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Capitolo 5

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Capitolo 5

L’amara conclusione

5.1 Le ultime mosse ed il ritiro sovietico

Mentre a capo della CIA il giudice William H. Webster, assumendo la carica di Direttore, poneva fine all’interim di Robert Gates, nel 1987, ufficialmente per una normale scadenza di mandato, Gust Avrakotos, venne trasferito a Città del Capo, come capo base della CIA in Sudafrica, e sostituito all’Ufficio afghano da Jack Devine. In realtà, grazie all’autorità acquisita durante gli anni alla guida del programma afghano, l’agente aveva cercato di opporsi in tutti i modi possibili al coinvolgimento dell’Agenzia in quello che poi sarebbe divenuto famoso come lo scandalo “Iran-Contras”1

. I suoi superiori, non gradendo questo atteggiamento, considerato ai limiti dell’insubordinazione, decisero di eliminare da Langley un’agente troppo capace e per questo scomodo. Persa una pedina fondamentale nello scacchiere della guerra afghana, il presidente pakistano Zia decise di tenersi ben stretto Wilson, pedina fondamentale nei rapporti con la CIA, il Congresso ed Israele2.

La questione più delicata in discussione tra il Pakistan e gli Stati Uniti era ancora costituita dalle aspirazioni nucleari di Islamabad.

All’inizio del primo mandato di Reagan, Zia riuscì a strappare al nuovo presidente una concessione importantissima: il Pakistan avrebbe

1 Avrakotos non condivideva l’opinione dell’ufficiale dei Marines Oliver North e di

Israele secondo la quale era opportuno finanziare l’Iran di Khomeini. L’Agente della CIA non intravedeva alcun vantaggio per gli Stati Uniti mentre, per Gerusalemme ed il Mossad, che prima della rivoluzione aveva «metà dei mullah sul suo libro paga», il vantaggio era costituito dal finanziare il nemico dell’Iraq di Saddam Hussein. Il dittatore iracheno si trovava in procinto di vincere la guerra con l’Iran ed il suo programma nucleare ben avviato costituiva una minaccia concreta per Israele.

2 L’apertura di un canale diplomatico segreto tra Pakistan ed Israele, operato da Wilson,

servì a scongiurare il ripetersi di un’azione simile a quella condotta dall’aviazione di Gerusalemme in Iraq contro il reattore di Osirak durante l’ ”Operazione Opera” al fine di scongiurare il conseguimento della bomba atomica da parte di Saddam Hussein. Oltre a ciò, Wilson, agli inizi del 1987 era riuscito ad ottenere un seggio anche nella Commissione servizi segreti. In questo modo era presente in tutte le tre commissioni che, alla Camera, decidevano dei diversi aspetti della guerra afghana.

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108 collaborato con gli Stati Uniti in Afghanistan a patto di ricevere aiuti

consistenti ed un sostanziale permesso per la continuazione delle ricerche finalizzate all’ottenimento della bomba atomica. Con il trasferimento di Avrakotos l’atteggiamento di Zia dovette farsi più cauto, poiché, qualora fossero emerse prove evidenti dei tentativi di ottenere la bomba, gli Stati Uniti non avrebbero potuto fare altro che tagliare i finanziamenti.

Il suo regime si era retto per anni sulla legge marziale e sull’esercizio del “pugno di ferro”esclusivamente grazie alla profusione di finanziamenti statunitensi, i quali avevano permesso il mantenimento di un certo livello di benessere, sufficiente a mantenere entro livelli di guardia qualsiasi protesta. Se questo flusso si fosse interrotto Zia avrebbe visto seriamente compromessa la tenuta del suo governo, la stabilità del paese e probabilmente la sua stessa vita. Proprio a causa di tutte queste considerazioni, diversi rapporti della CIA constatarono che, nel corso del 1987, il Pakistan sospese alcune parti fondamentali del suo programma nucleare. D’altronde l’apporto di Islamabad era necessario anche agli Stati Uniti per poter assestare colpi decisivi alla presenza dell’ Unione Sovietica in Afghanistan.

Zia svolse quindi la sua parte, esattamente come Wilson che, resistendo all’opposizione democratica della Camera, riuscì, a costo di diverse sedute notturne, a far confermare il pacchetto di finanziamenti al Pakistan anche per l’anno fiscale 19873

.

In Unione Sovietica, al di là delle imposizioni di regime, la questione della guerra in Afghanistan si espanse come un morbo.

Ormai da anni varcavano il confine storie al limite dell’inverosimile sulla crudeltà dei guerrieri afghani e ciò che più innervosiva il popolo sovietico era, oltre al quotidiano stillicidio di tanti giovani soldati, la testardaggine con la quale i dirigenti del PCUS si affannavano a negare che una guerra effettivamente esistesse o che vi fossero più di 120.000 soldati coinvolti in un conflitto che non era stato neanche dichiarato ufficialmente. I moltissimi reduci di guerra che iniziarono a tornare in patria nel corso degli anni Ottanta vennero sistematicamente ignorati sia dalla società civile che dalla dirigenza politica, la quale non previde

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109 alcuno strumento di sostegno economico, neanche per i casi di

mutilazione più gravi, che impedivano lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa.

La crisi dello stato sovietico, oltre che economica, si trasformò anche in una crisi di fiducia generata dallo sprezzante atteggiamento del Partito, anche nei confronti delle famiglie dei caduti che, in numero sempre più elevato, venivano riportati indietro dal teatro di guerra su voli che presto sarebbero stati tristemente noti come “Tulipani neri”. Sulle lapidi si ordinò che non vi dovesse essere alcun riferimento all’Afghanistan ma solo l’incisione “Morto mentre adempiva ai suoi doveri internazionali”. Inoltre non sarebbe mai stata concessa alcuna medaglia dato che non era in corso nessuna guerra4.

