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SPECIALE DELLA SETTIMANA

Articolare la flessibilità della prestazione lavorativa a livello

individuale o aziendale: forme di flessibilità degli orari di ingresso al lavoro

di Dimitri Cerioli

Analizzando il tema della flessibilità appare evidente come non esista una definizione univoca di questo concetto nel diritto del lavoro: con questo termine si è soliti indicare la tendenza o il tentativo di allentare le rigidità della normativa su di un singolo istituto giuslavoristico. Gran parte del dibattito teorico, sociologico e politico relativo alla flessibilità nel diritto del lavoro, storicamente, si concentra sulla proliferazione delle tipologie contrattuali di lavoro

subordinato atipiche. Per alcuni questa flessibilità si traduce in un’attenuazione delle tutele del lavoratore, per altri sfocia inevitabilmente in una vera e propria precarietà: il lavoro a tempo parziale, a tempo determinato, la somministrazione di lavoro, le 3 tipologie di apprendistato, il lavoro intermittente, introdotte prima col D.Lgs. 276/2003, sono state in seguito confermate e riformate dal D.Lgs. 81/2015. È evidente come la flessibilità concentrata sulle forme contrattuali sia il contrappeso alla rigidità delle norme previste in materia di licenziamento illegittimo, all’interno di un mercato del lavoro poco dinamico come quello italiano.

Esiste, però, anche un’ulteriore accezione del termine flessibilità nel diritto del lavoro, che attiene alla possibilità delle parti contrattuali di allentare le rigidità degli istituti relativi allo svolgimento del rapporto di lavoro. Con il presente articolo si inaugura una serie di interventi sul tema, partendo dall’orario di lavoro.

Premessa

Prendendo a riferimento il momento in cui si attiva si potrebbe definirla flessibilità

endocontrattuale, per contrapporla a quella precontrattuale, che incide sulla fase preventiva della scelta della tipologia contrattuale da utilizzare. È una flessibilità che non viene

osteggiata dalle parti sociali, che non è terreno di scontro e che ha come obiettivo, da un lato, il miglioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori al fine di conciliare i tempi di vita e di lavoro, dall’altro, il favorire una maggiore competitività dei datori di lavoro. Questa

flessibilità è potenzialmente riferibile a tutte le forme contrattuali di lavoro subordinato, comprese quelle atipiche, e interviene prevalentemente su questi istituti:

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forme di flessibilità degli orari settimanali di lavoro;

forme di flessibilità in caso di maternità e congedi parentali;

il lavoro a distanza e lavoro agile o smart working;

la regolamentazione delle forme di lavoro atipiche: lavoro a tempo parziale, a tempo determinato, in somministrazione, intermittente;

le ferie solidali;

la formazione come strumento per consentire una maggiore flessibilità dei lavoratori;

la flessibilità delle mansioni.

La fonte normativa di questa flessibilità è quasi sempre il contratto collettivo, in particolare quello di secondo livello, sia esso territoriale o aziendale. Non vi sono norme di Legge a essa specificamente dedicate. L’articolo 9, L. 53/2000, finalizzato a promuovere azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, si limita a destinare fondi per l’erogazione di contributi in favore di datori di lavoro che attuino accordi contrattuali che promuovano e incentivino azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro. Si lascia alle parti sociali il compito di regolamentare la flessibilità, indicando solo gli istituti su cui intervenire per

introdurre azioni positive:

forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, orario flessibile in entrata o in uscita, su turni e su sedi diverse, orario concentrato;

part-time reversibile;

telelavoro e lavoro a domicilio;

banca delle ore;

programmi e azioni volti a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di congedo parentale;

misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro.

In modo molto innovativo, già vent’anni fa si promuoveva l’idea di poter prevedere negli accordi l’applicazione di sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati in aggiunta alle forme di flessibilità degli orari di lavoro e dell’organizzazione del lavoro.

Regioni, Provincie, Comuni e altri enti locali, in questi anni, hanno utilizzato tali fondi per promuovere progetti attraverso bandi.

Ad oggi, gli strumenti giuridici attraverso cui introdurre la flessibilità nei contratti collettivi di secondo livello sono sostanzialmente 2:

1. la contrattazione di prossimità ex articolo 8, D.L. 138/2011;

2. gli accordi interconfederali, quali ad esempio quello del settore industriale del 28 giugno 2011.

Al di là dei tecnicismi nei contratti collettivi troviamo 2 modalità di intervento:

su sollecitazione da parte del Legislatore con la tecnica dell’integrazione del precetto normativo primario attraverso il ricorso, con varie modalità, alla fonte contrattuale

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collettiva;

su sollecitazione autonoma delle parti sociali stipulanti il contratto collettivo.

