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Academic year: 2022

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Year XVIII ISSN 2035 – 1046

MEDIAZIONE CIVILE

Paolo Vinci*

La lentezza talvolta esasperante ed estenuante del nostro processo civile è a tutti sicuramente ben nota.

Con l’obiettivo di deflazionare il sistema giudiziario italiano dall’enorme mole di arretrato che lo contraddistingue, dando sollecita definizione a gran parte delle controversie civili ed evitando, tra l’altro, le innumerevoli censure della Corte Europea, è stato introdotto il nuovo istituto della mediazione civile e commerciale, approvato dal Consiglio dei Ministri con il decreto legislativo del 4 marzo 2010 n. 28 (pubblicato nella G.U. n. 53 del 5.03.2010), attuativo della riforma del processo civile.

Si tratta di un decreto che riforma la disciplina della mediazione finalizzata alla conciliazione di tutte le controversie in materia civile e commerciale, con obiettivi di deflazione dei processi e diffusione della cultura del ricorso a soluzioni alternative (ADR, dall’inglese “Alternative Dispute Resolution”); esso incide su alcune materie giuridiche di competenza sia dei Giudici di Pace che dei Tribunali, attribuendole in primis ad organismi conciliativi con il precipuo compito di individuare, sulla base della legge, ma soprattutto del buon senso, una soluzione idonea a rispondere con prontezza alla continua domanda di giustizia civile.

Dal 21 marzo 2011 è diventata obbligatoria la mediazione nei casi di una controversia in materia di:

o diritti reali (distanze nelle costruzioni, usufrutto e servitù di passaggio ecc.)

o divisione

o successioni ereditarie

o patti di famiglia

o locazione

o comodato

o affitto di aziende

o risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità,

* Avvocato Foro di Milano, docente a.c. di Diritto Sanitario, Università Milano Bicocca.

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Year XVIII ISSN 2035 – 1046 o contratti assicurativi, bancari e finanziari.

L’obbligatorietà per le numerosissime controversie in materia di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, invece, è stata differita al 20 marzo 2012 per consentire un avvio graduale del meccanismo e proprio in considerazione dell’elevato numero di controversie in queste materie.

La mediazione è, pertanto, lo strumento per addivenire alla conciliazione attraverso l’attività svolta da un soggetto terzo ed imparziale, indirizzata alla ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia (c.d. mediazione compositiva) o di una proposta per la sua risoluzione (c.d. mediazione propositiva).

Potranno svolgere il ruolo di mediatori, innanzi tutto, i professionisti in possesso di determinati requisiti professionali (docenti universitari, avvocati iscritti all’Ordine da quindici anni) nonché coloro che abbiano conseguito il titolo di conciliatori frequentando corsi di formazione istituiti da enti pubblici o privati accreditati. Tutti i mediatori e gli organismi di riferimento, saranno soggetti al controllo del Ministero della Giustizia, presso cui verrà istituito un apposito registro nazionale dei mediatori e dovranno garantire serietà, efficienza e, soprattutto, imparzialità e idoneità al corretto espletamento dell’incarico.

L’art. 16, comma I stabilisce che “gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all’art.2 del presente decreto. Gli organismi devono essere iscritti nel registro”.

Tale disposizione sembra essere particolarmente generica e lacunosa, poiché consente a qualsiasi ente, indipendentemente dall’oggetto, lo scopo e l’ambito territoriale di operatività di effettuare la suddetta costituzione. Nulla è specificato, tra l’altro, in relazione ad ulteriori requisiti di cui gli organismi devono essere provvisti, né tantomeno all’ambito delle loro competenze o al numero di mediatori che devono comporlo. L’art.18 stabilisce che i consigli degli organi forensi possono costituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e dei locali messi a disposizione dal presidente del Tribunale. Gli organismi presso i tribunali sono iscritti al registro a semplice domanda, subordinata comunque alla verifica, da parte della amministrazione che detiene il registro, di alcuni requisiti minimi che consentano all’organismo l’effettivo svolgimento dell’attività. Indubbiamente tali organismi sembrano essere i più qualificati enti di gestione delle procedure di conciliazione poiché usufruiranno delle conoscenze e delle “strategie” adottate dagli avvocati in sede di procedura giudiziale.

