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Il palazzo della Corte P

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Academic year: 2022

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Il palazzo della Corte

PIETRO CURZIO

La Corte di cassazione ha la sua sede in Roma nell’impo- nente palazzo che si affaccia sul Tevere, al fianco di Castel Sant’Angelo. Dinanzi, il ponte Umberto I, l’ampia ma breve via Zanardelli e quindi piazza Navona. L’ingresso pubblico è alle spalle, nella parte del palazzo che si affaccia su piazza Cavour, cuore del quartiere Prati.

Palazzo e quartiere vennero costruiti quando Roma divenne capitale, quindi a partire dagli anni settanta dell’ottocento. A quell’epoca, la città, ricca di storia e meta prediletta dei grandi viaggiatori, non aveva l’assetto di una capitale, contava appena 200.000 abitanti, in buona parte concentrati nella città medioevale e rinascimentale concepita dai grandi Papi e dai loro architetti all’interno dell’ansa del Tevere. Ora doveva prepararsi a diventa- re il centro dello Stato, sede principale delle istituzioni nazionali.

Sebbene in modo disordinato e tra grandi polemiche e specula- zioni, si procedette alla costruzione di nuovi quartieri, Prati, Esquilino, Castro Pretorio, connotati da uno stile unitario defini- to ‘piemontese’ perché ripropone i caratteri dell’edilizia ottocen- tesca torinese, che a sua volta riprendeva temi e caratteri del- l’edilizia napoleonica1. Vennero create nuove arterie e nuove piazze, via Nazionale, piazza Indipendenza, piazza Vittorio, cor- so Vittorio Emanuele II, piazza Cavour, via Cola di Rienzo, piazza Risorgimento. Le istituzioni fondamentali vennero alloca- te in alcuni edifici storici, per altre si pensò a nuove costruzioni, ciò avvenne in particolare per il Ministero delle finanze e per il Palazzo di giustizia.

“La legge 12 dicembre 1875, provvedendo a gravi ed urgenti bisogni dell’amministrazione della giustizia nel supremo grado di Cassazione, e soddisfacendo a desideri altrettanto vivi quanto

1 INSOLERA, Roma moderna. Da Napoleone I al XXI secolo, IIa ed., Einaudi, Torino, 2011, pag. 57.

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legittimi della Capitale del Regno”2 aveva autorizzato il Governo ad istituire in Roma, nel tempo necessario a riordinare la Suprema magistratura, due Sezioni di Corte di cassazione, una civile ed una penale. Si costituiva così una Cassazione romana che si affiancava alle Corti supreme degli Stati preunitari, che continuavano ad ope- rare. Le due Sezioni furono insediate nel palazzo del principe Spada (attuale sede del Consiglio di stato) e l’inaugurazione avvenne nella grande sala, detta di Pompeo, il 4 marzo del 1876.

Nel suo discorso il ministro guardasigilli Vigliani ricostruì la vicenda politica che aveva portato alla costituzione della Cassa- zione romana e diede conto delle difficoltà che la costruzione di una Corte nazionale unitaria incontrava3, indicando con lucidità i problemi che ne imponevano invece la realizzazione: il “molti- plicarsi delle discordanze tra le giurisprudenze delle Corti Su- preme, anche sopra controversie di sommo momento, talchè l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, consacrata dallo Statuto, minacciava di divenire nel fatto una illusione” e “l’enor- me cumulo di affari che da anni ed anni invano aspettano di es- sere giudicati” e impongono “di recare pronto ed efficace riparo al progredente e non tollerabile disastro giudiziario”4.

In realtà, il processo di unificazione delle Corti di cassazione fu molto più lento e complesso di quel che si prevedesse. La fase transitoria durò a lungo, caratterizzata da un progressivo incremento delle competenze della Cassazione romana, che porterà con la legge 6 dicembre 1888, n. 5825 alla Corte suprema unica in materia pena- le ed alla competenza esclusiva della Cassazione romana per tutti i ricorsi da giudicarsi a Sezioni unite. L’ultimo capitolo di questo pe- riodo verrà scritto solo alcuni decenni dopo, con il regio decreto 24 marzo 1923, n 601, che sancì l’unificazione anche della Cassa- zione civile e l’abolizione delle Cassazioni regionali5.

