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Missione impegnativa Come il Saverio, nel Giappone d'oggi

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Academic year: 2022

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Una missione a noi cara Il Giappone è caro a noi sa- veriani, perché il primo missio- nario cristiano a mettervi piede è stato san Francesco Saverio, che vi arrivò il 15 agosto 1549.

Vi rimase due anni, affascinato dalla cultura dei giapponesi. Era convinto che vi era un futuro per la chiesa, anche se i frutti imme- diati non erano molti. Intuendo che per rendere Gesù Cristo ac- cettabile ai giapponesi bisognava annunziarlo prima in Cina, deci- se di affrontare quell’immenso Paese, che tuttavia poté vedere solo da lontano.

Noi saveriani siamo stati in Cina per più di mezzo secolo e, quando ne siamo stati espulsi, siamo passati in Giappone per continuare idealmente quello che il Saverio non era riuscito a fare.

E vi siamo ormai da più di cin- quant’anni. È questa la seconda

ragione per cui il Giappone ci è molto caro.

Ci costa molto Ma, come tutte le cose prezio- se, il Giappone ci costa molto caro. Perché la missione in Giap- pone non offre risultati immedia- ti. Le comunità cristiane contano in genere solo qualche decina di cristiani; in qualche caso, qual- che centinaia.

Lavorare in Giappone è per- ciò molto esigente. Difficile è apprendere la lingua; ancora più difficile è varcare la soglia della cultura giapponese, così diversa da quella occidentale. Il Giappo- ne soffre per il suo isolamento passato e, oggi, per quella sorta di incomprensione che colpisce chi ha cercato di costruirsi da so- lo. Dopo la sconfitta della secon- da guerra mondiale e il disastro della bomba atomica, ha dovuto

tirar fuori tutto il suo coraggio per rimontare la china.

Animo gentile e lacerato Non ha materie prime, ma ha una gran capacità di lavoro e, per questo, ha raggiunto i vertici della produzione e della tecnologia. È uno dei G8, dei paesi più industrializzati del mondo, ma sta pagando questo impegno ciclopico e l’impatto con il mondo moderno con dure lacerazioni sociali e personali.

A un aspetto gentile e pacifico, corrisponde un animo forte che non rifiuta la violenza, quando la ritiene necessaria.

La nuova generazione giap- ponese non ha la resistenza e la determinazione morale di quella che ha costruito il Giappone. Og- gi i giovani sono più educati ai diritti che ai doveri e, vittime del- la secolarizzazione e del consu- mismo, vivono le contraddizioni di chi cerca e non trova un senso per la propria vita. Ogni anno, già da tanti anni, il numero dei suicidi si aggira sui 30.000, sintomo del disagio di una popolazione che sta tagliando le sue radici morali e la cui vera religione, non è più buddhismo né scintoismo, ma la corsa all’egemonia economica e finanziaria del mondo.

Come ai tempi del Saverio Evangelizzare un tale ambien- te continua a essere una sfida dif- ficile - eppure necessaria - come ai tempi del Saverio! Gesù chie- de decisioni radicali. Annunziare il suo vangelo a una cultura che

tende ad accogliere tutto e a far coesistere ogni opinione, non è facile. Il numero dei cristiani giapponesi è fermo da anni al 4 per cento. Per questo la Chiesa, che teme di sentirsi straniera a casa propria, ha rivolto la sua attenzione all’ambito sociale, dove la carità cristiana può svol- gere quel ruolo di testimonianza che non è concesso alla Parola e dove il nostro intervento è ap- prezzato e ci attira la simpatia.

Ma per noi missionari rimane la sofferenza di non essere in grado di far accettare Gesù Cri- sto e la sua salvezza. Cionono- stante - e questo è un merito - i missionari continuano a lavorare e a cercare ogni varco possibile per passare la frontiera culturale e religiosa giapponese e trovare nuovi cammini di missione.

Sono convinto che i saveriani stanno facendo onore al nome che portano. La loro testimonianza ri- mane ammirevole anche in assen- za delle grandi cifre. Gesù ci ha mandati a condividere la fede e ad annunziare il vangelo, senza assi- curarci un successo che, lui per primo, non ha avuto! ■

stimoli proposte per gli amici dei missionari

mozamBiCo Sierra Leone BangLadeSh FiLippine giappone indoneSia Taiwan

amazzonia BraSiLe CoLomBia meSSiCo

CSAMCentro Saveriano Animazione Missionaria Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia Tel. 030.3772780 – Fax 030.3772781 E-mail: giornale@saveriani.bs.it

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2006 luglio/agosto n.

ANNO 59°

7

Missione impegnativa

Come il Saverio, nel Giappone d'oggi

p. GABRIELE FERRARI, sx

2006 LUGLIO/AGOSTO n. 7

La missione è visita - Dio visita l’umanità, per abitare tra la sua gente e accompagnarla nel cammi- no di salvezza. Il missionario deve solo cercare di imitare lo stile di Dio. Nella foto di Cícero Lemes, il mendicante - tabernacolo a Belem.

è un “turismo missiona- rio” che dà fastidio. Visi- tare la missione non è un safari.

I missionari e la gente non so- no abitanti di una riserva esoti- ca. Non si tratta di fare una va- canza diversa, magari low cost - a basso prezzo; di ammirare e godere senza soffrire; di guar- dare senza sporcarsi le mani; di andare e tornare, restando co- me prima.

Eppure, visitare le missioni è importante; è un’esperienza che arricchisce. È un atto squisi- tamente umano e pieno di sen- so ecclesiale. Fa parte dello spi- rito e del metodo della missio- ne cristiana. Vuol dire credere nella fraternità universale e nel messaggio evangelico, da con- dividere e testimoniare. Ma co- me compiere queste visite con lo spirito giusto?

Le visite bibliche. Nella bib- bia si parla spesso di “visite”. La più famosa è la visita di Maria all’anziana cugina Elisabetta, ambedue madri in attesa. Maria ha portato in quella casa l’entu- siasmo della giovinezza e lo Spi- rito Santo, di cui era ricolma. E con gradita sorpresa, ha procla-

mato le meraviglie di Dio, che opera “grandi cose” con le per- sone umili e ben disposte.

L’altra visita famosa è quel- la dei tre Ospiti alla tenda di Abramo. La sua grande ospi- talità è stata premiata con la promessa della fecondità per la sposa Sara e con la benedi- zione divina, che ha trasforma- to il vecchio patriarca in “pa- dre dei credenti”.

Gesù stesso visita le fami- glie. Passando di villaggio in villaggio, s’intrattiene nel- le case e gode dell’ospitalità.

L’evangelista Giovanni affer- ma che il Verbo “venne fra la sua gente; venne ad abitare in mezzo a noi”. Gesù è il visita- tore divino. Svolge la sua mis- sione con la modestia e il fasci- no dell’ospite che arriva e chie- de di essere introdotto nell’in- timità della casa.

C’è una missione... a distan- za, profondamente spiritua- le. Ma generalmente, la mis- sione è fatta di visite. Il missio- nario stesso è un autentico vi- sitatore di popoli, di culture, di esperienze. Egli visita, portan- do con sé la “buona notizia” di

Cristo. Entra in casa, saluta, co- nosce e si fa conoscere, offre e chiede familiarità. Segue lo sti- le missionario di Gesù.