Tra il 1985 ed il 1986 le prime organizzazioni delle famiglie dei caduti cominciarono a farsi sentire e nel 1987 tutti, in Unione Sovietica, erano ormai a conoscenza della tragedia che stava avvenendo.

L’intenzione di Gorbačëv era ritirarsi prima che quella afghana divenisse anche la “sua” guerra, ma il Segretario generale non si accorse di aver concepito questo calcolo politico, che avrebbe previsto il ritiro entro pochi anni, nel momento forse più favorevole all’Armata Rossa, precludendone definitivamente ogni speranza di vittoria.

I sovietici, spaventati ormai dalla loro stessa propaganda in merito alle atrocità dei mujaheddin, avevano ormai inconsciamente deciso di arrendersi; questa risoluzione si rivelò letale per le sorti stesse dell’ URSS, la cui fine, secondo molti analisti, venne anticipata di diversi anni a causa del disastroso ritorno d’immagine dovuto alla ritirata dall’Afghanistan5

.

La gravità della situazione portò, nel silenzio dei mezzi di comunicazione sovietici, alla storica firma degli accordi di Ginevra il 14 aprile 1988. Gli

4 A.Hyman, Afghanistan under Soviet domination, 1964-1991, London, Macmillan

Academic and Professional, 1992, p.206.

5 Il ritiro dall’Afghanistan non solo colpì profondamente Mosca dal punto di vista

dell’immagine, ma anche da quello economico, che gravò in maniera considerevole sulle già precarie sorti delle finanze sovietiche. L’URSS, durante la presidenza Reagan, venne inoltre messa sotto pressione grazie alla “Stategic Defense Initiative” meglio conosciuta come sfida delle “Guerre stellari”, un costosissimo sistema missilistico totalmente al di fuori delle possibilità economiche sovietiche. Inoltre, il 26 aprile 1986, avvenne il disastro nucleare di Černobyl', che certo non contribuì a risollevare l’immagine dell’ormai decadente Impero sovietico.

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110 accordi vennero stipulati tra i rappresentanti del governo comunista di

Kabul, i rappresentanti del Pakistan, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica e delinearono le modalità di ritiro delle truppe dell’Armata Rossa dall’Afghanistan.

Gli accordi, pur non avendo visto la partecipazione dei mujaheddin a nessun grado, consentirono sostanzialmente alla resistenza di continuare a svolgere un ruolo politico e militare preminente nel paese, al di là del fatto che si fosse deciso di mantenere in piedi il governo di Najibullah, la cui avventura politica era giunta, secondo l’opinione di tutti, all’epilogo6

. Inoltre, Stati Uniti ed Unione Sovietica si accordarono per applicare una sorta di “simmetria positiva” in fatto di aiuti. Si previde infatti la cessazione dei finanziamenti ai mujaheddin soltanto a condizione che terminasse anche l’appoggio economico di Mosca al governo di Kabul. Poche settimane dopo la stipula degli accordi, i primi dodicimila soldati dell’Armata Rossa vennero evacuati da Jalalabad e fecero ritorno in Unione Sovietica tutelati dalle ferree disposizioni dell’ISI e di Bearden, il capo base della CIA ad Islamabad, che si preoccuparono di far svolgere ai sovietici le operazioni di ritiro in completa sicurezza.

Il 17 agosto 1988 una notizia scosse tutti coloro che in un modo o nell’altro avevano avuto a che fare con la guerra afghana: l’aereo di Zia aveva avuto un guasto ed era precipitato e il presidente pakistano era deceduto assieme all’ex direttore dell’ ISI, il generale Rahman, e ad una delegazione in viaggio ufficiale. La CIA si mobilitò immediatamente per far comprendere a tutti i servizi informativi avversari che non avrebbe tollerato ingerenze esterne in Pakistan e che avrebbe tutelato il graduale ritorno del paese alla vita democratica7. Gli Stati Uniti, in coerenza con questa linea, decisero di sostenere il ruolo dei militari e dell’ISI8

in

6

W.Maley, The Soviet withdrawal from Afghanistan, Cambridge, Cambridge University press, 1989, pp.28-30.

7 La gran parte della linea politica adottata dagli Stati Uniti nei confronti della nuova

situazione in Pakistan venne concordata, data la sua esperienza, con Charles Wilson direttamente da George P.Shultz, Segretario di Stato durante le presidenze Reagan dal luglio del 1982 al gennaio del 1989.

8 I servizi segreti pakistani, grazie ai finanziamenti sauditi e statunitensi, si erano

affermati come l’organizzazione più potente del paese, senza il cui appoggio politico niente era possibile.

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111 questa fase di transizione e di incoraggiare l’organizzazione in tempi

brevi di regolari elezioni democratiche.

Tracciata la via del ritorno alla democrazia in Pakistan, il problema del futuro dell’Afghanistan continuò a sussistere, soprattutto in merito alla linea politica che gli Stati Uniti avrebbero deciso di seguire.

Hekmatyar, dal momento della stipula degli accordi, approfittò di ogni vuoto di potere che si presentò; da una momentanea riduzione delle zone di influenza di Massoud, ad una guarnigione abbandonata dai sovietici. Il capo mujaheddin si rivelava ogni giorno di più un alleato scomodo ed un uomo totalmente inadatto a cui affidare il futuro governo di Kabul, come invece desideravano i pakistani. Nei primi mesi del 1988 condusse una spietata guerra sia contro i sovietici che contro i capi ribelli che egli considerava possibili avversari nella corsa alla conquista del potere; ciò gli alienò definitivamente le simpatie della CIA, il cui principale obiettivo, dopo il ritiro dei sovietici, era la caduta di Najibullah, raggiungibile solo attraverso il mantenimento dell’unità all’interno del fronte della ribellione.

