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(1)Parere ai sensi dell’art

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Parere ai sensi dell’art. 10 L. 24 marzo 1958, n. 195 sul testo del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 9 febbraio 2011, concernente:

“Interventi in materia di efficienza del sistema giudiziario”.

(Delibera del 13 luglio 2011)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 13 luglio 2011, ha adottato la seguente delibera:

«Premessa.

I. L’efficienza della giustizia è al centro dell’ attenzione dell’Italia giudiziaria da tempo. Già nei primi anni ‘80 il C.S.M. ed i Ministri della giustizia dell’epoca avevano rivolto ripetutamente il loro interesse al tema finchè, più di recente, dopo l’approvazione della riforma dell’art. 111 Cost., con l’inserimento in Costituzione dei principi del “giusto processo”, il Consiglio superiore ha dedicato la propria relazione al Parlamento per l’anno 2001 alla “ tutela dei diritti, efficacia e tempi della giurisdizione”.

Negli stessi anni, dopo l’approvazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 di “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo”, il perdurare e il moltiplicarsi delle condanne dell’Italia, da parte della Corte di Strasburgo, per la violazione del principio della durata ragionevole – riferibile al settore civile ed al settore penale – determina anche sollecitazioni da parte del mondo dell’economia, con le “Considerazioni”

del Governatore della Banca di Italia Draghi1 e le indicazioni della Banca Mondiale sul ritardo nel recupero dei crediti.

Ma il tema della lentezza dei giudizi non riguarda solo l’Italia. Il Consiglio superiore, proprio quest’anno, con la partecipazione al progetto Timelness nell’ambito dei lavori dell’ENCJ (network della rete dei Consigli di giustizia dei Paesi dell’Unione europea) è impegnato in una ampia e comparata discussione che consente di constatare che si tratta di problematica che interessa tutti i sistemi giudiziari della Unione Europea che inoltre, al pari dell’Italia, sono tutti coinvolti nella riduzione delle risorse finanziarie disponibili per la giustizia a causa della crisi economica mondiale. Nei giorni scorsi la delegazione del CSM alla Assemblea generale dell’ENCJ a Vilnius ha contribuito ad approvare la “Vilnius Declaration on challenges and opportunities for the judiciary in the current economic climate”.

Dichiarazione che richiama la Raccomandazione del Consiglio di Europa del 17 novembre 2010 (CM/rec (2010) 12, nella parte in cui prevede che “Ogni Stato deve assegnare ai tribunali risorse, strutture e attrezzature adeguate che consentano loro di operare in conformità alle esigenze di cui all’art.6 della convenzione di Strasburgo e per consentire ai giudici di lavorare in modo efficace”.

La dichiarazione contiene varie raccomandazioni tra cui quella che “la giurisdizione deve continuare a garantire, anche in situazioni di crisi economica, il diritto fondamentale di ciascun cittadino di accesso alla giustizia, di effettiva protezione dei diritti fondamentali e di una risposta giudiziaria di qualità in un tempo ragionevole”.

II - L’Italia ha, però, una particolarità se è vero che gli stessi dati internazionali raccolti in sede di Consiglio di Europa hanno attestato nell’ultimo rapporto della CEPEJ del 2010 che in Italia, insieme a Portogallo, Lettonia ed altri 3 Paesi, non si raggiunge una velocità di liquidazione dell’arretrato accettabile.

1 Nelle “ considerazioni” del Governatore della banca d’Italia - sin dal 2007 – è posta attenzione al tema e, nella recente relazione del 31 maggio 2011 si afferma “ la necessità che venga affrontato alla radice il problema dell’efficienza della giustizia civile…perché l’incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel funzionamento dell’economia, oltre che di ingiustizia”.

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Queste indicazioni2 confermano la complessità del tema in esame che richiede una riflessione attenta sulle ragioni e sulle cause emerse nell’accertamento della responsabilità dell’Italia per la violazione del principio della ragionevole durata del processo3 e in sede di conclusioni espresse sulle motivazioni dei ritardi da parte dai titolari dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati e degli altri dipendenti del settore giustizia. Le citate fonti di conoscenza hanno evidenziato una responsabilità complessiva del sistema giudiziario italiano che include molteplici protagonisti. Il magistrato che ha depositato la sentenza, infatti, è solo l’ultimo “ responsabile “ di una lunga filiera che, risalendo a ritroso, riguarda i precedenti magistrati assegnatari della causa, il presidente della sezione, il Capo dell’Ufficio, il Dirigente amministrativo, il personale amministrativo, il Consiglio giudiziario, il Consiglio superiore della magistratura, il Ministro della giustizia e il mondo forense dell’avvocatura.

La responsabilità del sistema è del sistema. Parcellizzare non serve. Occorre una riflessione ampia che deve essere svolta con avvedutezza e collaborazione istituzionale concreta, reale e di lungo periodo. Che trascenda, quindi, le maggioranze politiche del momento e salvaguardi sempre il bene del Paese in un settore, quello della giustizia, che misura il tasso di democrazia di una società.

Questa premessa si rivela indispensabile perché già il titolo della legge “Interventi in materia di efficienza del sistema giudiziario” appare fuorviante e fallace non solo perché l’intervento legislativo riguarda, come vedremo, solo o prevalentemente, il settore civile, ma soprattutto perché è settoriale. Rimane esclusa ogni valutazione del settore penale la cui incidenza sull’attività complessiva del servizio giustizia rimane attribuita alla sola responsabilità del Dirigente del singolo ufficio giudiziario.

Se così è, il disegno di legge in esame si iscrive, ancora una volta, nel quadro degli interventi emergenziali e non in un progetto di riforma di sistema.

III. - Osservazioni.

Giova in apertura premettere che il legislatore con il disegno di legge in esame interviene, ancora una volta in pochi anni, sul sistema processuale civile, con il dichiarato scopo di “incrementare la produttività del sistema giudiziario civile, per un verso, mediante l’adozione di rimedi processuali tendenti a una razionalizzazione delle risorse esistenti e, per altro verso, attraverso un apporto temporaneo di energie intellettuali esterne al sistema, che si affiancano a quelle del giudice nella gestione e nella decisione della controversia, senza però sostituirlo, ma fornendogli importanti strumenti per una più efficace organizzazione del lavoro”, secondo quanto si legge nella relazione introduttiva.

Non vi è dubbio che il notevole carico di lavoro dei giudici civili e la consequenziale dilatazione dei tempi di definizione dei giudizi impongano l’adozione di misure idonee a ridurre la sempre più ampia distanza cronologica esistente tra il momento in cui la domanda di giustizia viene formulata e quello in cui a tale domanda è fornita adeguata risposta, fermo restando che le ragioni di efficienza complessiva del sistema non devono tradursi in una riduzione delle garanzie proprie del giusto processo e, quindi, della giusta decisione.

Con il disegno di legge in esame si propone l’introduzione di soluzioni organizzative e di rimedi processuali che, tuttavia, non appaiono in grado di incidere sulle cause strutturali della denunciata dilatazione.

2 Pur nella obiettiva e non trascurabile constatazione della non piena attendibilità dei dati della CEPEJ, in ragione della loro non omogenea modalità di estrazione, si tratta di dati che costituiscono una sicura e significativa testimonianza di rilevazione oggettiva dei problemi. Del resto, le stesse perplessità possono aversi anche con riferimento ai dati, ancor più “ penalizzanti”, rivenienti dalla Banca Mondiale.

3 Ad esempio nella ricostruzione in fatto operata nei giudizi conclusi con i decreti di condanna delle Corti di appello ai sensi della citata legge. n. 89 del 2001, cd. Legge Pinto.

