CARLO CARRETTO
IO, FRANCESCO
Cittadella Editrice Edizioni Messaggero
Copertina di Ettore Marzano
© Cittadella Editrice - Assisi Edizioni Messaggero - Padova
ISBN 978-88-308-0898-0 ISBN 978-88-50-190-9
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PRESENTAZIONE
Non pensavo sarebbe stato facile persuadere Fratel Carlo a scrivere un nuovo libro dato che aveva da pochi giorni consegnato alle stampe il libro sulla Madonna:
«Beata te che hai creduto». Proprio per questo tenevo in serbo una proposta alternativa e meno impegnativa.
«Fratel Carlo – dissi appena mi sedetti accanto a lui sull’erba vicino all’Eremo Giacobbe – lei dovrebbe scri- vere un libro su san Francesco, in occasione dell’ottavo centenario della nascita del Santo».
Ci fu un breve silenzio. «Non avevo pensato a que- sto – rispose. – Mi sembra una bella idea. È un santo meraviglioso. Ci penserò».
Questo volume dimostra che Fratel Carlo sa mante- nere anche le mezze promesse.
È comprensibile la mia curiosità di leggere il ma- noscritto, quando mi comunicò di aver pronto il volu- me dopo che si era ritirato per alcuni mesi nell’Eremo Francescano di Narni.
Se oggi ho l’onore di presentare quest’ultima gioiosa fatica di Fratel Carlo Carretto, non è solo per aderire a un suo desiderio, ma soprattutto per augurare ai molti lettori le stesse emozioni che io ho provato leggendo, senza soste, queste pagine dallo stile inconfondibile e avvincente dell’Autore.
Parlare oggi dell’attualità di san Francesco rischia ormai di essere un luogo comune, soprattutto se questa affermazione viene fatta da un francescano. È bene però aggiungere che Francesco, prima di essere il fondatore di un Ordine, va considerato come un dono di Dio a tutta la Chiesa, un dono che l’arricchisce di virtù e la stimola, con una straordinaria testimonianza, a rivivere il Vangelo di Cristo.
È in questa luce che tutti i Francescani intendono ricordare e celebrare l’ottavo centenario della nascita:
con una volontà di rinnovamento-conversione, con un impegno di servizio, fedele e generoso alla Chiesa.
«Io, Francesco» fa del Poverello di Assisi il biogra- fo di se stesso. A qualcuno potrà sembrare un titolo e un ruolo presuntuoso. Questo «espediente» letterario si è invece rivelato particolarmente efficace per esprimere l’animo del Santo, i suoi sentimenti, più che a raccontare episodi quasi disincarnati dalla realtà. Gli uni e gli altri comunque vengono espressi con una assoluta fedeltà alle Fonti e aderenza allo spirito dell’Assisiate.
Emergono e si evidenziano alcuni messaggi che rivi- vono nei nostri tempi con irruente attualità.
L’invito alla forza risolutiva della non-violenza che l’Autore sottolinea nella interpretazione di alcuni epi- sodi, storici o leggendari, della vita del Santo è uno dei tanti esempi.
San Francesco, vale la pena ricordarlo, non ha mai parlato contro la guerra. Egli si è fatto, con la parola e con l’esempio, araldo di pace. Ai suoi frati raccomandava di essere miti, di non litigare, di non polemizzare. Egli volle essere profeta della non-violenza, ma più ancora un assertore della forza dell’amore, perché aveva saputo:
«scoprire - come scrive Fratel Carlo - che la creazione è un tutt’uno, progettato da un Dio che è Padre, e se tu ti presenti come lui disarmato e pieno di pace, la creazione ti riconosce e ti sorride. Ciò che è straordinario nel fatto del lupo di Gubbio non è che si sia ammansito lui, è che si sono ammansiti loro, gli abitanti di Gubbio, e che davanti al lupo che si avvicinava infreddolito e affamato gli fossero corsi incontro non con le roncole e le accette ma con pezzi di cibo e polenta calda».
La povertà vista più come imitazione del Cristo e for- za liberatrice, che come motivo socio-politico. Francesco e i suoi primi compagni sanno che l’assoluto distacco dalle cose permetterà loro di vivere più vicini a Dio, di correre da un luogo all’altro, per rivelare l’amore del Cristo e la legge della fraternità universale in un mondo, anche allora, diviso e inaridito dall’egoismo.
L’amore alla Chiesa, venuto meno in tanti che vole- vano il suo rinnovamento, resta totale e incondizionato in Francesco il quale conosceva, non meno degli eretici, le de- bolezze e le infedeltà degli uomini che la componevano.