Il capo del governo di Kabul, da ex direttore dei servizi segreti, non era certo uno sprovveduto e, nell’inverno tra il 1987 ed il 1988, appena percepito che la possibilità del ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan cominciava a farsi concreta, iniziò a mettere in pratica diverse politiche tese alla stabilizzazione del suo governo, cosa che premeva molto a Mosca. Esse vennero in seguito illustrate anche a Shevardnadze, Ministro degli esteri sovietico, e Kryuchkov, Direttore Generale del KGB, entrambi in visita ufficiale a Kabul9.

Il 15 febbraio 1989 il comandante della 40° Armata Boris Gromov organizzò una cerimonia sul ponte di Termez, la città di confine tra l’Afghanistan e l’Uzbekistan, che venne seguita dalle televisioni di tutto il mondo. Si fece di tutto per non dare l’impressione che fosse l’ultimo atto di una ritirata attesa da anni, ma i volti felici anche se provati dei soldati sovietici parlavano più di qualunque intervista. Come atto

9

Queste misure previdero l’aumento dello stipendio alle forze speciali incaricate di difendere la capitale, l’organizzazione di una milizia a difesa dei giacimenti di gas naturale nel nord del paese e l’offerta a Massoud del ministero della Difesa. Il capo

mujaheddin rifiutò l’offerta ma Najibullah lo informò che avrebbe lasciato il posto

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112 simbolico, il comandante uscì dalla torretta del suo carro armato e

percorse la restante metà del ponte verso l’Uzbekistan mentre suo figlio gli veniva incontro con un mazzo di garofani tra la commozione generale10. Boris Gromov, l’ultimo uomo dell’esercito sovietico ad abbandonare l’Afghanistan, riuscì a conservare l’onore della gloriosa Armata Rossa anche nella sua ora più buia.

Figura 24: I carri armati sovietici abbandonano l’Afghanistan in direzione di Termez

nel 1989.

5.2 Conflitti interni

Mentre gli ultimi soldati sovietici abbandonavano l’Afghanistan, ad Islamabad la CIA stava dando vita a quello che sarebbe divenuto il nucleo operativo della base di Kabul. I vertici di Langley si trovarono d’accordo nel decidere che nessuna base sarebbe stata aperta finché Najibullah fosse rimasto in carica, ma, contrariamente alle previsioni di molti, il governo di Kabul resisteva da settimane anche senza l’appoggio militare dei sovietici, favorito da un inverno che, tra il 1988 ed il 1989, si rivelò particolarmente rigido e che rese complicato anche per i

mujaheddin portare a compimento alcune operazioni progettate in

precedenza.

10 D. Cordovez, Out of Afghanistan , The Inside Story of the Soviet Withdrawal, New

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113 All’ancora virtuale base CIA di Kabul venne destinato Gary Schroen, il

quale, nel frattempo, venne incaricato di gestire i pagamenti ed i rifornimenti ai capi ribelli11.

La resistenza di Najibullah a Kabul convinse il Direttore generale dell’ISI, Hamid Gul, a cambiare strategia. Assieme alla CIA ed ai maggiori leader mujaheddin, fu predisposto un piano che prevedeva un violento attacco contro Jalalabad, importante roccaforte del governo situata cento chilometri ad est di Kabul ed a quaranta dal confine pakistano12.

Figura 25: La strada che da Peshawar, attraverso Jalalabad, porta a Kabul.

Prevedendo un fulmineo successo, i servizi pakistani si impegnarono per porre le basi di un nuovo governo da insediare una volta caduta, dopo Jalalabad, Kabul; che sarebbe stato dominato dagli islamisti. Tale

11 Ad un anno dagli accordi di Ginevra i capi mujaheddin ancora finanziati dalla CIA erano circa 40. I

comandanti minori ricevevano circa 5000 dollari mensili mentre i più prestigiosi potevano arrivare anche a 50.000. La maggior parte faceva riferimento al gruppo di Hekmatyar, così l’Agenzia decise di aumentare i finanziamenti a Massoud, portandoli a 200.000 dollari mensili. Questo aumento, finalizzato a convincere il capo tagiko ad ostacolare le linee di rifornimento che da nord giungevano alla capitale, venne tenuto segreto agli uomini dei servizi segreti pakistani.

12 La posizione di Jalalabad era strategicamente molto importante poiché una sua liberazione avrebbe

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114 prospettiva era condivisa anche dai servizi sauditi che, attraverso il loro

direttore, il principe Turki al-Faisal, versarono nelle casse dell’ISI, espressamente per la realizzazione di questo progetto, venticinque milioni di dollari.

Nelle settimane precedenti all’attacco l’ISI, con il supporto logistico della CIA, ammassò quasi settemila combattenti alle porte di Jalalabad prevedendo la caduta della città, nella peggiore delle ipotesi, entro una settimana. Vennero inoltre date disposizioni perché venisse minata l’unica via transitabile tra la città assediata e la capitale. Predisposto il tutto, l’attacco iniziò ed il combattimento si fece violentissimo sin dalle prime battute. Le stime dei servizi pakistani riguardo ai mezzi militari governativi presenti nella città si rivelarono totalmente errate: l’esercito afghano era dotato di numerose mitragliatrici pesanti con le quali falciò migliaia di ribelli; gli uomini di Najibullah vennero inoltre riforniti per via aerea e fecero un largo uso di missili Scud, precedentemente abbandonati dai sovietici in numero cospicuo.