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Se, infatti, possono esprimersi valutazione positive in ordine allo sforzo elaborativo diretto ad individuare misure – anche processuali – funzionali a ridurre il contenzioso civile pendente, ciò nondimeno non può sfuggire che, ancora una volta, non risultano affrontate le due principali carenze strutturali del sistema, che costituiranno sempre un ostacolo insormontabile all’attuazione dei principi dettati dall’art. 111 Cost., vale a dire le endemiche vacanze degli organici del personale magistratuale (ad oggi pari a 1.280 unità) e la superata ed ormai inattuale geografia giudiziaria.

Come più volte segnalato dal Consiglio superiore della magistratura, non appare ulteriormente rinviabile sia una seria e condivisa riflessione sulle modalità attraverso le quali adeguare la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio nazionale alle mutate caratteristiche socio-economiche del Paese, profondamente diverse da quelle ottocentesche poste alla base dell’attuale ripartizione dei distretti e delle circoscrizioni giudiziarie; sia l’elaborazione di un piano pluriennale che garantisca la completa copertura degli organici della magistratura.

In mancanza di tali interventi strutturali non sembra possibile che i rimedi di volta in volta approntati dal legislatore possano rivelarsi risolutivi per il potenziamento della produttività del sistema giudiziario civile.

Tanto premesso, si procede di seguito ad illustrare il contenuto delle norme di cui è proposta l’introduzione, analizzando i singoli articoli che compongono il disegno di legge n.

2612.

Art. 1

1. L’art. 1 del disegno di legge in esame, rubricato “Programmi per la gestione del contenzioso civile pendente”, introduce l’obbligo, a carico dei presidenti di tribunale o di corte di appello, della programmazione annuale per la gestione del contenzioso civile pendente.

In particolare la norma dispone, al primo comma, “I presidenti di tribunale e di corte d’appello, sentiti i presidenti dei locali consigli dell’ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno redigono un programma per la gestione del contenzioso civile pendente e per l’attuazione nel settore civile del principio di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 della Costituzione”. Al secondo ed al terzo comma sono specificati i contenuti di tale programma, nel quale, oltre a darsi atto “dell’avvenuto conseguimento degli obiettivi fissati per l’anno precedente ovvero sono specificate le motivazioni del loro eventuale mancato raggiungimento”, devono essere indicati: “a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti civili contenziosi concretamente raggiungibili nell’anno in corso; b) gli obiettivi di rendimento dell’ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della giustizia; c) l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, e in subordine della natura e del valore della stessa, e dell’adozione delle tecnologie dell’informazione della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.

La vigilanza sul raggiungimento degli obiettivi e sul rispetto delle priorità indicate nel programma spetta, secondo la prescrizione di cui al comma 4, al “capo dell’ufficio giudiziario”.

L’ultimo capoverso prevede, infine, che “I programmi previsti dal presente articolo sono comunicati ai locali consigli dell’ordine degli avvocati e sono trasmessi al Consiglio superiore della magistratura per essere valutati ai fini della conferma dell’incarico direttivo ai sensi dell’articolo 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e successive modificazioni”.

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Nella relazione illustrativa è rilevata “la mancanza di norme che, nel settore del contenzioso civile, vincolino i capi degli uffici giudiziari a valutare e fissare gli obiettivi e gli standard di rendimento inerenti alle articolazioni dagli stessi vigilate”; è, quindi, evidenziato con specifico riguardo alla finalità dell’intervento normativo in commento che “L’intervento normativo proposto si inserisce nell’ambito delle iniziative legislative promosse dal Governo al fine di ridurre i tempi di durata dei processi civili, che già hanno trovato un importante riscontro parlamentare con l’approvazione della legge 18 giugno 2009, n. 69. Mentre questa legge ha inciso sulle regole che disciplinano il processo (attraverso l’introduzione di numerose modifiche al codice di procedura civile), il presente disegno di legge mira in primo luogo ad introdurre soluzioni di carattere organizzativo, per fornire ai capi degli uffici giudiziari e ai singoli magistrati addetti alla trattazione degli affari civili strumenti idonei a razionalizzare e migliorare l’organizzazione del lavoro giudiziario, in funzione dell’aumento della produttività media di ciascun ufficio giudiziario e del singolo magistrato (in quest’ottica si collocano, ad esempio, le disposizioni sulla programmazione della gestione del contenzioso civile pendente; quelle che disciplinano le convenzioni per la formazione professionale negli uffici giudiziari; quelle sulla nomina di giudici ausiliari destinati alla definizione delle cause pendenti gia` mature per la decisione)”.

Sempre nel corpo della relazione illustrativa sono esemplificate le modalità attraverso le quali i dirigenti dovranno individuare le cause da trattare prioritariamente e, in particolare, è precisato che tale individuazione dovrà avvenire “secondo criteri oggettivi, agganciati alla loro durata (processi pendenti da oltre tre anni nell’ufficio di primo grado, ovvero da oltre due anni nell’ufficio di appello dopo essere stati definiti in oltre tre o quattro o cinque anni nel grado precedente) e in subordine alla natura o al valore della causa (si pensi – a titolo di esempio – ai processi in materia di stato e capacità delle persone o ai processi aventi ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali della persona)”. È, quindi, chiarito che “Ogni ufficio potrà quindi modulare il programma secondo le caratteristiche della domanda di giustizia ricevuta, il tutto secondo modalità trasparenti e verificabili, nell’ottica di una gestione organizzativa dei ruoli giudiziari connotata da una maggiore trasparenza, fermo restando il principio di autonomia ed indipendenza dell’ordine giudiziario. Naturalmente, con lo stesso programma sarà poi dato atto dell’avvenuto conseguimento, o meno, degli obiettivi fissati per l’anno precedente, specificando le ragioni dell’eventuale loro mancato raggiungimento. Lo stesso capo dell’ufficio giudiziario avrà la vigilanza sul rispetto delle priorità fissate”.

Per quanto concerne, infine, le previsioni contenute nell’ultimo comma dell’articolo in esame, è affermato che “Il programma sarà comunicato al locale consiglio dell’ordine degli avvocati e trasmesso al Consiglio superiore della magistratura per essere valutato ai fini della conferma dell’incarico direttivo, ai sensi dell’articolo 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160. In questo modo la funzione del programma trova un importante momento di responsabilizzazione. La comunicazione al locale consiglio dell’ordine è necessaria proprio per rendere accessibile, in modo ragionato, l’informazione su quali siano le priorità dell’ufficio giudiziario in parola, elemento, questo, essenziale all’individuazione delle concrete strategie difensive”.

La norma in commento ha la condivisibile finalità di introdurre, a livello di legislazione primaria, l’obbligo di programmazione delle attività giudiziarie degli uffici giudicanti, ponendo tale obbligo fisiologicamente a carico del dirigente dell’ufficio, il quale, già in sede di conferma, è chiamato a dare conto degli obiettivi progressivamente raggiunti nel corso dello svolgimento dell’incarico direttivo.

Pertanto, positiva può essere la valutazione in ordine al portato prescrittivo della disposizione de qua, atteso che il buon andamento di ogni ufficio giudiziario passa indispensabilmente attraverso una mirata attività di programmazione; ciò nondimeno si

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palesano alcune ragioni di perplessità in ordine alle modalità con le quali la programmazione in oggetto deve essere realizzata.

Occorre, innanzitutto, rilevare che la programmazione dell’attività giudiziaria non costituisce una novità. In tutti gli uffici i programmi di lavoro non sono una realtà sconosciuta ed assente nel mondo giudiziario perché, come vedremo, essa costituisce, già oggi e da tempo una delle priorità richieste ai Dirigenti degli uffici giudiziari.

