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PRIMO CAPITOLO

IL REATO DI STALKING E LA SUA

NORMATIVA

1. DEFINIZIONE DEL FENOMENO

Il termine “stalking” è una parola anglosassone utilizzata nel linguaggio tecnico dell’attività venatoria e della caccia e deriva dal verbo “to stalk” che tradotto significa “fare la posta”. Lo stalker sarebbe quindi il cacciatore in agguato che studia e attende la preda ma in realtà a differenza del cacciatore, che agisce con l’intenzione di non essere percepito dall’oggetto delle sue attenzioni se non nel momento in cui si attiva per uccidere o catturare la preda, lo stalker in molti casi si apposta ed insegue la propria vittima in maniera palese, in modo da far pesare la propria presenza; una presenza che è destinata a diventare una vera e reale intromissione nella vita privata della vittima. L’atteggiamento del persecutore si traduce nella messa in atto di comportamenti che apparentemente sono tipici di un corteggiamento o di normali manifestazioni d’affetto ma che, per il loro carattere sempre più maniacale e ossessivo, generano nella vittima un disagio

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che può portare a uno stato d’ansia e di paura che le impedisce di vivere normalmente la propria quotidianità. Lo stalker adotta una condotta che attraverso azioni sempre più invasive e assillanti gli permetta di acquisire un potere e un controllo nei confronti della vittima designata, la quale diviene l’oggetto di un desiderio di possessione di cui il molestatore non può fare a meno.

I primi a formulare una definizione operativa di stalking furono gli studiosi Paul Mullen e Michele Pathè che nel 1997 giunsero alla conclusione che questa condotta fosse riconducibile a “una costellazione di comportamenti tramite i

quali un individuo affligge un altro con intrusioni e comunicazioni ripetute e indesiderate a un punto tale da provocargli timore per la propria incolumità”1. Mullen e altri studiosi, in quegli anni, sottolinearono che gli elementi identificativi del fenomeno non devono essere individuati in base alle intenzioni del persecutore bensì dalle reazioni della vittima che deve subire delle attenzioni insistenti e non volute quotidianamente. Ciò è fondamentale per dare rilevanza a comportamenti che altrimenti rientrerebbero in un normale corteggiamento ma che invece non sono percepiti come tali.

1Diaz Rossella - Garofano Luciano, I labirinti del male, Infinito Edizioni, marzo 2013

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Nel 2001 Paolo Curci e Gian Maria Galeazzi, due psichiatri italiani, introdussero il concetto di “sindrome delle molestie

assillanti”, costituita da “un insieme di comportamenti ripetuti e intrusivi di sorveglianza e di controllo, di ricerca di contatto e di comunicazione nei confronti di una vittima che risulta infastidita e/o allarmata da tali attenzioni e

comportamenti”2. Da questa definizione emergono tre

elementi che costituiscono la sindrome:

• un soggetto attivo, lo stalker, che sviluppa una profonda polarizzazione ideo-affettiva nei confronti di un soggetto;

• una serie ripetuta di comportamenti volti alla sorveglianza, alla comunicazione e al contatto;

• un soggetto passivo, la vittima, che percepisce questi comportamenti messi in atto dallo stalker come intrusivi e sgraditi, associati a paura e minaccia.

n base quindi a questa definizione si evidenzia come sia fondamentale per lo studio del fenomeno incentrare l’attenzione sul rapporto tra la vittima e il molestatore.

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2. LO STALKING PRIMA DELLA LEGGE N°38 DEL

2009

Prima che il nostro ordinamento riconoscesse il reato di stalking con la legge n. 38 del 2009, questa tipologia di condotta la si riconduceva al reato di “Molestia o disturbo alle persone” previsto dall’art. 660 c.p. ai sensi del quale “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col

mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a € 516”. Il

reato previsto dall’art. 660 c.p., punisce quindi “la condotta,

insistente e petulante, idonea a turbare in modo apprezzabile le normali condizioni nelle quali si svolge la vita della persona molestata”3.

Il fatto previsto dall’art 660 c.p., a differenza dell’attuale normativa vigente in tema di stalking che riconduce questa condotta a un vero e proprio reato, ha natura contravvenzionale; questo implica che per configurare l’elemento soggettivo è sufficiente la volontarietà della condotta e che i termini di prescrizione siano più brevi, rispetto a quelli previsti per i delitti, ovvero di 4 anni con il

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limite ordinario finale, in presenza di atti interruttivi, di sei anni.

Il reato di molestia però, a ben vedere, è inserito nelle contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica e in realtà tutela in via principale l’ordine pubblico e solo in via secondaria l’individuo e la sua sfera psichica; da ciò se ne può dedurre l’inutilità della norma nel punire veri e propri atti persecutori consistenti in stalking. In effetti un limite di questa norma è il fatto che le azioni moleste o di disturbo sono punite solo se avvengono in “ luogo pubblico o

aperto al pubblico” intendendo con luogo pubblico quel luogo

aperto a tutti senza distinzioni (vie, piazze, giardini pubblici, ecc.), e con luogo aperto al pubblico quello in cui tutti possono entrare, anche se a determinate condizioni di tempo o di pagamento (musei, chiese, teatri, negozi, ecc.). Il requisito della pubblicità del luogo sussiste sia quando il molestatore si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico e la vittima in un luogo privato sia quando la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di una vittima che sia in luogo pubblico o aperto al pubblico. Il reato però, non sussiste quando entrambi i soggetti, il molestatore e la vittima siano in luogo privato ed è purtroppo noto come moltissimi casi di stalking e di violenza siano consumati proprio all’interno delle mura domestiche. Possiamo quindi dedurre

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come questa soluzione di ricondurre lo stalking al “reato di molestie o disturbo alla persona” non possa ritenersi sufficiente ad arginare il dilagante fenomeno delle condotte di atti persecutori. A seconda della condotta del molestatore, che spesso integra anche altre fattispecie di reato diverse dalle molestie, venivano contestati oltre al reato previsto dall’art. 660 c.p. ulteriori figure di reato oggetto di specifica sanzione quali ad esempio, l’omicidio (art 575 c.p.), le lesioni personali (582 c.p.), l’ingiuria (art. 594 c.p.), la diffamazione (art. 595 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.), la minaccia (art. 612 c.p.), la violazione di domicilio (art. 614 c.p.) o il danneggiamento (635 c.p.).

3. LA LEGGE N° 38 DEL 23 APRILE 2009

Si è iniziato a parlare di stalking negli anni 80 ma limitatamente alle molestie e alle persecuzioni che ricevevano le persone celebri del mondo dello spettacolo e dello sport, molto spesso vittime dei loro stessi fans. Proprio l’attenzione verso personaggi noti al grande pubblico e alle loro “disavventure” hanno potuto determinare meccanismi di identificazione che hanno contributo a sensibilizzare gli organi pubblici sulla necessità di introdurre nei sistemi giuridici strumenti di tutela. Molti i casi emblematici di

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questo fenomeno: “le tenniste Martina Hingis e Serena

Williams inseguite in tutti i tornei internazionali dai propri persecutori, le attrici Theresa Saldana pugnalata dal suo stalker a Los Angeles nel 1982 e Rebecca Shaffer assassinata nella sua metropoli dal suo persecutore nel 1989, episodi questi, che hanno ispirato la prima legge anti-stalking in California, in vigore dal 1992.”4 Dopo la California altri stati la seguirono e nel 1996 venne emanato “l’Interstate Stalking Punishment and Prevention Act”, normativa a livello federale. Nell'ordinamento britannico si parla, invece, di harassment e la disciplina relativa è contenuta nel Protection of Harassment Act del 1996.

