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SU DI UN CASO DI DISTOCIA DI SPALLA Dr. Sergio Bonziglia

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RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE DEL MEDICO Ed. ACOMEP, 2001

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SU DI UN CASO DI DISTOCIA DI SPALLA Dr. Sergio Bonziglia*

Ci troviamo di fronte ad un soggetto con paralisi di Erb Duchenne sinistra, cioè una paralisi ostetrica superiore e concomitante frattura della clavicola omolaterale.

Il punto da analizzare è la presenza a monte di una distocia di spalla. La stessa si determina quando, dopo l’espulsione della testa fetale, il diametro bisacromiale, corrispondente alle spalle, non riesce ad impegnarsi nello stretto superiore, ed il corpo del feto rimane bloccato nel canale del parto. E’, in altre parole, la difficoltà delle spalle ad attraversare spontaneamente la pelvi materna dopo l’espulsione della testa fetale.

Il tipo di lesioni riscontrate nella neonata, paralisi ostetrica e frattura della clavicola, nonché la testimonianza dell’ostetrica: “La bambina faticava ad uscire nonostante le spinte della madre, per cui la decisione del medico fu di applicare il vacuum, che serve a far uscire la testa del bimbo; dopo la testa avviene l’espulsione delle spalle, che in quell’occasione è stata più difficoltosa”, rendono altamente verosimile che si sia verificata una distocia di spalla.

Successivamente, dovrà essere ricercata la prova del nesso di causa materiale tra l’evento dannoso e l’eventuale fatto illecito; in altre parole, la prova della colpa professionale in rapporto causale con quei momenti della prestazione che appaiano colposamente inadeguati. Per quanto attiene alla condotta ambulatoriale dello specialista ostetrico, è indubbio che la gravidanza ideale sia quella di un soggetto che abbia beneficiato di sorveglianza ostetrica periodica, con statura, peso, antecedenti personali e familiari ben evidenziati alla prima visita, ed ogni visita successiva accompagnata dalla verifica del peso, esame delle urine, esame ostetrico con misura dell’altezza del fondo uterino.

Le osservazioni sono state poi trascritte su di un cartellino ambulatoriale con indicazione di data di visita ed identità dell’esaminatore, in modo leggibile.

La sorveglianza ecografica è stata ripetuta a scadenza trimestrale, e sono stati riportati sulla scheda specialistica i referti degli esami e le pellicole con la firma dell’esaminatore.

In caso di anomalie, che potessero far pensare ad un'eventuale sproporzione fetopelvica, vi è stato il rinnovo tempestivo dei controlli ecografici con richiesta di radiopelvimetria.

Ciò che poteva far temere eventuali problemi di parto è stato descritto nel cartellino dove viene menzionata per iscritto l’eventuale condotta da tenere prima e durante il parto, nonché l’eventualità di un cesareo.

La coordinazione tra il curante ed il medico materialmente preposto al parto, pertanto, è basata sulla corretta e tempestiva trasmissione della cartella clinica ambulatoriale, per cui l’invio della gestante in ospedale deve essere accompagnato dal trasferimento dei dati, nella maniera più completa possibile.

Non vi sarebbero, qui, le problematiche poste da una non corretta trasmissione; infatti l’ostetrico curante è lo stesso che effettuerà l’assistenza al parto.

Ma di fatto non risultano agli atti, né sono mai stati forniti, i dati relativi al monitoraggio clinico materno ambulatoriale nel corso della gravidanza.

Circa il mancato riconoscimento della natura del caso, la sua prevedibilità ed evitabilità, vanno esaminati i fattori di rischio, gli elementi favorenti la distocia di spalla.

All’esame obiettivo attuale è stato descritto: “L’arcata pubica presenta l’angolo sottopubico maggiore di 90 gradi e l’osso del pube risulta leggermente più basso della norma rispetto al promontorio, determinando una modesta ristrettezza dell’egresso del bacino”. La cosiddetta sinfisi

* Spec. Medicina Legale, Torino.

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bassa può rendere difficoltoso il disimpegno delle spalle, una delle cause di stiramento del plesso brachiale, oltre che di eventuali fratture di clavicola. In questo caso le abbiamo avute entrambe.

Il primo parto, inoltre, aveva richiesto l’applicazione di V.E.M., ed il bambino aveva presentato in seguito foci epilettici.

Altro fattore di rischio identificabile in travaglio è l’estrazione con forcipe o ventosa al medio scavo o più in alto.

E’ inoltre ignoto il tipo somatico della gravida; si conosce solo l’incremento ponderale, giusto o addirittura contenuto (10 kg) (peso ed altezza non sono segnalati in cartella).

Detto ciò risulta da considerare se la diagnosi di distocia di spalla sia stata effettuata da chi ha assistito al parto, stante la testimonianza dell’ostetrica in precedenza riportata.

V’è da ritenere che la diagnosi di “distocia di spalla” possa non essere stata posta come tale, e di conseguenza si è autorizzati a credere che nessuna delle manovre previste dall’arte sia stata messa in atto. Da ciò deriva spontanea la domanda su chi abbia proceduto al disimpegno delle spalle, non riconoscendo la distocia presente. E’ verosimile che la testimonianza dell’ostetrica sarebbe stata diversa se il medico fosse nuovamente intervenuto sul feto appena affidatole, dopo il distacco della coppetta del Vacuum (è il medico che applica e esercita trazione sul vacuum) a testa espulsa, e certamente avrebbe descritto il modo di prodigarsi dello specialista per risolvere la situazione.