In proposito deve evidenziarsi che la vigente circolare consiliare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari giudicanti per il triennio 2009/2011 (Circolare P. 21241 del 1° agosto 2008 – Delibera del 17 luglio 2008 e succ. mod. al 21 gennaio 2010) all’art. 1 precisa che “Le tabelle degli uffici giudicanti costituiscono il progetto organizzativo dei medesimi e concorrono ad assicurare la realizzazione della garanzia costituzionale del giudice naturale e l’efficienza dello svolgimento della funzione giurisdizionale, in attuazione dei principi generali enunciati nella Relazione alla Circolare”.

La medesima circolare fissa al successivo art. 3 la struttura delle tabelle, prescrivendo che esse siano articolate in due parti denominate “a) Documento Organizzativo Generale; b) Progetto Tabellare”, e precisa, per quanto di rilievo nella presente sede, il contenuto del Documento Organizzativo Generale, disponendo che: “Il Documento Organizzativo Generale (DOG), funzionale a chiarire le ragioni delle scelte organizzative e a dare conto delle valutazioni e dei dati raccolti ed esaminati nonché di tutte le attività svolte dal Presidente per la formulazione della Proposta, deve contenere: a) analisi dello stato dei servizi, indicazione dei carichi di lavoro e dei flussi delle pendenze, adeguatamente scomposti -quantitativamente e qualitativamente- per ciascun ufficio e, ove esistano, per ciascuna delle diverse sezioni dell’ufficio (con specifica indicazione delle controversie pendenti da oltre tre anni e di quelle nelle quali la Corte Europea dei Diritti dell’uomo chiede ai giudici nazionali un diligenza eccezionale), secondo gli schemi predisposti dal Consiglio superiore della magistratura, implementati da eventuali, ulteriori dati omogenei, rappresentativi del carico di lavoro complessivo e delle eventuali cause di disfunzione dell’intero ufficio o delle sue diverse sezioni; b) analisi relativa ai monitoraggi eseguiti all’interno di ciascun settore/sezione per verificare la realizzazione degli obiettivi indicati nella precedente tabella sulla quale è già intervenuta delibera del CSM; all’attuazione del programma organizzativo del biennio precedente; al raggiungimento degli obiettivi indicati nella precedente Tabella, ovvero alle ragioni per cui detti obiettivi non sono stati conseguiti;…….. l) relazione che prospetta, previa acquisizione dalla dirigenza amministrativa degli obiettivi del settore di sua competenza, il raccordo tra detti obiettivi e quelli sottesi alla proposta tabellare e derivanti dall’analisi dei punti precedenti, al fine di migliorare l’andamento dei settori amministrativi connessi all’esercizio della giurisdizione, tenuto conto anche dei programmi annuali di cui all’art. 4 D. Lgs. 240/2006, che vanno allegati alla relazione”.

Invero, la norma di cui si propone l’introduzione sembra obliterare del tutto che un’attenta programmazione della gestione del contenzioso civile pendente, diretto ad attuare nel settore civile il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., deve necessariamente basarsi su una compiuta verifica delle risorse – umane e materiali - disponibili e su un’attenta analisi dei profili critici che hanno condotto alla formazione dell’arretrato. Pertanto, sarebbe opportuno prevedere che la prospettazione degli obiettivi da raggiungere sia preceduta dall’illustrazione della complessiva situazione dell’ufficio giudiziario di riferimento, la quale soltanto può consentire di cogliere sia la razionalità dei risultati proposti sia la ragionata verifica periodica del loro raggiungimento.

Sotto altro aspetto, non appare congruo l’arco temporale di pianificazione prescritto dalla norma in esame, giacché l’anno solare non sembra essere un parametro di riferimento particolarmente utile, anche in considerazione delle obbligatorie scansioni processuali dettate dal codice di rito. Potrebbe essere maggiormente aderente allo scopo e, fra l’altro, in linea con

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il complessivo sistema ordinamentale vigente, prevedere che la programmazione in oggetto abbia durata triennale - così da farla coincidere con il termine di efficacia della tabella organizzativa dell’ufficio ai sensi dell’art. 7 bis R.D. 12/41 - e che annualmente, magari anche in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario, venga fornito un aggiornamento dei risultati progressivamente raggiunti ovvero sia dato conto delle difficoltà incontrate nella realizzazione degli stessi.

Risulta evidente come i dirigenti degli uffici giudicanti siano già oggi, in base a normativa di fonte secondaria, chiamati ad un’attenta programmazione delle attività giudiziarie, la quale, coerentemente al dato di normazione primaria fissato dall’ art. 7 bis O.G., deve avere durata triennale.

Appare, conseguentemente, proficuo che anche l’attività di pianificazione di cui si propone l’introduzione con l’art. 1 del d.d.l. in esame abbia il medesimo arco temporale di riferimento, già ritenuto congruo dal legislatore, il quale proprio in sede di riforma dell’ordinamento giudiziario ha in tal senso ampliato l’originario termine biennale previsto dal citato art. 7 bis (cfr. art. 4, comma 19, L. 111/2007).

2. Come già indicato in premessa, appare distonico che la programmazione in esame non riguardi anche il settore penale, per il quale si pone ugualmente la necessità di attuare il principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della Costituzione.

L’individuazione delle risorse da destinare al settore civile impone necessariamente la valutazione comparata delle esigenze organizzative del settore penale, di talché una razionale progettazione non può che riguardare entrambi i settori, tra loro connessi come vasi comunicanti.

In una prospettiva, poi, di semplificazione e di trasparenza della complessiva attività di programmazione rimessa ai dirigenti degli uffici giudiziari, appare auspicabile una sistemazione unitaria di tutte le disposizioni riguardanti la stessa, tra le quali va considerato anche l’art. 4 D.Lgs. 240/2006, rubricato “Programma delle attività annuali”, a norma del quale “non oltre il 15 febbraio di ciascun anno, il magistrato capo dell'ufficio giudiziario ed il dirigente amministrativo ad esso preposto redigono, tenendo conto delle risorse disponibili ed indicando le priorità, il programma delle attività da svolgersi nel corso dell'anno. Il programma può essere modificato, durante l'anno, su concorde iniziativa del magistrato capo e del dirigente, per sopravvenute esigenze dell'ufficio giudiziario”4.

Si ritiene opportuno, conclusivamente sul punto, che il termine unitario da adottare quale parametro temporale di riferimento per la programmazione rimessa ai dirigenti degli uffici giudicanti sia quello triennale, già previsto dall’art. 7 bis O.G., idoneo ad un’utile pianificazione delle attività giudiziarie, che tenga conto anche dei fisiologici tempi di svolgimento dei processi; accanto ad esso potrebbe essere introdotta una verifica annuale della programmazione in atto, eventualmente coincidente con l’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Da ultimo, sul punto, si segnala con forza che rimane però irrisolto il nodo della totale insufficienza delle risorse umane del personale amministrativo di elevato livello professionale, che sono indispensabili per supportare l’attività di programmazione del magistrato Capo dell’Ufficio giudiziario e del Dirigente amministrativo.

