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2.1 Epidemiologia 2. INTRODUZIONE

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2. INTRODUZIONE

2.1 Epidemiologia

Nei paesi occidentali il carcinoma del colon-retto (CRC: Colorectal Cancer) è uno dei tumori più diffusi e rappresenta la terza causa di morte dovuta a neoplasie maligne, dopo il tumore della mammella nella donna e quello del polmone nell'uomo (1).

Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento dell'insorgenza di CRC, ma anche ad una diminuzione della mortalità ad esso dovuta, attribuibile soprattutto ad un'informazione più adeguata, alla diagnosi precoce, ai miglioramenti nel campo della terapia tradizionale e allo sviluppo di terapie farmacologiche mirate, reso possibile grazie ad una conoscenza più approfondita della biologia di tali tumori (2).

L'incidenza di CRC è correlata con l'età: il 90% dei casi sono riscontrati in soggetti con età superiore ai 50 anni (3), con un picco di incidenza massimo verso gli 80 anni; mentre nei giovani adulti i casi diagnosticati sono associati a condizioni di predisposizione familiare. L'età rappresenta dunque uno dei principali fattori di rischio per l'insorgenza del tumore al colon-retto. Altri fattori di rischio che concorrono a favorire lo sviluppo di questo tipo di tumore possono essere sia di origine ambientale che genetica.

Sulla base di tali fattori, i tumori colon-rettali possono essere suddivisi in tre classi: 1. Tumori sporadici, privi di storia di familiarità, che rappresentano circa il 70% dei casi di CRC diagnosticati(4), e la cui insorgenza è legata principalmente a fattori ambientali, quali stile di vita e abitudini alimentari. Comunque, l'insorgenza di tali tumori, anche se in misura minore, può essere correlata alla presenza di alterazioni genetiche implicate nella trasformazione adenoma-carcinoma. (7).

2. Tumori ereditari: sono stati descritti con una percentuale minore del 10% e risultano essere legati alla presenza di mutazioni germinali responsabili di un aumentato rischio di sviluppare la malattia (4). In particolare, tali tumori si sviluppano in giovane età e, a seconda della presenza o meno di polipi, si possono distinguere due diverse forme:

Le forme associate a poliposi che comprendono la poliposi adenomatosa

familiare (FAP) (8) a trasmissione ereditaria con carattere autosomico dominante e la sindrome poliposica amartomantosa (9).

• Le forme non associate alla presenza di polipi sono invece rappresentate dalla sindrome di Lynch di tipo I, conosciuta anche come cancro colorettale ereditario non

poliposico (HNPCC) e dalla sindrome di Lynch di tipo II (10).

3. Tumori familiari: costituiscono fino al 25% dei casi di CRC e comprendono i pazienti che hanno una storia di familiarità per tumore. Tale familiarità aumenta la

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6 predisposizione a sviluppare il tumore, tuttavia il rischio risulta minore di quello

riscontrato per le forme ereditarie (4). I pazienti affetti da questa forma tumorale presentano alterazioni genetiche caratterizzate da una trasmissione autosomica recessiva, infatti è stato osservato che mutazioni bialleliche a carico del gene MYH (MutY Human Homologue), il quale codifica per l'enzima implicato nella riparazione del DNA mediante escissione di basi, sono associate ad un aumentato rischio di sviluppare adenomi e carcinomi colon rettali (11).

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2.2 La carcinogenesi colorettale

Il cancro del colon-retto rappresenta un classico esempio di patogenesi multisteps, nel senso che le alterazioni implicate nella genesi del carcinoma invasivo avvengono in più step, intesi come l'acquisizione da parte di una cellula iniziale di eventi mutazionali sequenziali che conferiscono un vantaggio selettivo di crescita al clone di cellule epiteliali alterate. L'accumulo di alterazioni genetiche, a carico delle cellule normali della mucosa intestinale, guida la trasformazione maligna dell'epitelio normale in adenocarcinoma, secondo la sequenza adenoma-carcinoma descritta nel modello di Volgelstein (Fig.1) (2,15).

Figura 1: Sequenza adenoma-carcinoma. Eventi molecolari responsabili della

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Tabella1: Evoluzione progressiva dell’adenoma del colon in carcinoma e correlazione

delle tappe evolutive con determinate alterazioni genomiche.

In tale modello è spiegato che non è sufficiente una sola alterazione genetica, ma ne occorrono diverse, che devono accumularsi nella stessa cellula, affinché questa origini una massa tumorale. Dunque è chiaro come ciascuna mutazione contribuisca allo sviluppo di un ambiente cellulare permissivo per alterazioni genetiche successive che conferiscono instabilità genetica, fenomeno critico nella carcinogensi, in quanto accelera il processo di evoluzione neoplastica attraverso l'aumento del tasso di mutazione. In una cellula normale l'integrità genomica è strettamente controllata e la divisione cellulare avviene esclusivamente se il materiale genetico è stato correttamente duplicato e distribuito nelle cellule figlie. Se i meccanismi di controllo del ciclo cellulare e/o quelli coinvolti nella riparazione del DNA danneggiato sono alterati, tale integrità genomica viene a mancare (15,16).

Si possono distinguere due principali categorie di instabilità genetica:

1. L'instabilità cromosomica (CIN), o pathway tradizionale detto anche “soppressor pathway”, caratterizza il 70-85% dei CRC. Questi tumori risultano dall'accumulo di alterazioni cromosomiche numeriche e/o strutturali quali delezioni, inserzioni e perdita di eterozigosità. In particolare risultano alterati il gene che codifica per la proteina APC

Momenti dell’evoluzione Alterazioni genomiche Transizione da epitelio normale ad epitelio iperplastico

Mutazione o delezione del cromosoma 5q (Gene FAP)

Transizione da

epitelio normale ad adenoma di classe I

Ipometilazione del DNA

Transizione da adenoma di classe I ad adenoma di classe II Mutazione 12q (gene K-ras) Transizione da adenoma di classe II ad adenoma di classe III Delezione 18q (gene DCC) Transizione da

adenoma di classe III a carcinoma Delezione 17q (gene p53) Transizione da carcinoma a carcinoma metastatico

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9 (Adenomatous Polyposis Coli), il proto-oncogene KRas e l'oncosoppressore p53

(17,18,(16,17)). Tale pathway di instabilità cromosomica si applica per lo più alla carcinogenesi delle forme sporadiche di CRC ed è associato ad un decorso clinico più sfavorevole (4).

2. L'insatibilità dei microsatelliti (MSI), o pathway del DNA mismatch repair, caratterizza il rimanente 20% dei CRC ed è associato a mutazioni germinali a carico dei geni che codificano per gli enzimi che operano la riparazione del DNA, in particolare risultano alterati i geni MSH (Human MutS Homolog) del sistema del mismatch repair (MMR) in grado di riconoscere e correggere gli appaiamenti errati. La scorretta funzionalità di tale sistema di riparazione porta all'accumulo di mutazioni soprattutto a livello dei microsatelliti, sequenze nucleotidiche ripetute in tandem nell'intero genoma. Tale pathway è responsabile della sindrome ereditaria dell'HNPCC, conosciuta anche come sindrome di Lyhch, ed è associato ad una sopravvivenza maggiore rispetto a quella stabilita per le forme tumorali caratterizzate dalla CIN (15,19,20).

