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Capitolo I La sorveglianza e il controllo sociale: cenni storici

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Capitolo I

La sorveglianza e il controllo

sociale:

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We don't need no education We don't need no thought control Pink Floyd, Another brick in the wall Part II, 1979

1.1 Per una genealogia della sorveglianza e del controllo

sociale

Se la sorveglianza non nasce con la società post-moderna, quale tipo di valore assume oggi? Come si articola? Chi ne fa uso? Perché? Esiste una filosofia della sorveglianza? Come si intersecano le nuove tecnologie ed i social network con la sorveglianza?

Per comprendere a fondo un fenomeno che ormai ha assunto dimensioni sociali significative, occorre ripartire dalla definizione del concetto di sorveglianza e di controllo sociale, per esaminare i vari significati che questi hanno assunto nel corso della storia recente. Gli storici della cultura individuano una metodologia di ricerca, che riesce ad indagare i “fenomeni umani”, partendo dal singolo “evento” (oggetto della ricerca), per ritornare ad un livello più generale di analisi utile ad una comprensione sempre più approfondita dei fenomeni sociali, nell’intento di aggiungere un nuovo frammento di conoscenza alla storia della idee e dei concetti.

Con il termine “sorveglianza” si definisce l’attività che consiste nel tenere sotto osservazione costante un gruppo di individui o una popolazione attraverso un’attenzione focalizzata sui corpi, sui dati e sui dettagli personali, i quali vengono sistematicamente monitorati,

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registrati, controllati, archiviati, consultati e confrontati1. In termini generali, per controllo sociale, si intendeva la capacità di saper regolare sé stessa, cioè di far rispettare i propri valori2. Ma quando si fa riferimento al concetto di controllo sociale, si rimanda a quelle pratiche di assoggettamento, da parte degli apparati dello Stato, volte all’imposizione di comportamenti ritenuti normali sulla popolazione, in particolare su quegli strati considerati devianti dal sistema normativo e di valori condiviso dall’intera società. Interessante notare come queste pratiche contemplino forme coercitive che talvolta culminano nella repressione più dura.

Questa definizione del concetto di sorveglianza e di controllo sociale, per quanto tecnica e puntuale nella delimitazione dell’oggetto di ricerca e nel campo di indagine, tace quando si pone la questione principale, ossia, perché la collettività umana organizzata nel consesso sociale necessita di sorvegliare e controllare altri soggetti individuali o collettivi che siano? Tralasciando teorie riconducibili alle discipline antropologiche, per cercare di fornire delle risposte esaustive alla suddetta questione, si attingerà all’analisi storica, sociologica e filosofica, proprio per valorizzarne l’origine sociale e quindi immediatamente politica del fenomeno, sottolineando che tipo di ruolo hanno giocato e continuano a giocare le nuove tecnologie ed in particolare i social network in termini di diffusione e capillarizzazione della sorveglianza e del controllo sociale.

1

Da un saggio di Andrea Mubi Brighenti dal titolo “Sorveglianza e teoria sociale”. Cfr. in D.Calenda e C.Fonio, Sorveglianza e società, Roma, Bonanno, 2009, p.31.

2 Da un saggio di V. Fiorino, Il controllo sociale: alcune riflessioni su una categoria sociologica e sul

suo uso storiografico, Cfr. in Rivista Storica,vol. 13, 1999.

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Pur non esistendo una “storia” compiuta ed organica della sorveglianza e del controllo sociale è possibile, grazie alla ricostruzione di autori e di opere come Sorvegliare e Punire3 di Michel Foucault, tracciare una genealogia dei sistemi di sorveglianza ripercorrendone le tappe evolutive dall’ancien régime fino all’età moderna e contemporanea. Nei primi capitoli l’autore si sofferma sul concetto di “spettacolarizzazione” delle punizioni, per spiegare i cambiamenti e le trasformazioni subite dal sistema penale europeo a partire dal XVIII secolo. Nella seconda parte, invece, l’autore si concentra sull’analisi della società disciplinare e dei suoi meccanismi, evidenziandone il carattere panoptico. Partendo proprio dal progetto benthamiano del Panopticon, Foucault analizza i dispositivi di sorveglianza e di disciplinamento dell’istituzione carceraria, per evidenziarne gli aspetti totalizzanti e universalistici dei meccanismi di controllo.

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1.2 Dalla spettacolarizzazione delle punizioni alla riforma del sistema penale dell’epoca dei Lumi.

Durante l’ancien régime le punizioni che venivano inflitte ai condannati, ed in particolare a quelli che si macchiavano del reato di lesa maestà, erano particolarmente cruente e contemplavano l’ostentazione della violenza e la sua pubblicizzazione. Durante le esecuzioni il popolo era praticamente obbligato ad assistere allo scempio che veniva perpetrato sul corpo del prigioniero da parte del boia: il popolo costituiva il protagonista assoluto di questo cerimoniale; era infatti indispensabile la sua presenza affinché si compiesse il rituale del supplizio.