2 Inaugurazione delle Sezioni della Corte di cassazione nella città di Roma il 4 marzo 1876, Roma, Stamperia reale, 1876, pag. 3.

3 Discorso di S.E. il Ministro Guardasigilli Comm. Paolo Onorato Vigliani, in Inaugurazione delle Sezioni della Corte di cassazione nella città di Roma il 4 marzo 1876, Roma, Stamperia reale, 1876, pag. 14 ss.

4 Ibidem.

5 Su questo processo cfr., MECCARELLI, Le Corti di cassazione nel- l’Italia unita. Profili sistematici e costituzionali della giurisdizione in una prospettiva comparata (1865-1923), Giuffrè, Milano, 2005.

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Sebbene la Cassazione operante in Roma non avesse ancora i compiti di una Corte suprema nazionale, sin dalla costituzione del regno unitario si sentì il bisogno di una sede adeguata, che in un unico palazzo di giustizia raccogliesse anche le Sezioni di Corte d’appello, di Corte d’assise, il Tribunale e le preture urbane. Con una discussione in Parlamento, in cui svolse un ruolo di rilievo Quintino Sella, si decise pertanto di costruire un nuovo palazzo.

Colui che lavorò più di tutti all’attuazione dell’idea fu Giu- seppe Zanardelli, nella sua qualità prima di ministro dei lavori pubblici, poi di grazia e giustizia. Bresciano, esponente di spicco della sinistra, più volte ministro, poi presidente della Camera dei deputati e infine del Consiglio dei ministri, il suo nome è legato ad una serie impressionante di iniziative: il Codice del commer- cio, le leggi a tutela del lavoro femminile e minorile, il Codice penale, l’abolizione della pena di morte, la legge speciale per la Basilicata, ed infine alla battaglia, persa, per introdurre in Italia il divorzio.

Zanardelli presiedette personalmente la commissione del concorso pubblico per la progettazione del palazzo di giustizia.

Risultò vincitore Guglielmo Calderini, docente di architettura nell’Università di Pisa, che aveva realizzato importanti opere in tutta Italia ed, in Roma, il quadriportico della basilica di San Paolo fuori le mura. Il suo era un progetto imponente, in uno sti- le eclettico, che fondeva elementi dell’architettura tardo rinasci- mentale e barocca. Egli fu anche nominato direttore dei lavori, ai quali parteciparono circa mille operai.

Iniziarono gli scavi nella zona di Prati Castello, ricoperta di vigneti, denominata Horti Domitiae nelle fonti risalenti all’epoca di Adriano, che quell’area aveva a cuore al punto da farvi erigere il suo mausoleo. Era tradizionalmente una zona destinata alle se- polture come dimostra l’estesa necropoli rinvenuta sotto la basi- lica di San Pietro. Ed alcune sepolture, rivelatesi di grande inte- resse archeologico, furono scoperte anche durante gli scavi diret- ti da Calderini. In particolare suscitò forte emozione il ritrova- mento di due sarcofaghi affiancati appartenenti, come si legge nelle iscrizioni, a un uomo e una donna dal nome di origini gre- che: Crepereio Euhodo e Crepereia Tryphaena. Lo scheletro di Tryphaena, oggi ai musei capitolini, è perfettamente conservato:

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era una ragazzina di circa vent’anni, sul capo una coroncina di mortella, intorno alcuni gioiellini, al fianco, quasi ancora abbrac- ciate, una bambolina di avorio e ambra di mirabile fattura. Pro- prio la bambolina, per la sua acconciatura, ha permesso agli ar- cheologi di stabilire che Tryphaena visse al tempo dell’impe- ratore Marco Aurelio.

La prima pietra del palazzo di giustizia venne posta il 14 marzo 1889 con una cerimonia alla presenza del Re Umberto I e della Regina Margherita. Zanardelli, guardasigilli che aveva ap- pena portato a compimento il codice penale, spiegò le ragioni della scelta. Il passaggio cruciale del suo discorso è nell’affer- mazione che “ad un popolo libero si addice di erigere il più splendido dei suoi palazzi alla giustizia, poiché è la suprema guarentigia di tutti i diritti”, ma tanto più ciò vale per il palazzo di giustizia di Roma, perché “Roma fu il mondo del diritto” …. i giureconsulti romani “svolsero le loro dottrine con una forza, una sottigliezza, una profondità, una precisione e concisione, delle quali noi moderni perdemmo il segreto”6.