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2.3 Tumori Sincroni del colon

Ad oggi gli studi condotti su CRC hanno dimostrato che la frequenza di CRC sincroni può variare dall’1,1-7% (13). I CRC sincroni sono rappresentati da 2 o più carcinomi “primitivi” riscontrati nello stesso individuo al momento della prima diagnosi. Tali neoplasie sono causate da comuni fattori genetici e ambientali. In un recente studio sono stati messi a confronto tumori sincroni del colon con tumori “singoli” del colon, al fine di valutare la sopravvivenza dei pazienti in ciascun caso. E' stato dunque osservato che pazienti affetti da tumori sincroni del colon avevano una sopravvivenza minore rispetto ai pazienti con cancro “singolo” del colon retto, e presentavano mutazioni a carico del gene BRAF con una maggiore frequenza, ciò ha fatto supporre che il rapporto tra sincronicità del tumore e maggiore mortalità potrebbe essere attribuito alle caratteristiche molecolari dei tumori sincroni. L’incidenza di mortalità correlata ai tumori sincroni ed ai tumori singoli del colon ha dimostrato che la minor sopravvivenza associata a tumori sincroni è indipendente dalla presenza di mutazioni del gene BRAF (12).

In uno studio, condotto da Latournerie M. e collaboratori, sono state valutate l’incidenza e le caratteristiche epidemiologiche dei CRC sincroni, al fine di determinare se i pazienti affetti da tali tumori differivano dai pazienti affetti da CRC solitari, e identificare così, i possibili fattori prognostici (13). Dai dati epidemiologici è emerso che l’insorgenza di CRC sincroni è correlata con il sesso e l’età dei soggetti affetti. Infatti, i CRC sincroni sono più frequenti negli uomini rispetto alle donne (P<0,001) e nei soggetti con età compresa fra i 65-74 anni (P=0,026). Inoltre, nello stesso studio, le analisi isto-patologiche hanno dimostrato che la percentuale dei tumori sincroni che si sviluppano da precedenti lesioni adenomatose è maggiore rispetto a quella dei tumori singoli (24,3% contro 12,7%; P<0.001) (13).

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2.4 La cascata Ras-Raf-MApKasi

2.4.1 Ruolo della via di trasduzione del segnale

Ras-RafMAPKasi

La cascata Ras-Raf-MApKasi (Fig.2) è un’importante sequenza di eventi molecolari attivati da un segnale extracellulare capace di generare risposta adeguata da parte della cellula che riconosce tale segnale. Dunque la via di trasduzione Ras-RAF-MAPKasi è in grado di rilevare un segnale extracellulare e trasmetterlo sotto forma di segnale intracellulare al fine di produrre una risposta cellulare specifica.

Il segnale extracellulare può essere rappresentato da fattori di crescita di varia natura che vengono riconosciuti da opportuni recettori di membrana appartenenti alla famiglia dei recettori tirosina-kinasi per i fattori di crescita (GFR, Growth Factor Receptor), tra i quali il recettore per il fattore di crescita epiteliale EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor). Tali molecole, interagendo con il dominio extracellulare del recettore, inducono la dimerizzazione dello stesso, la cui porzione intracellulare, essendo dotata di attività tirosinchinasica intrinseca, è in grado di auto fosforilare residui di tirosina (20). Questi residui, una volta fosforilati, costituiscono un punto di attacco per il gruppo SH2

delle proteine adattatrici Grb2 e Sos, le quali reclutano i fattori GEF (Guanine nucleotide Exchange Factor) in grado di attivare la proteina Ras. La proteina Ras, nella sua forma attiva, può fosforilare le proteine della famiglia RAF, effettori importanti della cascata, che, a loro volta, fosforilano tutta una serie di proteine chinasi, le MAP-chinasi, capaci di traslocare nel nucleo e promuovere la trascrizione di geni che consentiranno alla cellula di rispondere al segnale iniziale. In particolare vengono fosforilati fattori di trascrizione che determinano la produzione di nuovi mRNA che codificano per proteine che coordinano un'ampia varietà di risposte cellulari coinvolte nella regolazione del ciclo cellulare, nella proliferazione e differenziazione cellulare, nella sopravvivenza, nell’apoptosi ed in molti altri processi cellulari e fisiologici. (21,22).

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Figura 2: La cascata Map-Kinasi. Sequenza degli eventi che conducono alla risposta

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2.4.2 Ruolo della cascata Ras-Raf-MApKasi nella

tumorigenesi

Il cancro è una malattia caratterizzata da crescita cellulare incontrollata che può dipendere da difetti presenti nei geni che codificano per la sintesi di proteine coinvolte nelle vie di trasduzione del segnale implicate nella regolazione del ciclo cellulare (23). E' stato osservato che alterazioni della via di trasduzione del segnale Ras-RAF-MAPKasi hanno un ruolo chiave nella regolazione dei diversi processi biologici che determinano lo stato di salute o di malattia dell'organismo. In particolare l'overespressione e/o l'attivazione incontrollata dei componenti di tale via è frequentemente implicata nelle malattie proliferative, quali i carcinomi, e contribuisce alle fasi di iniziazione, progressione e metastatizzazione, tipiche delle patologie tumorali, guidando i meccanismi di resistenza all'apoptisi, la proliferazione cellulare, l'angiogenesi, la migrazione cellulare e l'invasione tissutale (24).

In particolare, , I componenti che fanno parte di tale cascata di trasduzione del segnale maggiormente coinvolti nella tumorigenesi dei CRC sono i geni della famiglia Ras, prevalentemente KRas (25), e quelli della famiglia RAF, tra cui BRAF. (26). Infatti, la presenza di mutazioni in tali geni determina un incremento dei livelli di trascrizione di oncogeni quali myc, fos e jun, responsabili di una crescita cellulare incontrollata.

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2.5 Ras

2.5.1 Struttura delle proteine Ras

Le proteine RAS rappresentano uno dei maggiori punti di convergenza nelle vie di segnalazione attivate dai recettori tirosina-kinasi, comportandosi come importanti componenti necessari per la traduzione dei segnali extracellulari (105).

La famiglia delle proteine Ras comprende un gruppo di proteine monomeriche associate alla membrana plasmatica, caratterizzate da un peso molecolare di 21 kDa e da un'attività GTPasica intrinseca, da cui il loro nome di “piccole proteine G”.

I principali componenti della famiglia Ras sono rappresentati dalle proteine HRas, KRas e NRas, codificate dai geni Ras localizzati sui cromosomi 11, 12 e 1 rispettivamente. Tali proteine contengono una sequenza aminoacidica altamente conservata, con un'omologia di sequenza dell'85%. Queste proteine comprendono infatti circa 188 aminoacidi dei quali i primi 165 sono altamente conservati, mentre i rimanenti costituiscono una regione ipervariabile all'estremità C-terminale della proteina (25). Dunque, in base alla sequenza aminoacidica risulta possibile distinguere due domini principali delle proteine Ras:

 Il dominio conservato (Fig.3) che contiene le regioni necessarie per la funzione

della proteina, nel quale si possono distinguere regioni differenti, ciascuna delle quali assume un ruolo ben preciso:

• il sito di legame per il nucleotide guanosina trifosfato (GTP); • il sito di legame per gli effettori;

• regione di switch I e II per l'interazione con il fattore di scambio dei nucleotidi guanilici (GEF: Guanine nucleotide Exchange Factor) e con la proteina che promuove l'attività GTPasica (GAP: GTPase Activating Protein).

 Un dominio ipervariabile (Fig.3) situato all'estremità carbossi-terminale della proteina contenete una sequenza CAAX che assume un ruolo determinante nelle modificazioni post-traduzionali necessarie per attivare la proteina RAS. Tale sequenza, detta anche box CAAX, è composta da quattro aminoacidi, in particolare, il primo è rappresentato da una cisteina seguita da due aminoacidi alifatici (leucina. Isoleucina o valina), mentre l'ultimo è, nei casi più frequenti, una metionina, serina, leucina o glutammina (27).

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Figura 3: Struttura schematica di KRas. Il dominio Switch I (in giallo) è coinvolto nell’interazione con le proteine GAP e in alcune interazioni con gli effettori, mentre il dominio Switch II (in arancio) interagisce con i fattori GEF. Il dominio ipervariabile (in verde) contiene residui aminoacidici non conservati, il box CAAX terminale. Tale sequenza guida le modificazioni post-traduzionali.