L’art 14 del citato decreto stabilisce che “al mediatore e ad i suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati fatta eccezione per quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio; è fatto loro divieto di percepire compensi direttamente dalle parti.”

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Inoltre, il mediatore deve tempestivamente informare l’organismo e le parti di eventuali motivazioni che pregiudicano l’imparzialità nello svolgimento dell’attività e corrispondere immediatamente ad ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo. Quest’ultimo, su istanza di parte provvede alla eventuale sostituzione del mediatore; in materia non sono, però, previsti né casi specifici, né, tantomeno, termini perentori entro i quali la sostituzione può essere richiesta o disposta, minando in tale maniera l’autorevolezza della figura del mediatore, la cui legittimazione a svolgere la sua funzione risulta condizionata all’assenza di richieste di sostituzione che provengano anche solo da una delle parti.

I mediatori saranno tenuti al rispetto dell’obbligo di riservatezza in merito alle dichiarazioni rese dalle parti ed alle informazioni apprese nell’esercizio della loro funzione; le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non potranno essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto, iniziato a seguito dell’insuccesso della mediazione.

L’art. 3 del decreto in esame dispone inoltre che “al procedimento di mediazione si applica il regolamento dell’organismo scelto dalle parti. Il regolamento deve in ogni caso garantire la riservatezza del procedimento ai sensi dell’art. 9, nonché le modalità di nomina del mediatore che ne assicurano l’imparzialità e l’idoneità al corretto e sollecito espletamento dell’incarico”.

Tutta la procedura conciliativa è, di conseguenza, disciplinata prevalentemente dal regolamento privato di cui ciascun singolo organismo si deve dotare e che deve essere depositato presso il Ministero della Giustizia all’atto della iscrizione al registro.

Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle indennità degli enti privati, mentre quelle degli enti pubblici vengono stabilite con decreto. Non è prevista alcuna disposizione relativa alla durata in carica dei mediatori.

Le materie per le quali è necessario esperire il tentativo di conciliazione sono state accuratamente selezionate. Esse comprendono, quei rapporti che conoscono una diffusione di massa rilevante e rappresentano una quota sostanziosa del contenzioso in Italia e che, per motivazioni di natura oggettiva, sono destinate a protrarsi nel tempo.

In base alle direttive del nuovo decreto, il ricorso al conciliatore diverrà obbligatorio per una pluralità di materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), mentre sarà facoltativo per tutti gli altri casi e potrà avere natura giudiziale allorquando sarà lo stesso giudice a sollecitare le parti alla definizione mediativa della controversia. Il giudice potrà valutare se formulare invito in relazione allo stato del processo, alla natura della causa e al comportamento delle parti allo scopo di non favorire dilazioni.

Ai sensi del’art.5, I comma, “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere

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eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice, ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’art.6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.

La verifica dell’omesso espletamento del tentativo di conciliazione impone, quindi, al giudice non la declaratoria di improcedibilità della domanda, ma esclusivamente il rinvio della udienza ad una data successiva rispetto al termine fissato dall’art.6 per la durata della mediazione, senza che ciò possa avere ulteriori ripercussioni sull’iter processuale. Nelle materie di cui al comma I la mediazione sollecitata dal giudice non è impedita o vietata dal fallimento della mediazione obbligatoria.

La condizione di procedibilità (e non di proponibilità della domanda giudiziale) si pone perfettamente in linea con gli obiettivi della legge-delega, laddove stabilisce che la mediazione non può precludere l’accesso alla giustizia, ma solo realizzare l’equilibrio tra diritto di azione ex art.24 Cost. e interessi alla sollecita definizione delle controversie.

Sugli avvocati incombe l’obbligo di informare i propri assistiti della opportunità di fare ricorso a tale strumento conciliativo durante il primo colloquio; le informazioni devono essere rese in modo chiaro e per iscritto e devono riguardare anche i casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, oltre a quella relativa alle agevolazioni fiscali di cui la parte in mediazione può usufruire. La sanzione per la omessa informativa concerne l’annullabilità del contratto concluso con l’assistito oltre a sanzioni disciplinari da parte dell’ordine di appartenenza. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio.