L’inaugurazione avverrà dodici anni dopo, l’11 gennaio 1911, dinanzi ad un altro Re ed ad un altro ministro. Umberto era stato ucciso, Zanardelli era anche lui scomparso. I lavori era- no stati complessi e impegnativi, non si trattò solo di erigere un possente palazzo in cemento armato, interamente rivestito di tra- vertino, che copre un’area di oltre 27.000 metri quadrati, ma anche di completare un programma iconografico decorativo ricchissimo, al quale parteciparono alcuni tra i migliori artisti dell’epoca, nonché raffinati artigiani, fabbri, ebanisti, vetrai. Furono forti e pesanti an- che le polemiche, di varia natura, al punto che venne costituita una commissione d’inchiesta7. Calderini si difese con vigore8, ma ne rimase segnato, il 12 febbraio 1916 si suicidò.

6 “Pel collocamento della prima pietra del Palazzo di giustizia in Roma.

Discorso pronunziato dal Ministro Guardasigilli G. Zanardelli il XIV marzo MDCCCLXXXIX”, Roma, Forzani e c. Tipografi del Senato, 1989.

7 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla spesa per la costruzio- ne del palazzo di giustizia in Roma (legge 4 aprile 1912, n. 317): relazione ed allegati, Roma, Tipografia del Senato, 1913.

8 CALDERINI, Guglielmo Calderini direttore dei lavori del palazzo di giustizia in Roma agli illustri magistrati che dovranno giudicarlo, Roma, Casa editrice italiana, 1909.

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È questa forse una delle ragioni che, unitamente alla dram- maticità dei casi giudiziari trattati in quelle aule, hanno portato i romani a chiamare l’edificio “Palazzaccio”. Il suo fascino inquie- tante influenzò anche grandi artisti, al punto che Orson Welles vol- le girarvi alcune scene della sua trasposizione cinematografica del “Processo” di Kafka.

I giureconsulti che Zanardelli evocò nel suo discorso sono presenti nel palazzo, in una serie di grandi statue collocate sulla facciata dinanzi al Tevere e nel cortile d’onore. Raffigurano:

Giulio Paolo, Quinto Ortensio, Ulpiano, Labeone, Cicerone, Gaio, Modestino, Licinio Grasso, Salvio Giuliano, Papiniano e poi, scorrendo nel tempo, Bartolo da Sassoferrato, Giambattista De Luca, Giambattista Vico e Gian Domenico Romagnosi.

Ma l’opera d’arte più importante è sulla sommità della fac- ciata Tevere: una grande quadriga in bronzo con la Vittoria alata che innalza l’insegna del diritto romano e regge il globo del- l’universo sottomesso alla legge. Ne è autore il siciliano Ettore Ximenes, uno dei più autorevoli esponenti del liberty italiano9. La facciata di piazza Cavour è invece presidiata dallo stemma Sabaudo, che viene riproposto costantemente nei cortili e negli arredi delle aule d’udienza.

Entrando nel palazzo da piazza Cavour si ha immediatamen- te di fronte uno dei luoghi più affascinanti della Corte, la “Bi- blioteca centrale giuridica”, dove, nel silenzio assoluto, si può leggere e studiare. La sua storia è più antica di quella della Cor- te, il nucleo originario è costituito dal materiale librario della Cancelleria del Regno di Sardegna, progressivamente integrato con i fondi acquisiti da una serie di biblioteche ecclesiastiche: le preziose collezioni della biblioteca del Collegio romano dei Ge- suiti, della biblioteca di Sant’Andrea della Valle, di Santa Maria in Traspontina, del Convento di Santa Maria sopra la Minerva di cui fu priore il Beato Angelico, del Monastero dei Girolamini.

La biblioteca riceve e seleziona tutti i libri giuridici che vengono

9 Ximenes, fra le sue molte opere, va ricordato in particolare anche per il gruppo marmoreo ‘Il Diritto’ al Vittoriano e per il monumento a Ciceruacchio, nonché per il monumento a Dante Alighieri a Washington e a Giovanni da Verrazzano a Rio de Janeiro.

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pubblicati in Italia ed è collegata con la rete delle sedici biblio- teche del polo giuridico nazionale.