Celebre il passo del libro dove si parla dell’esecuzione di Damiens4, in cui il condannato venne più volte torturato, squarciato, mutilato ed infine arso al rogo5. In un sistema penale così congegnato,

«il corpo è immediatamente immerso in un campo politico: i rapporti di potere operano su di lui una presa immediata, l’investono, lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo costringono a certi lavori, lo obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni6».

Se quindi il corpo è per antonomasia il luogo attraverso cui si manifestano le relazioni di potere, che valore assumono il suo supplizio e la sua spettacolarizzazione? Attraverso il martirio dei corpi

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Robert Francois Damiens, Parigi 1715 – 1757, fu un domestico francese, reo di aver attentato alla vita di Luigi XV di Francia. La condanna che gli fu inflitta per tale gesto fu quella di subire un supplizio eclatante che lo avrebbe condotto alla morte dopo atroci sofferenze dovute allo smembramento del corpo e a terribili torture. Il supplizio di Damiens, funge da incipit al libro di M. Foucault, Sorvegliare e Punire, che si apre proprio con la cronaca dell’esecuzione e del supplizio di Damiens. Altro esempio citato nel libro è quello relativo alla tragica esecuzione delle serva di Cambrai, che dopo aver assassinato la sua padrona a colpi di mannaia, ne condivise l’ orrenda sorte; la punizione inflittale dal giudice consistette proprio nel subire il supplizio riservato alla padrona.

5 Ivi, pp.5-35. 6

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si consumava il rituale politico dell’assoggettamento del potere: attaccare il monarca, ovvero il detentore esclusivo della sovranità, attraverso la minaccia all’ incolumità fisica (reato di lesa maestà), non significava altro che attaccare direttamente la legittimità del suo potere. In altre parole significava minacciare l’ordine costituito (attaccare la legge significava attaccare direttamente il monarca che da lui emanava).

L’etica della punizione esemplare, riprodotta attraverso la rappresentazione pubblica della violenza, finì con l’acquisire, in un dato sistema penale, una valenza tutt’altro che simbolica: la sua spettacolarizzazione assunse un valore esplicito ed intimidatorio nel momento in cui il popolo era direttamente coinvolto nella sua rappresentazione, al fine di acquisirne il messaggio intrinseco. Oltre ad intimidire, la funzione della spettacolarizzazione assumeva anche una funzione di disciplinamento e di controllo preventivo, nel momento in cui il comportamento dei soggetti che assistevano all’esecuzione, spinti dalla paura di subire pene e sofferenze inestimabili, si normalizzava e si piegava autonomamente al volere al sovrano. Il diritto di punire del sovrano era diretta espressione di quel diritto di spada, cioè di quel potere di disporre in maniera assoluta della vita e della morte dei propri sudditi, sussunto in questo ordinamento direttamente dal diritto romano e dall’istituto del merum imperio7. In questo sistema penale, il supplizio acquisiva

7 Secondo il diritto romano il merum imperio, è quel diritto, in funzione del quale il principe faceva

eseguire la sua legge, ordinando la punizione del criminale. Il castigo ordinato dal monarca costituiva anche il modo di perseguire una vendetta, sia personale sia pubblica, che si attuava attraverso la punizione per il disprezzo della sua autorità.

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dunque una funzione giuridico-politica, quella cioè di celebrare un cerimoniale di sovranità, che si andava ad aggiungere a quello dell’incoronazione.

La spettacolarizzazione della pena non rappresentava altro che una dimostrazione del rapporto di forza e del potere personale che il sovrano esercitava nei confronti dei suoi sudditi. Agli occhi di quest’ultimi, colui che si macchiava di reato, subendo l’ira del principe attraverso l’ostentazione della violenza, finiva con l’apparire sconfitto, dominato, vinto e annientato. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, con l’avvento dell’epoca dei Lumi, le pene corporali subirono un graduale ridimensionamento: questo fenomeno era da ricollegarsi all’esercizio assoluto del potere regio, percepito sia dagli illuministi che dal popolo, come del tutto arbitrario. Alla tirannia del potere regio, che si manifestava attraverso lo strumento della commistione di pene cruente, il popolo, guidato dall’èlite illuminista, finì col rispondere con la decapitazione del sovrano e di gran parte della nobiltà francese, la destituzione del clero e l’esproprio dei beni ecclesiastici, come compensazione e risarcimento di secoli di furti e sfruttamento. Il sistema penale non doveva più basarsi sulla volontà irrazionale del monarca ma sul principio di commistione della pena in proporzione ai delitti commessi. La regola generale seguita si fondava sul criterio dell’umanità della pena, che veniva stabilita dal Codice secondo un principio di legalità. Quello stesso principio che parallelamente si preoccupava di stabilire i limiti e le modalità di attribuzione.