Visitare le missioni, per noi cristiani, è come visitare l’uma- nità. Senza sospetti né precon- cetti; non per curiosità, ma per amore. Per vedere e ascolta- re, per accogliere le persone dentro di noi, con tutte le lo- ro storie. Le visite sono sempre un magnifico scambio di doni:

fraternità, amicizia, familiarità, il meglio di sé. Tanto si offre e tanto si riceve.

Quando ho saputo da p. Al- fiero Ceresoli che stava per por- tare i sei novizi brasiliani in visi- ta alle missioni dell’Amazzonia, gli ho subito fatto una propo- sta: raccontare questa visita ai nostri lettori. Sapevo di dargli un grattacapo in più, ma ha ac- cettato volentieri la sfida. Nel- le pagine centrali di questo me- se, trovate i racconti scritti dal

“maestro” e dai suoi “novizi”.

Ringrazio p. Ceresoli e i giova- ni brasiliani, perché hanno con- diviso con noi i frutti della loro esperienza. È il loro Magnificat, dopo la visita ai missionari.

C'

p. MARCELLO STORGATO, sx

La missione è visita

LA MISSIONE, NON PER TURISMO

Visitare, per diventare testimoni

Non ti ho visto, m'hai cercato

Paolo, l'operaio con sentimenti amorevoli

Una vita con gli indio del Brasile

Gran Bretagna: si riparte

Ricevere il carisma della missione

I racconti di una visita in Amazzonia

Quando la terra trema

Il saluto del cardinale Crescenzio Sepe

2 3 4/5 6

hi ci domanda, qual è per noi la missione più impe- gnativa, pensa sia quel- la dove c’è una grande povertà da sanare o una situazione di violenza da sopportare... Ma per il missionario la vera dif-

ficoltà è là dove è diffi- cile annunziare Cristo, perché la gente non lo cerca o non ne sente il bisogno. In questo senso la missione più impegna-

tiva per noi saveriani è, dopo la Cina, il Giap- pone. Ci sono stato poco tempo fa, invi- tato dai confratelli per riflettere sulla Parola di Dio e trarne alimento per la missione. Non era la mia prima visita. Tuttavia, mai come questa volta, ho sentito quanto sia ardua la missione in Giap- pone.

C

Shinmeizan, foto G. Carlesso

foto di R. Trevisan

(2)

el garimpo, la miniera dove si cercano oro e diamanti, c’è spesso clima di guerra: “È mio!”; “No, l’ho visto prima io!...”.

Si formano subito due partiti. Qualcuno tira fuori un coltello; un altro minaccia con un revolver. Un caso, se non ci scappa il mor- to! La domanda cruciale: “Chi è il proprietario? Di chi è il tesoro trovato?”.

Può sembrare paradossale, ma sentendo queste storie dramma- tiche, il mio pensiero va al Save- rio e in generale alla missione. Di chi è la perla preziosa? A chi ap- partiene la moneta d’oro su cui è scolpita l’immagine di Dio? Sa- verio non ha dubbi: “le sue crea- ture… il loro Creatore…”. Nella preghiera egli ripete: “O Dio, le tue creature...”. La vera missio- ne allora diventa restituzione: è

“dare a Dio quello che è di Dio”.

Credo sia stata questa l’intui- zione del beato Conforti quando chiese al giovane pittore Paolo Baratta di dipingere un quadro del Saverio da mettere nella chiesa dell’istituto. Un Saverio che non segue i criteri delle solite immagi- ni del santo: con il petto in fiamme e il crocifisso nella mano, o che muore in solitudine guardando alla Cina...

Ancora oggi, sopra l’altare della “cappella dei martiri”, nella casa madre dei saveriani a Parma, ammiriamo un dipinto del Sa- verio che offre i popoli a Gesù, in braccio alla Madre. Saverio è circondato da uomini, donne e bambini di culture diverse. Egli offre al Signore i frutti del suo apostolato; “restituisce” al loro Creatore i mille volti che egli ha incontrato nei dieci anni di viaggi e di predicazione del vangelo; i volti dell’Europa e dell’Africa, del- l’India e Indonesia, del Giappone e della Cina. Volti diversi, ma con i lineamenti dell’unico Creatore e Padre. Tutti portano la ricchezza di umanità che il “loro Creatore” ha dato a ciascuno.

Mentre scrivo, qui in Brasile siamo in clima di coprifuoco: alle sei di sera, tutti in casa! Arrivano notizie di morti a decine: le carceri sono in rivolta. Una di queste carceri è nella nostra parrocchia, con oltre settemila carcerati. Abbiamo un po’ di paura - lo confesso - ma siamo sereni. In parrocchia c’è il gruppo della pastorale car- ceraria; vi fa parte anche un novizio saveriano. Da loro sentiamo racconti di bontà e di umanità, che i giornali non raccontano mai.

Sì, anche nei carcerati c’è l’immagine di Dio; anche loro continua- no a essere “sue creature”, tesori di Dio.

Dovremmo ricordare più spesso la parola di papa Wojtyla: “L’uo- mo deve essere donato e restituito a Dio, per essere pienamente restituito a se stesso”. Questa è l’opera della missione.

2

el mese scorso abbiamo chiesto all’apostolo Paolo qual era il suo concetto di mis- sione e con quali attitudini noi dobbiamo vivere la missione.

È importante interrogarci oggi, dato che esistono molti equivoci e molte attività sono catalogate sotto l’etichetta di missione. Ci facciamo guidare e illuminare dal pensiero che l’apostolo Pao- lo esprime nella sua prima lette- ra ai Tessalonicesi.

Annunciare il vangelo. Mis- sione è annunciare il vangelo di Dio. Paolo arriva a Tessaloni- ca provenendo da Filippi (cf. At- ti 16,19-40), dove aveva sofferto insulti e persecuzione. Con fran- chezza e coraggio, decide di an- nunciare anche in questa città la buona Notizia e lo fa in mezzo a notevoli sofferenze e contrarie- tà. Lo sostiene il coraggio che gli viene da Dio, che gli ha “affidato la predicazione del suo vangelo”.

L’apostolo ha una certezza:

la missione non è annunciare se stesso, ma qualcosa che non gli

esù, anche in me il tuo no- me è pace, coraggio, futu- ro. Sono un povero cristiano, ma ho voglia di gridare il tuo nome, perché sei una risposta vera al bi- sogno d’amore che ognuno di noi ha. Tu sei la risposta ai tanti per- ché di chi, nel mondo intero, porta il peso di solitudine e dolore! Per tanti il tuo nome cade nel vuoto:

l’attenzione è rivolta a mille cose;

e il cuore resta arido e chiuso.

Gesù, non ti ho visto con gli occhi; non ho sentito la tua voce;

non ti ho toccato con le mie mani.

Eppure tu mi hai cercato, hai vo- luto che t’incontrassi e ho sentito la tua presenza, la gioia del tuo calore, la forza della tua azione che consola e dà senso alla vita.

Ho seguito la scuola della fe- de, camminando insieme a tanti.