Al pian terreno vi sono poi l’enorme cancelleria centrale ci- vile e penale, le cancellerie e gli studi dei magistrati della Sesta Sezione che filtrano i circa trentamila ricorsi civili che perven- gono ogni anno, le strutture del Centro elettronico di documenta- zione (CED), la sede dell’Ordine degli avvocati. Nel palazzo non sono più presenti gli altri uffici giudiziari romani, Corte d’appello e Tribunale, con relative Procure, collocati da tempo in altre sedi.

Ascensori e scale di ogni genere, da quelle monumentali a piccole rampe a chiocciola, portano ai piani superiori. Al secon- do piano vi sono gli studi del Primo Presidente e del Procuratore generale e le aule delle sezioni penali, nonché l’Ufficio del ruolo e del massimario.

Al centro di questo piano è posta l’aula Magna, in cui si svolgono le udienze delle Sezioni unite e la cerimonia di apertu- ra dell’anno giudiziario alla presenza del Capo dello Stato. Le sue pitture furono affidate ad un altro grande artista, il senese Cesare Maccari, che aveva appena terminato gli affreschi della sala gialla del Senato. Seguendo un preciso programma icono- grafico il ciclo di affreschi rappresenta alcuni momenti fonda- mentali della storia del diritto romano: la pubblicazione delle Dodici tavole; il Senatoconsulto contro i baccanali; l’imperatore Adriano che incarica Salvio Giuliano della compilazione del- l’Editto perpetuo; Giustiniano che riceve le Pandette da Tribo- niano; l’imperatore Ottone III che consegna ai giudici i libri giu- stinianei. Maccari morì durante il lavoro e l’opera venne portata avanti e completata da Paride Pascucci, compresi gli affreschi sulla volta raffiguranti la Giustizia, nell’uno bendata, nell’altro ad occhi scoperti e con la mano che regge una bilancia, in en- trambi con la spada.

Nella cornice dell’aula Magna è scolpita una ‘sententia’ di Publilio Siro: “Nimiun altercando veritas amittitur” (Il troppo di- scutere nasconde la verità)10.

10 Publilius Syrus era uno schiavo giunto a Roma intorno all’83 a.C.

dalla Siria (perciò ‘Syrus’). Fu preso a ben volere da Publio, suocero di Cicerone (di qui ‘Publilius’). Riuscì a conquistare libertà e cultura. Fu at- tore e autore di lavori teatrali. Divenne famoso vincendo una gara di afori-

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All’ultimo piano sono collocate le aule delle sezioni civili.

Quelle delle prima, della seconda e della terza sul lato che guar- da Castel Sant’Angelo, la sezione tributaria e la sesta sul lato opposto, le due aule della sezione lavoro sul lato Tevere. Dalle grandi vetrate, oltre il fiume e i suoi ponti, si gode una visione ineguagliabile: il Pantheon, il Quirinale, sullo sfondo San Giovanni in Laterano, e poi, vicine, le cupole di Sant’Agnese in Agone su piazza Navona, Santa Maria della Pace sul Chiostro del Bramante, Sant’Andrea della Valle, la spirale inquietante di Borromini sulla Sapienza e, giù in basso, gli angeli di Bernini sul ponte che conduce al mausoleo dell’imperatore.

Una grande storia del diritto alle spalle e questa grande bel- lezza tutt’intorno suscitano sentimenti contrastanti in chi ha il difficile compito di unificare la giurisprudenza. Tornano alla mente le pagine iniziali delle “Memorie” in cui Adriano, riper- correndo la sua vita dopo aver compreso che sta per morire, ri- corda il periodo in cui fu giudice di Tribunale, e ricorda il col- lega più anziano ed amico, Nerazio Prisco. Di lui dice: “apparte- neva a quella categoria di spiriti rarissimi, i quali, benché pro- fondi conoscitori di una dottrina, in grado di vederla per così dire dal di dentro, da un punto di vista inaccessibile ai profani, con- servano tuttavia il senso della relatività del suo valore nell’ordine delle cose, la misurano in termini umani”11.

smi improvvisati, durante i giochi del 46 a.C. in onore di Giulio Cesare. Le sue ‘sententiae’ (frasi caustiche e proverbi) vennero raccolte e tramandate nei secoli.

11 YOURCENAR, Memorie di Adriano, VIa ed., 1984, Einaudi, Torino, 1984, pag. 38.

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