L’attacco si arrestò alla periferia della città per arginare le perdite che già si stavano rivelando devastanti. Il governo di Kabul, informato dal KHAD sui fallimenti degli avversari nell’interrompere la strada per Jalalabad, cominciò a rifornire gli assediati con generi alimentari e munizioni per 300 milioni di dollari. La città, dopo un mese, non dava ancora alcun segno di cedimento.

In Pakistan, dopo la morte di Zia, alle elezioni del 16 novembre 1988, il Partito del Popolo Pakistano conseguì la maggioranza all’Assemblea Nazionale portando Benazir Bhutto, figlia dell’ex primo ministro, a ricoprire la carica che era stata di suo padre13. Il nuovo primo ministro venne spinto alla vittoria anche dalla benevolenza degli Stati Uniti, con i quali vi erano stretti rapporti. Il problema per Washingon, una volta insediata la Bhutto al potere, fu quello di gestire il suo turbolento rapporto con l’ISI. I servizi pakistani erano ancora governati da militari che, fino ad un anno prima, giuravano fedeltà all’uomo che aveva giustiziato suo padre, d’altra parte essi si dimostrarono immediatamente

13 Carismatica ma priva di esperienza politica, Benazir Bhutto a 35 anni divenne il

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115 diffidenti nei confronti di un primo ministro donna, privo di qualsiasi

esperienza politica14. Gli Stati Uniti dovettero impegnarsi a fondo nel ricomporre continuamente le fratture che si originavano, poiché non poteva fare a meno del supporto dell’ ISI per controllare l’Afghanistan e perché oramai, assunto l’impegno di sostenere il nuovo primo ministro, non potevano più tirarsi indietro15.

Negli Stati Uniti, il 20 gennaio 1989, si insediò alla Casa Bianca George H. Bush, vicepresidente durante entrambi i mandati di Reagan. Il nuovo presidente rinnovò l’autorizzazione necessaria alla CIA per continuare a compiere operazioni clandestine, ma ridisegnò gli obiettivi della linea politica americana: l’obiettivo del ritiro sovietico era stato raggiunto ma adesso l’Afghanistan non costituiva più una priorità per la Casa Bianca; il nuovo Segretario di Stato James Baker infatti decise di limitarsi a propugnare solo una vaga autodeterminazione in favore del paese16. Evidente come, dopo il disimpegno di Mosca, stesse iniziando, lento ma inesorabile, anche quello di Washington.

Al di là della generale volontà di abbandonare un teatro nel quale gli Stati Uniti erano ormai coinvolti da quasi sette anni, il flusso dei finanziamenti, anche se ridotto, non si interruppe. In favore di Massoud, nella primavera del 1989, vennero versati ottocentomila dollari, in aggiunta allo stipendio mensile del comandante, per promuovere la ricostruzione della valle del Panshir, devastata dalle numerose offensive sovietiche. Questi finanziamenti costituivano solo una minima parte dei 250 milioni di dollari che, con molti sforzi, Wilson riuscì a far stanziare dal Congresso a favore dei ribelli. Finanziamenti che in seguito vennero, come di consueto, eguagliati dai sauditi, permettendo al budget di mantenersi ancora sulla ragguardevole cifra di mezzo miliardo di dollari.

14

Negli anni di Zia, l’ISI divenne l’istituzione pakistana più importante e le sue competenze cominciarono inevitabilmente a comprendere anche alcune responsabilità di governo. Il nuovo bilanciamento a favore dell’esecutivo propugnato dalla Bhutto non venne accettato con entusiasmo

15

A.Shahi, Pakistan’s Security and Foreign Policy, Lahore, Progressive Publishers, 1992, pp.162-163.

16 Le attenzioni maggiori del nuovo presidente sarebbero state ben presto assorbite dalla

necessità di definire i nuovi equilibri in Europa dopo la caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989 e lo scioglimento dell’URSS nel dicembre del 1991.

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116 Nell’estate del 1989, oltre ai mujaheddin, si confermarono molto attivi

sul campo anche 4000 volontari arabi appoggiati prevalentemente dal GID, il servizio informativo saudita. Queste bande agivano autonomamente e spesso si scontravano con i ribelli afghani generando non pochi attriti e problemi sia per ISI che per la CIA, i quali chiudevano comunque un occhio, ben consapevoli dell’indispensabilità dei finanziamenti provenienti da Riyad. Inevitabilmente, anche i volontari arabi vennero trascinati nel vortice della guerra civile tra Massoud ed Hekmatyar e vennero costretti a schierarsi17. L’organizzazione di volontari a sostegno di quest’ultimo venne ben presto egemonizzata, grazie alle sue disponibilità economiche, da Osama Bin Laden, che cominciò a sovrintendere alla totalità delle procedure di reclutamento e che ben presto ribattezzò l’organizzazione stessa con il nome di al-Qaida (letteralmente “la base”).