Nel caso in cui si adisce (per libera scelta o obbligatoriamente nelle materie indicate nel decreto) un ente di conciliazione sarà necessario presentare un’istanza indicante l’organismo, le parti, il petitum e la causa petendi. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale (art.5, sesto comma).

Inizierà, quindi, un procedimento che non potrà mai avere una durata superiore ai quattro mesi, sia che si concluda con la definizione della controversia, sia che questa venga successivamente incardinata dinanzi all’Autorità Giudiziaria competente e, pertanto, il primo elemento che contraddistingue questa singolare procedura e che non può non catturare subito l’attenzione, è la sua brevissima e singolare durata rispetto ai contenziosi civili.

L’art.6 individua, però, quale dies a quo per la decorrenza del termine massimo della durata del processo la data di deposito della domanda di mediazione; in tal

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modo gli effetti della domanda di mediazione sono collegati al mero deposito della relativa istanza, diversamente da quanto stabilito dall’art. 5 sesto comma che ricollega la rilevanza della domanda alla comunicazione alle parti. E’, inoltre, rilevante sottolineare che il termine massimo fissato dal legislatore in quattro mesi, nonostante rappresenti lo sforzo legislativo di contenere i tempi per la definizione, risulta solo ipoteticamente ed astrattamente adeguato, poiché non si può prescindere dalla

“soggettività” e complessità di ogni singola procedura mediativa.

Il responsabile dell’organismo di conciliazione sarà tenuto a fissare il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda, nominando il mediatore che avrà cura di esaminare la diatriba e che cercherà (in quella che viene a ragione definita fase “facilitativa”) di mediare tra i desiderata dei contendenti e di suggerire (nella c.d. fase aggiudicativa) una proposta risolutiva avvalendosi, ove si renda necessario, dell’ausilio di esperti iscritti nell’albo dei consulenti presso i tribunali.

In caso di accordo (raggiunto spontaneamente dalle parti o su proposta di conciliazione formulata dal mediatore stesso), il mediatore redigerà un processo verbale sottoscritto dalle parti.

Ai sensi dell’art.12 del decreto in esame, il verbale di accordo è omologato su istanza di parte, dal presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’organismo ovvero, nell’ipotesi di esecuzione transfrontaliera, nel cui circondario l’accordo deve essere eseguito. Prima dell’omologazione dovrà, comunque, essere verificata la mancanza di ogni contrasto con l’ordine pubblico e le norme imperative, poiché anche in materia di diritti disponibili tali principi debbono essere rispettati.

L’omologazione avviene con decreto: esso non deve necessariamente essere motivato, a meno che non sia di diniego e quindi, dovrà indicare i motivi di contrarietà alle norme imperative e all’ordine pubblico. Esso deve essere rilasciato dalla cancelleria del Tribunale in copia conforma, con la formula esecutiva di cui all’art. 475 c.p.c., per poter procedere all’esecuzione.

Infatti, al verbale omologato, notificato a cura della parte istante alla controparte, sarà attribuita la stessa valenza di una sentenza definitiva e vincolante, avente efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata e per l’esecuzione in forma specifica e costituente titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Per procedere alla intimazione dell’atto di precetto è necessario che il titolo esecutivo sia stato già notificato alla parte personalmente oppure che venga notificato unitamente all’atto di precetto.

L’efficacia esecutiva del verbale di conciliazione serve a garantire l’espansione del ricorso alla mediazione, poiché consente di evitare che esso venga considerato una alternativa meno utile e sicura rispetto al procedimento giudiziario. Niente, però, è detto sul se, entro quali termini e con quali modalità il verbale omologato possa essere impugnato innanzi all’autorità giudiziaria.

Non è, infatti, prevista alcuna disciplina procedimentale per la omologazione, tranne la competenza funzionale riconosciuta al presidente del Tribunale.

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Nell’ipotesi di mancato accordo, le parti potranno liberamente rivolgersi alla Giustizia Ordinaria accettandone le relative prerogative (formalità, aggravio di oneri economici ed allungamento dei tempi) ed accollandosi il rischio di dovere sostenere il peso delle spese processuali, qualora la sentenza ricalchi la proposta finale a suo tempo prospettata dal conciliatore. La parte che ha rifiutato la proposta di conciliazione, anche se vittoriosa, può vedersi addossare le conseguenze economiche del processo in palese eccezione rispetto al principio della soccombenza.