Le proteine Ras sono delle proteine idrofiliche la cui localizzazione a livello della membrana plasmatica risulta essenziale per lo svolgimento delle loro funzioni. Al fine di poter interagire con i lipidi di membrana, tali proteine necessitano di modificazioni post-traduzionali (fig.4) che avvengono mediante meccanismi, quali:

1) Prenilazione che consiste nell'aggiunta di un gruppo farnesile, un’unità isoprenoide costituita da 15 atomi di carbonio, nella regione carbossi-terminale da parte dell'enzima farnesiltransferasi in grado di riconoscere il box CAAX specifico delle proteine Ras (27).

2) Taglio proteolitico del motivo

terminale AAX del box CAAX

operato dagli enzimi

proteasi Rcel o Afc1;

(28).

3) Carbossimetilazione che prevede l'aggiunta di una s-adenosil-metionina al carbossi-terminale catalizzata da una trasferasi specifica (29).

4) Palmitoilazione del gruppo sulfridico della cisteina, che consiste nell'aggiunta di due gruppi palmitilici, costituiti dall'acido palmitico, un acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio (30).

Figura 4: Modificazioni post-traduzionali delle proteine Ras. Tutte le proteine Ras contengono un motivo carbossiterminale CAAX, al livello del residuo di cisteina di tale motivo viene aggiunto un gruppo farnesile ad opera della farnesil-transferasi. In seguito il tetrapeptidi AAX è rimosso

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da un enzima appartenente alla famiglia delle CAAX proteasi ed il residuo di cisteina terminale viene prima metilato. Infine si ha l’aggiunta del palmitolo alla cisteina posizionata vicino al terminale carbossilico.

Le proteine Ras possono esistere in due conformazioni diverse che si alternano a creare un ciclo: prima è quella legata al GDP (Nucleotide Guanosina Difosfato) in cui la proteina è nel suo stato inattivo, e poi, la forma attiva, in cui è legata al GTP (fig.5) (31,32).

Il cambiamento conformazionale e lo scambio del GDP con il GTP, favoriti dai fattori GEFs, determinano l'attivazione della proteina Ras, la quale, una volta attivata, è in grado di svolgere la sua funzione principale di controllo cellulare mediante la fosforilazione di numerosi effettori, tra cui la proteina BRAF.

Il segnale si spegne quando il GTP è idrolizzato a GDP grazie all'attività GTPasica intrinseca della proteina Ras e alla proteina GAP che promuove tale attività.

In condizioni fisiologiche questo equilibrio è strettamente regolato, ma in condizioni di alterazione di uno o più componenti del sistema può crearsi un disequilibrio tale da attivare i processi che possono essere implicati nel fenomeno della cancerogensi.

Figura 5: Attività GTPasica delle proteine Ras. Sono rappresentati lo stato attivo e inattivo della proteina Ras caratterizzati dal legame con il GTP e il GDP rispettivamente. In seguito al segnale extracellulare, il quale influenza lo stato della proteina Ras, si ha l’attivazione di Ras. La proteina Ras attiva induce la trascrizione degli mRNA di geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare.

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2.5.2 Ruolo di Ras nella tumorigenesi

L’attivazione costitutiva di Ras come conseguenza di mutazioni geniche è stata riportata in circa il 30% dei tumori umani(25). La maggior parte delle mutazioni del gene Ras fino ad oggi descritte sono mutazioni puntiformi a livello dei codoni 12, 13 e 61. Tali mutazioni mappano in prossimità del sito di legame per i nucleotidi guanilici e ciò impedisce l’intervento delle proteine GAPs nel promuovere l’idrolisi del GTP. In questo modo la proteina Ras è bloccata nel suo stato attivo, legato al GTP (Ras-GTP), risultando perciò costitutivamente attiva in modo indipendente dalla presenza di segnali extracellulari e dall’attivazione del recettore di membrana (33).

Tra i geni che codificano per le tre isoforme (H-Ras, K-Ras e N-Ras) della proteina Ras, nei tumori umani, il gene KRas è quello che risulta essere maggiormente mutato, seguito dal gene NRas, mentre le mutazioni a carico del gene HRas sono relativamente rare (34).

In particolare mutazioni che determinano l’attivazione del gene KRas sono state riscontrate in una varietà di tumori solidi (35) con incidenze variabili a seconda del tipo di tumore (34,36-40) quali:

• 90% negli adenocarcinomi pancreatici • 30-40% nei tumori sporadici del colon

• 20-30% nei tumori polmonari non a piccole cellule • 15-39% nei tumori ovarici di origine epiteliale • 10% nei carcinomi tiroidei ben differenziati • 8% nei carcinomi gastrici

Sebbene KRas sia il gene maggiormente mutato nelle neoplasie umane, in alcuni tipi di tumore sono state riscontrate mutazioni anche/od esclusivamente a carico degli altri geni Ras. Ad esempio, nei melanomi sono state descritte percentuali di mutazioni relativamente alte di NRas, mentre le mutazioni di KRas sono state riscontrate con frequenze molto basse (41); inoltre mutazioni di N-Ras sono state riscontrate, anche se raramente in tumori polmonari, orali e gastrici (42).

Questo differente spettro di mutazioni dei geni Ras nei vari tipi di tumore probabilmente riflette i loro diversi livelli di espressione ed i ruoli cellula-specifici nella sopravvivenza e nella crescita cellulare. Infatti, nonostante il loro alto grado di omologia, le proteine Ras non sono funzionalmente equivalenti, come dimostrato negli esperimento condotti sugli embrioni di topo dai quali è risultato che, mentre le delezioni a carico del gene KRas sono letali, quelle dei geni H- e/o N-Ras non sono risultate essere tali (43).

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2.5.3 Ruolo di KRas nei carcinomi colorettali

Per l'oncogene KRas è stata descritta una frequenza di mutazione del 30-40% nei carcinomi del colon-retto (44,45). Le mutazioni fino ad ora descritte sono mutazioni somatiche puntiformi, e di queste più del 90% sono state riscontrate nei codoni 12 e 13 dell'esone 2, mentre soli 1-4% delle mutazioni sono state descritte nei codone 61 e 146, che mappano sull’esone 3 e 4 rispettivamente. In particolare, tra i quattro codoni sopra citati, quello che è più frequentemente mutato è il codone 12, per il quale sono riportate frequenze di mutazione che raggiungono l’82% (47). Tali mutazioni hanno tutte lo stesso significato biologico ovvero quello di determinare l’attivazione costitutiva della proteina, alterando la sua attività GTPasica (46).

E’ stato inoltre osservato che nel CRC il tipo di mutazione più frequente del gene KRas è rappresentato dalla sostituzione di una base nucleotidica guanina con un’adenina (transizione G>A) oppure con una timina (transversione G>T) (48).

I codoni 12 e 13 codificano per due residui di glicina adiacenti, presenti nel sito catalitico della proteina Ras. Le differenti mutazioni (Fig.6) fino ad oggi descritte a carico del gene KRas determinano il cambio di questi residui aminoacidici con differenti aminoacidi, e possono dunque determinare diversi livelli di riduzione dell’attività GTPasica intrinseca. Alla luce di questo, è stato ipotizzato che le diverse mutazioni possano avere un effetto diverso sulla biologia della malattia. Per esempio, la sostituzione di un residuo aminoacidico di glicina con una valina a livello del codone 12, dovuta alla sostituzione di una base nucleotidica guanina con una timina , è stata associata ad un fenotipo tumorale più aggressivo rispetto alle altre (49).

Altrettante mutazioni sono state identificate a livello del codone 13 (Fig.6), in particolare la mutazione G13D rappresenta la maggioranza delle mutazioni riscontrate a carico di tale codone e consiste nella transizione G>A e nella sostituzione, a livello della proteina di un residuo di glicina con un residuo di acido aspartico .