La situazione intanto andava peggiorando: i ribelli, dal ritiro sovietico, erano riusciti a conquistare ben poche roccaforti governative ed il comportamento di molti capi mujaheddin risultava sempre più imbarazzante da giustificare per la CIA. Dopo il fallimento di questa linea politica, Washington richiese l’elaborazione di una nuova. Innanzitutto si ritenne necessario concentrare gli sforzi militari sulle principali città, tagliando, stavolta in maniera efficiente, qualsiasi linea di rifornimento. In seguito, il dipartimento di Stato ritenne ancora possibile, una volta caduto Najibullah, insediare a Kabul un governo moderato, sostenuto da un ampio consenso, che estromettesse gli estremisti di qualsiasi appartenenza politica18. I vertici dell’ISI illustrarono alla Casa Bianca i dettagli di quest’offensiva che ebbe inizio nei primi mesi del 1990. Le operazioni più massicce coinvolsero gli uomini di Hekmatyar,

17 La parte più cospicua di volontari passò dalla parte di Hekmatyar, grazie

all’intercessione dei Fratelli Musulmani. Questo grazie anche al fatto che la base operativa del capo mujaheddin era situata a Peshawar, dove si registrava la massima presenza dei volontari. Uno dei più importanti volontari che in quel periodo si avvicinò alle posizioni di Hekmatyar fu proprio Osama Bin Laden, che ormai era attivo in Afganistan fin dal 1986.

18

Il dipartimento di Stato evitò di proporre una personalità a cui affidare la futura presidenza dell’Afghanistan. Qualsiasi nome fosse stato fatto avrebbe minato la momentanea coesione del fronte della resistenza. D’altra parte, il clima d’insicurezza generato dalla mancanza di una prospettiva futura fece crescere la rivalità tra i capi

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117 ai quali venne affidato il compito di bombardare l’aeroporto militare di

Bagram. Gli uomini di Massoud, previo pagamento di mezzo milione di dollari, vennero incaricati di bloccare la strada del Salang mentre altri ribelli dovettero tenere sotto tiro Khost e la capitale. A causa dello scarso coordinamento e delle diffidenze reciproche, l’offensiva si rivelò un fiasco clamoroso che screditò enormemente l’ISI agli occhi di Langley. Gli Stati Uniti ritennero opportuno, data la scarsità dei risultati ottenuti, intimare ai sauditi di allentare il loro legame con le frange più estremiste della ribellione che tanto perniciose si erano rivelate fino ad allora. Allo stesso tempo il Congresso decise di ridurre del 60%, ovvero a duecentottanta milioni, lo stanziamento per le attività clandestine in Afghanistan mentre, nello stesso periodo, i finanziamenti sauditi arrivarono a cinquecentotrentacinque milioni; il tutto avvenne tra l’indifferenza dei livelli più alti dell’ amministrazione Bush.

Nel novembre del 1991 Robert Gates fu scelto per ricoprire, questa volta ufficialmente, la carica di Direttore della CIA mentre, in Pakistan, Benazir Bhutto, scoperto che l’ISI complottava per rovesciarla19

, sollevò Hamid Gul dalla direzione dei servizi informativi, sostituendolo con Asad Durrani. Il nuovo Direttore scoprì che i rapporti del suo primo ministro con gli americani erano molto più profondi di quanto immaginasse: lo storico divieto di contatto tra personale statunitense e combattenti, scomparso Zia, era ormai completamente ignorato e la CIA aveva costituito una solida rete di agenti di contatto con Massoud ed altri comandanti afghani che, secondo Durrani, non era in alcun modo tenuta ad agire nell’interesse del Pakistan. Tutto ciò, compresi gli oramai frequenti avvicendamenti a capo delle rispettive agenzie, raffreddò non poco i rapporti tra la CIA e l’ISI20

.

Alla fine del 1990, si cercò di uscire dalla situazione di stallo che si era venuta a creare organizzando una riunione ad alto livello cui parteciparono i principali comandanti mujaheddin ed alcuni agenti

19 I servizi informativi personali del primo ministro scoprirono che alcuni ufficiali

dell’ISI vicini a Gul avevano chiesto ad Osama Bin Laden di corrompere diversi parlamentari per portare il governo alle dimissioni.

20 La guerra civile presentava un quadro nel quale il Pakistan , attraverso l’ISI,

sosteneva la corsa di Hekmatyar verso Kabul alla quale si contrapponevano gli Stati Uniti che, sostenendo Massoud, cercavano di espugnare per primi la capitale

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118 pakistani ed americani. L’incontro non ebbe il successo sperato e scavò

ancora più profondamente il solco tra Hekmatyar e Massoud, sempre più convinto di essere considerato uno strumento per favorire l’ascesa del rivale.

Il logoramento nelle relazioni tra CIA ed ISI raggiunse un nuovo culmine quando la base di Islamabad registrò come il programma nucleare pakistano avesse superato il livello di guardia imposto dagli USA. In base a questa nuova evoluzione della situazione, scattò automaticamente l’interruzione totale dell’erogazione di aiuti, che in quell’anno ammontavano a 564 milioni di dollari. Ma il Pakistan, conscio del rischio, si era già cautelato avviando contatti in merito al nucleare con Teheran, mossa che irritò non poco Washington.

Il 2 agosto 1990 Saddam Hussein invase il Kuwait, così che tutto il mondo arabo, compresi gli attori del teatro afghano, furono colpiti dalla notizia21. Bin Laden, prevedendo un intervento americano a protezione dei pozzi petroliferi del Golfo, si offrì per dare vita ad un jihad contro l’invasore, speculare a quello a cui aveva partecipato in Afghanistan; d’altronde in quell’anno i mezzi e l’esperienza glielo avrebbero permesso. La famiglia reale, che da tempo aveva smesso di confidare nello sceicco, fu però irremovibile nel richiedere l’intervento delle truppe USA, nonostante lo stesso Bin Laden avesse ammonito che, una volta fatte entrare, esse non avrebbero più abbandonato il sacro suolo saudita. La guerra del Golfo distolse gli Stati Uniti dal teatro afghano, generando antipatie sempre maggiori verso Washington, la cui politica sembrava aver tradito la causa per la quale stava combattendo, in favore dell’interesse economico.