3. Ulteriore notazione critica va compiuta sulla necessità di coordinamento sistematico della disposizione in esame con le altre vigenti norme di carattere primario. Se la programmazione della gestione degli affari giudiziari viene opportunamente istituzionalizzata, va tenuto conto che i documenti organizzativi dei Capi degli uffici sono, già oggi, predisposti sulla base del lavoro ricognitivo dei carichi di lavoro e dei flussi delle pendenze. Orbene,

4 Va rilevato, in proposito, che l’art.4 del citato d.lgs. n. 240 / 2006 non risulta attuato completamente.

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prevedere, a livello di normazione primaria, che è necessario stabilire obiettivi di rendimento dell’ufficio “ tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della giustizia” significa introdurre altra e diversa categoria di “ valutazione” del lavoro dei magistrati che rischia di interferire con il faticoso lavoro di determinazione degli standard di rendimento e standard medi di definizione dei procedimenti che è attualmente in corso ad opera del CSM in attuazione dell’art.11.del nuovo ordinamento giudiziario e che non prevede, invece, alcuna forma di

“concerto/intesa” con il Ministro.

Notazione quest’ultima che porta ad evidenziare, ancora una volta, l’opportunità di una seria e congiunta (CSM – Ministero) rilevazione effettiva dello stato della giustizia civile nei vari distretti ed uffici giudiziari.

4. Il richiamo all’adozione delle tecnologie dell’informazione della comunicazione, nei programmi di gestione del contenzioso, costituisce un giusto elemento di organizzazione e, nel contempo, utile strumento di valutazione della capacità gestionale del Capo dell’Ufficio di cui, in modo opportuno si prevede la trasmissione al Consiglio superiore per la valutazione della conferma nell’incarico del capo dell’Ufficio. Peraltro, è importante segnalare che anche in ordine all’adozione delle tecnologie va richiamata la necessità di una rilevazione effettiva sul “ se, dove e quando” siano state messe a disposizione le risorse necessarie da parte della amministrazione della giustizia.

5. Come già indicato in premessa, importante è il richiamo alla partecipazione degli altri protagonisti del processo. In questa ottica appare opportuno suggerire un coinvolgimento maggiormente significativo dei “locali consigli dell’ordine degli avvocati”.

Si richiamano in merito le disposizioni dettate dalla già citata circolare per la formazione delle tabelle, la quale all’art. 5 prevede che “…i Dirigenti richiedono al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati della sede interessata dalla procedura tabellare contributi sugli interventi ritenuti opportuni ai fini della migliore organizzazione dell’ufficio”, nonché, al successivo art. 6, che “I Dirigenti degli Uffici Giudiziari danno conto dello svolgimento degli adempimenti di cui ai paragrafi 4 e 5 e motivano le ragioni per cui accolgono o rigettano le osservazioni formulate dai magistrati dell’ufficio o dai Consigli dell’Ordine degli Avvocati”.

Con le riportate prescrizioni di rango secondario il C.S.M. ha inteso interessare e coinvolgere a pieno titolo i locali consigli dell’ordine nella redazione delle tabelle, ritenendo il loro contributo proficuo oltre che indispensabile, atteso il servizio che anch’essi rendono per il corretto e pieno funzionamento del sistema giustizia.

Del resto non va sottaciuto che proprio ai Consigli giudiziari, in composizione allargata alle componenti laiche, la legge assegna la competenza di esercitare la vigilanza sull’andamento degli uffici giudiziari.

Art. 2

I - L’art 2 del d.d.l. in esame é previsione dall’indubbio impatto positivo, dal momento che non solo ratifica con disposizione di legge una prassi già positivamente esperita in alcuni uffici giudiziari, ma soprattutto regola con previsione normativa primaria plurimi aspetti già evidenziati e regolati dal Consiglio superiore della magistratura nelle deliberazioni pronunciate sul tema.

L’art. 2 prevede, infatti, l’espressa possibilità per i capi degli uffici giudiziari di stipulare apposite convenzioni, senza oneri a carico della finanza pubblica, con le facoltà universitarie di giurisprudenza, con le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’art. 16 d.lgs. 17 novembre 1997, n. 398, e con i consigli degli ordini degli avvocati, onde consentire, su richiesta dell’interessato, lo svolgimento presso i medesimi uffici giudiziari del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato, con compiti

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di assistente di studio di un magistrato ordinario. In tal maniera, come precisato nella Relazione di accompagnamento al disegno di legge, si intende fornire, congiuntamente alla figura dei giudici ausiliari di cui al successivo art. 8, un “apporto di nuove energie intellettuali esterne al sistema”.

La disposizione regola, dunque, l’espletamento di attività di tipo formativo “diversa”

da quella ordinariamente svolta dai magistrati ordinari in tirocinio, le cui problematiche applicative sono già state reiteratamente affrontate dal C.S.M. in numerosi interventi succedutosi sulla materia5, fino all’approvazione delle fondamentali deliberazioni del 19 luglio 2007, avente ad oggetto “Espletamento di tirocini e stages formativi preliminari e successivi al conseguimento della laurea in giurisprudenza anche equiparati allo svolgimento del praticantato della professione di avvocato, presso gli Uffici giudiziari giudicanti e requirenti”, e del 23 gennaio 2008, recante “Convenzioni tra Uffici giudiziari ed Università”.

Nella redazione di tali provvedimenti il C.S.M., con l’idea di favorire una crescita comune della giurisdizione, ha inequivocamente manifestato il proprio “orientamento favorevole allo svolgimento presso gli uffici giudiziari di attività di formazione, in particolare l’espletamento di tirocini e di stages formativi preliminari e successivi al conseguimento della laurea in giurisprudenza anche equiparati allo svolgimento del praticantato della professione di avvocato presso gli uffici giudiziari giudicanti e requirenti”6, in coerenza con le iniziative legislative finalizzate alla creazione dell’ufficio del giudice, ed anzi ponendosi come una sorta di sperimentazione anticipata di tale istituto, altresì esprimendo “un orientamento favorevole allo svolgimento di attività formative presso gli uffici giudiziari di studenti e neolaureati in giurisprudenza, che possono consentire un rapporto proficuo tra mondo accademico e attività giurisdizionale ed un’educazione dei futuri giuristi più completa e collegata alla pratica, indipendentemente dalle scelte professionali che ciascuno di loro compirà in seguito”7.

Il Consiglio ha allo studio l’aggiornamento delle precedenti risoluzioni sul punto anche attraverso un previo monitoraggio delle attuali convenzioni e dei risultati da esse sin qui conseguiti.

II - Nel solco del rappresentato approccio, ampiamente favorevole allo sviluppo di convenzioni finalizzate alla realizzazione di stages formativi presso gli uffici giudiziari, l’Organo di autogoverno ha anche inteso proporre, nei provvedimenti citati, ben precisi limiti e termini entro cui consentire le relative modalità di svolgimento, altresì rappresentando le

5 Con una prima delibera del 19 marzo 2001 era stata vagliata l’ammissibilità della frequentazione degli uffici minorili da parte di studenti e giovani laureati interessati, per ragioni di studio e di ricerca, a completare il processo formativo accademico nella materia minorile e si era concluso esprimendo un giudizio positivo, in quanto nella particolare fattispecie del sistema normativo che disciplina la figura del giudice onorario minorile

“sono stati previsti una serie di spazi e di opzioni che consentono di operare le scelte degli esperti in modo tale che venga valorizzato il possesso di professionalità cui consegua poi un’effettiva specializzazione dell’organo giudiziario”.

Con delibera di più generale portata del 21 novembre 2001, quindi, il Consiglio superiore della magistratura aveva affrontato un quesito proposto dal Primo Presidente della Corte di Cassazione finalizzato a conoscere presupposti e limiti della stipula di convenzioni tra la Corte Suprema di Cassazione e le Scuole di specializzazione forense. Nella risposta il C.S.M. aveva osservato come il positivo svolgimento di simili prassi emergesse dal regolamento del 21 dicembre 1999, n. 537 che, nel descrivere la mappa del percorso formativo delle Scuole di specializzazione forense, aveva indicato le esperienze pratiche come una sorta di equivalente del piano di tirocinio degli uditori giudiziari, nel quale erano state inserite anche la redazione di atti giudiziari, nella loro varia tipicità: sentenze, ordinanze e requisitorie, verosimilmente conseguenti all’affiancamento al lavoro di uno o più magistrati.