Con particolare riferimento alla seconda casistica, analizzando il contenuto dei contratti collettivi, appare evidente la tendenza a filtrare l’interpretazione delle norme e a integrarla, spesso in modo creativo, privilegiando alcuni aspetti o interpretazioni di una determinata normativa, attribuendosi il potere di interpretare la norma in modo più flessibile al fine di contemperare degli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori o adeguarsi alle specificità del comparto produttivo. Questo consente alle parti stipulanti di bilanciare gli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, ma anche di adeguarsi alle specificità del comparto produttivo. È evidente che in questo caso occorre porre molta attenzione a che le previsioni contrattuali non siano in contrasto con le norme di Legge. Evento che potrebbe verificarsi, ad esempio, nel corso del tempo, quando l’emanazione di nuove norme finisce per rendere le previsioni

contrattuali obsolete o non compatibili con il nuovo contesto giuridico. La continua riscrittura delle norme di Legge nel corso degli anni spesso comporta un lavoro di esegesi difficile: in questi casi non sempre si riesce a stabilire se le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima dell’entrata in vigore di una norma, con riferimento al previgente quadro normativo, mantengano la loro validità.

In questo articolo cercheremo di concentrare la nostra attenzione sulle forme di flessibilità degli orari di ingresso al lavoro contenute nei contratti collettivi di lavoro. Seguiranno poi ulteriori interventi relativi agli altri aspetti della flessibilità evidenziati in precedenza.

La normativa relativa all’orario di lavoro è contenuta nel D.Lgs. 66/2003. Questo è uno degli esempi in cui è abbondante l’utilizzo del meccanismo di delega alla contrattazione collettiva a integrare le previsioni di Legge. Gli aspetti relativi a:

orario normale di lavoro;

durata massima dell’orario di lavoro;

lavoro straordinario;

pause;

ferie;

lavoro notturno;

sono tutti integrabili o disciplinabili, per espressa previsione di Legge, dai contratti collettivi.

La parola flessibilità nel D.Lgs. 66/2003 non è presente, eppure l’orario di lavoro è uno degli strumenti più utilizzati per rendere flessibile la prestazione di lavoro. L’orario di lavoro è fissato su base settimanale. Non esiste una definizione di orario di lavoro giornaliero, se non rilevabile per differenza tra le 24 ore totali e le ore di riposo giornaliero continuativo pari a 11 ore.

Chi stabilisce l’orario di lavoro? Quando inizia l’orario di lavoro? Come si computa l’orario di

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lavoro?

La determinazione dell’orario di lavoro

A partire dal 2003 non è più obbligatoria per Legge l'esposizione della tabella dell'orario di lavoro in azienda. L’orario di lavoro è stabilito dalle parti alla stipula del contratto di lavoro individuale. Nella prassi, la forma comune con cui viene predisposto un contratto di lavoro è la lettera di assunzione, consegnata dal datore di lavoro al lavoratore, dopo una “trattativa”

precontrattuale che non sempre vede i lavoratori quali parti particolarmente attive. La Direttiva 533/1991, attuata dal nostro Legislatore con il D.Lgs. 152/1997 disciplina oggi l’obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore sulle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro[1].

L'individuazione precisa, sulla lettera d'assunzione, della dislocazione oraria della prestazione lavorativa, permette al datore di lavoro di fissare l'obbligo di presenza sul posto di lavoro del dipendente. Per i lavoratori con contratto a tempo pieno non è obbligatorio indicare in modo puntuale l'articolazione dell'orario di lavoro. Tale obbligo è previsto solo per contratti di lavoro a tempo parziale, per i quali è necessario indicare sia la durata della prestazione sia la precisa collocazione oraria all'interno del periodo di riferimento, tipicamente: la settimana, ma anche il mese o l'anno in alcuni casi.

Qualora il datore di lavoro applichi un contratto collettivo di lavoro, ovviamente, oltre alle limitazioni previste dalla norma di Legge, sarà soggetto alle previsioni di questo.

I Ccnl prevedono generalmente indicazioni precise sulla durata a livello settimanale o

multiperiodale. Ove presenti, i contratti collettivi aziendali potrebbero contenere previsioni in merito alla collocazione dell’orario di lavoro in modo più puntuale. A livello aziendale, un ulteriore strumento utilizzato a tal fine potrebbe essere il regolamento interno. Questi 2 strumenti possono entrare nel dettaglio della collocazione oraria, introducendo regimi di flessibilità che quasi sempre tendono a favorire, per i lavoratori, un’entrata o un’uscita che consenta la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Alcuni esempi concreti di contratti collettivi nazionali e di secondo livello possono essere di aiuto a comprendere alcuni aspetti relativi alla disciplina dell’orario di lavoro e alle possibilità concrete di flessibilità ad esso connesse.

Nel Ccnl Metalmeccanica industria, nel Titolo III - Orario di lavoro, all’articolo 1 si prevede che l'entrata e l'uscita dei lavoratori dall'azienda sia regolata dalle disposizioni aziendali, che dovranno definire l'orario di accesso allo stabilimento e quello di inizio del lavoro. All'inizio dell'orario di lavoro, il lavoratore dovrà trovarsi al suo posto per iniziare il lavoro. In sede aziendale potranno essere definiti sistemi di flessibilità in entrata e in uscita dell’orario di lavoro giornaliero.

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Esempi di regolamentazione aziendale nel rispetto dei principi delineati dal Ccnl possono essere i seguenti.

Nel primo esempio viene concessa la flessibilità a tutta la popolazione aziendale, con l’esclusione di alcuni addetti a particolari attività di contatto con il pubblico/clientela o di supporto ai colleghi.

Fac simile - Concessione della flessibilità a eccezione di alcune attività

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