Nel febbraio del 1991 il conflitto contro l’Iraq poté considerarsi concluso in favore degli Stati Uniti e la CIA non esitò a dare il via ad una delle tante operazioni clandestine che si compiono in questi casi, facendo pervenire, ancora attraverso il porto di Karachi e l’ISI, in Afghanistan un’ingente quantità di armamenti di produzione sovietica abbandonati

21 Non pochi capi mujaheddin, compreso Hekmatyar, decisero di schierarsi apertamente

con Saddam, contro gli Stati Uniti, pur continuando a ricevere finanziamenti da Washington.

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119 dall’esercito in fuga di Saddam22

. Molti, a Langley, espressero seri dubbi in merito alla destinazione di questi armamenti che, destinati prevalentemente agli uomini di Hekmatyar, contribuirono alla caduta di Khost nelle mani dei ribelli nell’aprile del 1991.

Questa fu senz’altro il più importante risultato conseguito dai mujaheddin dal ritiro dei sovietici, ma probabilmente non venne neanche riportato nel “daily briefing” con il quale il presidente Bush veniva quotidianamente aggiornato sulle più scottanti questioni di politica internazionale. L’Afghanistan era definitivamente uscito dalle aree d’interesse della politica estera di Washington.

Il 19 agosto 1991, in Unione Sovietica, venne attuato, senza successo, un tentativo di golpe rivolto dai comunisti fautori della linea dura contro l’ormai debole governo di Gorbačëv. Il Segretario generale, in cerca di un frettoloso accordo con Washington, si dichiarò favorevole alla sospensione degli aiuti a Najibullah consentendo finalmente a Bush di interrompere, come intendeva fare da tempo, i finanziamenti ai

mujaheddin e decidendo definitivamente di lasciare l’Afghanistan al suo

destino. L’accordo venne stipulato ufficialmente il 13 settembre tra il segretario di Stato Baker ed il ministro degli Esteri sovietico Boris Pankin, i quali si accordarono per un’entrata in vigore dello stesso entro il 1°gennaio del 1992. Questa decisione, inappellabile anche per Wilson, si rivelò particolarmente negativa per i destini dell’Afghanistan poiché un’attiva collaborazione tra i due governi avrebbe probabilmente consentito una condivisione delle prospettive di lungo termine nel paese. Forti della loro autorità e supremazia militare, Mosca e Washington avrebbero potuto marginalizzare il ruolo del Pakistan e del radicalismo islamico nell’area al fine di assicurare a Kabul un governo stabile. Purtroppo prevalsero logiche d’orgoglio, le quali originarono un disimpegno parallelo che si rivelò un disastro sia per il futuro dell’Afghanistan che, in seguito, per il futuro degli Stati Uniti e di tutto l’Occidente.

22 S.J.Murdico, The Gulf War, War and Conflict in the Middle East, New York, The

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120 La guerra non si concluse certo grazie a questo accordo, poiché gli

armamenti arrivati dall’Iraq, essendo stati equamente distribuiti tra gli uomini di Massoud e quelli di Hekmatyar, permisero la continuazione dello scontro. Le uniche attività clandestine che la presidenza permise alla CIA a partire dal 1992 riguardarono il recupero del maggior numero possibile di “Stinger” e la produzione di un rapporto in merito al traffico di oppio23 che, dopo la fine dell’invasione, era ripreso in tutto il suo vigore24.

Figura 26: Il grafico mostra l’andamento della produzione di oppio dal 1980 al 2005.

23 P.A.Chouvy, Opium: Uncovering the Politics of the Poppy, Cambridge, Harvard

University Press, 2010, p.66.

24 Nel 2008 l’Afghanistan è diventato il più grande paese produttore di oppio del

mondo. Una statistica dell’anno precedente afferma che il 97% degli oppiacei circolanti nel mondo provengono dall’Afghanistan, la cui produzione ha subito un drastico calo solo nel 2001 per poi riprendere a crescere.

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Figura 27: La cartina mostra le zone dove si concentra la produzione di oppio in

Afghanistan.

Gli americani dovettero amaramente riconoscere che, paradossalmente, le proposte e le affermazioni più ragionevoli sul futuro dell’Afghanistan provenivano da Najibullah e dagli esponenti del suo governo piuttosto che dai leader della resistenza, i quali, incapaci di interrompere lo scontro anche per i pochi mesi necessari alla presa di Kabul, si stavano rendendo protagonisti di massacri indiscriminati non dissimili da quelli compiuti a suo tempo dall’esercito afghano o dai sovietici. Il 26 dicembre 1991, esattamente dodici anni dopo l’entrata delle prime truppe dell’Armata Rossa in Afghanistan, Gorbačëv annunciò a tutto il mondo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, chiudendo definitivamente un’era.

5.3 La caduta di Najibullah

All’inizio del 1992 l’esercito tagiko di Massoud si alleò con le milizie uzbeke di Dostum, uno spietato combattente che aveva cambiato casacca ai tempi del ritiro sovietico. Le sue truppe contavano 40.000 uomini che, appartenenti ora ad uno stato che si era reso indipendente dall’Unione sovietica il 25 dicembre dell’anno precedente, erano anche molto ben fornite di pezzi d’artiglieria, carri armati e addirittura aerei. Quest’unione di forze, proprio nel momento in cui gli aiuti da Mosca iniziavano a diminuire drasticamente, portarono Najibullah e la sua cerchia allo

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122 sconforto. Il presidente afghano rivolse un disperato appello, in

particolare agli Stati Uniti, che si rivelò quanto mai profetico, mentre la capitale era ormai a tiro dell’artiglieria dei mujaheddin:

Abbiamo un compito comune, quello di sferrare una lotta contro il fondamentalismo. Se esso arriverà al potere in Afghanistan, la guerra continuerà per molti anni ed il paese diverrà il centro mondiale del contrabbando di stupefacenti e del terrorismo.