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19 Figura 6: Schema delle mutazioni a carico dei codoni 12 e 13 di KRas. Le mutazioni riscontrate a

carico del codone 61 sono anch’esse in grado di convertire il gene KRas in un oncogene attivo. Tale codone codifica per un residuo di glutammina il quale può essere sostituito con aminoacidi differenti, in particolare, tra le varie mutazioni che sono state descritte, quelle associate ad un fenotipo tumorale più aggressivo sono le mutazioni Q61L, Q61K, Q61V che determinano la sostituzione di una glutammina con una leucina, lisina e valina rispettivamente (50). Per quanto riguarda il codone 146 di KRas invece sono state descritte tre mutazioni differenti: le mutazioni A146T, A146P e A146V che determinano a livello della proteina la sostituzione di un residuo di alanina con una treonina, prolina e valina rispettivamente (47). Tutte le mutazioni descritte a livello dei diversi codoni hanno come effetto ultimo quello di determinare l’attivazione costitutiva della proteina e dunque l’attivazione permanente della via di trasduzione del segnale indipendentemente dalla stimolazione del recettore di membrana.

CODONE12

CODONE 13

c.34 G>A (G12S) G>C (G12R) G>T (G12C) c.37 G>A (G13S) G>C (G13R) G>T (G13C) c.35 G>A (G12D) G>C (G12A) G>T (G12V c.38 G>A (G13D) G>C (G13A) G>T (G13V)

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2.6 RAF

2.6.1 Struttura delle proteine RAF

Gli effettori delle proteine Ras meglio caratterizzati sono rappresentati dalle serina/treonina RAF chinasi, componenti essenziali della via di trasduzione del segnale Ras-RAF-MAPKasi.

Nelle cellule di mammifero il gene RAF mappa sul cromosoma 7 in posizione 7q34. In seguito ad un complesso fenomeno di splicing alternativo si originano tre diverse molecole di mRNA maturo, la cui traduzione condurrà a tre isoforme alternative di RAF ossia A-RAF, B-RAF e C-RAF. Le tre proteine RAF hanno diversi domini di espressione; C-RAF è ubiquitaria mentre A- e B-RAF hanno un’espressione ristretta a specifici tessuti, A-RAF si trova nei tessuti che sono sensibili agli steroidi, in particolare il tessuto uro-genitale, mentre B-RAF è tipica dei tessuti di origine neurale.

Tali proteine sono costituite da 766 aminoacidi e da tre regioni conservate (Fig.7) (51):

 La regione CR1, localizzata nella porzione aminoterminale della proteina, è costituita da 131 aminoacidi e comprende due domini, entrambi coinvolti nel legame con Ras: il dominio RBD (Ras Binding Domain) e il dominio CRD (Cysteine-Rich Domain) ricco in cisteina. In particolare tale regione consente l’interazione di RAF con il dominio Switch I della proteina Ras attiva (Ras-GTP).

 La regione CR2 è costituita da 16 aminoacidi ed è ricca di residui di serina e treonina. Come CR1 risiede nella pozione aminoterminale ed ha un ruolo regolatorio nell’attivazione di RAF.

 La regione CR3,

localizzata nella parte carbossiterminale della proteina RAF, è rappresentata da 293 aminoacidi e contiene il dominio chinasico a livello del quale avvengono le reazioni di fosforilazione necessarie per l’attivazione della proteina stessa.

Figura 7: Struttura generale delle proteine RAF. Sono mostrati i principali domini proteici, CR1, CR2, CR3 con i residui aminoacidici in cui sono state individuate mutazioni puntiformi.

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21 La proteina RAF, che nella forma inattiva risiede nel citoplasma, è attivata, e reclutata a

livello della membrana plasmatica, mediante l’interazione con il dominio Switch I della proteina RAS attivata, RAS-GTP. L’interazione tra le due proteine avviene a livello dei due rispettivi domini CR1, entrambi localizzati nella regione amino-terminale. Questi domini costituiti dai residui aminoacidici compresi tra la posizione 55 e quella 131, sono conosciuti come Ras binding domain (RBD) e cysteine-rich domain (CRD), quest’ultimo, inoltre può legarsi al lipide di membrana fosfatidil-serina ed essere così reclutato a livello della membrana plasmatica.

L’attivazione della proteina RAF avviene per opera di processi di fosforilazione multipli. In questa proteina, infatti, sono stati identificati due principali siti di fosforilazione, il residuo aminoacidico di treonina in posizione 599 e quello di serina in posizione 602, i quali sono localizzati in prossimità del segmento di attivazione del dominio chinasico ed hanno un ruolo critico nell’attivazione della proteine stessa (51). Tali siti di fosforilazione sono essenziali per garantire il corretto funzionamento della proteina in quanto, se alterati, possono compromettere l’intera regolazione della via di trasduzione e promuovere quindi i processi cellulari che guidano la tumorigenesi. Infatti, è stato osservato che la sostituzione dei residui aminoacidici in posizione 599 e 602 con due residui di alanina determina l’inibizione dell’attivazione delle proteine RAF, in particolare BRAF, indotta dalla proteina Ras, mentre la sostituzione degli stessi con due residui di acido glutammico rende tale proteina costitutivamente attiva (52). Inoltre, confrontando le tre diverse isoforme delle proteine appartenenti alla famiglia RAF chinasi è stato osservato che BRAF necessita, per essere attivata, di un livello minore di fosforilazione in quanto tale proteina ha un attività chinasica di base maggiore rispetto alle altre. Questa caratteristica potrebbe essere una spiegazione della frequenza di mutazione di BRAF riscontrata in diversi tipi di tumori umani (53). Inoltre, confrontando le tre diverse isoforme delle proteine appartenenti alla famiglia RAF chinasi è stato osservato che BRAF necessita, per essere attivata, di un livello minore di fosforilazione in quanto tale proteina ha un attività chinasica di base maggiore rispetto alle altre. Questa caratteristica potrebbe essere una spiegazione della frequenza di mutazione di BRAF riscontrata in diversi tipi di tumori umani (53). In seguito all’attivazione delle proteine RAF, in particolare dell’isoforma BRAF, si osserva un meccanismo di fosforilazioni a cascata delle proteine MEK1 e MEK2, le quali a loro volta fosforilano ed attivano ERK1 ed ERK2. Queste due proteine promuovono, la trascrizione genica, attivando, mediante meccanismi di fosforilazione, un ampio numero di fattori di trascrizione e di chinasi, quali Elk-1, c-Ets1, c-Ets2, MNK1 e MNK2. Tali proteine ERK hanno, infatti, un ruolo critico nelle risposte cellulari mediate da Ras (25).

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22

2.6.2 Ruolo di BRAF nella tumorigenesi

Ci sono diverse evidenze che rilevano il ruolo critico delle proteine RAF nei processi di oncogenesi. Ad esempio, in diversi studi è stato osservato che forme costutivamente attive delle proteine RAF hanno un potere trasformante della cellula comparabile a quello della proteina Ras (25). Oltre a ciò, in diversi tipi di tumori umani sono state riscontrate alte frequenze di mutazioni attivanti a carico del gene BRAF. In particolare, mutazioni a carico del gene BRAF sono state riportate con alte percentuali, circa l’80%, nei melanomi maligni ed in circa il 60% dei tumori papillari della tiroide. Frequenze di mutazioni più basse sono state riscontrate nei tumori ovarici, circa il 14%, nell’1-3% dei tumori polmonari e nell’11% degli adenocarcinomi colon-rettali (26,56,58). Le mutazioni descritte a carico di tale gene sono mutazioni somatiche puntiformi situate a livello degli esoni 11 e 15 che codificano rispettivamente per il G-loop e il segmento attivante localizzati entrambi all’interno del dominio chinasico della proteina e che rendono la proteina costitutivamente attiva (54). Circa il 90% delle mutazioni descritte a carico del gene BRAF è rappresentato dalla mutazione V600E, dovuta alla transversione di una timina con un’adenina (T>A) in posizione 1799 che determina la sostituzione, a livello del codone 600 della proteina, di un residuo aminoacidico di valina (V) con un acido glutammico (E). L’inserimento del glutammato, carico negativamente, conferisce una carica negativa in grado di mimare la fosforilazione dei residui di treonina 599 e serina 602 del loop di attivazione necessaria, in condizioni fisiologiche, per l’attivazione della proteina BRAF (26).