“Non è una marcia trionfale - ha detto papa Ratzinger - ma un cammino cosparso di sofferenza e di amore, di prove e di fedeltà da rinnovare ogni giorno”. S’im- para a proprie spese, quanto si è deboli e bisognosi di perdono.

Ma la roccia è Cristo. La roccia è solida, stabile; è un segno adatto a esprimere Gesù, “il carpentiere, figlio di Maria...” (Mc. 6,3).

“Chi ha visto me ha visto il Pa- dre”, risponde Gesù a Filippo che aveva chiesto, “Mostraci il Padre, e ci basta” (Gv 14,9). L’incontro con Gesù nella fede dà concre- tezza al “volto” di Dio. Gesù di Nazaret, il crocifisso risorto, è il volto di Dio. Lo confermano le parole che ha detto e le cose che ha fatto, soprattutto la sua morte in croce, segno sorprendente del- l’amore più radicale.

“La vera novità del nuovo Te- stamento - scrive Benedetto XVI - non sta in nuove idee, ma nella Sensibile alla situazione di po- vertà in cui la comunità viveva, egli prende la decisione di fati- care: “lavorando notte e gior- no”. Fa un lavoro remunerato per mantenere se stesso, per non essere di peso a chi vive una vi- ta di penuria.

Lavoro di operaio e lavo- ro apostolico; vita e parola, per

annunciare il vangelo di Dio,

“esortando, incoraggiando e scongiurando...”. Missione vuol dire condividere la durezza della vita e condividere la buona No- tizia del Regno.

Per vivere i valori del Regno.

“Vi ho esortato a vivere in modo degno di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria”.

Missione è annuncio del vange- lo di Dio, è convocazione a vi- vere secondo l’annuncio ricevu- to e accolto, seguendo l’esempio di colui che è il portatore della buona Notizia.

I missionari e le missionarie sono autentici servi e serve del- l’annuncio, offerto nella condi- visione della vita. Una vita che appartiene, cioè il vangelo, che è

di Dio (2Cor 4,5-7). Il messaggio è di Dio; egli è solamente mes- saggero, testimone, collaborato- re, ministro, amministratore. Agli amministratori viene richiesta la dote della fedeltà (1Cor 4,1-2).

Un’esperienza di vita. Missio- ne è condividere un’esperienza di vita. Paolo non fa bei discorsi né perde tempo in teorie. Racconta come egli ha vissuto la missione, mostrandoci innanzitutto ciò che non ha fatto: “il nostro annuncio non è stato mosso da inganno;

non abbiamo usato frode; non ab- biamo cercato la gloria umana...”.

La missione è innanzitutto convi- vere e condividere un’esperienza di fede e di gratuità. Egli è sola- mente apostolo e servo di Cristo.

Poi parla delle convinzioni che lo hanno accompagnato e orien- tato nel suo agire. “Pur potendo far valere l’autorità di apostolo”, non agisce con autorità, ma con gli stessi sentimenti amorevoli di una madre, di un padre: “è affe- zionato”.

dell’ospedale. L’ho letto in chi ha donato la propria vita per salvare gli altri e in chi - giovani e adulti - hanno orientato la propria vita sulla strada dell’amore semplice e concreto, nutrito di preghiera e di solidarietà verso tutti.

Una mattina a Goma (Congo RD), andavo verso la prigione, dove era stato ucciso un detenu- to. C’era tanta tensione. Avevo la stola, ma anche paura. Un gruppo di mamme stava ai margini della strada. Ho sentito chiara la loro voce: “È Gesù. Va a benedire il prigioniero ucciso”. Ho ripreso coraggio. Il Risorto camminava davanti a me. Davvero, l’amore che è di Dio, è il cuore della vita e ci spinge alla missione.

Molti si chiedono: “Vorrei credere, vorrei seguirlo; ma co- me incontrarlo?”. Penso alle pa- role di Gesù: “Mi manifesterò a chi mi ama”. Lo dico a me; lo dico a te: “Ama, dona te stesso, perdona, cammina sulle sue trac- ce”. Certo, lo seguiremo con la nostra povera capacità d’amore;

ma Gesù è buono e ci accetta.

È importante dare tempo a Dio, perché egli possa piantare in noi i suoi sentimenti. Lo Spirito ha strade infinite, ma il nostro si- lenzio - umiltà è il terreno su cui egli può lavorare. L’opera di Dio è di Dio. L’uomo è coinvolto, in un silenzio attivo, per aprire por- te e finestre alla sua luce. E... chi ha incontrato qualcosa di vero, di bello e di buono nella propria vi- ta - l’unico vero tesoro, la perla preziosa! -, corre a condivider- lo ovunque. Lo fa senza confini, perché è portatore di una buona Notizia che è per tutti gli uomini, per tutti i popoli. figura stessa di Cristo, che dà

carne e sangue ai concetti, - un realismo inaudito”.

In Gesù si illumina l’incontro multiforme e misterioso di Dio, che egli chiama “Abba - Papà!”.

Egli è dono e relazione; è ricco di misericordia; scioglie le catene; è sorgente di vita e di gioia. Gesù è la Parola umile e potente di Dio.

Sempre ci viene incontro, per- ché egli è vivo e ci ama. In Gesù, l’onda dell’amore del Padre arri- va continuamente fino a noi, con la forza dello Spirito Santo.

Ho imparato a vedere. Avrei voluto incidere il suo nome sulla roccia. Poi ho imparato a leggerlo nella sua chiesa, nelle piccole co- munità di base, nelle mamme del- la missione che portavano il cibo ai detenuti in prigione e ai malati

missione e spirito

L’icona deLLa missione

PER RESTITUIRE A DIO

carisma è missione

Non ti ho visto, m'hai cercato

p. siLVio tUraZZi, sx La missione cHiama

intenZione missionaria e preGHiera deL mese

La paroLa

Abbiamo avuto il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mez- zo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno... E neppure abbiamo cercato la gloria umana. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre nutre e ha cura del- le proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete di- ventati cari... Lavorando notte e giorno per non essere di peso ad al- cuno, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio... E sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi a comportarvi in modo degno... 1 Tessalonicesi 2, 1-12

deve testimoniare e anticipare i valori del regno di Dio in mezzo all’umanità.

Oggi scriviamo libri sul meto- do missionario di Paolo. Piutto- sto, guardiamo all’apostolo: con franchezza ha aperto cammi- ni nuovi, ha osato per il nuovo, ha messo a rischio la sua pro- pria vita. Soprattutto, è vissuto da missionario con questi sen- timenti: “Portiamo il tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria vie- ne da Dio e non da noi. Così in noi opera la morte, ma in voi la vita.” (2Cor 4,7-12).

Ci chiediamo: quali cammini siamo chiamati a aprire noi oggi in mezzo all’umanità? ■

I gruppi etnici e religiosi vi- vano in pace e, insieme, co- struiscano una società ispira- ta ai valori umani e spirituali.

I carcerati, specialmente giovani, ricevano il sostegno della società per riuscire a dar senso alla propria esistenza.

saverio: “Vivere senza Cristo, per seguire le proprie incli-

nazioni, è peggio della morte!”.