Nel nostro ordinamento, solo in data 23 febbraio 2009, il governo decise di emanare il decreto legge n. 11, “Misure

urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”, detto “Decreto legge Anti‐violenze”, che ha introdotto il reato di “Atti persecutori”. E’ stata coniata, quindi, una nuova

fattispecie di reato per punire la pericolosa condotta

4 Catalli L., Miloni L., Lo stalking: definizioni ed epidemiologia, in

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persecutoria, soprattutto ma non solo, nei confronti delle donne5.

Il decreto legge è stato successivamente convertito nella legge 23 aprile 2009, n. 38 (art. 7‐12), rubricato “Disposizioni in

materia di atti persecutori”, la quale ha aggiunto all’impianto

normativo del decreto legge, delle disposizioni a tutela delle vittime del reato di stalking.

Con questa nuova normativa è stato introdotto nel codice penale l’art. 612-bis, rubricato “Atti persecutori”, che recita

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

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L’iter legislativo che ha portato alla definitiva approvazione del decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 ha avuto inizio con la presentazione del disegno di legge n. 1440 del 02 luglio 2008 dove leggiamo: “ il presente disegno di legge è stato predisposto per fornire una risposta concreta nella lotta contro la violenza, perpetrata specialmente sulle donne, sotto forma del cosiddetto «stalking» ossia delle molestie insistenti, fenomeno in costante aumento e in relazione al quale l'ordinamento non è in grado di assicurare un presidio cautelare e sanzionatorio efficace. Gli atti di violenza, in specie quelli di natura sessuale, spesso sono preceduti da atti persecutori che sfuggono ad ogni sanzione e che, con il presente disegno di legge, potranno essere finalmente perseguiti”.

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La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.”

4. IL REATO DI ATTI PERSECUTORI

L’art 612-bis c.p., che introduce il reato di atti persecutori, è stato inserito nel capo III del titolo XII, parte II del codice, nella sezione relativa ai delitti contro la libertà morale6.

6 Fiandaca G.- Musco E., Diritto Penale. Parte Speciale, Vol. II, tomo primo. I delitti

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La tutela della libertà morale, intesa come facoltà del soggetto di autodeterminarsi e di compiere liberamente le proprie scelte senza subire condizionamenti esterni7, risulta essere l’obiettivo primario della norma e deve ritenersi che con la stessa sia tutelato anche il bene giuridico dell’incolumità individuale quando le minacce e le molestie generino il perdurante e grave stato d’ansia o di paura, che se considerato come patologia medicalmente accertabile, comporta una lesione del bene salute. Si è arrivati a sostenere che il nuovo reato sia altresì destinato a tutelare la serenità psicologica e la riservatezza dell’individuo8.

Una prima analisi dell‘art 612-bis c.p. ci permette di rilevare come il legislatore abbia inteso descrivere la condotta in termini volutamente molto ampi, usando concetti generali come “minaccia” e “molestia” che costituiscono patrimonio comune del sistema penale. Entrambe le condotte di molestia e di minaccia possono presentarsi nelle forme più disparate rendendo impossibile per il legislatore prevederne e descriverne in maniera dettagliata le caratteristiche e facendo,

su cui si ancorano tutte le libertà bisognose di protezione, dalla libertà di movimento alla libertà economica e a tutte le altre libertà, inevitabilmente pregiudicate dalla aggressione alla libertà morale: rappresenta, dunque, un bene-valore assoluto ed anticipato, in senso figurato, rispetto a tutte le altre forme di libertà. Senza libertà morale appare difficile concepire una libertà di pensiero, di coscienza, di affetto, di vita di relazione, di vita sessuale, di determinazione”.

7 Sarno F., Il nuovo delitto di atti persecutori (art. 612-bis), Milano, 2010, p. 43. 8

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invece, spostare la sua attenzione sulle conseguenze che queste condotte possono avere.

Siamo quindi in presenza di un delitto sostanzialmente a forma libera9, caratterizzato dalla necessità di reiterazione delle condotte e dall’essere strutturato come reato di evento, per il quale, affinché la condotta sia punibile, è fondamentale la determinazione di un evento giuridicamente rilevante che il legislatore diversifica a seconda che si tratti di un perdurante e grave stato d’ansia, di un fondato timore per l’incolumità personale o di un prossimo congiunto, o di un’alterazione delle proprie abitudini di vita.

La struttura del delitto di atti persecutori ha stimolato la dottrina ad ipotizzare per questo reato lo schema del reato complesso previsto nell’art. 84 c.p. che definisce, appunto, come figura di “reato complesso” quel reato previsto da una norma di legge che ha come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero di per sé stessi, reato. Nel definire la fattispecie di atti persecutori, infatti, il legislatore nel descrivere la condotta, ha individuato fatti che costituiscono figure autonome di reato: la minaccia e la molestia10.

9

Pistorelli L., Il reato di “stalking” e le altre modifiche al codice penale del d.l. n. 11/2009 conv. in l. 38/2009, su www.penale.it

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Per quel che riguarda la minaccia, in base alla disciplina dell’art. 612 c.p., è chiaro che essa debba consistere nel prospettare un male ingiusto che leda la libertà morale dell’individuo.

In generale s’intende come minaccia ogni mezzo che possa limitare la libertà psichica di un soggetto e comporti per chi ne è destinatario la rappresentazione di un male ingiusto, cioè

“contra ius”, che in un futuro più o meno prossimo potrà

essergli cagionato dal colpevole11. Secondo l’art. 612 c.p. affinché sussista il reato, la minaccia, valutata con un criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze soggettive e oggettive del fatto, deve essere idonea a provocare effetti intimidatori sul soggetto passivo, anche se il turbamento psichico non si verifica in concreto.

La prospettazione di un male ingiusto che si ripercuota sulla libertà morale del soggetto può essere sussumibile anche nella condotta di stalking. Ciò che differenzia la condotta di minaccia da quella di atti persecutori è la natura dei due reati; se infatti la minaccia è reato di mera condotta, nelle ipotesi di cui all’art. 612-bis c.p. come s’è avuto modo di rilevare, decisiva risulta essere la determinazione dell’evento giuridico.