In uno studio di cristallografia, condotto da Lyons e collaboratori (55), è stato osservato che nella forma inattiva della proteina wild-type è presente un’interazione idrofobica tra i residui G596-V600 del loop di attivazione ed i residui G464-V471 del loop P. Tale interazione fa sì che i residui T599 ed S602 presenti nel sito catalitico della proteina non siano allineati impedendone perciò il legame con l’ATP ed il substrato. Di contro, le mutazioni del gene BRAF, sia nel loop P che nel loop di attivazione, destabilizzano la loro interazione distruggendo la forma inattiva della proteina e rendendola quindi permanentemente attiva indipendentemente dalla fosforilazione operata dalla proteina Ras (Fig.8).

Figura 8: (a) Struttura cristallina della proteina BRAF Wild-Type, (b) Struttura cristallina della proteina BRAF mutata; la sostituzione missenso V600E abolisce l’interazione idrofobica tra il P-loop ed il dominio di attivazione, convertendo la proteina, codificata

(19)

23

dal gene BRAF, in una forma costitutivamente attiva.

Nonostante la mutazione V600E sia quella predominante nei tumori umani, sono state descritte altri tipi di mutazioni a carico dell’esone 15 del gene BRAF, che mappano tutte nella regione catalitica della proteina. Tali mutazioni sono state descritte per la prima volta nei carcinomi papillari della tiroide e, tra queste, è stata messa in evidenza la mutazione K601E che consiste nella transversione di un’adenina con una guanina (A>G) in posizione 1801 e che determina la sostituzione di una lisina con un acido glutammico nel codone 601 il quale, come nel caso della mutazione V600E, mima la carica negativa del gruppo fosfato determinando l’attivazione costitutiva della proteina (59).

(20)

24

2.6.3 BRAF nei carcinomi colorettali

Nei tumori del colon le mutazioni di BRAF hanno un’incidenza nettamente inferiore rispetto a quella rilevata per le mutazioni di KRas . Tali mutazioni, nella quasi totalità dei casi, sono limitate alla V600E e sono state descritte con una percentuale che può variare del 5-15% (58). In altri studi, è stato osservato che la frequenza di mutazione, in particolare quella relativa alla mutazione V600E, riscontrata in carcinomi caratterizzati da un instabilità a livello dei microsatelliti (MSI) è nettamente superiore rispetto alle frequenze descritte per la stessa mutazione in carcinomi con instabilità cromosomica (CIN) (61).

La maggior parte dei casi mutati per il gene BRAF non presentano mutazioni a carico del gene KRas e, precisamente, meno dell’1% dei casi mutati per BRAF risultano essere mutati anche per KRas, infatti, in molti tumori le mutazioni di KRas e di BRAF sono eventi mutualmente esclusivi. Comunque il comportamento delle cellule tumorali mutate per il gene BRAF è risultato essere simile a quello osservato per le cellule con una mutazione a carico di KRas e, sulla base di tali osservazioni, è stato suggerito che le mutazioni di BRAF e KRas sono equivalenti nel favorire i processi cellulari implicati nella progressione del tumore (24, 26).

Oltre alla mutazione V600E, però, nei CRC sono state descritte anche altre mutazioni a carico del gene BRAF che coinvolgevano aminoacidi posizionati in prossimità del sito con attività tirosin-chinasica, o del dominio della proteina ricco di residui di glicina, nelle regioni adiacenti al codone 600, quali: D594G, L597Q e G1406C. In dettaglio la mutazione D594G risulta in un cambiamento aminoacidico a livello del codone 594 della proteina che determina la sostituzione di un residuo di glicina con uno di acido aspartico; la mutazione L597Q consiste, invece, nella sostituzione, a livello della proteina, di una leucina con un residuo di glutammina, mentre la mutazione G1406C determina l’inserimento di una cisteina al posto di un residuo di glicina (60).

La mutazione D594G e la mutazione L597Q, sono state riscontrate anche in un recente studio, condotto da Ahlquist e collaboratori, nel quale sono state riscontrate con una frequenza rispettivamente dell’ 1,3% e dello 0,6% (106).

A differenza della V600E, le mutazioni “rare” di BRAF sono state riscontrate nello stesso tumore contemporaneamente alla mutazione di KRas, come riportato nello studio condotto da Siu T. Yuen.(107).

(21)

25

2.7 EGFR

Il recettore EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) è una proteina transmembrana appartenente alla famiglia dei recettori di membrana tirosino-chinasi ErbB cosituita da 4 proteine strutturalmente correlate, quali: ErbB1 (EGFR), ErbB2, ErbB3 e ErbB4. L’EGFR è una proteina di 170 kDa ed è presente nella maggior parte dei tessuti epiteliali dove svolge un ruolo importante nella regolazione della crescita cellulare (20).

Dal punto di vista strutturale il recettore EGFR è costituito da tre domini principali, comuni agli altri recettori della famiglia ErbB (20):

1. un dominio extracellulare coinvolto nel riconoscimento e nel legame dei ligandi, quali il fattore di crescita epiteliale ( EGF: Epidermal Growth Factor) ed il fattore di crescita trasformante (TGF-

α

:

Transforming Growth Factor);

2. un dominio transmembrana idrofobico che interagisce con il doppio strato fosfolipidico della membrana plasmatica;

3. un dominio intracellulare che comprende il sito catalitico con attività tirosino-chinasica intrinseca al recettore.

Tale recettore è un monomero che, in condizioni fisiologiche, in assenza del suo ligando è privo di attività enzimatica. L’interazione del ligando con la porzione extracellulare è in grado di innescare i meccanismi che portano all’attivazione del recettore stesso, in particolare il legame con il ligando induce un cambiamento conformazionale tale da consentire la dimerizzazione del recettore con un monomero adiacente, che può essere rappresentato da un altro recettore EGFR (omodimero) oppure da uno dei recettori appartenenti alla famiglia ErbB (eterodimero), al quale segue l’autofosforilazione di residui di tirosina a livello del dominio chinasico del recettore stesso e la sua attivazione (Fig.8) (20).

Figura 8: Meccanismo di attivazione dei recettori tirosin-chinasici. Il cambiamento conformazionale indotto dal ligando promuove la dimerizzazione del recettore e la fosforilazione di

(22)

26

specifici residui di tirosina nel dominio chinasico che determinando l’attivazione del recettore stesso

Il recettore attivo è in grado di controllare diverse cascate di traduzione del segnale, tra le quali la cascata Ras-RAF-MAPKasi, regolando, cosi’, numerosi processi cellulari, quali la progressione del ciclo cellulare, la proliferazione e la sopravvivenza cellulare (21).

(23)

27

2.7.1 Ruolo di EGFR nei tumori del colon

Le alterazioni dell’attività enzimatica del recettore EGFR sono implicate nell’insorgenza di diverse condizioni patologiche, tra cui i tumori (62). Difatti, è stato ampiamente dimostrato che la modulazione dei recettori per i fattori di crescita, quali EGFR, rappresenta una delle strategie adottate dalle cellule tumorali per diventare indipendenti dalla stimolazione dei fattori extracellulari ed essere quindi auto-sufficienti nel controllo del ciclo cellulare (20).