Vivere la missione con Paolo

L'operaio con sentimenti amorevoli

tea friGerio, mm

G N

p. aLfiero ceresoLi, sx

N

anno saveriano

paolo tessitore (Amelia Platone, Asti)

Dipinto di F. Baratta, Casa Madre - Parma Olio su tela, 1990

(3)

Padre Diego Pelizzari, save- riano di Villa D’Ogna (BG), ha lavorato per molti anni tra i po- poli indio del Brasile. Racconta qualcosa della sua esperienza missionaria, anche per suscitare la nostra solidarietà (il “proget- to” è a pagina 7).

ono missionario in Brasile da 17 anni. I primi 14 li ho passati al nord, nella regione dello Xingu, vivendo nei villaggi con vari popoli indigeni. L’espe- rienza si è interrotta quando sono stato espulso da un capo- villaggio, istigato dai “madere- ros” - i mercanti del legname - che vedevano nel missionario un ostacolo allo

sfruttamento della foresta amazzoni- ca. Ho perciò fatto una “sosta” a San Paolo, dedican- domi allo studio della bibbia. Ora sono tra gli indio guaranì, nel sud del Brasile.

I guaranì sono famosi nella storia delle missioni per- ché evangelizzati dai gesuiti a ca-

3

Xaverian College, il seminario costruito dai saveriani negli an- ni ‘60. (La testa c’è anche se il fotografo l’ha tagliata! - ndr).

Il collegio dietro la casa sa- rà demolito per far posto al nuovo centro di animazione missionaria. Queste sono state le decisioni importanti dell’as- semblea: i nuovi documenti e un nuovo impegno dei save- riani in Scozia. Il nuovo centro accoglierà tanti giovani per educarli alla mondialità e of- frire loro un contatto con la spiritualità saveriana. Avremo la possibilità di ricominciare quell’animazione vocazionale che era stata l’obiettivo dei pri- mi saveriani in Gran Bretagna.

La nuova Direzione è forma- ta da tre saveriani scozzesi e due italiani. È un’équipe piena di vitalità e creatività. La Scozia invita i saveriani a riprendere il cammino, seguendo il Signore con gioia e fiducia. ■

(di p. G. Zampese, sx) risorsa che gli rimane: la terra

sulla quale vive.

Noi missionari cerchiamo di stare dalla parte dei poveri. Con un gruppo di laici missionari, inviati dalla chiesa brasiliana, ci adoperiamo soprattutto a forma- re i capi-villaggio. Cerchiamo di renderli consapevoli dei pericoli ai quali vanno incontro, perché possano dotarsi degli strumenti adatti per affrontare l’impatto con il mondo esterno “civilizza- to”. L’obiettivo è far sì che loro stessi sappiano difendere i diritti alla terra, alla lingua e cultura, alle tradizioni e alla spiritualità del popolo guaranì.

insegnare senza imporre Attraverso l’istruzione scola- stica si stanno formando perso- ne aperte al mondo e, allo stesso tempo, in grado di conservare le proprie origini. Donne e uo- mini si preparano ad affrontare un futuro non facile, capaci di favorire l’incontro con “l’altro Brasile”, stimolando un’integra- zione arricchente per tutti, dove le diversità siano viste come ric- chezze e non come ostacoli.

La presenza dei missionari nei villaggi guaranì è un piccolo se- vallo del 1500 e 1600, attraverso

le cosiddette “riduzioni”. Erano comunità di soli indigeni che, sotto la direzione dei missiona- ri, formavano una realtà sociale ed economica autonoma. Que- st’esperienza è terminata quando i governi di Portogallo e Spagna, vedendo nelle “riduzioni” una minaccia al loro potere, le hanno distrutte. La vicenda è stata rico- struita nel film “Mission”.

a scuola di diritti e doveri È tra i discendenti di quel po- polo che sto lavorando insieme ai laici missionari, per aiutare questa gente a sopravvivere agli attacchi dei nuovi invasori: la-

tifondisti e indu- striali che, anche con la connivenza di persone di go- verno, vogliono occupare le loro terre. La situa- zione non è mol- to cambiata da quella di 400 anni fa. Il prepotente vuole sopraffare il debole, il ricco non è mai sazio e vuole spogliare il povero dell’unica

gno per dire che non tutti i bian- chi sono lì per scacciarli dalle loro terre. Al contrario, è la di- mostrazione che ci sono sorelle e fratelli bianchi che li stimano e vogliono il loro bene.

Stiamo con gli indio in modo discreto e rispettoso. Non vo- gliamo imporre qualcosa, ma li incoraggiamo ad avvicinarsi al mondo esterno senza perdere la propria identità. Un esempio è la scuola, dove non viene imposta una conoscenza estranea, ma si cerca di armonizzare la necessi- tà del sapere con le loro stesse esigenze. Imparano nella loro lingua, che è il mezzo principale per salvaguardare la cultura, ma anche in portoghese, lingua uffi- ciale del Brasile.

La spiritualità dei guaranì I guaranì sono alla ricerca della “terra sem males”: la terra

senza mali, il paradiso. Vivono un rapporto di dipendenza da Dio e hanno un profondo senso della preghiera. Piccoli e grandi van- no nella “casa della preghiera” al mattino e soprattutto verso sera.

Celebrando i loro riti tradizionali, seguendo i cicli delle stagioni.

I missionari cercano di valoriz- zare tutti questi aspetti positivi di una religiosità che si è sviluppa- ta lungo i 13mila anni di presen- za dei guaranì nel continente su- damericano. Il compito più im- pegnativo del missionario è sco- prire il modo in cui il Signore si manifesta in mezzo a questo po- polo, nelle sue espressioni cultu- rali e religiose. Scoprire qual è il messaggio di salvezza che ancor oggi il Padre trasmette agli indio e, come missionari, renderci do- cili testimoni di questa speranza annunciata, è una sfida difficile ma affascinante. ■

francesco saVerio / 7

difficoltà e preoccupazioni

Il Saverio trova ovunque campi di apostolato pronti a rice- vere il seme della Parola: tra le mogli e i figli dei portoghesi che vivono nei fortini coloniali, tra gli abitanti dell’India, del- le Molucche, di Ternate, di Amboina, dell’isola del Moro... Il suo metodo missionario mira a stabilire subito le comunità cristiane, sulla base di alcuni punti importanti: accettare le verità principali della fede cristiana e il battesimo, essere as- sidui nella preghiera e nell’istruzione. È un metodo adatta- to alle popolazioni semplici e povere.

Oltre a successi e speranze, le sue lettere rivelano anche una serie di difficoltà, che il santo vede lucidamente e a cui cerca di far fronte, per quello che può. La prima difficoltà è la penuria di missionari. Saverio li chiede con insistenza, non solo a sant’Ignazio ma anche al re del Portogallo, responsa- bile dell’azione missionaria nelle terre sotto il suo dominio.

Gli scrive di mandarne il più grande numero possibile, soste- nendo anche le spese connesse: “Si ricordi di mandare predi- catori poiché, per la loro mancanza, né i portoghesi né i con- vertiti alla nostra fede sono cristiani”. (Lettera 61)

Un’altra difficoltà è lo scarso spirito di collaborazione.