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Per quanto riguarda la molestia, prevista come reato nell’art. 660 c.p., che punisce chiunque, con dolo, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo, si differenzia dallo stalking per la sua natura contravvenzionale. Le molestie previste dall’art. 660 c.p. sono infatti diverse da quelle dell’art. 612-bis c.p.: mentre nel reato contravvenzionale, le molestie, anche quando commesse col mezzo del telefono, si caratterizzano per il fatto che sono poste in essere per petulanza o per qualsiasi altro motivo senz’altro rimproverabile, ove per petulanza deve intendersi un atteggiamento di insistenza eccessiva o di arrogante invadenza, al contrario le molestie previste dal delitto di stalking presuppongono uno stadio successivo sul piano temporale rispetto a quelle delineate dall’art. 660 c.p. Sono infatti le molestie reiterate che generano un perdurante stato d’ansia, un fondato timore per sé e per i prossimi congiunti ovvero l’alterazione delle proprie abitudini di vita, che assumono rilievo ai fini della configurabilità del reato di atti

persecutori. Inoltre, come abbiamo già visto

precedentemente12, il bene giuridico tutelato dalle due norme è differente: mentre nell’art. 612-bis si tutela la libertà morale

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del soggetto passivo e la sua integrità psico-fisica nell’art. 660 si tutela, in primis, l’ordine pubblico.

In base a tali osservazioni possiamo quindi dedurre che il reato di stalking non sia annoverabile tra i reati complessi perché l’intenzione del legislatore, nel fare riferimento alla minaccia e alla molestia, nella definizione della condotta di atti persecutori, ha avuto il fine di evitare un’indebita estensione del reato di stalking a condotte assolutamente prive di disvalore giuridico e quindi penalmente irrilevanti13.

5. L’EVENTO DEL REATO

L’analisi dell’elemento oggettivo del reato impone di qualificare il delitto previsto all’art. 612-bis c.p. come reato di danno14. Il legislatore avrebbe potuto optare per fare dello stalking un reato di pericolo: una scelta che avrebbe potuto, apparentemente, ampliare l’ambito di tutela della norma. Scegliendo per il reato di danno, il legislatore ha ritenuto di non dover aggiungere a una norma già caratterizzata da

13

Tomasicchio Antonello, , Il reato di stalking, in www.altalex.it

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Sul punto il CSM ha precisato, nel parere sul decreto legge di introduzione del reato di stalking, che “si tratta di un reato di danno e di evento la cui sussistenza richiede non solo una condotta molesta o minacciosa, ma anche il verificarsi di un'alterazione nell'equilibrio della vittima. I problemi relativi all'accertamento della situazione soggettiva della parte lesa (...) non incidono sulla indeterminatezza della fattispecie che sembra rispondere ai canoni richiesti dall'art. 25 Cost. Esistono infatti altri reati (si pensi alla circonvenzione di persone incapaci) per l'accertamento dei quali occorre realizzare un'indagine che comporta valutazioni su profili psicologici del soggetto passivo”.

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profili di indeterminatezza una connotazione della fattispecie, il pericolo, che avrebbe potuto fortemente incrementare questi profili15.

I tre eventi che la norma richiama fanno riferimento a tre possibili ambiti di “aggressione” alla persona offesa:

sul piano psicologico in riferimento a un “perdurante e

grave stato di ansia o di paura”

sul piano fisico\biologico in rifermento a un “fondato

timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine”

• sul piano del potenziale danno esistenziale in riferimento a

“costringere [la vittima] ad alterare le proprie abitudini di vita”

Affinché il reato si realizzi è necessario almeno uno di questi eventi e nulla esclude che si possano verificare tutti e tre, in conseguenza della medesima condotta.

Un dubbio di determinatezza della fattispecie può essere posto in relazione alle due forme di evento “fondato timore

per la propria incolumità o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva” e

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“perdurante e grave stato di ansia o di paura” anche se

superabile.

La prima indicazione di “fondato timore per la propria

incolumità o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva” si caratterizza più

per una connotazione letteraria anziché per il rigore descrittivo che una fattispecie penale dovrebbe avere e possiamo anche notare come sul piano logico-lessicale non sia perfettamente coordinata poiché pare che la persona per la cui incolumità la vittima di stalking abbia timore risulti essere quella legata al prossimo congiunto e non quella legata da relazione affettiva alla vittima stessa. Si tratta, evidentemente, di una svista del legislatore considerando che non ci sono ragioni logiche per cui si possa attribuire tutela al soggetto legato ad un congiunto della vittima e non a quello legato alla vittima stessa16.

E’ stato poi osservato che l’espressa previsione che il timore sia fondato potrebbe evocare una “valutazione sull’idoneità

ex ante della condotta a suscitare timore in una persona

normale”17, mentre la previsione di un reato di danno

imporrebbe al contrario un accertamento “ex post” al fine di

16

Parodi Cesare, Stalking e tutela penale, Giuffrè Editore, op. cit., p. 60.

17 Bricchetti R-Pistorelli L., Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida al Diritto,

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verificare se “l’evento concreto realizzi il pericolo tipicamente

o generalmente connesso all’azione delittuosa, così da evitare l’incriminazione di comportamenti in concreto inidonei ad offendere i beni giuridici tutelati.”18

E’ soprattutto in relazione al “perdurante e grave stato

d’ansia e di paura” che il dubbio sulla mancanza di sufficiente

tipizzazione della norma evidenzia il rischio concreto di illegittimità della fattispecie.

I primi commentatori della norma hanno ritenuto che per soddisfare il requisito di determinatezza debba “ritenersi che

la formula normativa intenda riferirsi a forme patologiche caratterizzate dallo stress e specificamente riconoscibili proprio come conseguenza del tipo di comportamenti incriminati, le quali, sebbene non compiutamente codificate,

trovano riscontro nella letteratura medica”. 19

Questa sembra essere un’impostazione condivisibile perché deve ritenersi che il legislatore, utilizzando i termini “ansia” e

“paura”, abbia fatto riferimento a elementi normativi di

carattere extragiuridico e pertanto di inevitabile connotazione incerta; questa incertezza viene limitata grazie all’utilizzo della scienza medica che è in grado di dare concretezza di significato a questi termini. La medicina legale ha già da

18 Barbazza A.-Gazzetta E., Il nuovo reato di atti persecutori, in www.altalex.it 19

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tempo definito i parametri attraverso i quali riconoscere, da un punto di vista medico, le condotte di stalking e i danni che possono essere sofferti dalla vittima di atti persecutori.

Per quanto riguarda la locuzione “alterazione delle proprie

abitudini di vita” , la si può ritenere certamente più

appropriata rispetto alla formula “scelte di vita”, di carattere molto più indeterminato, che era stata inizialmente presa in considerazione dal legislatore. Ciò soprattutto se si prende in esame il piano probatorio poiché un’abitudine si manifesta per forza di cose in comportamenti esteriori, che possono essere documentati o oggetto di testimonianza mentre le scelte restano confinate nella sfera intima della vittima del reato e possono essere al massimo narrate o dedotte; sono infatti le condotte conseguenti alle scelte che possono essere provate.