Qualcuno, di fronte a certe affermazioni alquanto provocatorie, riferite a problemi più del nostro tempo che di quello di Francesco, sarà tentato a pensare che Fratel Carlo abbia sopraffatto o si sia sostituito alla voce mite del Poverello. Non va però dimenticata l’energia con cui Francesco stesso interveniva quando la parola risultava vana.
Questo è un libro giovane perché le nuove gene- razioni vi possono trovare una risposta alle loro ansie profonde, alle generose aspirazioni, alle esigenze di au- tenticità e di cristiana coerenza. La risposta di Francesco, a Dio e alla vita, porta il timbro dei vent’anni.
Questo è un libro giovane, ma non fatto solo per i giovani. Tutti vi possono trovare, nella continua caduta di miti, un richiamo o un invito ai valori perenni, umani e cristiani, che rendono giovane e più accettabile la vita.
Queste pagine avvincenti come un romanzo, provoca- torie come un’offesa alla nostra mediocrità, stimolanti come una meditazione, mostrano in Francesco d’Assisi il tipo ideale del cristiano per i nostri tempi.
P. ErnEsto Caroli
francescano Bologna, «Antoniano», Festa dei Santi Francescani 29 novembre 1980
IL SOGNO DELLA SANTITÀ
Almeno una volta nella vita abbiamo sognato di di- venire santi, di essere santi.
Affaticati dal peso delle nostre contraddizioni, per un momento abbiamo intravisto la possibilità di fare unità e luce in noi.
Inorriditi dal nostro egoismo abbiamo, per lo meno nel desiderio, spezzato le catene condizionanti dei sensi e intra- visto la possibilità di una vera libertà e autentico amore.
Annoiati da una vita borghese e fiacca ci siamo visti sulle strade del mondo portatori di un messaggio di luce e di fratellanza capaci di offrire sull’altare dell’amore gratuito la testimonianza di una vita in cui il primato della povertà e dell’amore avrebbe facilitato le comuni- cazioni e i rapporti con i fratelli.
È allora che Francesco in qualche modo è entrato nella nostra vita.
È difficile che esista cristiano – cattolico, protestante, ortodosso che sia – che non abbia identificato il concetto di santità nell’uomo con la figura di Francesco d’Assisi e non abbia in qualche modo desiderato di imitarlo.
Come Gesù è il fondamento, Maria la madre e Paolo l’apostolo delle genti, così Francesco è il tipo che incarna in tutte le Chiese la figura ideale dell’uomo che tenta
l’avventura della santità e che la esprime in un modo veramente universale. Chi ha pensato possibile la santi- tà nell’uomo l’ha vista nella povertà e nella dolcezza di Francesco, s’è unito alla sua preghiera nel Cantico delle Creature, ha sognato il superamento del limite dovuto alla incredulità e alla paura al di là del quale si possono ammansire i lupi e parlare ai pesci e alle rondini.
Direi che Francesco di Assisi è nel fondo di ogni uomo, toccato dalla grazia, come è nel fondo di ogni uomo il richiamo alla santità.
E in tutti i tempi Francesco, pur essendo ben incar- nato nella storia, lo puoi mettere fuori della storia.
Lo puoi mettere con i primi cristiani itineranti per le strade dell’Impero romano recando con sé la gioia di un messaggio veramente nuovo, lo puoi mettere nel me- dioevo come riformatore e restauratore di una Chiesa in- debolita dalle lotte politiche e minata dal compromesso, lo puoi mettere al tempo del barocco a richiamare con la sua inusitata povertà e umiltà l’orgoglio dei chierici per il loro sacerdozio dominatore più che servo del popolo.
Lo puoi mettere oggi come tipo dell’uomo moderno che esce dalla sua angoscia e dal suo isolamento per rianno- dare il discorso con la natura, con l’uomo e con Dio.
Soprattutto con Dio.
E mi spiego.
Se è vero, come è vero, che stiamo attraversando l’epoca più atea di tutti i tempi, è altrettanto vero che basta un nulla per rovesciare la situazione.
Un catalizzatore piccolissimo può provocare il fini- mondo in un mare saturo di elementi preparati e purifi- cati dalla sofferenza e dalla serietà della ricerca. Ormai sono abituato a vedere conversioni più tra «i lontani»
che tra «i vicini» e quando mi tocca parlare di Dio, i più interessati ad ascoltarmi sono coloro che l’han sempre negato.
Sovente il «tutto no» addensatosi fino all’inverosi- mile sul fondo di ricerche libere e autentiche esplode in un «tutto sì» sotto il lampo provocatorio dell’Assoluto.