Spesso ci sono forti rivalità e gelosie tra chi dovrebbe lavo- rare per il bene della gente. Così scrive al re: “Alcuni dicono,

«lo farò io»; altri, «no, soltanto io»; oppure, «poiché io non lo faccio, non mi piace che lo facciate voi»; e altri ancora, «io sopporto le fatiche e altri ricevono i ringraziamenti e i van- taggi...». Così ognuno lavora per mandare avanti la propria causa, senza mandare avanti il servizio di Dio”.

Il Saverio è anche molto preoccupato per l’oppressione esercitata dai portoghesi sui cristiani: “In India, molti cristia- ni non si convertono proprio per colpa dei governatori”, che hanno ben altri interessi e non si preoccupano di favorire la vita cristiana e l’onestà. Saverio chiede al re di intervenire sui governatori che abusano del loro potere, ma conclude scon- solato: “Ma non ho speranza che questo si farà”.

C’è poi la tentazione dello scoraggiamento nei missionari stessi. Saverio li conforta e incoraggia, come fa nella lette- ra a p. Henriques, che lavora nell’India meridionale: “Non vi scoraggiate nel vedere che non fate tanto frutto come desi- derate con i cristiani...; fate più frutto di quanto pensiate nel dare la vita spirituale alle creature che nascono battezzan- dole, con grande diligenza e cura. (Lettera 69)

Proprio a motivo della missione intrapresa, Saverio vive nell’angoscia per i molti ostacoli che vede, per l’impossibili- tà personale a farvi fronte e a convincere altri ad impegnar- si in essa con lo stesso zelo. Fa parte dell’impresa missiona- ria l’accettare di prendere su di sé quest’angoscia, alle volte più profonda degli ostacoli esterni.

SCUOLA DI MISSIONE

S

iL saVerio in BrasiLe In occasione dei 500 anni dal- la nascita del Saverio, i saveria- ni in Brasile hanno preparato una bella mostra dal titolo “Sui passi del Saverio”. In 10 sezioni, ripercorre

i principa- li momen- ti della vita del grande missionario dell’Orien- te: France- sco Save- rio in Spa- gna (la ri- cerca), a Pa- rigi (la scuo- la), in Italia (la missio- ne), in India (il povero),

in Malesia (l’uomo), in Indo- nesia (lo sconosciuto), in Giap- pone (il diverso), in Cina (il so- gno), nel mondo (il santo senza frontiere).

La mostra itinerante è un percorso per scoprire gli aspet- ti principali della missione del- la chiesa nel mondo; un ottimo strumento per l’animazione e la formazione missionaria. La mo- stra è stata presentata ai 350 vescovi del Brasile riuniti a Itaici per l’assemblea annuale, con un pieghevole illustrato. Ne hanno dato notizia p. Stefano Raschiet- ti e p. Giovanni Murazzo. Tra le altre iniziative, i saveriani hanno preparato anche uno spettacolo teatrale e un libretto di anima- zione per l’ottobre missionario sul Saverio.

p. faBriZio tosoLini, sx

Una vita con gli indio del Brasile

Una sfida difficile, ma affascinante

p. dieGo peLiZZari, sx

La nuova direzione dei saveriani in Gran Bretagna (da sinistra): p. Giovanni Zampese, p. Giuseppe tavera, p. John convery (superiore), p. tom Welsh (vice), p. Jim clarke

padre diego pelizzari sbuca dietro un bel gruppo di giovani indio guaranì

padre diego pelizzari nella sua ultima visita in italia

Gran BretaGna: si riparte In aprile, i 17 saveriani della Gran Bretagna si sono riuniti in assemblea capitolare a Coatbri- dge, nel cuore della Scozia. Spi- ritualmente era presente anche il novantaduenne p. Paolino Za- non, in continua preghiera dal suo ospizio. Hanno rinnovato i documenti che regolano la vi- ta e le attività missionarie, ade- guandoli alla missione dei save- riani all’inizio del terzo millen- nio. “Questi documenti devono diventare lettera viva, fonte di unione, strumenti per procla- mare e testimoniare il vangelo;

occorre comprenderne lo spiri- to, per dar vita alle attività fu- ture”, ha detto p. Luigi Mene- gazzo, vice superiore generale.

Il nuovo superiore eletto, p.

John Convery, ha definito l’in- contro come “un’assemblea di partenza”. La nuova équipe chiamata ad animare le attività dei saveriani in Gran Bretagna è davanti alla tipica casa scoz- zese abitata dai primi saveriani venuti dall’Italia, pieni di ideali e di entusiasmo. S’intravede anche la statua del Saverio, che ha dato nome al famoso

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e Costituzioni dei missionari saveriani affermano che la formazione deve aiutarci a “diventare discepoli di Cri- sto, missionario del Padre, per essere inviati tra i non cristiani, come apostoli del Regno”. Una delle finalità del noviziato è fare in modo che noi giovani troviamo “nell’impegno aposto- lico il luogo della nostra abituale unione con Dio”.

Con questo spirito, abbiamo intrapreso il viaggio che ci ha portato a Belém, poi ad Abaetetuba e infine a Redenção, tre città nella regione brasiliana del Pará. Eravamo accompagna- ti dal nostro “maestro dei novizi” p. Alfiero Ceresoli. Ecco i nostri nomi: Cícero, Erico, Geraldo, João Evandro, Paolo, Thiago.

Siamo partiti da Hortolândia il 24 gennaio e siamo tornati il 9 febbraio. Il viaggio di andata è stato veloce: poco più di quattro ore di volo. Ad accoglierci c’erano p. Pino Leoni, detto Zezinho, e p. Walter Taini.

Prima tappa: la città nella palude

Abbiamo visitato la città di Belém: alcuni luoghi turistici, certo, ma soprattutto i luoghi storici dell’evangelizzazione e della presenza saveriana. Tre i luoghi particolarmente interes- santi per noi.

La casa di accoglienza dei mendicanti, creata e sostenuta da p. Francesco Gugliotta e le sue suore. Sono ambienti pove- ri, ma accoglienti; spazi piccoli e stretti, ma veri monumenti alla carità cristiana.

La casa per l’animazione e la formazione missionaria, al- le porte di Belém. Qui abbiamo pranzato con i saveriani della comunità: p. Filippo Rota Martir, p. Luigi Anzalone, p. Savino Mombelli, p. Lino Zucchi, p. José Luiz. Un’agape fraterna che ci ha fatto assaporare la verità del salmo: “Com’è dolce e soave per i fratelli vivere insieme!”. Del resto, incontrare

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su ali d'aquila

la preghiera allo spirito santo

GERALDO

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NOTE DI VIAGGIO

VISITARE LA MISSIONE, RICEVERNE IL CARISMA

HANNO TRACCIATO IL CAMMINO

ERICO e JOÃO EVANDRO

Il nostro viaggio spesso si è trasformato in pellegri- naggio. Noi brasiliani diciamo “romania”, a ricordo di chi andava a Roma. Abbiamo fatto una romaria ai san- tuari delle comunità saveriane e verso i popoli che lo- ro amano e servono. Abbiamo compiuto una romaria alle tombe di coloro che qui hanno lavorato e hanno lasciato tutto, anche i loro resti mortali. Molti missio- nari hanno aperto il solco e facilitato il cammino degli altri. Noi ricordiamo coloro che qui sono sepolti, di cui abbiamo visitato le tombe.