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Secondo questo sistema, la pena di morte veniva commissionata solamente a coloro che si macchiavano del reato di omicidio, col risultato di abolire progressivamente le pene corporali. Il supplizio, essendo diretta espressione all’assolutismo regio, non era più tollerabile come sistema di punizione, alla stregua di come non veniva più tollerato il potere indiscriminato del monarca. Durante l’illuminismo fiorirono grandi progetti di riforma penale elaborati da importanti giuristi del calibro di Beccaria e da importanti costituenti francesi8. La repressione dei crimini abbandonava così la spettacolarizzazione della pena divenendo sempre più razionale e discreta. Il passaggio da una criminalità di sangue ad una di frode, rientrava in un ingranaggio sociale più complesso, che ricalcava i cambiamenti economici e sociali di una società investita dall’incremento demografico della popolazione e dall’ascesa del sistema capitalistico e dell’industrializzazione. È proprio in questo contesto che emerse l’esigenza di un inquadramento e di un controllo costante sulla popolazione, ritenuta prioritaria per le classi dirigenti, preoccupate di mantenere i privilegi acquisiti.

La riforma del sistema penale doveva quindi contemplare la sorveglianza capillare delle attività quotidiane dei cittadini e della loro

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Bisogna aggiungere che, nello stesso periodo, si assistette ad una riduzione dei reati di aggressione fisica o di assassinii ma si registrava un aumento dei reati legati alla violazione

della proprietà privata, come furti e truffe. La composizione sociale dei nuovi delinquenti

rifletteva un disagio sociale quanto mai diffuso: in prevalenza si trattava di nullatenenti, appartenenti al sottoproletariato urbano, che riunitisi in piccoli gruppi, cercavano di sopperire alla povertà cui erano costretti per riuscire a sopravvivere o sbarcare il lunario. Lo stesso Foucault sottolinea che il processo di trasformazione della natura dei reati non colpiva più i corpi ma i beni materiali. Altro esempio di reato che in quel periodo assunse un certo rilievo sociale era quello di vagabondaggio: fenomeno diffuso capillarmente nelle grandi città e nelle capitali, considerato all’epoca vera e propria minaccia per la proprietà privata. I differenti progetti di riforma del sistema penale, elaborati al secolo dei lumi ed in voga per tutto il XIX secolo, contemplavano l’inasprimento delle pene contro le tipologie di reati sopradescritti, ormai statisticamente più diffusi rispetto a quelli di tipo violento.

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condotta. Questo compito venne dapprima affidato esclusivamente al sistema giudiziario, coadiuvato da quello poliziesco, a cui poi si vennero ad aggiungere nuovi attori e nuove procedure di sorveglianza, come quelle di medicalizzazione. In questo nuovo sistema penale, per riuscire ad assicurare l’efficienza e l’efficacia degli obiettivi posti in essere, veniva ridisegnata l’architettura del sistema stesso che affondava le sue radici nella scienza penale illuminista. Secondo l’antica concezione, l’iter processuale si consumava interamente a porte chiuse, senza che l’accusato conoscesse i capi d’imputazione, in epoca illuminista, invece, il processo penale diventa pubblico e viene garantito il diritto di difesa9. Colui che commetteva un reato veniva meno a quel patto fondante che sanciva il fondamento della società civile, che per auto-tutelarsi e difendersi non esitava a castigare il reo con le giuste e (dovute) punizioni, compreso l’allontanamento del nemico dal corpo sociale. L’arte di punire, ossia far dipendere il delitto direttamente dal castigo secondo un principio di ponderazione, permetteva, infatti, di svincolare il legislatore da ogni responsabilità sull’attribuzione della pena, nel momento in cui il meccanismo di subalternità che intercorreva tra il castigo e il delitto era perfettamente autonomo dalla volontà del legislatore, ascrivendosi

9 In questo sistema il potere di giudicare non era più affidato alla discrezionalità del potere regio

(compravendita delle cariche e degli uffici) e non è più sua diretta emanazione, ma è indipendente da ogni forma di ingerenza del sovrano per essere espressione del potere pubblico. Implicito, in questa concezione è il passaggio ad una società che si fonda sul principio contrattualistico, in cui l’individuo non si considerava più un suddito ma un cittadino, che volontariamente stipulava un contratto con altri suoi pari, limitando l’esercizio della libertà individuale, per il raggiungimento dell’interesse generale.