La materia stessa vista come vuota di un Dio inutile, s’illumina di una presenza sempre presente che torna a parlare dal profondo del suo mistero.
In fondo l’ateismo contemporaneo, nella sua immen- sa fatica di liberarsi da una cultura religiosa passata, si trova alla vigilia di una esplosione di fede che, a motivo di una nudità e trasparenza più grande, ha acquistato una capacità più vitale a contemplare l’unità del Tutto come segno della Immanenza di Dio nelle cose e perfetta Trascendenza di Lui Triplice Persona Divina.
* Ma come partire?
Come trovare in noi la forza di credere alla pos- sibilità di rinnovare il mondo, di ritrovare la pace e la gioia perduta, di risentire la speranza di costruire sulla roccia?
Abbiamo tutti l’impressione di essere giunti a un nodo della storia, al termine di un lungo periodo mille volte disastrato e giunto alla sua agonia.
C’è chi parla di apocalisse imminente, di terrore ato- mico. Ma anche se non vogliamo giungere fin là, aiutati in fondo dalla speranza, che è una triste speranza, che la pace si regge sulla paura e che proprio la paura terrà gli uomini lontani dalla tentazione di schiacciare i bottoni
della guerra, sentiamo un certo disagio quando incolon- nati dietro macchine e macchine avvertiamo con tristez- za che lo sforzo tecnologico ci ha condotti in un tunnel oscuro e antipatico dove si respira male.
E che dire quando in una mattina grigia d’autunno vediamo uscire dalla nebbia un torrentello dove da ra- gazzi andavamo a sguazzare felici, ora ridotto a un lurido corso d’acqua coperto di schiuma e invaso da montagne di detriti vero simbolo della civiltà del benessere?
Il disagio che proviamo è più grande di quanto possa apparire alla prima impressione e fa molto più male di quanto pensiamo.
Alla lunga distrugge la gioia, toglie la pace: ci rende nervosi e cattivi.
Finiamo per odiare tutto e tutti. Per non pensarci buttiamo giù un po’ di alcol o fumiamo una sigaretta.
Però sotto ci fa ancora male e rende opaco l’orizzon- te della vita.
Se davanti ai nostri occhi compare l’edificio della nostra scuola o dello stabilimento dove lavoriamo o se intravediamo la nostra stessa casa che ci siamo costruiti con tanta fatica, ci viene la voglia di non entrare e lo stesso lavoro quotidiano ci appare inutile.
Perfino il campanile della nostra chiesa non ha più il potere di parlare o di entusiasmarci. Troviamo inte- ressante solo la fuga o il desiderio di gustare qualcosa di nuovo, fosse anche pericoloso, e diveniamo disponibili a ogni tipo di avventura proibita.
Anche i buoni vengono meno: le mamme si fanno assenti ai loro figli e i padri han sempre da fare qualco- sa lontano da casa. È l’inizio della china e il risultato che è in noi e da cui non possiamo sfuggire è la noia,
la sfiducia nella società e nel lavoro, l’aridità del cuore, l’ingordigia del piacere fisico come surrogato di valori ormai distrutti o compromessi.
Basta far passare sotto lo sguardo l’elenco dei film prodotti in questa epoca, basta trascorrere una notte in una stazione ferroviaria divenuta dormitorio pubblico degli sradicati, basta stare alcune ore in un ambulatorio della Neuro di un qualsiasi ospedale di città, dove con- fluiscono i drogati alla ricerca del metadone, per convin- cerci che siamo giunti a un punto di rottura di una gra- vità eccezionale e di una ampiezza mai sperimentata.
Come un’epidemia covata da tempo il male ha inva- so il corpo intero. È in alto, è in basso, è dentro, è fuori;
è ovunque.
Ho rivisto nei giorni scorsi il muro di Berlino; que- sto assurdo che si protrae nel tempo mentre attorno tut- to avviene come se niente fosse.
Ho avvertito come mai che quel muro era soltanto un segno esterno di infiniti altri muri che dividono gli uomini e le cose. Il muro è dentro di noi e divide ricchi da poveri, popolo da popoli, figlio da padre, uomo da uomo, uomo da Dio.
Siamo divisi, spaccati fin nel profondo delle visce- re come lo è il muro di Berlino tra tedeschi e tedeschi, come lo è Gerusalemme tra ebrei e arabi, come è l’uomo solo nel cosmo che lo circonda.
Tutto è ancora immobile ma tutto è pronto per saltare in aria.
Sì, lo credo: potremmo essere alla vigilia dell’Apoca- lisse... a meno che...