6 Così espressamente delibera del 19 luglio 2007.

7 Così delibera del 23 gennaio 2008.

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linee guida da seguire nella stipulazione di convenzioni tra uffici giudiziari e Consigli degli Ordini degli Avvocati e/o Università.

Limitandosi alla disamina degli aspetti maggiormente salienti, nella delibera del 19 luglio 2007 il C.S.M. ha indicato, quali precisi limiti delle stipulande convenzioni, che: vanno individuati i destinatari di esse possono essere solo praticanti avvocati o specializzandi frequentanti scuole post universitarie relative a professioni legali; le attività formative non possono concernere l’esame di atti giudiziari coperti dal segreto ovvero riservati in forza di norme processuali8; i praticanti e/o gli specializzandi possono effettuare lo stage, come impegno professionale esclusivo, solo dopo l’espletamento della pratica di sei mesi/un anno presso studi legali ovvero la frequenza delle scuole di specializzazione delle professioni legali per uno stesso periodo. Quanto, poi, alle principali linee guida, la stessa delibera del 19 luglio 2007 ha precisato come nelle convenzioni debbano essere previsti: un apposito capitolo riservato all’impegno al rispetto degli obblighi di segretezza e di riserbo e alle cautele a tal fine adottate in ossequio al disposto dell’art. 15, L. n. 675/1996; la figura di un tutor, quale riferimento didattico ed organizzativo del tirocinio; in maniera preventiva, l’individuazione delle singole attività da espletarsi nel corso del tirocinio9; un numero massimo di partecipanti;

la possibilità di interrompere il tirocinio per il venir meno del rapporto fiduciario tra magistrato affidatario e tirocinante a seguito del mancato rispetto degli obblighi assunti dal tirocinante ovvero per la sua verificata inidoneità, ovvero ancora per sopravvenute esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario.

Parimenti, la delibera consiliare del 23 gennaio 2008, nel fissare le linee guida delle convenzioni tra Università ed uffici giudiziari10, ha precisato come per l’accesso a tale tipo di

8 Più precisamente è stato indicato in delibera che “la normativa vigente prevede la non pubblicità di tutte le attività processuali che non si svolgano nell’udienza di discussione della causa civile (con riguardo alle udienze civili camerali, di trattazione ed istruttorie e alle decisioni assunte in camera di consiglio: v. artt. 128 e 276 c.p.c. e 84 disp. att. c.p.c.) e nelle udienze dibattimentali penali (con riguardo agli atti d'indagine, alle udienze camerali e alle decisioni assunte in camera di consiglio penali: v. artt. 329, 127, 125 c.p.p.; con riguardo agli obblighi di segretezza e ai divieti di pubblicazione: v. artt. 326 e 114 c.p.p.) salvo, anche in questi casi, che ricorrano le speciali ragioni indicate dagli artt. 128 c.p.c. e 472 e 473 c.p.p.. In via di contemperamento delle diverse serie normative sopra richiamate, peraltro, può ritenersi consentita ai tirocinanti, in ambito civile e col consenso delle parti processuali, la frequenza di tutte le udienze, con esclusione di quelle riguardanti cause e procedimenti in materia di famiglia, stato delle persone e diritti della personalità. Agli specializzandi è, altresì, consentito l'accesso al settore penale, limitato però alla fase dibattimentale, fatta salva la previsione di cui alla delibera consiliare del 20 febbraio 2003 in tema di stages alla D.N.A..

Le precedenti considerazioni tengono conto anche dei vincoli che alla pubblicizzazione degli atti giudiziari derivano dalla disciplina della legge n. 675/1996 in materia di tutela della privacy e dei limiti d’efficacia delle specifiche deroghe previste dagli artt. 4, co. 1, lett. d), 7, co. 5- ter, lett. o), 21, co. 4, lett. a), e 27 della legge stessa”.

9 Esse, in particolare, dovevano essere finalizzate ad assicurare “lo svolgimento di tutte quelle attività di formazione che si prefiggano di far acquisire le capacità di gestire i processi, per acquisire le chiavi di accesso alle soluzioni, in particolare - e a mero titolo esemplificativo - partecipazione alle udienze pubbliche, assistenza nella preparazione ed emissione dei provvedimenti, ricerche giurisprudenziali e dottrinali, formazione ed aggiornamento dell’archivio informatizzato dei provvedimenti emessi, cura delle banche dati e dei supporti informativi, formazione e gestione informatica del fascicolo e dell’udienza, eventuale attivazione di uno

“sportello unico” e di un ufficio di prima accoglienza dove fornire informazioni minime ma indispensabili (dalla localizzazione degli uffici alle modalità di presentazione di ricorsi ed atti vari, fornendo informazioni)”.

10 I soggetti abilitati alla stipula delle Convenzioni, per la delibera 23 gennaio 2008, sono: da un lato i rappresentanti delle Università e delle Facoltà che abbiano attivato corsi di laurea in Giurisprudenza o che dimostrino un concreto interesse didattico-scientifico all’attivazione dello stage formativo, dall’altro i dirigenti degli Uffici giudiziari nel cui territorio di competenza sia ubicata la sede della istituzione universitaria interessata.

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tirocinio – che può esser rivolto sia a studenti di giurisprudenza nel corso dei loro studi (tirocinio curriculare) che per l’orientamento ai fini dell’inserimento nel mondo del lavoro di laureandi e di laureati in giurisprudenza da non più di diciotto mesi (tirocinio di orientamento) - sia opportuno che le convenzioni individuino criteri di accesso e di selezione dei tirocinanti finalizzati a contenere il numero dei soggetti partecipanti in una misura compatibile con caratteristiche e disponibilità logistiche ed organizzative dell’ufficio giudiziario di riferimento11. È stato stabilito, poi, che: le convenzioni devono individuare i doveri reciproci delle strutture interessate; il tirocinante sia assistito da un tutor; anche in questa sede sia previsto il rispetto dei limiti di ordine generale derivanti dai doveri di segretezza dell’attività giurisdizionale previsti dalla legislazione vigente, anche in materia di privacy 12.

Orbene, succintamente rappresentata negli indicati termini l’attività provvedimentale svolta dall’Organo di autogoverno con riguardo alla stipula di convenzioni per la formazione professionale negli uffici giudiziari, non può non essere consequenziale la formulazione di un giudizio ampiamente positivo sulla previsione legislativa che intende regolamentare, in termini generali, il ricorso all’utilizzo della suddetta figura.

Si segnala, altresì, che il Consiglio ha esaminato alcune convenzioni che si proponevano di sottoscrivere attività di stage di laureandi o laureati anche di facoltà diverse da giurisprudenza (economia e commercio, ingegneria, statistica) e che, allo stato della normazione primaria e delle stesse risoluzioni generali adottate dal Consiglio superiore, le indicate convenzioni non sono state “ autorizzate”.

Il fenomeno delle collaborazioni è da valutare con interesse positivo ma anche con specifica e particolare attenzione ai profili di necessario contemperamento tra l’utilità di avvalersi di professionalità diverse da quelle legali, egualmente utili e necessarie all’attività giudiziaria, e la necessaria cautela della segretezza e delicatezza dei compiti giudiziari. Anche in questa prospettiva risulta utile prevedere un maggiore coinvolgimento del Consiglio superiore secondo le linee indicate infra sub IV.