Numerose evidenze sperimentali hanno dimostrato, infatti, che il recettore EGFR è attivato in maniera anomala in diversi tumori solidi di origine epiteliale e che tale fenomeno è stato associato allo sviluppo e alla progressione dei tumori maligni umani. In particolare sono stati identificati diversi meccanismi responsabili di tale attivazione anomala che includono l’overespressione del recettore e le mutazioni attivanti (63, 64). Nei CRC, infatti, è stato osservato un aumento dell’espressione di EGFR, che porta all’iperattivazione della cascata Ras-RAF-MAPKasi e conseguente aumento della proliferazione, resistenza all’apoptosi, migrazione cellulare e processi di metastatizzazione. In particolare, all’iperespressione del recettore EGFR è stato attribuito un ruolo nella carcinogenesi e nella progressione dei CRC, nei quali è stato osservato che un livello di espressione maggiore di EGFR è correlato, infatti, con uno stadio avanzato della malattia infatti, un’overespressinone di EGFR può essere riscontrata con una percentuale molto elevata, in circa l’80% dei pazienti metastatici. Diversi studi hanno, inoltre, dimostrato che alti livelli di espressione della proteina EGFR sono correlati in modo negativo con la risposta alla chemioterapia. (65, 66).

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28

2.8 Nuove terapie per il trattamento dei carcinomi del

colon-retto

Negli ultimi dieci anni si è assistito allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per il trattamento dei carcinomi del colon-retto che hanno portato risultati significativi in termini di risposta al trattamento e di sopravvivenza a 5 anni. Tali terapie anti-tumorali hanno come bersagli dei componenti delle vie di traduzione del segnale che possono avere un ruolo importante nello sviluppo e nella progressione di neoplasie. In questo modo tali farmaci sono in grado di agire direttamente sulle cellule tumorali riducendo, notevolmente, gli effetti collaterali associati alle terapie convenzionale (67).

Data l’importanza del ruolo del recettore EGFR nella tumorigenesi e nella progressione tumorale, sono stati messi a punto farmaci che agiscono in modo specifico su tale recettore, bloccando la sua attivazione e quindi i segnali biochimici da esso innescati (20).

Ad oggi sono disponibili due classi di farmaci che hanno come bersaglio l’EGFR:

a) gli inibitori tirosino-chinasi

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29

2.8.1 Inibitori tirosino-chinasi

Gli inibitori tirosino-chinasi sono piccole molecole che agiscono bloccando la fosforilazione dei residui di tirosina a livello del dominio intracellulare del recettore tirosin-chinasico. In particolare questi inibitori competono con l’ATP per il sito di legame al dominio catalitico del recettore. Tali molecole non agiscono direttamente con l’EGFR, infatti, esercitano la loro azione inibitoria in maniera aspecifica su tutti i recettori tirosin-chinasici (20, 68).

A questo gruppo di farmaci appartengono due molecole che bloccano in modo aspecifico l’attività tirosino-chinasica del recettore EGFR, il gefitinib e l’erlotinib (68). In alcuni trials clinici è stato studiato l’effetto combinato di gefinitib o erlotinib con la chemioterapia tradizionale ed è stato dimostrato che, per il trattamento dell’adenocarcinoma del colon retto e dei tumori polmonari, la somministrazione degli inibitori in combinazione con la chemioterapia determina un grado di risposta migliore rispetto a quella osservata in pazienti trattati con la sola chemioterapia (69).

Il Gefinitib è il primo inibitore tirosino-chinasico ad essere stato sviluppato e ad oggi è entrato nella pratica clinica per il trattamento dei tumori polmonari non a piccole cellule. Tuttavia nei diversi trials clinici non è stato osservato nessun miglioramento obiettivo nei pazienti affetti da CRC, trattati con tale inibitore, sebbene in alcuni casi sia stata riscontrata una stabilità della malattia (70).

L’Erlotinib, approvato per il trattamento dei pazienti con adenocarcinoma pancreatico in stadio avanzato, in combinazione con la chemioterapia, e per la monoterapia dei tumori polmonari non a piccole cellule (71), a differenza del Gefinitib è risultato essere efficace anche nel trattamento dei pazienti con CRC (70, 72). Tale risultato, tuttavia, non trova conferma nello studio condotto da Townsley dove il trattamento con Erlotinib è risultato, invece, essere privo di efficacia (73). Alla luce di tali risultati, l’efficacia degli inibitori tirosino-chinasi, nel trattamento dei CRC, è una questione ancora dibattuta.

(26)

30

2.8.2 Anticorpi monoclonali

Gli anticorpi monoclonali (mAb) anti-EGFR sono molecola capaci di interagire con il dominio extracellulare del recettore. Tali molecole competono con i ligandi naturali per il sito di legame al recettore, per il quale, però, hanno una maggiore affinità(20). In seguito, il recettore legato all’anticorpo non è più in grado di dimerizzare per cui i segnali biochimici implicati nella progressione del ciclo cellulare, nella resistenza all’apoptosi e nell’angiogenesi vengono inibiti (Fig.9) (71).

Ad oggi sono stati sviluppati mAb anti-EGFR, ed in particolare, per il trattamento dei CRC metastatici vengono utilizzati principalmente due anticorpi, cetuximab e panitumumab.

Il Cetuximab è un mAb Ig G (immunoglobulina G) chimerico per il quale studi di farmacocinetica hanno dimostrato che tale anticorpo è in grado di legarsi all’EGFR con una affinità elevata in maniera tale da impedire il legame del suo ligando naturale attraverso un meccanismo di inibizione competitiva (68, 74).

Figura 9: Attività degli anticorpi monoclonali (mAb) anti-EGFR Gli mAb competono con i fattori di crescita per il legame alla porzione extracellulare del recettore e agiscono bloccando l’attività dello stesso e i segnali che promuovono la proliferazione, la sopravvivenza, l’angiogenesi e la metastatizzazione.

L’attività antitumorale del cetuximab è stata evidenziata in studi preclinici su modelli tumorali, compreso quello del colon-retto, dai quali, però, è emersa anche la presenza di un’associazione tra la somministrazione del cetuximab e il manifestarsi di fenomeni di

(27)

31 citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente, la quale provoca la lisi delle cellulle

bersaglio, tra cui le cellule tumorali, in seguito al reclutamento delle cellule natural killer, degli eosinofoli e dei neutrofili().

Come già detto, il Cetuximab è in grado di indurre citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente e, proprio per questo, è stato osservato in alcuni studi clinici che i pazienti trattati con tale farmaco possono sviluppare un esantema, riscontrato in circa il 70% dei casi, che è correlato con l’efficacia del trattamento, ed è comunque facilmente trattabile con creme a base di cortisone o antibiotici, soltanto in pochi casi (1-10% dei casi) sono stati riportati sintomi più pesanti, quali nausea, febbre, diarrea e mucosite (75).

Il Panitumumab è il secondo mAb più frequentemente utilizzato nel trattamento dei CRC metastatici ed è una IgG completamente umanizzata. Proprio per questa sua caratteristica ad esso non sono associati eventi di ipersensibilità dovuti a citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente, come riscontrato invece nei pazienti trattati con cetuximab, infatti, soltanto nell’1% dei pazienti trattati con tale farmaco sono stati registrati episodi di reazioni allergiche acute (68, 75).

Un dato interessante è rappresentato dal fatto che tutti gli studi condotti per valutare la risposta al trattamento con mAb hanno riscontrato un’associazione significativa tra rash cutaneo e evoluzione della malattia, più precisamente l’intensità del rash è stata correlata al grado di risposta al trattamento anti-EGFR e, proprio per questo, a tale reazione allergica è stato attribuito il ruolo di marker di risposta (75,76).