Nella cattedrale di Abaetetuba, il vescovo Frosi dom Angelo, come qui è chiamato con affetto (1924-1995).

È ricordato ovunque, con il suo volto sorridente. Dav- vero ha lasciato un solco indelebile di amabilità, di se- rena bontà, di dedizione al suo popolo.

Nel cimitero di Abaetetuba, la tomba di p. Mario Lanciotti (1901-1983), fedele a Dio in Cina e in Brasile, si è dedicato ai poveri ed è vissuto da povero. Nell’ul- tima malattia ha scelto l’ospedale dei poveri, nel dor- mitorio con loro. E anche la tomba di p. Carlo Mantoni (1942-1998), l’appassionato della Parola e della natura, il dispensatore dell’Eucaristia e della carità.

A Concordia, è sepolto Luigi Cazzulani, (1937-1997), il fratello consacrato a Dio e ai poveri. Lo ricordano ancora i suoi “ragazzi”, che egli sapeva togliere dalla strada per riunirli con il calcio e portarli al catechismo e lanciarli nell’apostolato.

A Moikarakó, dove è morto il diacono Santiago Ci- marro (1962-2000), ricordiamo le parole del suo vesco- vo mons. Krautler: “Santiago ha voluto una sola cosa:

essere missionario dell’amore di Dio in mezzo a quelli che il mondo rifiuta. È vissuto con semplicità nel villag- gio, tra gli indio kayapó”.

Per loro una preghiera; per noi un impegno: conti- nuare a tracciare le strade di evangelizzazione, da lo- ro aperte con tanta generosità.

quando i sogni si realizzano

p. ALFIERO CERESOLI, sx

a pista era ragionevolmente buona, ma chiusa. Scendo dalla camionetta, apro il cancello, risalgo in macchina, passo, scendo di nuovo, chiudo il cancello e riprendo il cam- mino. Cancelli di tavole grezze, di bambù, o anche solo (solo?) di filo spinato. Li ho contati: uno, due, tre... dodici cancelli!

Scendi, apri, passi, chiudi... dodici volte. Se non avessi visto, sarei tentato a non credere. Dodici barriere chiuse, per arrivare all’aldeia più antica, il villaggio indio che i domenicani, al- l’inizio del 1900, hanno chiamato “Las Casas”.

Un mattino mi alzo e... sorpresa!

Per capire, ho cercato di immaginare. Abito in una casa agricola, una cascina, al centro di un vasto terreno dal quale traggo il necessario per la vita. Un mattino mi alzo, esco di casa e, dopo aver percorso il sentiero per una decina di metri, trovo un cancello. Qualcuno si è installato nel terreno che mi dava da vivere, e mi ha anche chiuso la strada. Non posso più entrare e uscire dalla mia casa senza il suo permesso, senza aprire e chiudere quel cancello. Cammino un centinaio di me- tri ed ecco, un altro cancello; poi un altro e un altro ancora, fino a dodici.

Non mi ero mai preoccupato di documentare la mia pro- prietà. Non c’era nessuno intorno alla mia casa, da secoli. Gli ultimi arrivati mi mostrano dei fogli che chiamano “titolo di proprietà”. Io non so cosa siano; non so neanche leggerli. Ca- pisco che qualcuno ha venduto loro questi terreni e qualcuno (non tutti!) li ha pagati, magari con i propri risparmi... Ma rimane il fatto che io ora sono prigioniero di dodici cancelli.

C’è un’altra pista per arrivare all’aldeia. Su quella pista in- contri solo tre cancelli. Ma uno è chiuso a chiave: catena e lucchetto! E senza chiave non passi, oltre al fatto che la strada non è sempre percorribile.

“Cosa daremo in eredità ai figli?”

Passati i dodici cancelli, finalmente arriviamo al villaggio.

Rimango incantato. Che armonia! Le capanne sono disposte a cerchio perfetto. Al centro, c’è la casa dei guerrieri, la casa di tutti. Volti sorridenti, corpi dipinti da sembrare quadri d’arte moderna. In breve, tutti i presenti nell’aldeia si riuniscono nella casa di tutti. Dei 186 abitanti del villaggio, alcuni sono al lavoro nella foresta - la poca che è rimasta; alcune famiglie sono andate in città per curarsi o altro. Corrono nella capanna- scuola a prendere sedie per tutti.

Seguono i discorsi di benvenuto: parlano due uomini e due donne. Ricordo la parola di un’anziana signora, che si è fat- ta avanti trascinandosi dietro due piccoli. Al saluto di prassi, aggiunge: “Non possiamo offrirvi nient’altro che la nostra accoglienza cordiale. Quando ero piccola come questi - e ac- carezza i cappelli lisi dei bambini - potevamo cacciare l’anta, il japuti, il tapiro, il porco, la onça e altro ancora. E correre senza fermarci, fino a raggiungere la preda. Ora, dopo una breve corsa, ci troviamo di fronte ai reticolati. L’animale fug- ge e noi non possiamo passare. Nostra eredità era la foresta, gli spazi liberi, i frutti, gli animali. Ora c’è divieto di caccia e di pesca. (Li abbiamo visti anche noi i cartelli). Cosa daremo in eredità - continua - a questi nostri ragazzi?”.

Alla fine ci ha regalato una gran zucca! (vedi foto) Abbiamo fatto un po’ di festa insieme: panini, bibite, biscotti, caramelle.

Abbiamo ammirato la loro abilità nel fare certi lavori e l’arte con cui dipingono il corpo. Siamo entrati in tutte le capanne, in segno di attenzione e di rispetto.

Dopo grandi strette di mano, li abbiamo lasciati con un po’

di nostalgia e abbiamo ripreso la nostra strada. Aprendo e chiudendo i cancelli, per dodici volte. ■

l

IL MITO KAYAPò

STORIE VERE

l

e enormi distanze, il timore di aggiungere lavoro al già pesante la-

voro dei missionari e… i costi del viaggio, facevano del mio sogno un’ipotesi lontana. Così il sogno rimaneva in quell’angolo della mente in cui si mettono le avventure a cui è bello pensare, ma che ti rasse-

gni a non vivere.

Il sogno era di completare la formazione dei novizi save- riani del Brasile con un viaggio alle missioni del nord, nella

zona amazzonica, dove lavorano i saveriani. Ci ha pensa- to la Provvidenza. E il sogno si è avverato, a cavallo tra

gennaio e febbraio di quest’anno.

Il Brasile è un continente. Più di quattro ore di aereo per l’andata; due notti e due giorni per il ritorno in corriera! Ne è valsa la pena. Dei sei giovani che mi hanno ac- compagnato, quattro sono diventati save- riani il 2 luglio; gli altri due proseguono la formazione.

In queste pagine tentiamo di raccontarvi il viaggio, le esperienze, gli incontri… Vorremmo riuscire a trasmettere la gioia della fraterni-

tà saveriana con la quale siamo stati accolti, descrivere qualcosa del lavoro dei missio-

nari fra quei popoli, raccontare il mira- colo della missione, di cui siamo stati

testimoni. Ci proviamo.

l

l sorriso e l’abbraccio fraterno spesso valgono più di mille parole. Ma in vari incontri, abbiamo anche raccol- to parole, a volte solo sussurrate, cariche di sapienza. Queste parole ci hanno accompagnato nelle lunghe ore di corriera;

hanno nutrito la mente e il cuore lungo le notti insonni per il traballare del veicolo sulla strada dissestata. Hanno reso più leggero il peso del viaggio.