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direttamente alla natura delle cose. Umanità è il sostantivo con cui veniva denominato questo nuovo sistema di economia della pena10. La società francese di fine settecento, che fa da sfondo allo scenario rivoluzionario, si troverà ad affrontare nuove emergenze sociali come l’estrema povertà che affliggeva la popolazione. Quest’ultima rappresentò la principale causa d’illegalismo diffuso, a cui sia i governi rivoluzionari, sia l’impero napoleonico e la Restaurazione, risposero con misure sempre più repressive, tese al controllo di massa e alla correzione dei comportamenti. Un sistema penale basato sull’equa ripartizione tra il delitto e il castigo colpiva solo in parte il condannato: esso era rivolto prevalentemente ai presunti colpevoli, in funzione preventiva e di normalizzazione dei comportamenti collettivi. Alla paura del supplizio viene sostituita la logica della convenienza; la punizione ed il castigo sono considerati come risarcimenti dati dal condannato ai suoi concittadini per i reati che li ha tutti lesi. Non più supplizi inutili e pene segrete ma pubblicità della punizioni e riabilitazione del colpevole. In questo sistema penale si rimarcava lo spirito puramente funzionale e materialistico delle nuove società contrattualistiche volte a considerare i condannati come proprietà della società, dalla quale quest’ultima poteva (e doveva) trarne profitto. Lo stesso Foucault sottolinea come il colpevole veniva

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Molteplici sono gli esempi riportati nel testo di Foucault. Si consideri, ad esempio, il furto. Essendo quest’ultimo l’appropriazione indebita di un bene posseduto da un soggetto,

la punizione che ad esso naturalmente si confà, consisterà nella confisca dei beni dell’usurpatore. Nel caso ancora più rappresentativo dell’abuso di potere, derivante dallo svolgimento di una funzione pubblica, la punizione consisterà nella cancellazione dei diritti civili e politici che ne hanno determinato l’acquisizione dello status sopracitato.

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utilizzato dalla società come uno schiavo al servizio di tutti11. Il corpo del condannato diventava quindi un bene sociale, oggetto di appropriazione collettiva.

La sanzione, che più si addiceva a questa nuova economia della pena, consisteva proprio nello svolgimento dei lavori forzati, considerati dal corpo sociale, come l’attività di interesse e utilità pubblica per eccellenza. La pena inflitta acquisiva un nuovo significato, che rappresentava la trasposizione fisica della Legge e del nuovo ordine costituito; l’obbligo ai lavori forzati quindi acquisiva una duplice valenza: da un lato mostrare l’ interesse collettivo per la punizione inflitta e dall’altro evidenziarne il carattere di visibilità e di controllo del castigo.Il Codice costituiva la legittimità di questa nuova pratica punitiva poiché in esso venivano contenute le leggi fondanti del nuovo ordine sociale. La punizione quindi non era (ed è ancora) altro che l’attuazione immediata del Codice: attraverso il suo carattere di visibilità si realizzava la cerimonia della ricodificazione immediata. Mediante la punizione la legge veniva ristabilita anche se la società era costretta a separarsi dal cittadino che l’aveva violata. Nel capitolo la dolcezza della pena12l’autore continua affermando che

«La punizione pubblica deve mostrare questa duplice afflizione: che si sia potuta ignorare la legge, e che si sia obbligati a separarsi da un cittadino13».

Spinto al di fuori della società civile, il condannato perdeva il proprio status di cittadino e pertanto necessitava di un percorso correttivo per

11 Cfr. M. Foucault, op.cit, p. 119. 12 Ivi,pp.113 – 144.

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essere riabilitato e reinserito. Non facevano eccezione, a questo tipo di trattamento, nemmeno coloro che, riconosciuti come insani di mente dalla corpus di medici psichiatri, finivano nelle case di cura manicomiali. In questo senso il principio correttivo, che si realizza attraverso il disciplinamento e la sorveglianza dei corpi dell’intera collettività è figlio dell’epoca dei Lumi. E’ proprio con la Modernità, infatti, che nasce l’esigenza di un controllo sociale, tanto capillare quanto invasivo, sulla popolazione.

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1.3 La società disciplinare

I progetti di riforma, elaborati dagli illuministi e recepiti dai codici napoleonici, avevano introdotto il principio di razionalità nel sistema penale francese. Questi contemplavano l’abolizione della pena di morte e delle pene corporali secondo un principio di umanità, che non considerava la solidarietà ma si orientava verso principi utilitaristici. Se nel sistema penale feudale, cosi come nell’ancien régime, la carcerazione di un individuo rappresentava una misura cautelativa preventiva ma temporanea, in quello illuminista e napoleonico la carcerazione divenne la pratica punitiva universalmente riconosciuta e trasversalmente adottata. Questa, non solo è a tutt’oggi pienamente in vigore, ma è ancora considerata come l’unica pratica punitiva possibile, nonostante nel corso della storia recente siano stati redatti progetti di riforma e diversi movimenti e gruppi politici ne rivendichino la definitiva abolizione. Le cause che portarono a questa lenta ma progressiva evoluzione sono da riscontrarsi in una pluralità di fattori : se da un lato l’incremento della popolazione e l’ascesa di una borghesia capitalista preoccupata di tutelare i propri capitali ed i propri mezzi di produzione dai propri salariati, erano stati alla base dell’esigenza di un controllo costante della medesima popolazione, dall’altro l’istituzione carceraria era, tra tutte le istituzioni dell’epoca moderna, quella che meglio soddisfaceva questo bisogno. La condizione carceraria infatti, ri-produceva ( e continua a riprodurre) perfettamente i meccanismi della società disciplinare che Foucault definisce come

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… «dotata di un apparato la cui forma è la cattura, la cui finalità è la forza lavoro, il cui strumento è l’assunzione della disciplina o delle abitudini14».

