RECRUITING: KNOCKIN’ KNOCKIN’
ON HEAVEN’S DOORS?
Il processo di selezione è la porta di ingresso/il labirinto/il ponte levatoio che conduce al Regno aziendale, in cui c’è la mia cultura organizzativa, con i suoi driver
e le sue resistenze, («mie le regole, mio il castello»); quindi riflettiamo insieme:
1) siamo sicuri che chi ci gestisce questa «porta» lo faccia in coerenza con la cultura aziendale? La «porta» scelta ci somiglia davvero?
2) siamo sicuri di aver tramesso bene a chi deve reclutare risorse per me le «regole del mio castello», perché le metodologie scelte per la selezione siano coerenti con la
mia cultura aziendale?
3) saremo all’altezza delle aspettative di chi da quella porta /labirinto/ ponte levatoio ha fatto ingresso?
4) quanto siamo pronti a perdere entro un anno quelli che non ci hanno trovato all’altezza di quanto prospettato nel «contratto psicologico» firmato a fine dell’iter di
selezione? E perdendoli, come li gestiamo? Perché attenzione, contribuiranno alla nostra brand reputation, nel bene e nel male, anche in funzione di come abbiamo
gestito la loro uscita …
5) saremmo disponibili a ri-accogliere il lavoratore che bussi alla nostra porta … di nuovo?
6) 4 generazioni in azienda: se dobbiamo fare inserimenti in almeno 3 delle
4 ☺ siamo sicuri che la stessa «porta» vada bene per tutti?
Un «X Generation» troverà giusto/agevole entrare dalla stessa «porta» di un Millenials? (Baby boomers/X Generation/Y Generation/Z generation o Millenials/»Mobile
generation» un domani…)
7) siamo sempre certi che cercare un «uguale a» sia la scelta giusta, o piuttosto potremmo voler cercare un «diverso», un «disruptive» rispetto
alla cultura esistente? Nel caso, è una richiesta consapevole e ben
trasmessa al recruiter, e quindi al candidato (che dovrà sapere che avrà una tale valenza) oppure … è un effetto collaterale?
8) le più innovative tecniche di selezione stanno spostando il focus da
«persona giusta-con-risposte-giuste al posto giusto» a persona con soft skill sempre meglio descritte, che per essere valutate richiedono tecniche di recruiting più coinvolgenti, esperienziali, interattive, veri e propri eventi aziendali (Career Day, sponsorship di eventi universitari, ecc.); siamo come Aziende disposti a metterci la faccia? A «nasconderci» meno dietro ai nostri
recruiter?
9) E come gestiamo quelli che sono rimasti fuori dalla porta? Non
contribuiscono forse anche loro alla nostra brand reputation? Prima dei social media, il «fallimento» in ingresso era una questione personale, ma ora? Ne
abbiamo assunto uno, che per quanto felice e in gamba non «riequilibrerà»
con i suoi commenti sui social i 299 (magari nostri followers) che sono rimasti fuori dalla porta …
Buon lavoro quindi, alla ricerca di nuove domande e di buone riflessioni!
«Tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli
di convenienza e decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e i modi collaudati per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabili sembrano in piena trasformazione. Si ha la sensazione che vengano giocati
molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno.
Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso»
Zygmunt Bauman in “L'istruzione nell'età postmoderna»
A cura di Dania Marchesi
Gruppo di lavoro AIDP Internazionale