III - a) Il primo comma della novella stabilisce che, in relazione alle concrete esigenze organizzative dell’ufficio, i capi degli uffici giudiziari possono stipulare apposite convenzioni, senza oneri a carico della finanza pubblica, con le facoltà universitarie di giurisprudenza, con le scuole di specializzazione per le professioni legali e con i consigli degli ordini degli avvocati, per consentire ai più meritevoli, su richiesta dell’interessato e previo parere favorevole del consiglio giudiziario, lo svolgimento presso i medesimi uffici giudiziari del

11 Tali criteri, secondo la delibera in esame, possono essere ravvisati: per gli studenti nella valutazione della media aritmetica degli esami sostenuti (che potrebbe essere non inferiore ad un punteggio adeguato) e nell’obbligo di aver superato un numero congruo di esami (con eventuale indicazione di quelli che si ritengono indispensabili ai fini di una proficua partecipazione); per i laureandi può avere, altresì, rilievo l’oggetto sul quale viene svolta la tesi di laurea; per i laureati possono essere considerati sia l’oggetto della tesi sia il voto di laurea (anche questo non inferiore ad un congruo punteggio).

12 Come precisato in delibera, “Il tema del doveroso rispetto del segreto costituisce, dunque, una delle questioni più delicate e non può, in ogni caso, risolversi con una semplice richiesta rivolta ai partecipanti agli stages di un, ancorché solenne, impegno a mantenere un comportamento improntato alla riservatezza e a non divulgare notizie di cui possano aver avuto conoscenza nel corso dell'attività formativa. In definitiva può ritenersi consentita ai tirocinanti, in ambito civile e col consenso delle parti processuali, la frequenza di tutte le udienze, con esclusione di quelle riguardanti cause e procedimenti in materia di famiglia, stato delle persone e diritti della personalità. Può essere, altresì, consentito l'accesso al settore penale, limitato però alla fase dibattimentale, fatta salva la previsione di cui alla delibera consiliare del 20 febbraio 2003 in tema di stages alla D.N.A.”.

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primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato.

Non vi è dubbio che la previsione generale finisce per collimare con le delibere consiliari citate e rappresenta una soluzione normativa di buon impatto, quale valida opportunità per consentire di acquisire presso gli uffici giudiziari, in tempi rapidi, nuove energie intellettuali aggiuntive, a supporto dell’attività giurisdizionale strettamente intesa. Pur non normativizzando l’istituto dell’ufficio del giudice, tra l’altro, la norma consente comunque di prevedere una possibilità di supporto al giudice che non solo si auspica possa essere il viatico per la successiva previsione di una struttura tecnica posta in permanente assistenza al giudice, ma, come risultanza immediata, appare favorire la realizzazione di concreti rapporti collaborativi utili a snellire l’esercizio della funzione giurisdizionale.

Ciò non toglie, tuttavia, che la formulazione del primo comma sembra lasciare alcuni dubbi di tipo interpretativo, invero conseguenza anche dell’utilizzo di locuzioni certamente perfettibili.

Alcuni interventi migliorativi potrebbero realizzarsi.

Un primo intervento potrebbe essere quello di prevedere gli stages negli uffici giudiziari non al “primo” ma al “secondo anno” di dottorato, specializzazione o pratica professionale. Invero, sotto il profilo formativo, sembra più coerente prevedere che l’esperienza, particolare e pratica, dello stage, segua un primo anno di attività teorica rispetto al titolo o percorso professionale prescelto (dottorato, specializzazione o pratica forense). Ma soprattutto, in tal modo si fornirebbero ai magistrati ed agli uffici risorse intellettuali più esperte e più formate, così da offrire potenziali risultati di maggiore efficienza.

Così, il corretto ancoraggio della possibilità del ricorso alle convenzioni alle concrete esigenze organizzative dei singoli uffici giudiziari se, da un lato, lascia positivi margini di discrezionalità, da apprezzarsi, caso per caso, da parte del dirigente dell’ufficio e dal competente consiglio giudiziario, dall’altro lato rischia di condizionare eccessivamente l’effettiva diffusione del positivo istituto dalla valutazione del singolo e dalle locali prassi, come geograficamente e culturalmente sviluppatasi.

In proposito, va evidenziato che la presenza di eccellenti iniziative realizzate da alcuni Dirigenti degli uffici potrà essere oggetto di valutazione in sede di conferma; pur se una omogenea diffusione sul territorio nazionale appare necessaria per non alimentare ancor più le differenze di efficienza del servizio in alcune parti del Paese.

Invero non chiara, poi, è la portata del parere favorevole previamente richiesto da parte del consiglio giudiziario e, soprattutto, le ragioni per cui il suddetto Organo dovrebbe concettualmente opporsi all’adozione di un istituto che, senza oneri aggiuntivi di alcun tipo, appare indubbiamente utile a supportare l’esercizio della funzione giudicante.

Certamente positiva è, poi, l’interlocuzione con l’Organo di autogoverno locale che, anche per la specifica competenza a valutare la situazione generale degli uffici del distretto, ben può cooperare in termini di considerazione dell’opportunità dell’adozione della futura stipula della convenzione.

Non chiaro è l’utilizzo della locuzione “più meritevoli” prevista nella disposizione dell’art. 2 d.d.l. per individuare coloro che, tra le tre categorie di soggetti interessati, possono ambire a svolgere presso gli uffici giudiziari il primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato. L’incertezza normativa, infatti, può favorire future difficoltà interpretative e concreti rischi di ingiustificate oscillazioni applicative che, in realtà, appaiono facilmente evitabili sol che si effettui un semplice richiamo nel testo ad ulteriori parametri chiarificatori, precisando ad esempio – in parallelo a quanto operato dal C.S.M. nelle delibere del 19 luglio 2007 e del 23 gennaio 2008 – che i “più meritevoli” debbano essere individuati in ragione della votazione di laurea conseguita o dell’oggetto di discussione della tesi.

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Tale difficoltà, d’altro canto, è già stata evidenziata dal Consiglio Nazionale Forense che nel proprio parere del 15 aprile 2011, nell’esprimere una valutazione sostanzialmente positiva della disciplina prevista dall’art. 2 del d.d.l. – in quanto “appare in linea di principio condivisibile la prospettiva di coniugare la formazione professionale con la creazione di una struttura di supporto per il magistrato” -, ha comunque espresso talune considerazioni critiche, in primo luogo chiedendo che siano chiaramente individuati i criteri per la richiesta valutazione di meritevolezza13.

b) In ragione della previsione del secondo comma, gli ammessi alla formazione professionale negli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio. Lo svolgimento di tali incombenze sostituisce ogni altra attività del corso del dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato.

Orbene, se il secondo inciso appare assolutamente condivisibile, essendo di certo opportuno – sia per l’interessato che per il magistrato affidatario - che le attività espletate presso gli uffici giudiziari siano svolte in termini di esclusività, taluni dubbi lascia l’indicazione espressa nella prima parte della disposizione, in ordine al contenuto dei compiti rimessi agli ammessi alla formazione professionale.

La disposizione, infatti, sembra mal formulata per difetto, mancando in essa delle precisazioni indispensabili che, pur nella contingenza delle situazioni singole da regolare in dettaglio nelle successive convenzioni, non possono non essere sinteticamente indicate nella presente disposizione di carattere generale.