All’interno del carcere i detenuti erano ( e sono) soggetti ad un disciplinamento costante che si realizza attraverso pratiche puntuali e consolidate. L’obiettivo di queste pratiche consiste nel frantumare l’identità dell’individuo per renderlo più malleabile ed annientare in lui ogni capacità di resistenza. Una volta attuata la pratica di resa dei corpi docili, seguirà poi un’ intensa attività riabilitativa gestita direttamente da un corpus specializzato di medici e controllori, a cui verrà affidato il compito di monitorare costantemente il comportamento del soggetto e di produrre su di lui un certo sapere. Il modello, cui i riformatori attinsero per attuare questo principio si rifaceva direttamente a quello gerarchico e militare, in cui i soggetti non venivano trattati come individui ma come uomini – macchina. Secondo questa concezione, recepita dagli illuministi dall’organizzazione dell’esercito prussiano di Federico il Grande, i corpi dei soldati divenivano oggetto di sottomissione, di manipolazione e di controllo continuo per poter essere trasformati in macchine da guerra perfette, veri e propri automi, gestiti direttamente dai vertici militari. Questi corpi docili, venivano controllati al dettaglio, cioè trattati singolarmente per aumentarne le prestazioni fisiche. I metodi di addestramento utilizzati implicavano una coercizione ininterrotta; quest’ultima agiva direttamente sui meccanismi che regolavano le attività svolte dai prigionieri ed il

14 Cfr . in M. Foucault, La società disciplinare, ( a cura di Salvo Vaccaro), Milano, Mimesis, 2010,

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controllo veniva esercitato secondo una scansione scientifica dei tempi, dello spazio e dei movimenti dei corpi osservati. Foucault sottolinea come questi

… «metodi di addestramento che permettono il controllo minuzioso dell’operazioni del corpo, che assicurano l’assoggettamento costante delle sue forze ed impongono loro un rapporto di docilità-utilità: e questo ciò che possiamo chiamare le discipline

15».

In questo contesto nasce un’arte del corpo umano intesa come capacità di assoggettamento dei corpi. Questa nuova anatomia politica dei corpi, che è anche meccanica del potere, scompone l’organismo in singole unità e li ricompone per annichilirli e asservirli. La resa dei corpi docili, realizzata attraverso la coercizione disciplinare, stabilisce quindi un legame tra l’attitudine maggiorata ed una dominazione accresciuta; questo meccanismo, che l’autore definisce di microfisica del potere, si è sviluppato nel corso del tempo, per estendersi a una pluralità di istituzioni disciplinari tra le quali, oltre a quella militare, si indicano i collegi, le fabbriche, i conventi, gli ospedali, i manicomi e, tra le più emblematiche, le carceri e le prigioni. Come già accennato sopra la disciplina, per potere esercitarsi, necessita della clausura e dell’isolamento dell’individuo; cui seguirà la localizzazione elementare o quadrillage (imbrigliamento), per cui ad ogni individuo deve essere assegnato il proprio posto, nel tentativo di evitare ogni assemblaggio che non sia gestito direttamente dagli operatori del controllo. Lo spazio disciplinare atomizza gli spazi e tratta gli individui come fossero singole particelle. Questo processo, oltre ad essere funzionale all’ottimizzazione del controllo, permette di scongiurare

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comportamenti sconvenienti o anomali, in un’ottica di totale inquadramento del singolo ai diktat imposti dall’alto. Questa logica concentrazionista permette, in qualunque istante di sorvegliare la condotta di ciascuno, talvolta sanzionandola oppure omaggiandola.

… «La disciplina organizza uno spazio analitico16».

Le pratiche disciplinari, essendo funzionali all’assoggettamento dei corpi, passano attraverso l’isolamento dell’individuo, il lavoro coatto ed una sorveglianza serrata delle sue attività. L’isolamento dell’individuo, oltre ad impedire alcun contatto con l’esterno, è funzionale all’atomizzazione del soggetto rendendolo vulnerabile, impaurito ed impotente rispetto a ciò che lo circonda. Desideroso di uscire dall’ isolamento, il soggetto sarà plasmabile e flessibile, e tenderà ad interiorizzare più facilmente le prescrizioni e i precetti che gli verranno impartiti dalle figure che gravitano intorno all’istituzione carceraria quali secondini, medici, assistenti sociali e preti. Una volta decostruita l’identità del soggetto e piegata la sua volontà, le pratiche disciplinari spostano la loro attenzione sulle attività che l’individuo svolge durante le ore diurne. In questo contesto, anche l’attività lavorativa perde la sua funzione originaria cioè quella produttiva, per trasformarsi in attività di disciplinamento. Il tempo che scandisce lo svolgimento delle mansioni del lavoro penale è un tempo di trasformazione, un tempo coercitivo che regolamenta la vita del detenuto e lo rende parte integrante (soggetto-oggetto) di quel