Una parte minoritaria della dottrina ma non per questo meno autorevole, contesta l’appartenenza del reato di atti persecutori alla fattispecie dei reati di danno, ritenendo che si tratti piuttosto di un reato di pericolo concreto20. Questa

20 Bonini S., Lo stalking come reato: il nuovo art. 612-bis c.p. e le fattispecie penali

previgenti, anche in prospettiva comparata, in Lo stalking. Caratteristiche del fenomeno e strumenti di tutela, Provincia autonoma di Trento (a cura di),, 2011 in www.pariopportunita.provincia.tn.it, p. 21; Lo Monte E., Una nuova figura criminosa: lo “Stalking” (art. 612-bis c.p.). Ovvero l’ennesimo, inutile, “guazzabuglio normativo”, in Ind. pen., 2010, p. 494 s.;Venafro E., Disposizioni in materia di atti persecutori, in Legisl. Pen., 3, 2009, p. 486-487 ss., Maffeo V., Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking):un primo commento al d.l. n. 11 del

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corrente ha posto l’accento sulla vaghezza e sulla difficile verificabilità degli eventi tipizzati dalla fattispecie, in particolare il perdurante e grave stato di ansia o di paura e il fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, i quali sono eventi psicologici di non facile accertamento e prettamente soggettivi poiché la reazione varia a seconda delle caratteristiche personali, delle esperienze di vita, e del contesto culturale di riferimento della vittima concreta. Secondo i sostenitori di questo orientamento gli eventi richiamati dalla fattispecie ex art. 612-bis porrebbero dei seri problemi di compatibilità con il

principio di precisione della norma incriminatrice perché non

permetterebbero di stabilire la linea di confine tra lecito e illecito, dando all’interprete un ruolo determinante per la definizione di tale confine, attraverso una valutazione del caso concreto; ciò comporterebbe anche una presunta violazione del principio di uguaglianza, il quale dovrà ritenersi trasgredito qualora “la fisiologica diversità delle interpretazioni giurisprudenziali nello stabilire la soglia della tipicità si trasformi in patologico arbitrio in mancanza di chiari parametri di riferimento e in presenza di elementi

2009 (conv. con modif. dalla l. n. 38 del 2009), in Cass. pen., 2009, p. 2725s.; Maugeri A.M., Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Giappichelli, Torino, 2010, p. 133 s.,148 ss., 153 ss., 156 ss.

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la cui interpretazione è troppo incerta (come avviene in relazione a tutti gli eventi della fattispecie in esame, anche nell’ipotesi del cambiamento delle abitudini di vita)”21. Questa parte di dottrina sostiene inoltre, che ci sia una violazione del principio di determinatezza che impone al legislatore, nel configurare i reati, di descrivere fatti suscettibili di essere accertati e provati nel processo.

Secondo questa corrente minoritaria ritenere lo stalking, reato di evento, comporterebbe che il giudizio di disvalore sugli effetti della condotta sia incentrato sulla psiche della vittima, piuttosto che sull’idoneità causale della condotta stessa22. Potrebbe quindi accadere che un comportamento non adatto a provocare uno stato d’ansia e di paura sulla base di una valutazione ex ante, acquisisca rilevanza penale quando l’evento si verifichi a causa della particolare fragilità psicologica della vittima e che, invece, venga meno la punibilità, anche se in presenza di condotte assillanti e persecutorie, laddove l’evento non si verifichi grazie alla peculiare forza di carattere di chi lo subisce e non si vede per

21

Maugeri A.M., Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, op. cit. , p. 151.

22 Cadoppi A., Efficace la misura dell’ammonimento del questore,in Guida Dir. 2009,

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quale motivo, anche in questo caso, questo soggetto non debba essere tutelato23.

Sul piano dell’interpretazione letteraria si fa leva sulla locuzione “in modo da” (cagionare, ingenerare o costringere) che introduce, nell’articolo 612-bis, le tre tipologie di evento previste ed è utile a descrivere il nesso che riconduce le condotte reiterate all’evento. Questa locuzione è priva di chiarezza e suscettibile di interpretazione, infatti potrebbe indicare che debba essere considerata solo l’idoneità della condotta a causare il danno e non la reale verificazione dell’evento descritto dalla norma24.

Coloro che sostengono questa posizione ritengono che ciò sia più conforme alla natura di reato abituale dello stalking perché il reato abituale concentra il disvalore sulla condotta reiterata posta in essere, mentre nel reato di danno non ha importanza tanto la reiterazione dei comportamenti offensivi quanto la realizzazione dell’evento che lede il bene giuridico tutelato; con questa interpretazione pare essere anche più tutelato il principio di offensività perché in questo modo “si

valorizza l’accertamento del disvalore della condotta

23

Venafro E., Disposizioni in materia di atti persecutori, op. cit., p. 488.

24

Così Lo Monte E., Una nuova figura criminosa: lo “Stalking” (art. 612-bis c.p.). Ovvero l’ennesimo, inutile, “guazzabuglio normativo”,op. cit., p. 494; Venafro E., Disposizioni in materia di atti persecutori, op. cit., p. 488; MAFFEO V., Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al d.l. n. 11 del 2009 (conv. con modif. dalla l. n. 38 del 2009), op. cit., p. 2725; MAUGERI A.M., Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, op. cit., p. 154.

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richiedendo un’oggettiva carica offensiva in termini di idoneità”25. Per integrare la fattispecie tipica, quindi, sarebbe sufficiente che si verifichi una condotta idonea a cagionare, ingenerare e costringere; in questo caso il legislatore avrebbe anticipato la punibilità al momento in cui si realizza il pericolo concreto e gli eventi richiamati dalla norma avrebbero la funzione di paramento di riferimento nella valutazione dell’idoneità della condotta, quindi la loro realizzazione concreta non avrebbe rilevanza ai fini dell’an e del quantum della punibilità. Dovrebbe essere, di conseguenza, il giudice a valutare, in base al caso concreto, l’adeguatezza causale della condotta rispetto all’evento (a prescindere che si realizzi o meno) dell’azione posta in essere26 e l’esistenza del pericolo, che porterebbero alla consumazione del reato.

6. LA REITERAZIONE DELLA CONDOTTA

Come stabilito nell’art. 612-bis c.p. affinché sia integrato il reato di atti persecutori è necessaria una pluralità di comportamenti molesti o minacciosi; si tratta quindi di un reato abituale dove la realizzazione stessa delle condotte è

25

Maugeri A.M., Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, op. cit., p. 156.

26 V. Maffeo, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al d.l.

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28

elemento costitutivo del reato. La mancata previsione del numero minimo di condotte sufficienti a configurare la fattispecie di stalking può comportare qualche problema con il principio di determinatezza; si è così sostenuto27 che questo numero di comportamenti che integrino il reato di atti persecutori dovesse essere individuato nell’ambito della discrezionalità del giudice, anche sulla base della capacità della condotta dell’agente di generare uno dei tre eventi richiamati dalla norma.

Sul tema è intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza 25527 del 7 maggio 2010 affermando che per configurare il reato ex art. 612-bis siano sufficienti due episodi di minaccia o molestia, se hanno indotto nella vittima stati di ansia e paura tali da comprometterne il normale svolgimento della quotidianità. Il sentiero interpretativo percorso dalla Suprema Corte è quindi quello che lega la reiterazione degli atti di stalking alla verificazione dell’evento. I giudici di legittimità richiamano una precedente sentenza dove con il termine reiterare si indica la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza, evincendone “che anche due condotte sono sufficienti a concretizzare

27

Panarello P, Modifiche al codice penale, in Tovani-Trinci (a cura di), Lo stalking. Il reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e le altre modifiche introdotte dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, Roma, 2009, 50 ss.

(24)

29

quella reiterazione cui la norma subordina la configurabilità della materialità del fatto”28.

Il principio enunciato dalla Cassazione può sembrare condivisibile in astratto ma se prendiamo in considerazione la struttura del delitto di stalking come reato di danno e di evento e l’indeterminatezza degli elementi costitutivi la fattispecie, può sorgere qualche dubbio.