Riprendendo quanto già indicato in delibere del C.S.M., ovvero nel parere del C.N.F.14, sarebbe auspicabile una precisazione integrativa per cui, oltre al già previsto riferimento all’espletamento di compiti di studio, vengano ad essere ulteriormente chiariti gli effettivi compiti di assistenza e di aiuto al magistrato, precisando le specifiche attività processuali in cui è ammessa la presenza e la partecipazione dei tirocinanti, soprattutto formalizzando, nei riguardi di questi ultimi, dei ben precisi obblighi di riservatezza e riserbo e di segreto professionale da trasfondere in tutte le stipulande convenzioni.

Un sicuro riferimento, in tal senso, può essere rinvenuto nella recentissima predisposizione di un progetto finalizzato a consentire il tirocinio di praticanti avvocati presso gli uffici giudiziari civili di Milano15 16. Assai significativamente, infatti, il bando per

13 Meno condivisibile, invece, appare la richiesta del C.N.F. di escludere dalle convenzioni i dottorandi di ricerca, in ragione del fatto che le loro “funzioni formative, orientate alla ricerca scientifica, sono molto diverse da quelle caratteristiche della formazione negli uffici giudiziari”, considerata, invece, l’indubbia capacità da parte di costoro di fornire un valido supporto scientifico e di studio al giudice, soprattutto nell’attività preparatoria all’assunzione della decisione.

14 Nel parere del 15 aprile 2011 il Consiglio Nazionale Forense ha specificamente evidenziato la necessità “che siano precisamente individuate le funzioni dei tirocinanti, che potranno consistere nell’assistenza alle udienze, nella preparazione dei verbali di udienza, nella predisposizione della traccia dello svolgimento del processo, nelle ricerche necessarie, ma che non dovranno spingersi fino all’intervento nella redazione delle sentenze, che dovranno ad ogni effetto restare compito e responsabilità del magistrato”.

15 Esso intende dar corso, a far data dal prossimo 7 giugno 2011, ad un progetto pilota di svolgimento di un tirocinio presso diciassette giudici delle sezioni civili ordinarie e delle sezioni lavoro del Tribunale ordinario di Milano, finalizzato alla sperimentazione dell’ufficio del giudice - composto da due praticanti avvocati per ogni magistrato -

16 Il bando in esame è applicativo della Convenzione per la formazione e l’orientamento dei praticanti avvocati stipulata il 20 marzo 2007 tra il Presidente della Corte di Appello di Milano, il Presidente del Tribunale ordinario di Milano e il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano – con cui era stato previsto che i praticanti avvocati con almeno sei mesi di iscrizione al registro dei praticanti avvocati, che ne facciano domanda,

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l’assegnazione dei previsti 34 posti di tirocinanti, oltre a prevedere specifici criteri di selezione – a domanda, a seguito di selezione per titoli e colloquio con una commissione mista –, titoli preferenziali legati ai tempi di conseguimento della laurea ed al relativo voto17, una borsa di studio offerta da privati e benefits economici di altra natura18, rappresenta in modo espresso e particolarmente diffuso l’elenco delle attività cui possono collaborare i praticanti avvocati in tirocinio presso gli uffici giudiziari di Milano, distinguendo esse in:

attività preparatorie dell’udienza19; attività in udienza20; attività successiva all’udienza21; collaborazione nella formazione dei provvedimenti del giudice 22; attività di studio e approfondimento23.

sono ammessi, previa valutazione della loro attitudine, ad espletare il tirocinio, per il periodo di un anno, presso le sezioni civili ordinarie e le sezioni lavoro della Corte di Appello e del Tribunale ordinario di Milano – e della deliberazione del C.S.M. del 19 luglio 2007, che, approvando la detta Convenzione, aveva rilevato la necessità di un sistema di selezione degli aspiranti, da abbinare successivamente ai magistrati che abbiano dichiarato la loro disponibilità a svolgere il compito di affidatari

17 In particolare sono requisiti di preferenza: a) l’aver conseguito la laurea in non più di 6 anni accademici, nel caso di laureati secondo l’ordinamento previgente al d.m. 509/99, e in non più di 7 anni accademici nel caso di laureati secondo l’ordinamento didattico adottato ai sensi del regolamento di cui al d.m. 509/99 e successive modificazioni; b) l’avere riportato il voto di laurea magistrale non inferiore a 100.

18 Viene, infatti, riconosciuta: la facoltà di partecipare gratuitamente ai corsi organizzati dalla scuola Forense dell’Ordine degli Avvocati di Milano nell’anno di tirocinio; la facoltà di partecipare gratuitamente ai corsi organizzati della Formazione decentrata del Consiglio superiore della magistratura; la possibilità di beneficiare di uno sconto del 30% sull’acquisto di pubblicazioni in base ad apposita convenzione stipulata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano con la casa editrice Giuffrè e di ritirare gratuitamente, presso la stessa casa editrice (Ag. di via Larga), il codice civile e penale della collana “Percorsi”; la possibilità di mantenere per l’anno di tirocinio – nonostante la sospensione dell’abilitazione – la posizione contributiva senza alcuna interruzione e senza ulteriore esborso.

19 Esse consistono in: a) verifica che la cancelleria abbia trasmesso tutti i fascicoli delle udienze della settimana;

b) riordino e verifica della completezza degli atti del fascicolo di ufficio (verbali delle udienze, originali dei provvedimenti depositati fuori udienza, copie per l’ufficio degli scritti difensivi delle parti, originali delle relazioni e notule dei Consulenti o altri ausiliari del giudice, etc.); c) preparazione delle udienze con il magistrato, studiando i fascicoli e relazionando sul contenuto della controversia; d) preparazione, all’esito della discussione con il giudice, della scheda del procedimento in cui è sintetizzato il contenuto del contraddittorio e sono messi a fuoco in modo sistematico le questioni preliminari e i nodi in fatto e in diritto che la causa pone; e) collaborazione nello spostamento della 1° udienza di comparizione delle cause di nuova assegnazione e verifica della competenza tabellare del magistrato; f) in appello, studio del fascicolo e preparazione dello schema della relazione orale per la camera di consiglio.

20 Tale attività è individuata nella scrittura del verbale di udienza sotto dettatura del giudice anche su supporto informatico, servendosi della consolle del magistrato se affidati a magistrati che dispongano del relativo software.

21 Trattasi dell’aggiornamento, all’esito della discussione con il giudice, della scheda del procedimento.

22 Tale collaborazione consiste: a) dopo averne discusso con il giudice ed aver con lui individuato lo schema dei provvedimenti interlocutori (ordinanze istruttorie, cautelari) o della sentenza (in prevalenza quelle più semplici e ripetitive come le sentenze contestuali in controversie in opposizione a decreto ingiuntivo) mediante redazione di una bozza dello svolgimento del processo e/o dei motivi della decisione che viene poi rivista e corretta con l’affidatario; b) studio e discussione con il giudice delle controversie più semplici; preparazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione; preparazione della scheda di cui al punto 1.d; partecipazione alla discussione avanti al collegio di dette controversie; c) verifica della documentazione allegata ai ricorsi per decreto ingiuntivo, relazionando al magistrato sulla sussistenza di eventuali motivi di sospensione (carenza di legittimazione attiva; irregolarità della procura; legittimità tasso degli interessi richiesti, ecc.); compresi quelli

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c) La disposizione del terzo comma dell’art. 2 d.d.l. prevede che, al termine del periodo di formazione, il magistrato designato dal capo dell’ufficio, in qualità di tutor, debba provvedere alla redazione di una relazione in merito all’attività svolta ed alla formazione professionale acquisita, ovviamente trasmessa all’ente convenzionato di riferimento. Trattasi di previsione assolutamente opportuna, in quanto consente di valutare l’operato del tirocinante.

d) L’ultimo comma precisa che non spetterà alcuna forma di compenso, di indennità, di rimborso spese o di trattamento previdenziale da parte della pubblica amministrazione e che il rapporto non costituisce ad alcun titolo pubblico impiego. La norma, così formulata, se appare positivamente resa nella parte in cui non prevede alcun onere aggiuntivo a carico dell’erario pubblico – in particolare essendo importante che gli eventuali compensi ai tirocinanti non vengano finanziati con denaro destinato al fondo del bilancio per la giustizia, invece utile per altre iniziative di maggiore urgenza a supporto della funzione giudiziaria – pone taluni rischi di disincentivazione in ordine alla concreta applicazione della figura, peraltro già evidenziati dal C.N.F. nel parere di relativa competenza, in cui ha segnalato come resti “irrisolto il problema della remunerazione, quanto meno per i praticanti avvocati, che non infrequentemente negli studi godono quanto meno di forme di rimborso delle spese”.