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dispositivo repressivo e di controllo da lui stesso subito. Il tempo del lavoro in carcere è il tempo dell’ordine; è il tempo di chi deve abituarsi volente o nolente a subordinare la propria esistenza al lavoro salariato, accettando passivamente i rapporti di potere gerarchici insiti tanto in quelli di lavoro quanto nella società. Pur percependo talvolta una compensazione monetaria per le mansioni svolte, ai detenuti non spetterà altro che una retribuzione simbolica, essendo il lavoro penale una mera tecnica di correzione, di riabilitazione e di assoggettamento politico, sociale ed economico.

Sulle tecniche di sorveglianza nei luoghi di lavoro si dirà più avanti: ciò che è interessante sottolineare sta nel fatto che il lavoro penale, essendo coercitivo e gestito direttamente dagli apparati repressivi, sortisce l’effetto di abbassamento del salario di un operaio non specializzato che svolge la medesima mansione.

Tuttavia l’efficacia delle pratiche disciplinari non costituisce una variabile indipendente: per sortire l’effetto di resa dei corpi auspicato, è necessario che il detenuto sia soggetto ad una sorveglianza costante. E’ altresì indispensabile che tutte le attività e le informazioni relative al prigioniero vengano attentamente registrate e contabilizzate. La prigione, infatti, non è solo il luogo in cui il detenuto sconta la sua pena ma è anche il luogo in cui vengono prodotti dei saperi che lo riguardano direttamente; è il luogo in cui si crea la formazione di un sapere clinico17, come lo definisce il filosofo francese; è il luogo in cui si realizza appieno il panoptismo come forma concreta di esercizio del

17 Per formazione di un sapere clinico si vuol intendere il tentativo di dare una presunta oggettività,

attraverso una giustificazione di carattere scientifico, alla naturale propensione che alcuni individui avrebbero verso la criminalità e i comportamenti devianti.

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potere. La criminalità così come la delinquenza, se considerate come lo scarto psicologico della specie umana, quindi come patologie che aggrediscono l’organismo, possono essere curate con terapie adeguate, somministrate da medici specializzati. Per effetto della medicalizzazione dei comportamenti devianti la fattispecie delittuosa perde la sua consistenza giuridica trasformando colui che infrange la legge coscientemente, in un folle o insano di mente ovvero nel soggetto anomalo da riportare alla normalità. La prigione, dunque, è il luogo dove si consuma questo rituale di trasformazione e di normalizzazione,ma è anche il luogo dove si riproduce la delinquenza: gli individui che entrano in carcere, soprattutto se appartenenti alla fasce giovanili e subalterne della popolazione, una volta usciti, reiterano più volte questa esperienza. Questo fenomeno non è casuale: il prigioniero infatti nel momento in cui acquisisce lo status di detenuto, una volta scontata la pena, dovrà comunque rispondere della sua condizione di fronte agli eventuali datori di lavoro; gli sarà esclusa la possibilità di accesso a determinate cariche burocratiche o ad agevolazioni fiscali e sociali, pur avendo saldato il suo debito nei confronti della società; subirà insieme alla sua famiglia il peso dell’emarginazione sociale. Il controllo sociale e la sorveglianza del detenuto, sempre più spesso, travalicano i confini del carcere e si ripercuotono in tutti gli ambiti della vita sociale dell’ex carcerato: legato a condizioni materiali di sussistenza, l’ex detenuto non avrà altra scelta che la reiterazione del delitto, che, prima o dopo, lo porterà inevitabilmente al ritorno in carcere. Il singolo reiterante andrà quindi ad aumentare le fila di quei delinquenti abituali ed endemici,

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funzionali al sistema per lo svolgimento di traffici illegali, i cui profitti entrano direttamente nelle tasche delle classi più agiate senza passare dalla manovalanza, se non per un misero ricavo. La diffusione delle illegalità, dunque, non è che un sottoprodotto del sistema penale vigente, fatto di inclusioni ed esclusioni differenziali, utili al mantenimento ed alla crescita di un capitalismo spregiudicato ed affarista; l’altra faccia di quella legalità che a seconda del proprio interesse, stabilisce il lecito e l’illecito (effetto di giurisdizione), ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che è vero e ciò che è falso (effetto di veridizione).

Foucault definisce la prigione come la fabbrica della delinquenza, lo spazio in cui si riproduce il meccanismo di trasformazione del ceto popolare in criminale, delinquente cronico e recidivo. Il potere, che lo disciplina e lo controlla in maniera preventiva, tenta di reprimerne ogni tentativo di insubordinazione e di sovversione dell’ordine costituito, per sfruttarne all’occorrenza i servizi. Quello stesso potere che per esercitarsi necessita di un sorveglianza costante, esaustiva ed onnipresente, capace di rendere tutto visibile ma a condizione di rendere se stesso invisibile.