Gli eventi richiamati dall’art. 612-bis presentano un notevole deficit di tassatività poiché vengono soggettivizzati spostando l’attenzione sugli effetti che le condotte persecutorie hanno sulla vittima e sulla sua salute, rendendo difficile per il giudice separare il risultato della condotta dall’azione ad esso legata dal nesso di causalità.

Dei tre eventi, solo quello relativo al costringere la persona

offesa ad alterare le proprie abitudini di vita è ancorato a

dati obiettivi anche se risulta subordinato alla scelta della vittima di stalking di decidere di cambiare le coordinate geografiche dei propri movimenti. Tuttavia, l’alterazione delle abitudini di vita può assumere le forme più disparate, essendo potenzialmente illimitato il novero delle abitudini modificate a causa di condotte persecutorie.

28

(25)

30

E’ evidente come per gli altri due eventi richiamati dalla norma manchi il connotato oggettivo: per quanto riguarda il

perdurante e grave stato d’ansia si cerca di recuperare la

determinatezza facendo riferimento a patologie clinicamente accertate anche se la giurisprudenza di merito ha escluso che si debba intendere il perdurante e grave stato d’ansia come esclusivo riferimento a una patologia e che debba invece essere oggetto diretto dell’accertamento discrezionale del

giudice anche attraverso le precedenti denunce o

testimonianze. Anche per l’ingenerare un fondato timore per

l’incolumità della persona offesa o di un suo prossimo congiunto o da persona alla medesima legata da relazione affettiva valgono valutazioni soggettive che variano a seconda

della diversa tipologia di vittima su cui ricade la condotta persecutoria.

Proprio l’assenza di criteri oggettivi in grado di determinare le conseguenze degli atti persecutori rende necessaria la caratteristica della reiterazione quale mezzo per dimostrare la realizzazione dell’evento e le modalità di condotte, succedutesi nel tempo, che lo costituiscono. La reiterazione, ovvero la necessità di realizzazione di una pluralità di comportamenti tipici, diventa l’elemento fondamentale per delimitare il fatto e la realizzazione dell’evento lesivo.

(26)

31

Il requisito della reiterazione degli atti di molestia o minaccia deve essere quindi ricostruito sulla base di eventi tipici che la norma richiede, in relazione alla quale, gli atti di aggressione comportino un grado di invasività nella vita della persona perseguitata tale da determinarne uno stravolgimento psichico e un’alterazione delle sue abitudini quotidiane; e sembra difficile che tutto ciò possa essere conseguenza di due soli atti di minaccia o molestia come ha invece stabilito la Suprema Corte29.

7. L’ELEMENTO SOGGETTIVO DEL REATO

Il reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis non è caratterizzato da un dolo specifico: non è previsto quindi che le condotte di minaccia o molestia siano volutamente finalizzate a determinare uno dei tre eventi previsti dalla norma. Affinché ci sia il reato è sufficiente il dolo cosiddetto generico, fermo restando che, essendo lo stalking appunto un reato di evento, l’autore della condotta dovrà, almeno in via eventuale, rappresentarsi e volere uno dei tre eventi descritti dalla norma.

29 Minnella Carmelo, Confini ancora troppo incerti per il delitto di stalking, in

(27)

32

Per come è stata delineata la fattispecie questa risulta compatibile con l’ipotesi del delitto tentato, prevista all’art. 56 c.p. anche se l’idoneità degli atti ad integrare la fattispecie dovrà essere commisurata alla necessaria reiterazione delle condotte. In sostanza una singola minaccia o molestia non potrà di per sé costituire il tentativo, potrebbe caso mai valere come tentativo “inidoneo”, non previsto però dalla legge come reato.

Si è posto il dubbio sulla possibilità di configurare gli atti persecutori in presenza di dolo eventuale, con il quale l’agente non ha il proposito di cagionare l’evento delittuoso, ma si rappresenta la probabilità o la semplice possibilità che questo si verifichi e ne accetta il rischio. Il dolo eventuale si differenzia dal cosiddetto dolo diretto non intenzionale, che ricorre ogni qual volta la realizzazione dell’evento si presenti all’agente come altamente probabile o certa conseguenza della sua azione; il dolo diretto si collocherebbe tra la forma meno intensa di dolo eventuale, quella cioè, dove l’agente si rappresenta la possibilità che l’evento accada in conseguenza della propria azione e quella più intensa di dolo intenzionale dove la realizzazione del fatto è proprio lo scopo perseguito dall’agente. La forma di dolo diretto (non intenzionale) è compatibile con il tentativo.

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33

Da tali presupposti possono condividersi le perplessità espresse in dottrina in ordine alla possibilità di configurare gli atti persecutori in presenza di dolo eventuale: “in tal caso, il

soggetto, pur ammettendo che si rappresenti ed accetti la concreta possibilità di realizzare la condotta tipica, pare ostico si configuri altresì il rischio di verificazione di uno degli eventi descritti dalla norma incriminatrice; in altri termini, l’introduzione della locuzione “in modo da cagionare”, pare restringa l’operatività del momento soggettivo alla situazione corrispondente ad un’assoluta omogeneità tra il momento rappresentativo e quello volitivo in capo al soggetto.”30

8. ATTI PERSECUTORI E RAPPORTI CON ALTRE

FATTISPECIE

L’art. 612-bis c.p. contiene una clausola di sussidiarietà “salvo

che il fatto costituisca più grave reato”, così che l’interprete

dovrà verificare se le condotte accertate siano in effetti riconducibili ad altre disposizioni penali, escludendo l’applicazione in concreto di quelle da reputarsi meno gravi il cui disvalore risulti assorbito dalla nuova fattispecie.

30

(29)

34

Inizialmente, durante i lavori parlamentari, la Commissione

Giustizia della Camera dei Deputati aveva votato

sull’eliminazione della clausola di sussidiarietà perché si

temeva che il reato di atti persecutori venisse

sistematicamente assorbito dalla commissione di altre fattispecie più gravi integrate dal medesimo fatto (come le lesioni personali gravi, la violenza sessuale, l’omicidio volontario)31; fu la necessità di evitare un concorso di reati,

che avrebbe comportato l’applicazione di pene

eccessivamente sproporzionate, a convincere la Camera ad approvare l’emendamento che reintroduceva la clausola32. Se, ad esempio, prendiamo in esame il reato di atti persecutori e quello di violenza sessuale, previsto dall’art. 609 c.p., dobbiamo chiederci se tra le due fattispecie sia ipotizzabile il concorso; considerando la clausola di sussidiarietà presente all’art. 612-bis sembrerebbe che questa fattispecie debba essere assorbita dai reati più gravi.

Secondo un’interessante opinione dottrinale33, per valutare la

portata effettiva della suddetta clausola dobbiamo

considerare il rapporto di sussidiarietà tra norme, il quale ci

31

Vedere Resoconto della seduta della Commissione Giustizia della Camera del 6 novembre 2008

32

Vedere resoconto della seduta della Camera n. 122 del 28 gennaio 2009

33

Valsecchi Alfio, Il delitto di ”atti persecutori” (il cd. Stalking) in Il “pacchetto sicurezza 2009”, in Mazza O. e Viganò F. (a cura di), Giappichelli Editore, 2009, p.256.