Per risolvere la complicata situazione che si era venuta a creare in Afghanistan scesero in campo anche le Nazioni Unite. Il piano concordato tra il Segretario Generale Javier Perez De Cuellar ed il suo rappresentante speciale a Kabul, Benan Sevan, risaliva addirittura al maggio del 1991, ma solo agli inizi del 1992 si ravvisò, purtroppo erroneamente, l’esistenza delle condizioni per attuarlo. Esso prevedeva il riconoscimento della sovranità dell’Afghanistan come stato islamico politicamente non allineato, l'affermazione del diritto degli afghani all'autodeterminazione nella scelta della forma di governo, la necessità di concedere un periodo di transizione per consentire un dialogo da cui far scaturire un governo dotato della più ampia base di consenso possibile. Oltre a ciò le Nazioni Unite intendevano imporre la cessazione di tutti i finanziamenti militari provenienti dall’estero e la concessione, da parte della comunità internazionale, di un adeguato finanziamento indirizzato a sostenere sia il ritorno degli afghani dai campi profughi al confine con il Pakistan sia la ricostruzione del paese dopo anni di guerra. Durante i convulsi mesi iniziali del 1992, il presidente afghano, in diversi colloqui con gli emissari dell’ONU, espresse la volontà di farsi da parte qualora si fossero verificate le condizioni politiche per l’attuazione di questi punti. Egli avrebbe poi sostenuto, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, la costituzione di un governo capace di isolare gli estremisti. Purtroppo i suoi propositi non vennero ascoltati dai comandanti

mujaheddin, la figura di Najibullah non aveva più credibilità politica.

Il partito comunista, indebolito da un tasso di diserzione che fra il 1990 ed il 1991 aveva sfiorato il 60%, si era ormai rassegnato a perdere Kabul, anche se, materialmente, continuava a conservare una certa superiorità rispetto alle forze messe in campo dallo schieramento avversario. Oltre a

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123 ciò, tra le sue file, non era riuscito ad emergere un accordo per decidere

se arrendersi a Massoud o a Hekmatyar. Sia i sauditi, nella cui delegazione era presente anche Bin Laden, che i pakistani, premettero per un accordo tra i due, che finalmente avrebbe sbloccato la situazione, ma purtroppo non si arrivò a nessun risultato25. Ignorando la continuazione dei colloqui, Hekmatyar negoziò segretamente la resa della capitale con il ministero degli Interni del governo di Najibullah, la cui sede si trovava a pochi isolati dal palazzo presidenziale. Il leader mujaheddin diede il via, all’insaputa di tutti, all’attacco della capitale da parte dei suoi uomini. Il tradimento del dicastero degli Interni fu motivato da un profondo disaccordo politico con il presidente in merito alla sua volontà politica di riconciliazione con i mujaheddin. Il ministro inoltre lo accusò di aver sfavorito la sua fazione, il Khalq, in favore del Parcham, la fazione di cui appunto faceva parte il presidente.

Dal gennaio del 1992 cessò del tutto l’arrivo di rifornimenti sovietici e ciò comportò gravissime conseguenze per il governo: l’aviazione non ebbe più carburante a disposizione per far volare i suoi aerei, mentre l’esercito si sarebbe trovato presto a corto di munizioni e stipendi. In un patto precedentemente stipulato, le forze armate si erano impegnate a garantire lealtà a Najibullah fino a quando il suo governo fosse riuscito a provvedere loro al mantenimento. Venendo meno questa condizione, molti ufficiali decisero di disertare. Hekmatyar non era però a conoscenza del fatto che anche Massoud era arrivato alle stesse sue conclusioni ed aveva agito di conseguenza: i suoi ventimila uomini, grazie alla resa di una parte del partito comunista, occuparono l’aeroporto di Kabul e, nella notte, tramite numerosi voli, iniziarono a sbarcare in città assieme alle truppe uzbeke di Dostum26.

25

I due capi mujaheddin non trovarono alcun accordo bensì un ulteriore occasione per litigare accusandosi vicendevolmente di essere alleati con ex comunisti, accusa che d’altronde, corrispondeva alla verità.

26 A.R.Rowan, On the Trail of a Lion: Tracking down Ahmed Shah Massoud, London,

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Figura 28: Mappa di Kabul riportante i luoghi di maggiore importanza strategica.

Gli uomini agli ordini di Massoud si mossero con maggiore agilità concedendo alle truppe di Hekmatyar solamente qualche avamposto di poco conto.

Il comandante tagiko riuscì a costruire attorno al suo avversario un semicerchio che lo costrinse ad arrestare la sua avanzata in periferia, mentre il resto degli uomini occupò i dintorni della capitale. L’iniziativa di Massoud stupì per il tempismo con il quale fu condotta, ma, nella fazione di Hekmatyar, fu subito evidente che qualcuno aveva rivelato i piani del comandante al suo nemico. Lo spionaggio del leader tagiko era infatti molto attivo e prolifico anche all’interno delle milizie del suo avversario. Ciò fece si che, una volta venuto a conoscenza dei piani di Hekmatyar per l’occupazione di Kabul, Massoud potette elaborarne uno finalizzato a contrastarlo nei suoi punti più deboli, fino a provocarne il completo fallimento, culminato con la fuga del capo mujaheddin dalla capitale.