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1.4 L’utopia Panoptica e la nascita della società sorvegliata

Nel 1791 Jeremy Bentham nel suo epistolario dal titolo “Panopticon, ovvero la casa d’ispezione”18, spinto da esigenze di renovatio dei sistemi di detenzione divenuti per l’epoca una priorità per l’èlite illuminista, aveva ideato un progetto di penitenziario innovativo rispetto a quelli conosciuti fino a quel momento.

L’utopia benthamiana (mai realizzata effettivamente) consisteva in un edificio dalla pianta circolare con al centro una grande torre tagliata da larghe finestre, che si aprono verso la faccia interna dell’anello. Questa torre era la residenza dell’ispettore che dall’alto poteva osservare (senza a sua volta essere osservato) i prigionieri stipati in piccole celle con finestre esterne, costruite nella zona circolare su più livelli. Le celle erano separate tra loro da pareti divisorie, in modo che i prigionieri non potevano in alcuna maniera comunicare fra loro. Le fila di celle erano quindi attraversate da lunghi corridoi dove alcuni carcerieri potevano controllare i detenuti continuamente. Il detenuto era ben cosciente di essere osservato e in base a questa consapevolezza orientava la propria disciplina all’interno della struttura.

L’effetto principale del Panopticon consisteva nell’indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicurava il funzionamento automatico del potere: fare in modo che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se discontinua nella sua azione, consente al potere di rendere inutile la continuità del suo esercizio.

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Il Panopticon rappresenta un meccanismo che permette di creare e sostenere un rapporto di potere, indipendentemente da colui che lo esercita. Il detenuto, di continuo, avrà davanti agli occhi l’alta sagoma della torre centrale da dove è spiato: non saprà mai di essere relamente osservato, ma deve essere sicuro che può esserlo continuamente. Il carcerato tenderà a “normalizzare” i suoi comportamenti, spinto dalla paura di subire un sanzionamento della sua condotta e di ricevere una pena. Grazie a questo meccanismo, quindi, sarà egli stesso organico al sistema di riproducibilità del meccanismo di assoggettamento del potere, fino ad un punto in cui si verrà a delineare una situazione di perfetto automatismo.

Il Panopticon è un meccanismo di dissociazione della coppia vedere-essere visti: nell’anello periferico si è totalmente visibili senza mai riuscire a vedere; nella torre centrale il campo visivo è totale e totalizzante, senza che però gli operatori del controllo risultino mai realmente visibili. Non è un caso che il campo semantico, utilizzato investe quello della vista con i termini di visione, visibilità, visualizzazione, invisibilità ( come forma di dominio e di potere su ciò che invece rientra nel campo visivo e d’ispezione), lo stesso lessico che è attualmente utilizzato nel linguaggio corrente dei social network, come esempi di dispositivi panoptici, che si applicano oggi giorno. il Panopticon è un dispositivo che automatizza e spersonalizza il potere, chiunque infatti può esercitare il meccanismo di controllo della torre. Tanto più numerosi sono questi osservatori anonimi e passeggeri, tanto più aumentano nel detenuto, il rischio di essere sorpreso e la coscienza inquieta di essere osservato. L’autore francese

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riprende il progetto benthamiano, non nella sua natura fisica (architettonica), ma come metafora che riflette la natura stessa del Potere e la dinamica con cui si realizzano i rapporti di potere all’interno delle relazioni sociali e nella società stessa (effetto normativo). Foucault così definisce il Panopticon19:

…«Il Panopticon è una macchina meravigliosa che, partendo dai desideri più diversi, fabbrica effetti omogenei di potere20».

Oltre ad aumentare la forza del campo di ispezione, come l’autore stesso la definiva, il Panopticon identificava un modello generalizzabile di funzionamento dei rapporti tra il Potere e gli uomini ad esso soggetti. Questi rapporti di potere si caratterizzano per il fatto di essere estendibili a qualunque istituzione. Il Panopticon non dev’essere inteso solo come un edificio onirico: è il diagramma di un meccanismo di potere ricondotto alla sua forma ideale. Il suo funzionamento astratto può essere rappresentato come un sistema ottico, espressione di una tecnologia politica che si distacca da un uso specifico. Gli effetti panoptici si possono applicare a tutti quegli spazi in cui è necessario mantenere sotto sorveglianza un certo numero di persone (social network compresi).

Un esempio di applicazione dello schema panoptico è quello teorizzato da Max Weber. Quest’ultimo, nei suoi studi sociologici, ha analizzato i sistemi di sorveglianza, mettendoli in relazione con la burocrazia

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Nel Panopticon, il processo di segmentazione e atomizzazione della sorveglianza era utile anche ad un altro scopo, oltre a quello ispettivo: i detenuti, infatti, erano costretti (secondo una visione utilitaristica della carcerazione) ai lavori forzati, in modo da rendere la loro “permanenza” in carcere

produttiva per la stessa istituzione e per l’intero sistema.