La diversa efficacia degli mAb rivolti verso EGFR rispetto agli inibitori tirosino-chinasi nel trattamento dei CRC potrebbe essere dovuta al meccanismo di azione differente delle due categorie di farmaci. Innanzitutto la somministrazione di mAb induce nell’organismo una risposta immunologica citotossica che rallenta ulteriormente la proliferazione tumorale e, rispetto agli inibitori, i quali sono in grado di interagire con diverse proteine con un sito catalitico simile al recettore EGFR, tali anticorpi riconoscono il dominio extracellulare del recettore in maniera specifica con scarsa cross-reattività. Un’ulteriore differenza riguarda la via di somministrazione del farmaco che, per gli inibitori, è rappresentata essenzialmente dalla via orale che richiede purtroppo una somministrazione giornaliera a causa dell’emivita molto breve del principio attivo del farmaco (qualche ora); gli mAb hanno, invece, un’emivita di alcune settimane e possono perciò essere somministrati per endovena determinando un aumento significativo della biodisponibilità del principio attivo (71).

(28)

32

2.8.3 Trattamento dei CRC con anticorpi monoclonali

anti-EGFR

Al momento della diagnosi il 70-80% dei soggetti con CRC possono essere potenzialmente curati chirurgicamente, anche se, tra questi, circa il 50% andrà incontro alla formazione di metastasi, principalmente epatiche (71). Nella maggior parte dei casi la chemioterapia rappresenta l’approccio terapeutico più adatto, e talvolta l’unico, per il trattamento dei CRC metastatici. Sebbene l’impiego combinato di agenti chemioterapici diversi, quali il 5- fuorouracile (5-FU), l’irinotecano, e l’oxaliplatina, abbia migliorato significativamente i risultati ottenuti dalla monoterapia con 5-FU, il tempo medio di sopravvivenza di tali pazienti supera raramente i 18 mesi a causa dell’insorgenza, sempre più frequente, di fenomeni di resistenza; in particolare meno del 10% dei pazienti raggiunge i 5 anni di sopravvivenza (77,78).

Attualmente la terapia basata sulla somministrazione di mAb anti-EGFR è stata approvata per il trattamento dei CRC metastatici (mCRC) per i quali le terapie convenzionali, come la chemioterapia, la radioterapia e la resezione chirurgica, non hanno dato risultati soddisfacenti.

In particolare per tale trattamento, di tali pazienti, sono stati approvati gli mAb Cetuximab e panitumumab (63).

Il cetuxinab è stato il primo anticorpo monoclonale ad avere mostrato un’efficacia nel trattamento dei pazienti con mCRC (108)

In particolare, molti studi di fase II hanno confermato l’attività del cetuximab, somministrato come monoterapia, in pazienti ad uno stadio avanzato della malattia e resistenti al trattamento chemioterapico con irinotecano. Lo stesso risultato è stato osservato anche in pazienti resistenti alla chemioterapia con irinotecao e oxaliplatino (108).

Altri studi, ancora, hanno valutato l’attività del cetuximab confrontando regimi di monoterapia con cetuximab a quelli di terapia combinata cetuximab più irinotecano. Uno degli studi pilota in quest’ambito è stato lo studio BOND, condotto su 329 pazienti con tumore del colon-retto a uno stadio avanzato, che, trattati con chemioterapia basata su irinotecano, mostravano, comunque, la progressione della malattia. I risultati di questo studio hanno evidenziato un miglioramento della risposta (22.9% vs 10.8%) ed un tempo medio di progressione maggiore TTP (median time to progression) (4.1 mesi

vs 1.5 mesi) nei pazienti trattati con terapia combinata rispetto a quelli sottoposti a

monoterapia. Non sono state, invece, riscontate differenze significative per i due regimi di terapia in termini di sopravvivenza totale. In base ai risultati ottenuti da questo studio la FDA (Food Drug Administration)e l’EMEA (European Medicine Agency) hanno approvato l’utilizzo del cetuximab per il trattamento di pazienti con mCRC resistenti alla chemioterapia con irinotecano (108).

L’efficacia del cetuximab è stata inoltre valutata, in studi fase II e III, in pazienti trattati in prima linea(108). In particolare, tra gli studi di fase II si colloca lo studio FOLFOX

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33 (5-FU/LV/oxaliplatino) nel quale è stato osservato che i pazienti trattati con

chemioterapia combinata al cetuximab nel 72% dei casi hanno una buona risposta ed in più, nella quasi totalità, il 95%, dei casi raggiungono livelli di stabilità della malattia. Inoltre, un altro dato importante emerso da questo studio è l’aumento dei pazienti, inizialmente non canditati alla chirurgia, che, dopo il trattamento combinato possono, invece, essere sottoposti ad intervento chirurgico. Allo stesso modo, lo studio OPUS valuta, su 337 pazienti randomizzati, gli effetti del cetuximab somministrato in combinazione con l’oxaliplatino, rispetto a quest’ultimo da solo. Anche in questo caso la terapia combinata è associata ad un miglioramento della risposta al trattamento, soprattutto in pazienti con un buono stato fisico (45.6% vs 35.7%) ed in quelli che hanno metastasi solamente a livello epatico (54% vs 35.9%). Anche in questo caso, l’aumento della risposta può tradursi in un incremento del numero di pazienti che possono essere trattati chirurgicamente e avere, quindi, un miglioramento significativo delle aspettative di sopravvivenza(108)..

Infine lo studio di fase III randomizzato, CRYSTAL, condotto su più di 1000 pazienti con mCRC trattati o con monoterapia di FOLFIRI (5-fluorouracil [5-FU]7leucovoril [LV]7irinotecano) oppure con FOLFIRI combinato al cetuximab ha riportato una percentuale maggiore di pazienti, che rispondono al trattamento farmacologico, nel caso di somministrazione di terapia combinata rispetto alla monoterapia (47% vs 38%) (108); inoltre, tali pazienti hanno un miglioramento, anche se minimo del tempo di PFS (8.9 vs 8 mesi). Comunque, sebbene la differenza della sopravvivenza media (0.9 mesi) sia piuttosto piccola, questa ha un impatto clinico molto importante, soprattutto per i pazienti che hanno metastasi localizzate a livello epatico. Nello specifico, questa differenza si traduce in un aumento nel numero di pazienti (9.8% vs 4.5%) che possono essere sottoposti ad intervento chirurgico per resezione delle metastasi epatiche e nel conseguente miglioramento delle prospettive di sopravvivenza, anche se, in realtà, in questo studio, non è stata osservata nessuna differenza di OS nei due gruppi (108). Dopo i risultati promettenti ottenuti dagli studi che hanno valutato l’utilizzo di mAb, per lo più del cetuximab, in aggiunta alla chemioterapia classica nei pazienti con mCRC, il passo successivo è stato quello di investigare l’efficacia della terapia con più mAb combinati tra di loro ed aggiunti oppure no ad altri agenti chemioterapici convenzionali (108). Quest’approccio terapeutico è stato valutato nello studio randomizzato BOND-2 condotto su pazienti irinotecano-resistenti. I pazienti arruolati nello studio sono stati trattati in alcuni casi con due farmaci, entrambi mAb, il bevacizumab e il cetuximab, in altri, invece con tre farmaci, i due mAb prima detti e l’irinotecano. Anche in questo caso, i risultati ottenuti sono incoraggianti e indicano un aumento del tempo di ripresa della malattia ed una risposta complessiva alla cura migliore nei pazienti trattati con i tre agenti farmacologici rispetto a quelli trattati con due. Inoltre, per la prima volta, è stato osservato che la terapia con mAb combinati, somministrata anche senza l’aggiunta di chemioterapici, può determinare un aumento della risposta in circa il 20% dei casi (108). Il Panitumumab è l’altro mAb più frequentemente utilizzato nel trattamento dei CRC metastatici ed è una IgG completamente umanizzata. Proprio per questa sua

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34 caratteristica ad esso non sono associati eventi di ipersensibilità dovuti a citotossicità

cellulo-mediata anticorpo-dipendente, come riscontrato invece nei pazienti trattati con cetuximab, infatti, soltanto nell’1% dei pazienti trattati con tale farmaco sono stati registrati episodi di reazioni allergiche acute (68, 75).