Fortunati noi: “siamo di Dio”

Durante l’incontro con il p. Marcello Zurlo, su una baracca sospesa su palafitte nell’acquitrino, abbiamo letto questa scritta: “Il Signore ha cura di noi suoi figli”. Come non continuare il no- stro cammino missionario con questa certezza nel cuore?

“È bello essere di Dio e appartenere soltanto a lui” - questo ci ha detto p. Dante Mainini mentre ci parlava della consacrazione missionaria e religiosa.

Non c’era bisogno che la dicesse; la si leggeva nel suo volto gioioso, di missionario quasi novanten- ne. È vero, siamo del Signore e lui ci invia ai fratelli ad annunciare il suo nome.

In casa di João Evandro, la mamma parlando di un malato si domandava: “Perché soffrono gli innocenti?”. Ha risposto il papà, con voce ferma: “Per la gloria di Dio”. Non so se que- sta sia una grande teologia o una spiritua- lità corretta. So che Gesù rispose così agli apostoli, a proposito del cieco nato.

La saggezza di una vita di fede

Un pomeriggio abbiamo visitato un vecchio cacique. Vi- ve in una casetta di legno in città, a Redenção. Non è più in funzione, ma quando i problemi sono complicati chiamano ancora lui, il vecchio capotribù. Sono cristiani, lui e la moglie.

Dopo d’averci salutato, ci ha mostrato l’anello nuziale. Poi ha preso la mano dell’anziana signora e ha detto: “Questa è l’alleanza e non l’ho mai tradita”. Caro cacique, tu hai capito perfettamente cosa significa essere “segno dell’alleanza fra Dio e il suo popolo”!

Infine, la vecchia signora, pelle e ossa, seduta nel corridoio del ricovero “San Giovanni di Dio”, rifugio per mendicanti e malati raccolti sul marciapiede da p. Gugliotta. Uno di noi le ha chiesto: “Vengono a trovarti i tuoi parenti?”. La donna lo guarda stupita. Dopo una pausa, risponde: “Non ho parenti.

Miei parenti sono le suore e padre Francesco”.

Per questo vogliamo essere missionari: per essere fratelli di tutti; per stringere legami di parentela - non di carne né di san- gue - con ogni uomo e donna della terra; per fare del mondo una sola famiglia. ■

i

la Missione in FraTerniTà Per diventare discepoli di Cristo

ThIAGO e PAOLO

e conoscere i confratelli saveriani era uno degli obiettivi del nostro viaggio.

La parrocchia san Francesco Saverio, dove lavorano p.

Vasco Milani, p. Bruno Marchetti e p. Marcello Zurlo. Che impressione vedere case, scuole e chiese sorte sopra palafit- te nell’immensa palude! Abbiamo ammirato il coraggio dei missionari.

Seconda tappa: la gente di “dom Frosi”

Siamo partiti per Abaetetuba, il primo centro saveriano al nord del Brasile. Per l’intera giornata, ci ha fatto da guida p.

Adolfo Zon. Abbiamo visto le varie comunità, la cattedrale, il centro medico delle saveriane - strapieno! - , i luoghi di for- mazione dei giovani e la casa saveriana “Dom João Gazza”, dove vivono p. Siro Brunello, p. Dante Mainini, p. Fernando Vignato, p. Nicola Masi e p. Adolfo João Pereira.

Oltre al bel lavoro svolto dai saveriani, siamo rimasti im- pressionati dalla memoria e dalla stima che circondano ancora la figura del compianto mons. Angelo Frosi. Non c’è chiesa, piccola o grande, non c’è luogo pubblico o casa privata dove non vi sia la foto di “dom Angelo”. Davvero questo saveriano è vivo nella memoria di tutti. Da tutti è ricordato come un santo missionario.

Terza tappa: la familiarità missionaria Raggiungiamo Tomé Açu passando, nell’andata o nel ritor- no, nelle nostre tre parrocchie missionarie: Bujaru, con p. José Ramos; Concordia, con p. Meo Elia e fr. Pietro Mariuzzo;

Acará, con p. Walter Parise e p. Albertus Priyono.

In Tomé Açu, p. Celio Torresan e p. Ilario Trapletti ci hanno accolti con tanta fraternità e hanno preparato un ottimo pran- zo. Fuori città, in un’azienda agricola sperimentale, abbiamo visitato la famiglia del novizio João Evandro. È stato bello passare alcune ore con la famiglia di un nostro compagno di viaggio. Abbiamo capito che per essere padre e madre di un missionario ci vogliono fede e generosità.

Tornati a Belém, abbiamo visitato le sorelle saveriane. Sono molto impegnate soprattutto con le comunità ec- clesiali di base, in continuo contatto con la gente che vive in mezzo a grandi difficoltà, ma sempre con grande dignità. Poi ci siamo preparati ad af- frontare il viaggio verso Redenção.

Quarta tappa: la terra dei kayapó Siamo partiti da Belém al calare del sole, e siamo arrivati a Redenção il giorno dopo a mez- zogiorno, in pieno sole: in tutto, quindici ore di viaggio. Redenção è un po’ il capoluogo degli in- dio kayapó. Qui, in una casa, abitano i saveriani p. Renato Trevisan, p. Pedro Ruiz e p. Raimundo Camacho. C’è anche un grande centro per l’ac- coglienza degli indio che per qualsiasi ragione vengono in città. È una bella cittadina, fondata da pochi decenni, piena di vita e di gioventù. Al centro, abbiamo avuto i primi contatti con gli indio kayapó, molto cordiali e occupati in varie attività: pittura e cucito, coltivazione di frutta e verdure. Amano vedere i filma- ti delle loro danze e feste tradizionali:

ne hanno una bella collezione.

A Redenção, abbiamo intercala- to giorni di visite a giorni di lavoro, cercando di renderci utili: abbiamo pitturato gli ambienti, ri-organizzato la biblioteca, selezionato i materiali di studio sui kayapó, lavorato nel giardi- no. Ma i nostri momenti più belli sono stati visitando la gente vicina.

Abbiamo celebrato la Messa in ca- sa, intorno a un tavolo. Ma siamo stati anche nella chiesa parrocchiale dove ci siamo presentati alla comunità cristia- na, dichiarando la volontà di seguire la vocazione missionaria e diventare saveriani. Siamo andati fino alla città di Conceição, sulle rive del fiume Ara- guaia. Qui è stata celebrata la prima Messa dai domenicani giunti su queste rive verso la fine del 1800.