Ciò, invece, non solo non è descritto in cartella, ma neppure traspare dalle parole dell’ostetrica.

Non rimarrebbe da reputare che siano state esercitate trazioni abnormi con flessione laterale del collo durante il tentativo di disimpegno, non interpretato con le manovre previste dall’arte in caso di distocia.

Anche l’uso di ossitocici “durante il parto di prova” (dalla relazione del medico al primario) potrebbe risultare non congruo, e altrimenti avrebbe dovuto essere interpretata quella fase del travaglio (non noto il momento, manca il partogramma) con maggior considerazione, o solo considerazione dell’egresso pelvico ristretto e del precedente anamnestico del vacuum in occasione del primo parto, resosi necessario per probabile ritardo in fase espulsiva di un feto di 3 kilogrammi, 650 grammi in meno dell’attuale.

Nulla è riportato in cartella sulle modalità di effettuazione della depressione nella coppetta del Vacuum applicato (se rapida o meno), nulla sui tempi di espulsione dell’estremo cefalico ed altrettanto nulla sul livello di applicazione.

A parte la già citata ristrettezza dell’egresso pelvico, anche l’applicazione del vacuum stesso è predisponente alla distocia, come noto in Letteratura (Swartz 26%, Seighwort 49%), dal momento che si tratta di progressione forzata, “trazione innaturale” dal basso, e viene pertanto sovvertito, sia pur talora su giusta indicazione, il normale meccanismo di spinta dall’alto ad opera delle contrazioni uterine.

Il precedente Vacuum, i foci epilettici riscontrati sul primo nato di peso inferiore dell’attuale e di cui non v’è menzione in cartella, la massa del feto attuale (pur prescindendo dall’ampio range di errore concesso alle stime ecografiche), se considerati all’inizio del travaglio, dovevano indurre, al momento della “lentezza della fase espulsiva” (manca ogni riferimento cronologico, mancando il partogramma), alla decisione o di passare per via laparotomica, o di predisporre una équipe in grado di riconoscere la presenza di distocia, quando comparsa, ed affrontarla con le manovre previste per siffatta emergenza.

La cartella clinica appare pertanto insufficiente ed incompleta.

La non corretta compilazione di questo documento ha permesso più volte ai magistrati di riconoscervi una presunzione di colpa professionale, con la relativa attribuzione di responsabilità.

La cartella clinica è l’unico elemento tecnico che consenta la ricostruzione a posteriori di una vicenda clinica avente riflessi medico-legali (Cattinelli), è il documento fondamentale su cui si basa la valutazione del perito (Farneti-Brondolo).

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Essa costituisce la verbalizzazione di un andamento, è un diario diagnostico terapeutico documentante un certo momento assistenziale, la prova che il medico, in quel particolare momento, abbia compiuto tutti gli atti idonei a raggiungere il risultato.

La cartella clinica carente rappresenta, perciò, un elemento di giudizio di scarsa diligenza dell’equipe medico-assistenziale, una base probatoria del comportamento dei sanitari nelle prestazioni professionali.

La mancata compilazione di alcune parti della cartella clinica e la non esauriente stesura di altre parti dello stesso documento, inducono a ritenere che non si sia sufficientemente proceduto all’accertamento ed alla valutazione di tutti quegli elementi indifettibili, o comunque utili, per la scelta del metodo da seguire in occasione del parto.

Nel caso in questione non vi erano speciali difficoltà; la perizia richiesta non trascendeva i limiti di quella che si esige dal professionista medio per l’accertamento della distocia.

La non applicazione delle manovre previste indica il difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’uso dei mezzi manuali indispensabili ad un medico specialista in ostetricia e ginecologia. Vi è stata, pertanto, una carenza di diligenza e di prudenza, oltre che di perizia, ed una condotta differente avrebbe permesso, secondo un mero criterio di probabilità, di evitare o ridurre il danno.

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Conclusioni

Nel caso in esame erano presenti elementi di prevedibilità della distocia di spalla che avrebbero dovuto indurre ad una attenta sorveglianza ed ad un atteggiamento prudente, con la presenza in sala parto di specialista esperto o al contrario, vista la lentezza del P.E., all’adozione di misure diverse dal parto vaginale.

E’ ragionevolmente ipotizzabile che la mancata adozione di tali misure abbia contribuito al determinismo della patologia del disimpegno e agli effetti ad essa secondari.

La mancanza di informazioni circa le misure messe in atto per la risoluzione della distocia delle spalle consente le deduzioni in precedenza avanzate circa la correttezza degli atti professionali.

L’entità del traumatismo neonatale secondario alla distocia fu comunque di gran lunga eccedente le usuali attese; si consideri che, nella pratica ostetrica attuale, lesioni del plesso brachiale sono presenti, a seconda delle casistiche, nell’8-23% dei casi di distocia delle spalle (0,02%-0,4% del totale dei parti vaginali) e che solo nel 10-20% dei neonati con lesioni del plesso brachiale residuano sequele permanenti di entità pari a quella del caso in esame (0,01-0,2% del totale dei parti vaginali). Corrispondemente è logico ritenere che modalità assistenziali più adeguate alla situazione in atto avrebbero potuto contenere od evitare il danno fetale.

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