*
Sono venuto quassù allo Speco di Narni per tra- scorrere qualche mese di solitudine. Ancora una volta mi sono lasciato tentare dal deserto che è stato per me sempre l’alcova del mio amore per l’Assoluto di Dio e il luogo dove la carità affiora. Questa solitudine francesca- na vale la solitudine delle dune di Beni Abbes o l’aspro deserto dell’Assekrem. In fondo tutto nasce dalla stessa radice perché quando il P. de Foucauld cercava il deserto africano faceva la stessa cosa di Francesco quando cer- cava il silenzio delle Carceri sul Subasio o l’asprezza di Sasso Spicco alla Verna.
Ciò che conta è Dio, e il silenzio è l’ambiente rav- vicinato di lui.
Ho cercato questo eremo perché è uno dei luoghi privilegiati del mondo francescano, dove il santo soggior- nava a diverse riprese e dove il tutto è fuso in una unità perfetta. Bosco, pietra nuda, architettura, povertà, umiltà, semplicità, bellezza, formano uno dei capolavori con cui si esprime il francescanesimo dando ai secoli un esempio di pace, preghiera, silenzio, rispetto ecologico, bellezza, vittoria dell’uomo sulle contraddizioni del tempo.
A guardare questi eremi dimora di uomini pacificati dalla preghiera e dall’accettazione gioiosa della povertà, si ha la risposta agli angosciosi dissidi che travagliano la nostra civiltà.
Vedete, ci dicono queste pietre: vedete che è possi- bile la pace. Non cercate il lusso nel fare le vostre case ma l’essenzialità. Allora la povertà diventerà bellezza e armonia liberante come potete vedere in questo eremo.
Non distruggete i boschi per fare stabilimenti che au- menteranno la disoccupazione e i disagi, ma aiutate gli
uomini a reinserirsi nelle campagne, a godere del lavoro artigianale e ben fatto, a risentire la gioia del silenzio e del contatto con la terra e con il cielo. Non ammucchiate denaro che la svalutazione e i rapinatori vi insidieranno, ma tenete aperta la porta del cuore al dialogo col fratello e il servizio al più povero.
Non prostituite il vostro lavoro costruendo oggetti che dureranno mezza stagione consumando le poche ma- terie prime che ancora avete, ma fate secchi come questo secchio che vedete qui su questo pozzo e che tira su ac- qua da secoli ed è ancora in servizio.
Parlate tanto male del consumismo per riempirvi la bocca di parole e far tacere la cattiva coscienza e nello stesso tempo siete fedeli servi di esso incapaci di novità e fantasia.
E poi...
Toglietevi di dosso la paura del fratello ma andategli incontro disarmati e miti. È un uomo come voi, bisogno- so di amore e di fiducia come voi.
Non preoccupatevi di «ciò che mangerete e di ciò che vestirete» (Mt 6,25), state calmi: non vi mancherà nulla. «Cercate piuttosto il regno di Dio e la sua giusti- zia» (Mt 6,33) e tutto vi sarà dato per giunta. «Basta a ogni giorno il proprio affanno» (Mt 6,34).
Insomma: questo eremo parla.
Parla e dice che la fraternità è possibile.
Parla e dice che Dio è padre, che le creature sono sorelle, che la pace è gioia.
Basta volerlo.
Provate, fratelli, provate e vedrete che è possibile.
Il Vangelo è vero.
Gesù è il Figlio di Dio e salva l’uomo.
La non violenza è più costruttiva della violenza.
La castità è più gustosa dell’impudicizia.
La povertà è più interessante della ricchezza.
*
Provate a pensarci, fratelli. Che cosa straordinaria ci sta di fronte.
Il progetto Francesco applicato ci eviterebbe l’apoca- lisse atomica.
È sempre così: Dio propone la pace.
Perché non tentare?
Carlo CarrEtto
INDICE
Presentazione ... pag. 5
Il sogno della santità ... » 9
Io, Francesco ... » 17
È il povero che salva ... » 5
Il Dio povero ... » 31
Il mistero della povertà ... » 37
L’allegra compagnia ... » 48
Chiara, sorella mia ... » 58
Questa è letizia ... » 70
Chiesa mia, Chiesa mia ... » 8
L’eloquenza dei segni ... » 98
Il primato della non violenza... » 107
La notte oscura ... » 117
È la Pasqua ... » 18 PREGARE CON FRANCESCO Invitatorio ... » 139
Mattutino ... » 140
Lodi ... » 143
Prima ... » 145
Terza ... » 147
Sesta ... » 149
Nona ... » 151
Vespro ... » 153
Compieta ... » 155
Con Maria ... » 157