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statale. Secondo il sociologo tedesco quest’ultima si basa sulla razionalità, un fattore che conferisce coerenza e che distingue la burocrazia dalle precedenti forme organizzative.

Tutta l’amministrazione burocratica si fonda infatti su documenti scritti, elaborati da una gerarchia di impiegati salariati, e su regole impersonali basate su conoscenze tecnologiche in via di aggiornamento continuo. Se da un lato con questo sistema si ottimizza l’efficienza burocratica, dall’altro si massimizzano la sorveglianza ed il controllo sociale; i documenti prodotti serviranno sia per censire i cittadini sia ad elaborare una grande schedatura dell’ individuo e dell’ intera società.

Lo Stato, controllando la popolazione fin dalla più tenera età ed in forma sempre più preventiva, attraverso un irrigidimento sociale ben definito, si assicura l’obbedienza ed il consenso da parte dei suoi cittadini, riuscendo il più delle volte a mettere a profitto le azioni ed i comportamenti dei soggetti sociali da questo osservati.

Il Panoptismo21 può essere applicato anche ad altri settori in cui operavano (ed operano a tutt’oggi) gli attori della sorveglianza. Karl Marx aveva già individuato meccanismi di sorveglianza che si inserivano all’interno del conflitto tra capitale e lavoro della fabbrica ottocentesca. Se è vero che il lavoro all’interno del sistema capitalista aveva perso, almeno formalmente, l’aspetto della coercizione che lo contraddistingueva nel sistema economico di tipo feudale, esistevano

21 Il concetto è stato rielaborato dal filosofo M. Foucault che con il termine Panoptismo identifica la

capacità che il potere ha di controllare e di asservire la popolazione. Essendo il controllo una funzione del potere il Panoptismo può essere quindi applicato a qualunque tipo di società o assetto sociale e nei confronti di qualunque soggetto. Cfr. in M. Foucault, op.cit. p.223.

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dei meccanismi di controllo che lo regolavano. Questi meccanismi, utili al mantenimento di alti livelli produttivi, venivano eseguiti direttamente dal management aziendale secondo un sistema verticistico e gerarchico. L’operaio, infatti, veniva costantemente affiancato, durante lo svolgimento delle sue mansioni in fabbrica, da un caporeparto che ne dettava i tempi di produzione, distogliendo il lavoratore da qualunque altra “distrazione” che non fosse il compimento della propria mansione. A sua volta il caporeparto “riferiva” eventuali defezioni (da richiamare e punire puntualmente, talvolta fino al licenziamento) ai quadri aziendali minori presenti nella filiera produttiva, e questi a loro volta riferivano ai superiori fino a giungere al vertice di questa piramide22. Tutte queste divisioni in serie formano quella che Foucault chiama griglia permanente, in cui la produzione si suddivide in fasi gestite dagli operai che quelle operazioni le svolgono fisicamente; la forza lavoro, oltre ad essere sorvegliata e monitorata secondo le sue unità individuali, sarà soggetta a forme di inquadramento e disciplinamento dall’alto, in cui i corpi saranno suddivisi e classificati in base al rango23 che occupano. Il disciplinamento non è altro che l’arte del rango intesa come l’arte di organizzare gli spazi in modo funzionale al mantenimento dei rapporti di potere. Primo obiettivo delle discipline è proprio quello di creare quadri viventi che trasformano le moltitudini confuse in moltitudini ordinate e asservite. La disciplina quindi rappresenta quel filo rosso

22 Cfr . in D. Lyon, L’occhio elettronico – privacy e filosofia della sorveglianza, Milano, Feltrinelli,

1997, p 45.

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che collega il singolo individuo con la molteplicità, la base per una microfisica del potere.

Il panoptismo, che si applichi in fabbrica o in prigione, o che si applichi attraverso le nuove tecnologie informatiche, al giorno d’oggi, è un intensificatore per qualsiasi apparato di potere, nuovo strumento di governo. Fa in modo che l’esercizio del potere perda il suo carattere visibilmente costrittivo per trasformarsi in un meccanismo di dominio discreto.

Lo schema panoptico, essendo formula generale di potere, è destinato a diffondersi nel corpo sociale riproducendo il carattere disciplinare della società. Elaborato da Bentham per applicarsi a un’istituzione chiusa come quella carceraria, il panoptismo crea una rete di dispositivi disciplinari che ottimizzano l’esercizio del potere rendendolo più rapido, più leggero e più efficace, occupando una posizione sempre meno marginale.

L’utopia panoptica è in definitiva quello sguardo senza volto che trasforma tutto il corpo sociale in un campo di percezione.

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