L’FDA ha approvato, inoltre, l’impiego del panitumumab nella terapia dei pazienti con mCRC alla luce dei risultati ottenuti in uno studio randomizzati di fase III, nel quale sono stati paragonati pazienti, precedentemente sottoposti ad almeno due regimi chemioterapici e resistenti al 5-FU, oxaliplatino ed irinotecano, trattati con due diverse linee di terapia, l’una basata sulla somministrazione di panitumumab l’altra su cure di mantenimento. In questo caso i risultati ottenuti hanno mostrato un aumento della PFS nei pazienti trattati con panitumumab rispetto agli altri, con un valore medio di PFS rispettivamente di 13.8 e 8.5. Inoltre, dai dati di follow-up, eseguito dopo un anno, è emerso che il 10% dei pazienti trattati con panitumumab mantenevano livelli di risposta costanti per un periodo medio di 17 settimane, mentre negli altri pazienti è stata osservata una completa assenza (0%) di risposta. Contrariamente a quanto sopra riportato, non sono state riscontrate differenze nella sopravvivenza globale media nei due gruppi di pazienti, anche se questo dato potrebbe essere stato inficiato da una sovrapposizione dei due gruppi, dovuta al fatto che il 76% dei pazienti inizialmente inclusi nel gruppo che riceveva soltanto la terapia di mantenimento, in realtà, in una fase seguente, era stato trattato anche con il panitumumab (108).

(31)

35

2.8.4 Ruolo di KRas e di BRAF nella resistenza al

trattamento con anticorpi monoclonali anti-EGFR

Sebbene l’impiego degli mAb abbia consentito di fare un notevole passo avanti nelle strategie terapeutiche dei pazienti affetti da mCRC; in realtà, valutazioni cliniche più attente hanno riscontrato che solo il 10-20% dei pazienti, resistenti alla chemioterapia convenzionale, rispondono al trattamento con questi agenti. (74, 79).

Poiché la resistenza al trattamento compromette in modo serio le potenzialità terapeutiche di questi agenti, negli ultimi anni molti studiosi hanno ritenuto di fondamentale importanza scoprire e comprendere le basi molecolari e cellulari che possono guidare alla resistenza primaria, de-novo o acquisita di questi tumori. Gli studi condotti in questo senso sono stati tutti quanti basati sull’ipotesi che la perdita di risposta e/o l’acquisizione di resistenza alla terapia con gli mAb possa essere dovuta all’attivazione costitutiva delle vie di trasduzione del segnale mediate da EGFR. In particolare, in questi studi, è stato valutato il possibile ruolo del recettore per EGF e degli effettori KRas, BRAF.

Recentemente, grazie ai risultati ottenuti da numerosi studi, è stato possibile attribuire a KRas il ruolo di marker predittivo nella risposta al trattamento dei mCRC con mAb. Questo ruolo è, inoltre, avvalorato dall’elevata percentuale di mutazioni del gene KRas riscontrata nei carcinomi del colon (30-40%), e del suo ruolo nei processi di carcinogenesi (44,45).

Diversi studi retrospettivi condotti su un limitato numero di pazienti con mCRC chemioresistenti e trattati con cetuximab o panitumumab hanno, infatti, confermato la presenza della mutazione di KRas nel 30-35% dei casi ed hanno inoltre dimostrato che la risposta alla terapia con mAb è limitata soltanto ai pazienti wild-type per tale gene (80, 109).

Tali dati sono stati, ulteriormente, confermati nello studio retrospettivo, condotto da Lievre e collaboratori (80, 109) su un piccolo gruppo di pazienti, nel quale è stata riscontrata un’associazione significativa tra l’assenza di risposta al cetuximab e la presenza di mutazione a livello di Kras; difatti, nessuno dei pazienti che rispondeva alla terapia è risultato mutato per tale gene (109).

Sulla base di questi dati e considerando, inoltre, il ruolo fisiologico e la posizione di

KRas, è infatti il primo effettore a valle di EGFR, nella via di trasduzione

RAS/RAF/MAPK è stato ipotizzato che la presenza della mutazione di KRas determini l’attivazione costitutiva della cascata indipendentemente dall’attivazione di EGFR. Infatti, le mutazioni di KRas sono responsabili della resistenza sia al trattamento con mAb, che, bersagliano il dominio extracellulare di EGFR, sia a quello con inibitori delle tirosino-chinasi, che agiscono, invece, contro il dominio cellulare del recettore EGFR (20,68).

La determinazione dello stato mutazionale del gene KRas ha dunque assunto un ruolo essenziale nell’identificazione dei pazienti affetti da CRC che possono essere trattati, in particolare la terapia è stata attualmente approvata per i pazienti KRas wild-type per i

(32)

36 quali il trattamento con l’anticorpo, in associazione alla chemioterapia, aumenta la

sopravvivenza in modo statisticamente significativo (80, 81).

Da numerosi studi clinici è emerso che non tutti i pazienti KRas wild-type, però, rispondono come previsto alla terapia con mAb e sono perciò stati presi in considerazione altri componenti della cascata Ras-RAF-MAPKasi che potessero avere, come KRas, un ruolo di marcatore predittivo della risposta al trattamento, ciò sia per evitare di somministrare inutilmente farmaci inadeguati e comunque costosi, sia per poter sviluppare strategie terapeutiche alternative che abbiano bersagli e/o meccanismi di azione differenti (85).

In particolare l’attenzione è stata rivolta principalmente all’effettore BRAF per il quale è stata descritta una percentuale di mutazione intorno al 5-15% (58).

Nei pazienti resistenti, infatti, sono state riscontrate mutazioni attivanti a carico del gene

BRAF che determinano lo stesso fenotipo resistente associato alle mutazioni riscontrate

per il gene KRas (58).

È stato dimostrato che la presenza di mutazioni a carico del gene BRAF è inversamente associata alla risposta alla terapia con gli mAb Cetuximab o Panitumumab, in particolare, per i pazienti con BRAF mutato è stato osservato un tempo medio libero da malattia inferiore rispetto ai pazienti wild-type per lo stesso gene, dati che dimostrano chiaramente l’esistenza di una correlazione tra le mutazioni di BRAF ed una prognosi peggiore (85). Tali risultati sono in accordo con quelli ottenuti nello studio condotto precedentemente da Samowitz nel quale le mutazioni di BRAF sono state associate ad un fenotipo più aggressivo della malattia (86).

Alla luce dei risultati ottenuti, l’analisi mutazionale di BRAF, più precisamente dell’esone 15, potrebbe rappresentare uno strumento in più per selezionare i pazienti affetti da mCRC che possono trarre realmente beneficio dal trattamento con mAb. Tuttavia, rimane una percentuale non trascurabile di pazienti wild-type per entrambi i geni (ca. il 41%) che non rispondono alla terapia con mAb (85), ciò rende necessario individuare ulteriori markers molecolari predittivi della risposta al trattamento al fine di meglio definire i pazienti per i quali la somministrazione di mAb anti-EGFR può risultare realmente efficace.

Figura

Figura  1:  Sequenza  adenoma-carcinoma.  Eventi  molecolari  responsabili  della
Figura 2: La cascata Map-Kinasi. Sequenza degli eventi che conducono alla risposta
Figura  4:  Modificazioni  post-traduzionali  delle  proteine  Ras.  Tutte  le  proteine  Ras  contengono  un  motivo  carbossiterminale  CAAX,  al  livello  del  residuo  di  cisteina  di  tale  motivo  viene  aggiunto un gruppo farnesile ad opera della f
Figura 5: Attività GTPasica delle proteine Ras.  Sono  rappresentati  lo  stato  attivo  e  inattivo           della  proteina  Ras  caratterizzati  dal  legame  con  il  GTP  e  il  GDP  rispettivamente
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