fonte: adattamento di Marks G., p.407, Political influence in structural programming, 1989-1993 in

“Exploring and Explaining Variation in EU Cohesion Policy”43.

Durante tutta la fase preparatoria di decision making, l'intento regionale è quello di comunicare i propri interessi all'arena sovranazionale, per influenzarla; in alcuni casi tale trasmissione avviene in modo diretto, “by-passando” il livello nazionale, in altri invece la comunicazione è indiretta e passa attraverso lo Stato, che svolge così il ruolo di gatekeeper.

Damonte, seguendo il pensiero di Marks, afferma che il peso sub-nazionale vede notevoli margini di variazione nei diversi Stati membri, confermando che l'ordinamento giuridico interno detiene una capacità predittiva ed esplicativa del peso di ogni attore nel processo; così al di là delle pressioni europee verso la valorizzazione del ruolo regionale nel policy making, l'effettività del coinvolgimento sub-nazionale è inevitabilmente connessa ai vincoli nazionali preesistenti. Quindi anche la realizzazione del c.d. policy network, una rete composta dalle autorità pubbliche di diverso livello e dai gruppi di interesse socio-economici, è fortemente influenzata dalla configurazione istituzionale interna.

Marks44 però smentisce l'esistenza di una semplice relazione lineare di causa-effetto tra

43 Hooghe, 1996, op.cit.

44 E' opportuno riportare che Marks stesso ritiene il periodo di osservazione per la sua analisi (i primi

Political influence of actors

Central government Regional government European Commission

Stage 1 Moderate Strong Insignificant

Stage 2 Strong Strong Weak

Germany Stage 3 Insignificant Strong Weak

Stage 4 Insignificant Strong Moderate

Stage 1 Strong weak/moderate Weak

Stage 2 Strong Weak Moderate

Italy Stage 3 Moderate weak/moderate Moderate

Stage 4 Moderate weak/moderate Moderate

Stage 1 Strong moderate/strong Weak

Stage 2 Strong Weak Moderate

Spain Stage 3 Strong Strong Moderate

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struttura giuridica interna e ruolo regionale; infatti la politica di coesione ha la capacità di influire sulla mobilitazione sub-nazionale, a prescindere da ciò che costituzionalmente venga riconosciuto alle stesse regioni. Inoltre il policy making presenta “spazi di indeterminatezza” in cui si insinuano fattori aleatori, come le strategie contingenti o la sensibilità dei decisori ai vari livelli, che possono fare la differenza negli equilibri che si vanno ad assestare. Un'idea fondante del pensiero di Marks è il fatto che tale indeterminatezza sia una circostanza favorevole al mutamento del decision making; vale a dire che la politica di coesione più facilmente influenzerà il processo là dove le procedure dispongano di un grado di definizione inferiore, perché in questo contesto “fluido”, il principio di partnership e di sussidiarietà saranno più liberi di produrre i propri effetti.

Infine va ricordato come la stessa corrente “multi-level governance” non ritenga raggiunto l'obiettivo originario di realizzare “un'Europa di tutte le Regioni”, e nemmeno si crede che, in breve tempo, si possa concretizzare tale scenario. Ciò a cui non si rinuncia però è affermare che lo Stato centrale non sia più il gatekeeper delle esigenze e degli interessi sub-nazionali, poiché questi sono trasmessi direttamente, senza passare da una manipolazione nazionale.

Anche se la fase di programmazione esaminata, come già detto, si svolge prevalentemente nell'arena nazionale, la Commissione europea resta vigile nel monitorare il processo. Per poter decifrare la presenza della Commissione in questo ambito, Marks propone di raffrontare la spesa nazionale per la politica regionale (generata dal principio di cofinanziamento) e la spesa comunitaria strutturale; si nota che, in quei Paesi più dipendenti dalle risorse comunitarie, il ruolo della Commissione si fa maggiormente attivo: i paesi, al tempo, “in coesione” (Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna)45, presentando una maggiore dipendenza dalle finanze strutturali comunitarie,

vengono più seguite dalla Commissione, nella definizione interna delle azioni.

In definitiva l'idea di Marks e Hooghe, e di tutti quelli che, negli anni '90, parlavano di

due periodi di programmazione, che seguono le riforme 1988 e 1993) troppo breve per vedere gli effetti che la politica di coesione ha prodotto sul ruolo regionale. Ritiene che essa abbia sortito i primi effetti e che si siano poste le basi per effetti potenziali ben maggiori. Sarà dunque interessante tentare di constatare se questi effetti echeggiati da Marks, si siano oggi concretizzati oppure no.

45 Si ricorda che le riflessioni che qui vengono riportate si riallacciano al discorso di Marks riguardate il periodo 1989-1994; allora infatti erano questi i Paesi beneficiari del Fondo di Coesione. Oggi qualcosa è cambiato nel senso che la Spagna rientra nell'ambito di ammissibilità del Fondo, ma solo a titolo transitorio, vista la crescita raggiunta in questi anni, che gli permette di assicurare una propria stabilità macroeconomica. Pertanto vedrà un finanziamento del fondo in questione fino al 2013, senza la possibilità di prolungare questo tipo di sostegno successivamente. Oggi rientrano nel Fondo di Coesione tutti i Paesi di ultima entrata nell'Unione.

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multi-level governance, è che la politica di coesione abbia in sé la potenzialità di indebolire gli Stati centrali e di rafforzare una governance dislocata su tre livelli di governo.

E così Brigid Laffan scrive

“...the 1988 reform of the funds undermined the gatekeeper role of central government. While the overall structure of power has not shifted decisively, cohesion policy has 'disturbed' relations between central and local actors”46. E, ancora, Rhodes aggiunge

“...cohesion policy triggered institutional chanes supporting the role of local and regional authorities in EC policy-making at both the national and supranational level”47.

Constatata tale potenzialità, restava per Marks l'attesa del futuro, per potersi meglio pronunciare sui risultati derivanti dalla riforma '88; si affermava, cioè, l'esistenza di solide basi per l'emergere di un nuovo assetto policentrico, ma sarebbero stati molteplici i fattori a causare i futuri sviluppi48.

Per concludere, bisogna puntualizzare come sarebbe riduttiva un'analisi della programmazione dei fondi strutturali finalizzata a trarre le conclusioni sul ruolo di un singolo livello, che sia quello regionale o statale. Diversamente, come il metodo di Marks ci insegna, la questione deve essere osservata in termini di relazione tra livelli e di distribuzione dell'influenza nazionale, regionale e sovranazionale, lungo il processo di programmazione. 46 p.249, op .cit. 47 p.134, op.cit.

48 “The time-scale for major intitutional change as a consequence of these processes may be one of decades rather than months or years”, p.414, op.cit.

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