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35

permette di distinguere tra un concorso reale di reati o un concorso apparente; questo rapporto implica che ci sia una fattispecie principale che assorbe una fattispecie secondaria, prevedendo una pena più severa e che tuteli lo stesso bene giuridico tutelato dalla norma sussidiaria34. Il criterio di sussidiarietà si basa su una valutazione sostanziale: la fattispecie principale assorbe quella sussidiaria perché punisce lesioni più gravi dello stesso bene giuridico oppure perché punisce delle lesioni a più beni giuridici tra i quali risulta essere anche quello tutelato dalla norma sussidiaria. Se questa conformità, almeno parziale manca, allora non può esserci nessun assorbimento perché ciascuna fattispecie rappresenta un diverso disvalore meritevole di autonoma punizione.

Sulla base di quest’orientamento, la normativa sugli atti persecutori tutela, come bene giuridico, la tranquillità dell’individuo, ovvero un bene diverso da quello tutelato dalle norme che incriminano le lesioni gravi, la violenza sessuale e l’omicidio; da ciò si è dedotto che se lo stalker va oltre la sua attività persecutoria sconfinando in una di queste fattispecie più violente, si avrà un concorso tra il reato previsto ex art. 612-bis e il reato più grave, con la sola eccezione dell’omicidio volontario, nel quale, il reato di stalking, risulta essere una

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36

circostanza aggravante speciale, dovendosi semmai ravvisare un rapporto di continuazione fra la persecuzione e l’attuazione della violenza.

D’altronde i sostenitori di quest’opinione ritengono che il reato di atti persecutori non sia costituito dall’aggressione fisica della vittima ma da quelle condotte reiterate che anticipano e lasciano intravedere una futura violenza. Se per esempio dopo un’attività persecutoria durata diversi giorni, lo stalker attende sotto casa la vittima e la violenta, avremo un concorso materiale di reati in continuazione tra loro. Se, invece, la condotta dell’agente si realizza in ripetute violenze mancherà del tutto il fatto costitutivo degli atti persecutori e quindi non si porrà neppure il problema di un eventuale concorso apparente di norme perché la molestia nel reato di stalking, ha natura diversa dalla violenza fisica.

Se prendiamo in considerazione il principio di specialità sancito dall’art 15 c.p., il concorso formale di reati apparentemente integrati dalla stessa fattispecie, è escluso quando un reato è configurato come speciale rispetto all’altro. Sotto questo aspetto, c’è chi sostiene che il reato di violenza sessuale sia speciale nei confronti del più generico reato di atti persecutori35 e di conseguenza il concorso del reato di

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37

stalking con delitti più seri sia possibile solo quando la condotta più grave punisca esclusivamente una parte della condotta dell’agente oppure non esaurisca l’intero disvalore del fatto; e chi sostiene che i due reati non riguardino la stessa materia e quindi non abbiano rapporto di specialità l’una con l’altra, escludendo il concorso apparente di norme36.

Sul tema la giurisprudenza di merito37 ha stabilito che la clausola di sussidiarietà “salvo che il fatto non costituisca più

grave reato” dell’art 612-bis, non opera quando il reato più

grave s’identifica, in concreto, solo con una parte delle condotte poste in essere dallo stalker e che rientrano nella fattispecie degli atti persecutori, perché il delitto più serio in questo caso, non assorbe tutto il disvalore di quest’ultima. Da ciò possiamo dedurre che se gli atti persecutori sono finalizzati ad ottenere prestazioni sessuali dalla vittima, allora potrà essere contestato al soggetto agente solo la violenza sessuale; ma se il fine delle condotte persecutorie non è esclusivamente quello di giungere ad un approccio sessuale, puntando invece a provocare quegli effetti tipici previsti dall’art. 612-bis (stato d’ansia, paura per l’incolumità, cambiamento delle abitudini), ritenere tutte le condotte assorbite dal reato di violenza sessuale significherebbe non

36

Venafro E., Disposizioni in materia di atti persecutori, op. cit., p. 485.

37 Trib. Bari, 6 aprile 2009, ordinanza n. 347; Trib. Crema 18 dicembre 2009 n. 766;

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38

punire tutti quei comportamenti assillanti che hanno genesi e finalità del tutto diverse.

A sommesso avviso di chi scrive tra le due figure di reato non sarebbe possibile l’assorbimento perché è necessario mantenere l’identità diversa delle due norme; l’art. 612-bis offre una tutela preventiva della dignità umana (l’uomo nel suo diritto di autodeterminarsi) e questo rappresenta un bene giuridico diverso dalla norma che tutela l’integrità sessuale, inoltre nel reato di violenza sessuale è presente una componente di violenza fisica che invece non c’è negli atti persecutori. Anche sul piano strutturale le due norme divergono poiché mentre l’atto sessuale è un atto istantaneo, la condotta persecutoria è costituita da una reiterazione nel tempo ed è proprio da questa ripetizione che deriva la sua punibilità. Tra le due fattispecie, quindi, sarà possibile solo l’ipotesi di concorso di reati.

Quando fu introdotta la nuova normativa in tema di atti persecutori furono due le critiche principali che furono poste: era necessaria una norma ad hoc? E la norma concretamente adottata era sufficientemente determinata per far si che

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39

rispettasse il canone di tassatività e di conseguenza l’art. 25 della Costituzione38?

Se è vero che il sistema penale già comprendeva varie fattispecie che avrebbero potuto adattarsi alle esigenze di

38

Il rischio di dar luogo ad una norma incriminatrice carente in punto di determinatezza fu avvertito anche nel corso dei lavori parlamentari. Si veda al riguardo l’intervento di Emendamento dell‘On.le Della Monica: “la norma finisce con l'incriminare comportamenti che scontano una certa indeterminatezza. Tutto questo potrebbe non rispondere ai canoni dell'articolo 25 della Costituzione e condurre inesorabilmente all'assoluzione”. Da parte di molti si è detto come aleggi sull’art. 612bis c.p. lo spettro (e la sorte) del delitto di plagio (art. 603 c.p.), per l’appunto dichiarato incostituzionale per violazione dell’art. 25, comma 2 Cost. Cfr. Corte Cost., sent. n. 69/1981: “onere della legge penale e` quello di determinare la fattispecie criminosa con connotati precisi in modo che l'interprete, nel ricondurre un'ipotesi concreta alla norma di legge, possa esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da fondamento controllabile. Tale onere richiede una descrizione intellegibile della fattispecie astratta, sia pure attraverso l'impiego di espressioni indicative o di valore e risulta soddisfatto fintantoché nelle norme penali vi sia riferimento a fenomeni la cui possibilità di realizzarsi sia stata accertata in base a criteri che allo stato delle attuali conoscenze appaiano verificabili. Se un simile accertamento difetta, l'impiego di espressioni intellegibili non è più idoneo ad adempiere l'onere di determinare la fattispecie in modo da assicurare una corrispondenza fra fatto storico che concretizza un determinato illecito e il relativo modello astratto. Ogni giudizio di conformità del caso concreto a norme di questo tipo implicherebbe invero un'opzione aprioristica e perciò arbitraria in ordine alla realizzazione dell'evento o al nesso di causalità fra questo e gli atti diretti a porlo in essere, frutto di analoga opzione operata dal legislatore sull'esistenza e sulla verificabilità del fenomeno. Pertanto, nella dizione dell'art. 25 Cost., che impone espressamente al legislatore di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell'intellegibilità dei termini impiegati, deve logicamente ritenersi anche implicito l'onere di formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà. Sarebbe infatti assurdo considerare determinate, in coerenza col principio di tassatività della legge, norme che, sebbene concettualmente intellegibili, esprimano situazioni e comportamenti irreali o fantastici o comunque non avverabili ovvero concepire disposizioni legislative che inibiscano o ordinino o puniscano fatti che per qualunque nozione ed esperienza devono considerarsi inesistenti o non razionalmente accertabili”. Con specifico riferimento agli eventi, si veda Valsecchi A., Il delitto di “atti persecutori” (il cd. stalking), in Il “pacchetto sicurezza” 2009, op. cit., p. 243 e ss., ad avviso del quale l’unico evento dotato di “consistenza materiale” sarebbe quello afferente la modifica delle abitudini di vita. Secondo Bricchetti R.– Pistorelli L., Entra nel codice la molestia reiterata, in op. cit., pag. 59, invece (e preferibilmente) l’unico evento dotato di rilevabilità pratica è quello del perdurante e grave stato di ansia o paura, trattandosi di una vera e propria patologia.