Abbiamo avuto anche vari incon- tri formativi con p. Renato, che ci ha spiegato gli elementi fondamentali per un’attività missionaria con i kayapó, le priorità pastorali e il dialogo inter-re- ligioso. Ci ha anche presentato alcuni aspetti interessanti della cultura, dei co- stumi e della religione degli indio, che egli conosce molto bene. ■

ORA sIAMO pIù CONvINTI

ThIAGO e PAOLO

I giorni sono passati in fretta ed eccoci alla vi- gilia di ripartire. Al mattino abbiamo visitato le suore che aiutano i nostri missionari. Il pomerig- gio l’abbiamo trascorso in una “fazenda”, sulle rive di un laghetto. Luogo di pace e di serenità.

Ci siamo ritirati in preghiera e abbiamo condi- viso i nostri sentimenti, le esperienze, le emo- zioni.

Abbiamo anche tentato di pescare, ma sen- za alcun successo. Fortunatamente Luciene, la signora che gestisce la “fazenda” e che è forte- mente impegnata nell’attività di evangelizzazio-

ne, aveva preparato una buona cena, senza aspettare il nostro pesce. Sapeva che non avrebbe ...abboccato! È stata la nostra ultima cena in Amazzonia.

Poi, siamo saliti sulla corriera del ritorno. Abbiamo lasciato un po’ del nostro cuore con i confratelli missionari, con i kayapó e con tutta quella buona gente, che abbiamo incontrato e conosciuto come nostri fratelli e sorelle. Era la sera del martedì: una notte, un giorno intero, un’altra notte, e solo al mattino del giovedì abbiamo messo piede in Hortolândia, nella casa del nostro noviziato.

Ci è parso di ricominciare il nostro cammino con l’allegria di chi ha conosciuto più e meglio la famiglia missionaria, che noi abbiamo già scelto e che a luglio ci accoglierà uf- ficialmente, quando faremo i voti religiosi.

Accoglienza, famiglia, dono di sé a Dio per la missione: questi sono i sentimenti che ci rimangono nel cuore da questa visita missionaria. I nostri confratelli saveriani ci han- no dimostrato la verità del testamento del nostro fondatore, il beato Conforti: “spirito di amore intenso per la nostra famiglia”. Grazie a loro, alla loro gioiosa accoglienza, al meraviglioso lavoro che svolgono, ora siamo ancora più convinti che... “saveriano è la scelta giusta”.

dodiCi CanCelli: CoMe Mai?

se ti tagliano la strada...

p. ALFIERO CERESOLI, sx

Pillole di saggezza

la spiritualità dell'incontro

CíCERO

ensavo che fosse solo per i giorni di festa! Invece, l’uso delle piume è più comune, più quotidiano di quanto pensassi. Vera “arte plumaria”, molto ricca nelle cerimonie e nelle feste, più semplice nella vita ordinaria di ogni giorno:

una piuma al braccio; due piume sulla schiena, che pendono da un collare, oppure orientate verso il cielo, fermate alla nu- ca da un diadema di fibre vegetali.

Mi sono ricordato di quello che scrive padre Renato Trevi- san nel suo bel volume sui Kayapó, il popolo che viene dal- l’acqua: “Le piume sono presenti in tutto l’arco della vita dei kayapó e sono di uso quotidiano. Va da sé che anche il loro uso trova la sua origine nella mitologia”.

Ecco il “kayapó ideale”

L’aquila, o “il grande avvoltoio”, era l’unico uccello esi- stente all’origine dei tempi, ucciso da due fratelli giganti. Le sue piume diventano per gli eroi il segno della loro superiori- tà. Kukrytwir e Kukritkokô - questi i nomi dei due fratelli - si rivestono delle sue piume, non solo per ricordare a tutti le lo- ro gesta, ma soprattutto per conquistare e assicurarsi le virtù e le capacità di volo del grande avvoltoio.

Scrive p. Renato: “L’avvoltoio reale, dalla vista acuta e dal volo particolarmente solenne, a cui il mito attribuisce l’origi- ne di tutti gli uccelli, rimane per i kayapó il primo degli scia- mani, colui che ha poteri naturali e possiede anche quelli so- prannaturali. Come l’avvoltoio, lo sciamano kayapó può vola- re, avere una visione cosmica dell’universo, conoscere i miste- ri della realtà umana e quella soprannaturale, che sfugge a chi non è sciamano. Egli diventa così l’esempio del kayapó idea- le, un essere che sa volare, superare tutto, compresa la morte, e comunque superare gli ostacoli, per raggiungere il modo di essere degli eroi mitici e ottenerne i poteri”.

Volare, come icona dell’eterno sogno della persona uma- na di superarsi, di infrangere barriere, di penetrare nei misteri della vita e della morte.

P

Per volare verso l’infinito

L’uomo supera infinitamente l’uomo, ci ha ricordato Paolo VI. E Benedetto XVI, nella sua prima enciclica ha ripetuto:

“Sì, l’eros vuole sollevarci in estasi verso il divino, condurci al di là di noi stessi”.

Planare liberi e leggeri, al di sopra di tutti gli ostacoli del- la foresta, e superarli senza fatica, penetrate con lo sguardo acuto oltre il folto e impenetrabile intrigo di rami e fogliame, per vedere anche il più piccolo animale strisciante al suolo e piombare sulla preda con precisione infallibile. Non è questo un “andare oltre noi stessi” e volare “verso il divino”? Non è il mito e l’uso delle piume l’espressione, povera ma di una bellezza straordinaria, della presenza dei semi del Verbo e del- l’azione misteriosa dello Spirito?

È lo Spirito che suggerisce a questo popolo il desiderio di andare oltre, di volare fino a Colui che ancora non conosco- no come loro Creatore, che li custodisce come la pupilla de- gli occhi e li protegge all’ombra delle sue ali. Nonostante le ingiustizie che si stanno perpetrando contro di loro, i kayapó stanno crescendo in numero e nella consapevolezza della loro dignità e delle loro capacità artistiche.

“Proteggili con le tue ali, Signore!”

Mentre mi allontanavo dall’aldeia - il villaggio indio - pre- gavo per la loro piena liberazione: potessimo un giorno non lontano raccontare anche per loro il miracolo, raccontato nel libro dell’Esodo: “Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto al- l’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me” (Es 19,4). Inconsciamente, anche i kayapó attendono quest’Aquila divina che li liberi, li faccia volare in alto, sempre più in alto; dia loro l’occhio penetrante del pro- feta e li protegga come “come gli uccelli proteggono i loro pulcini” (Is 31,5).

Liberi, possano godere i prodotti della loro terra, come il popolo eletto, liberato dalla schiavitù. Così afferma la sacra Scrittura: “Come un’aquila che veglia sulla nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo guidò da solo. Non c’era con lui alcun dio straniero. Lo fece montare sulle alture delle terra e lo nutrì con i prodotti della campagna” (Dt 32,11-13). ■

I protagonisti dell'esperienza missionaria in Amazzonia. Da destra: João Evandro, Paulo, Erico, Thiago, Cícero, Geraldo con il “maestro”

p. Ceresoli (con cappellino bianco) e p. Trevisan. Sono accompagnati da due indio kayapò nel villaggio indigeno Las Casas

La bella zucca, dono dell’anziana signora indio del villaggio “Las Casas”

agli ospiti p. Alfiero (sinistra) e p. Renato Bambini kayapò attendono il cibo nella casa comune del villaggio

Le foto delle due pagine sono di:

Archivio MS / P. Andreolli e L. Cícero

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