Nel 1992, poco prima dell’attacco finale su Kabul, in una riunione di alto livello tra mujaheddin a Peshawar vennero stipulati gli “Accordi di Peshawar” che prevedevano l’ affidamento, per i due mesi seguenti alla caduta della capitale cioè, secondo una stima approssimativa, dal 28

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125 aprile al 28 giugno, della guida di un governo di transizione a

Sibghatullah Mojaddedi. Dopo questa fase di transizione si sarebbe dovuto insediare alla presidenza Burhanuddin Rabbani, affiancato, nella carica di primo ministro, da Hekmatyar. Questi, fino al 28 ottobre dello stesso anno, sarebbero stati incaricati di lavorare alla redazione della nuova Costituzione. Hekmatyar si dichiarò contrario all’accordo, affermando che, qualora avesse liberato la capitale con le sue forze, avrebbe detenuto il potere personalmente. Quest’affermazione convinse Massoud che il piano del suo pericoloso avversario andava fermato. Il leader tagiko entrò nella capitale su di un carro armato coperto di fiori mentre ad Hekmatyar occorse ancora del tempo per comprendere completamente ciò che era successo durante la notte e come era stato possibile essersi fatto sottrarre una vittoria personale annunciata.

Najibullah venne celermente destituito, sollevato dalle sue cariche il 18 marzo e ridotto, come il resto del suo governo, agli arresti domiciliari, mentre il palazzo presidenziale venne dato alle fiamme. Vennero inoltre avviati i tentativi di costituzione di un governo neutrale. Circa un mese dopo questi avvenimenti, il 17 aprile, l’ ex presidente tentò la fuga da Kabul, ma venne tratto ancora una volta in arresto dagli uomini di Dostum che avevano il controllo dell’aeroporto.

Nelle due giornate seguenti si svolse una vera e propria battaglia in città tra i due contendenti che, infine, vide costretto Hekmatyar a fuggire verso sud per evitare di essere accerchiato. Un altro fallimento militare macchiò la sua gloriosa carriera, la cui fortuna probabilmente era mutata con il ritiro dei sovietici.

Pochi giorni dopo la caduta di Najibullah, i suoi comandanti militari e governatori si dichiararono disposti a cedere l'autorità ai leader della resistenza e ai notabili locali in tutto il paese. Si dette in seguito vita a diversi Consigli congiunti in cui si stabilì la composizione delle nuove amministrazioni locali, in cui spesso vennero compresi anche funzionari civili e militari del regime appena deposto. Diversi rapporti indicarono che questa fase di passaggio di poteri si svolse in relativa tranquillità. Paradossalmente, la CIA ebbe un ruolo marginale nella caduta di Kabul, essendo stata costretta dall’ISI a destinare la maggior parte dei

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126 rifornimenti ad Hekmatyar ed una minima parte a Massoud, che continuò

invece ad essere sostenuto da inglesi e francesi27. La momentanea sconfitta del capo mujaheddin preferito dall’ISI non rappresentò altro che una tregua nella guerra che avrebbe insanguinato l’Afghanistan negli anni a venire; gli Stati Uniti, consci di questo fatto, decisero che Kabul era una città ancora eccessivamente insicura per farvi permanere un ambasciatore. Questa decisione non trovò d’accordo molte personalità all’interno dell’amministrazione e soprattutto nel Congresso, le quali non intravidero alcun vantaggio nel lasciare che bande di ribelli facessero del paese, dove tante risorse si erano spese28, un covo di terroristi, con conseguenze future imprevedibili. Gli interessi degli Stati Uniti avrebbero dovuto invece incentrarsi sul mantenimento della stabilità, tramite un governo che isolasse gli estremisti, in un paese dalla posizione strategica, nonché la lotta al traffico di droga ed il recupero degli “Stinger”. Questi propositi vennero illustrati in un rapporto redatto da alcuni agenti della CIA che avevano avuto dirette esperienze in Afghanistan negli ultimi giorni di vita del governo di Najibullah e, data la forza delle loro argomentazioni, meritavano certamente una considerazione maggiore di quella che ricevettero dagli ambienti dell’amministrazione.

Gli Stati Uniti decisero di dimenticare la storia dei rapporti con l’Afghanistan e di ignorare il ruolo che essi avevano ricoperto nel patrocinare la più grande guerra segreta tramite la CIA. Una guerra che si era, col tempo, trasformata nel più grande jihad dei tempi moderni. Questo conflitto contribuì senza dubbio a far crollare l’Impero sovietico ma, senza una prospettiva complessiva, si cercò esclusivamente il raggiungimento di questo fine ultimo senza preoccuparsi dei pericolosi meccanismi che erano stati messi in moto. Meccanismi della storia i quali, nel settembre del 2001, fecero tornare l’Afghanistan tragicamente alla ribalta.

27 M.Grad, Massoud, An Intimate Portrait of the Legendary Afghan Leader, Saint Louis,

Webster University Press, 2009, p.238.

28 Si calcola che gli Stati Uniti, assieme ad altri membri della coalizione come Arabia

Saudita e Repubblica Popolare Cinese, abbiano fornito equipaggiamento militare per un valore compreso tra i 6 e i 12 miliardi di dollari mentre l’Unione Sovietica riversò finanziamenti compresi tra i 36 ed i 48 miliardi.

Figura

Figura 24: I carri armati sovietici abbandonano l’Afghanistan in direzione di Termez  nel 1989
Figura 25 :  La strada che da Peshawar, attraverso Jalalabad, porta a Kabul.
Figura 26: Il grafico mostra l’andamento della produzione di oppio dal 1980 al 2005.

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