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tutela derivanti dal fenomeno dello stalking è altrettanto vero che, data la sua ampiezza e la sua complessità, l’argomento non poteva dirsi esaurito sul piano del disvalore penale dai reati già esistenti. Ciò è reso ancora più evidente dal divieto di interpretazione in malam partem riconosciuto dal nostro ordinamento, che avrebbe censurato un’eccessiva dilatazione delle fattispecie utilizzate in tema di stalking. Si è quindi dovuto introdurre una norma specifica che fosse capace di disciplinare una realtà così poliedrica e che fosse sufficientemente determinata ma non tanto da risultare oggettivamente incapace di adattarsi a quella stessa realtà sulla quale è chiamata ad incidere. Il legislatore ha quindi dovuto “rischiare una norma indeterminata- rectius ai

margini dell’indeterminatezza- proprio perché solo

muovendosi su tale e delicato confine si poteva ragionevolmente ricomprendere nella norma stessa la maggior parte di quei comportamenti che erano stati socialmente percepiti come illeciti in quanto espressivi di stalking”39.

39

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41

8.1. CONFRONTO CON IL REATO DI

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

Il carattere di reato abituale del delitto di atti persecutori ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a confrontare la fattispecie ex art. 612-bis c.p. con il reato di maltrattamenti in famiglia previsto nel codice penale all’art. 572 che al 1° comma recita “Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo

precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni”.

Sul piano strutturale pertanto il reato di maltrattamenti, come quello di stalking, presuppone una reiterazione di condotte40 dirette a cagionare una lesione dell’interesse penalmente rilevante e si realizza nelle ipotesi in cui si maltratta una persona della famiglia. Il reato di maltrattamenti si configura quando si fa soffrire, si maltratta,

40 Nella fattispecie dell’art. 572 c.p. non vi è alcun riferimento al termine

reiterazione ma il legislatore sceglie di utilizzare la parola “maltratta” che presuppone già sul piano semantico la continuità non meramente episodica della condotta. Sul tema vedere Coppi F., voce Maltrattamenti in famiglia, in Enc. dir., vol. XXV, Giuffrè, 1975, p. 250, il quale evidenzia come il legislatore abbia prescelto “un termine che esprime un significato di durata di protrazione, di reiterazione nel tempo”; solo la condotta che si manifesti con tali caratteristiche assumerà il contenuto di offesa per il bene protetto.

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si picchia, si offende o si umilia una persona della famiglia; quindi gli atti che integrano la fattispecie di maltrattamenti, sono quei comportamenti vessatori che provocano sofferenza, privazione e umiliazione ad un componente della famiglia e gli comportano un disagio continuo. Nel reato di atti persecutori invece l’attenzione si focalizza su azioni e condotte della vita di relazione: le telefonate, la ricerca di contatto e la comunicazione che tuttavia assumono rilevanza penale, ove reiterate nel tempo e contro l’altrui volere, in quanto idonee a limitare la sfera di libertà della persona offesa.

Una differenza fra le due figure di reato è pertanto l’interesse penalmente rilevante che deve essere tutelato: mentre il delitto di maltrattamenti ha natura plurioffensiva e tutela l’integrità della famiglia e il decoro di chi subisce i maltrattamenti, il reato di atti persecutori tutela la libertà di autodeterminarsi del soggetto passivo e la sua salute psicho-fisica dato che generalmente la vittima finisce con il soffrire di depressione, ansia e mancanza di concentrazione. Questa differenza si rispecchia anche nella diversa collocazione delle due norme all’interno del codice penale; infatti l’art. 572 c.p., che disciplina i maltrattamenti in famiglia, è inserito nei “delitti contro l’assistenza familiare” mentre il 612-bis, che

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disciplina gli atti persecutori, è collocato nei “delitti contro la libertà morale”.

Con la sentenza n. 24575 del 24 novembre 2011 la Corte di Cassazione ha preso in esame in modo dettagliato il rapporto tra i maltrattamenti in famiglia e gli atti persecutori e ha sostenuto che “l'oggettività giuridica delle due fattispecie di

cui agli artt. 572 e 612-bis c.p. è diversa e differenti sono i soggetti attivi e passivi delle due condotte illecite, ancorché le condotte materiali dei reati appaiano omologabili per modalità esecutive e per tipologia lesiva”. Il reato di

maltrattamenti infatti è un reato contro l’assistenza familiare e presuppone che esista un rapporto di famiglia tra l’autore e la vittima, intendendosi per famiglia un gruppo di persone tra le quali si siano instaurati rapporti di assistenza e solidarietà reciproche per un apprezzabile periodo di tempo, senza la necessità di una convivenza o di una stabile coabitazione. Il reato di atti persecutori , invece, è un reato contro la persona che può essere commesso da chiunque e non presuppone l’esistenza di interrelazioni soggettive specifiche.

Ulteriori differenze sottolineate dai giudici di legittimità, tra le due fattispecie, sono:

• il fatto che il per il reato di atti persecutori, l’integrazione del delitto, non è esclusa dalla reciprocità dei

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44

comportamenti molesti; in tal caso deve valutarsi se si configuri una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da permettere la qualificazione delle condotte di molestia e di minaccia come atti persecutori. Nei maltrattamenti invece il reato può sussistere solo in quanto espressione di una condotta di un’abituale e prevaricante supremazia alla quale la vittima soggiace; quindi se le violenze e le umiliazioni sono reciproche, anche se di gravità diverse, non si può dire che ci sia un soggetto maltrattato e uno che maltratta.