IV – In relazione alla normativizzazione del ricorso all’apporto di energie intellettuali esterne si impongono alcune conclusive considerazioni e valutazioni di carattere più generale.

a) Innanzitutto va evidenziato, in modo espresso, che la norma esprime la manifesta

“impotenza finanziaria” del Ministero della Giustizia, cui la Costituzione assegna l’importante ed essenziale compito di provvedere all’organizzazione e funzionamento dei servizi della giustizia. E’ constatazione oggettiva e non polemica.

Pur in presenza di buone e virtuose pratiche di organizzazione che magistrati e personale amministrativo hanno messo in campo, si constata, ancora una volta, che nessuna assunzione di personale amministrativo è prevista ma, anzi, si perpetua, si rafforza e si stabilizza un progetto di riforma “senza risorse aggiuntive” che, ormai da oltre un decennio, caratterizza il mondo della giustizia.

Mentre, con un trend incessante, tantissimi magistrati ed uffici sono impegnati nell’attuazione di progetti organizzativi con grande dispendio di energie lavorative, risulta ancora vano l’auspicio di vedere anche iniezioni esterne di risorse, materiali e finanziarie, e manifestazioni di riconoscimento e di fiducia verso la magistratura ed il personale che la assiste.

b) In secondo luogo, occorre valutare quale può e/o deve essere il ruolo del Consiglio superiore rispetto alla sottoscrizione delle previste convenzioni. In assenza di specifici limiti e contenuti all’attività di gestione del fascicolo che verrà, in parte, “esternalizzata”, ci si chiede in base a quali criteri deve essere espresso il previsto parere dei consigli giudiziari e quale spazio è riservato al Consiglio superiore. Finora le convenzioni sono sottoposte, in virtù di una risoluzione consiliare, priva di effettivo valore giuridico vincolante ex se, ad una presa d’atto del Consiglio che attua una valutazione di “compatibilità” del contenuto delle diverse

telematici, per i quali il tirocinante provvede altresì a “scaricare” il fascicolo con i relativi documenti sulla consolle del magistrato; d) intestazione delle sentenze.

23 Nello specifico esse sono: a) ricerche – anche a mezzo dei supporti informatici a disposizione dell’ufficio – di giurisprudenza o dottrina funzionali alla risoluzione dei singoli casi; b) approfondimenti su questioni di diritto ricorrenti e/o particolarmente complesse, redazione di sintesi della posizione della dottrina e giurisprudenza; c) collaborazione nella gestione ed aggiornamento dell’archivio di dottrina e giurisprudenza personale del magistrato.

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convenzioni con i criteri generali ed i limiti previsti dalle proprie risoluzioni24. In assenza di specifiche indicazioni di fonte legislativa primaria, può apparire più problematica, in futuro, la conoscenza del fenomeno che verrebbe rimesso solo ad un eventuale futuro intervento del CSM.

c) Di sicuro rilievo è il riconoscimento legale dell’attività degli “stagisti” ai fini della frequenza del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione e della pratica forense; ma troppo evanescente appare l’indicazione dell’attività di assistenza e di collaborazione che i soggetti esterni potranno offrire “coadiuvando” i magistrati che ne faranno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività.

La legge si limita ad estendere a queste figure di “ausiliari esterni in formazione professionale” solo il segreto di ufficio di cui all’art.15 del testo unico degli impiegati dello stato, “sulle notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni”.

Il tema del contenuto e dei limiti dell’attività del cd. Stagista è, come ovvio, rilevante sotto molteplici aspetti che andrebbero meglio definiti in sede di legge primaria ovvero, come già indicato, con un rinvio alle attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura.

Per queste ragioni, sembra opportuno suggerire una più compiuta disciplina del contenuto delle convenzioni ovvero una espressa “delega” al C.S.M. per la redazione di un modello standard di convenzione con indicazione delle linee guida e dei principi inderogabili.

d) Ultima considerazione conclusiva pone in evidenza che il ruolo del magistrato che assume le funzioni di tutor della figura che, per brevità, qualifichiamo, “stagista” si viene ad affiancare a quello di formazione professionale che i magistrati in servizio già svolgono verso i giovani colleghi magistrati ordinari in tirocinio (MOT) e costituisce un onere aggiuntivo per il tutor a favore dello Stato e della Pubblica Amministrazione in generale. Il gratuito e biunivoco volontariato è rivolto a formare i giovani ricercatori, i giovani avvocati e i giovani magistrati utilizzando le sole forze intellettuali dei magistrati in servizio.

Niente di scandaloso, anzi è una sicura e meritoria attività di trasmissione del sapere che, però, deve essere resa funzionale ad un comune e condiviso obiettivo di miglioramento della funzione giurisdizionale al quale nessuno deve e può sottrarsi. Il rischio è che mentre la formazione di chi è già magistrato è un investimento per la magistratura, la formazione del giovane laureato possa offrire un contributo molto limitato, quanto meno nell’immediato, al servizio giustizia.

In tale prospettiva, allora, è bene che la valorizzazione e l’istituzionalizzazione delle convenzioni, del resto già presenti in molte realtà giudiziarie, sia accompagnata dalla consapevolezza della necessità di dominare un fenomeno che richiede di inserire nel mondo giudiziario forme di investimento di risorse materiali, umane e finanziarie, in senso stretto, la cui “ responsabilità istituzionale” non può gravare in forma isolata e, perfino, non trasparente sulla sola magistratura e, in particolare, sui Dirigenti degli uffici giudiziari.

24 Con delibera del 9 gennaio 2003, il C.S.M., nel rispondere a specifico quesito posto dal responsabile dell’attività di tirocinio della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Udine, aveva rilevato che “in analogia a quanto già disposto in riferimento alle attività formative delle Scuole di specializzazione, può affermarsi l’assenza di ostacoli all’espletamento di tirocini formativi finalizzati al conseguimento della laurea in giurisprudenza, appositamente organizzati dalle Facoltà di Giurisprudenza, presso alcuni Uffici giudiziari, dovendo però ribadire il divieto, desumibile dalla legislazione vigente, per i tirocinanti di assistere allo svolgimento di attività giudiziaria segreta o comunque sottratta alla regola della pubblicità e quindi da considerarsi riservata”.

Con delibera del 14 ottobre 2004 il C.S.M. richiamava i “limiti ai quali devono conformarsi le diverse tipologie di attività formative da svolgersi presso gli uffici giudiziari”, evidenziando, comunque, di avere “espresso in generale un apprezzamento per la collaborazione istituzionale sottesa alle richieste formative riconducibili a soggetti non appartenenti all’ordine giudiziario”.

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