Il fatto che anche se lo stalking ai sensi dell’art. 612-bis, come i maltrattamenti in famiglia, è un reato abituale la Suprema Corte ha ridotto ad una soglia minima quella abitualità persecutoria che la norma richiede, ritenendo che “anche due soli episodi di minaccia o molestia possono

valere ad integrare il reato di atti persecutori previsto dall'art. 612-bis c.p., se abbiano indotto un perdurante stato di ansia o di paura nella vittima, che si sia vista costretta a modificare le proprie abitudini di vita”41. Viceversa per l’integrazione dei maltrattamenti in famiglia non sono sufficienti sporadici atti lesivi di diritti fondamentali della persona ma questi comportamenti devono essere analizzati in un quadro unitario che faccia

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(40)

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emergere l’imposizione di un regime di vita oggettivamente vessatorio ai soggetti passivi che la subiscono.

Il rapporto tra il reato di maltrattamenti e quello di atti persecutori è regolato dalla presenza, nell’art. 612-bis, 1° comma, c.p. di una clausola di sussidiarietà (“salvo che il

fatto costituisca più grave reato”) che rende applicabile il

reato di maltrattamenti, più grave per pena edittale rispetto agli atti persecutori nella sua forma generale ex art. 612-bis, 1° comma, c.p. La situazione però si complica quando, come previsto nelle ipotesi aggravate dell’art. 612-bis, l’autore sia il coniuge legalmente separato o divorziato o un soggetto che sia stato legato da relazione affettiva alla persona offesa. In questo caso i giudici di legittimità affermano che “la forma

aggravata del reato prevista dal 2° comma dell'art. 612-bis c.p. recupera ambiti referenziali latamente legati alla comunità della famiglia e che ne costituiscono - se così può dirsi - postume proiezioni temporali”42. Si tratta quindi di stabilire quando la sequenza cronologica che parte dai maltrattamenti in famiglia, durante la convivenza e prosegue con le condotte persecutorie post separazione, possa arrivare a configurare il reato di atti persecutori a titolo di concorso.

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Una parte della giurisprudenza di merito ha sostenuto che quando tra la vittima e l’agente vi è un rapporto di convivenza

che successivamente viene concluso, si passa dai

maltrattamenti consumati durante la convivenza, agli atti persecutori dopo la cessazione della stessa; essa ha sottolineato che “il reato di atti persecutori di cui all’art.

612-bis c.p. è caratterizzato da ripetute condotte di appostamento, comportamenti intenzionali, finalizzati alla molestia con effetto di provocare disagi psichici, timore per la propria incolumità e quella delle persone care, pregiudizio alle abitudini di vita, si distingue da quella di maltrattamenti poiché le condotte del denunciato sono reiterate e ingenerano un fondato timore da parte della vittima, di un male più grave pur senza arrivare ad integrare i reati di lesioni o maltrattamenti”43. Si delinea così una sorta di muro divisore di applicazione della fattispecie legato al momento temporale della cessazione della convivenza.

Questa interpretazione è stata contrastata dalla

giurisprudenza di legittimità che ha ricondotto le condotte successive all’allontanamento della persona offesa dalla casa familiare e più in generale dal termine della convivenza, al reato di maltrattamenti ai sensi dell’art 572 c.p.

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Un’altra parte della giurisprudenza di merito ha escluso il concorso tra le due fattispecie ritenendo che “reiterate e

offensive manifestazioni di aggressività e violenza reiterate dal coniuge per convincere la moglie a riprendere la convivenza, e costituenti prosecuzione di precedenti manifestazioni aggressive attuate presso il domicilio

familiare mentre i rapporti coniugali stavano

deteriorandosi, rimangono assorbite nella fattispecie di maltrattamenti in famiglia e come tali sanzionate, non potendo concorrere l’ulteriore contestazione di atti persecutori”44.

Anche in dottrina le differenze tra i due reati non sono state ritenute tali da ammettere il concorso delle relative fattispecie incriminatici. “Si ricordi che la clausola generale "maltratta"

prevista dall'art. 572 c.p., che si deve realizzare con una condotta idonea ad offendere l'incolumità psico-fisica e la personalità della vittima, consente di ricomprendere quelle condotte reiterate con le quali si minaccia o molesta un soggetto in modo da cagionare un grave e perdurante stato di ansia e di paura, un fondato timore o un cambiamento delle abitudini di vita, punite ex art. 612-bis come atti persecutori. Laddove la condotta persecutoria si realizza

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nell'ambito di rapporti previsti dall'art. 572 c.p. prevale quest'ultima fattispecie più grave”45.

La corte di Cassazione nella sentenza n. 24575 ha ripreso quest’ultimo orientamento, escludendo il concorso delle due fattispecie quando le condotte persecutorie si realizzano nell’ambito di rapporti previsti dall’art. 572 c.p., prevalendo in questi casi quest’ultima fattispecie più grave. Il concorso viene ammesso solo nel caso in cui sia cessato il sodalizio familiare e affettivo e ciò, per la Suprema Corte, più avvenire con la pronuncia di divorzio o con la definitiva cessazione del rapporto affettivo. Non è quindi sufficiente la sola separazione perché vi sia concorso tra i maltrattamenti e gli atti persecutori e la corte ha affermato che anche in caso di separazione legale (oltre che di fatto) si ha la rilevabilità del reato di maltrattamenti, sottolineando che “al venir meno

degli obblighi di convivenza e fedeltà non corrispondendo il venir meno anche dei doveri di reciproco rispetto e di assistenza morale e materiale tra i coniugi”. Così facendo la

Cassazione ha ridotto l’ambito di applicazione del reato di atti persecutori ai danni del coniuge, del convivente o persona legata da relazione sentimentale poiché in questi casi, laddove siano stati contestati entrambi i reati, i relativi fatti andranno

45 Maugeri A.M., Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione

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49

tutti inquadrati nell’ambito dei maltrattamenti in famiglia; in definitiva l’aggravante prevista al 2° comma dell’art. 612-bis che prevede l'aumento di pena per il caso che il soggetto agente sia legalmente separato, ovvero divorziato o persona che sia stata legata da relazione affettiva non restringe l’ambito di applicazione del reato ai sensi dell’art 572 c.p.

8.2. CONFRONTO CON IL REATO DI VIOLENZA

PRIVATA

Il reato di violenza privata viene disciplinato all’art. 610 del c.p. , posizionato tra i reati “contro la libertà morale” e sanziona con la reclusione fino a 4 anni la condotta di chi “con

violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa”.

In base al principio di specialità previsto dall’art.15 c.p., non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza, sia fisica che morale, sia stata utilizzata per uno dei fini particolari previsti da altre ipotesi di reato, visto il carattere sussidiario dell’art. 610 c.p. il quale non è applicabile se il

fatto ricade sotto un’altra fattispecie delittuosa

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vento della pace e farà piovere benedizioni straordinarie sulla grande Famiglia delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Anche quest’anno le vicende della guerra

c) Vacanze. Il Direttore vegli perchè anche durante le vacanze si osservino le R egole. N on tralasci il sermoncino della sera, ancorché siano pochi gli alunni e

Ond’è che Noi ben di cuore facciamo l'augurio che tale programma sia nel prossimo Congresso oggetto di utili deliberazioni in armonia coi bisogni di questi tristissimi tempi, ed

cabili, meravigliosi, nell'esercizio del ministero sacerdotale e delle opere di carità; ma Don Cafasso doveva consacrarsi all'educazione del giovane clero, mentre