Stabilisce l’art. 13 comma 1 che “quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa e la condanna la rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto”.

La disciplina relativa alle spese processuali viene, pertanto, intesa quale deterrente alla strumentalizzazione sia della mediazione che del processo vero e proprio, poiché il medesimo risultato era già stato raggiunto in tempi più rapidi e meno dispendiosi.

Si può quindi sottolineare come, nel complesso universo giuridico italiano, sia stata introdotta un’alternativa non solo più semplice e celere rispetto al giudizio ordinario, ma caratterizzata anche da un chiaro risparmio economico. Ogni organismo di conciliazione dovrà dotarsi di tariffe chiare e intelligibili (stabilite nei minimi e nei massimi) allo scopo di permettere alle parti di preventivare con precisione i costi della procedura ed il compenso che spetterà al conciliatore. I contendenti, infatti, saranno tenuti a pagare in egual misura un’indennità di inizio a favore dell’organismo di conciliazione e, quindi, un ulteriore importo proporzionato al valore della causa, tranne nelle ipotesi in cui il ricorso al mediatore civile rientri nelle fattispecie obbligatorie e le parti abbiano i requisiti per ricorrere al gratuito patrocinio.

Sono previste, altresì, consistenti agevolazioni sotto il profilo fiscale. L’art. 17, comma 2, stabilisce che “tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al provvedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente”.

Il ricorso al procedimento di mediazione dovrebbe determinare notevoli risparmi per le casse delle compagnie di assicurazione, le quali vedrebbero ridursi l’entità degli importi che sono costrette a sostenere annualmente per difendersi nei

“tradizionali” contenziosi. In tale ottica, non è da escludere l’ipotesi che le Compagnie e le Aziende Sanitarie possano in un prossimo futuro stipulare delle convenzioni con organismi di conciliazione ai quali demandare il compito di evitare inutili controversie giudiziarie ed i relativi costi ad esse connessi.

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Le caratteristiche dell’istituto della conciliazione (inteso quale procedimento fondato sulla libera ed esclusiva volontà delle parti) implicano, però, il concreto rischio che la parte più debole seduta al tavolo negoziale, in mancanza di opportune tutele, possa subire l’imposizione di un contratto vessatorio o iniquo che si discosta in modo significativo dalle situazioni giuridiche delle parti. In un siffatto contesto, la potenziale perdita di garanzie derivante dall’assenza nel corso della conciliazione di un organo giudicante nonché di mezzi di impugnazione potrebbe ragionevolmente essere compensata dall’intervento di una difesa tecnica (avvocati) in grado di reintrodurre nella metodologia consensuale uno strumento di tutela degli interessi dei contendenti.

Il regolamento di attuazione della mediazione finalizzata alla conciliazione civile e commerciale sarà pubblicato a breve sulla Gazzetta Ufficiale e rappresenterà un punto di riferimento obbligato per tutto il mondo delle ADR italiane.

A meno che non vi siano accordi politici successivi all’entrata in vigore dell’emananda legislazione, il tentativo di mediazione su determinate tipologie di controversie civili e commerciali diventerà obbligatorio; in molte materie chiave.

Sono all’incirca 600.000 le cause che dovrebbero poter essere interessate dal tentativo obbligatorio di mediazione; questa è la stima di massima fatta di recente dagli esperti del Ministero della Giustizia. Questa situazione permetterebbe ai privati cittadini, ma anche ad aziende e professionisti, di passare per le “vie della mediazione” prima di poter ricorrere al tribunale civile. Ciò sta a significare che, ai fini di una buona riuscita delle mediazioni e per assicurare la massima efficienza, serietà e professionalità degli enti (pubblici o privati) che gestiranno i tentativi di mediazione, il legislatore, dell’emanando regolamento, deve aver necessariamente previsto regole ferree e severe che impediscano agli operatori di potersi discostare dal controllo e dalle indicazioni del Ministero della Giustizia che, come per la conciliazione societaria (di cui all’abrogato D. Lgs. 5/2003), sarà il Ministero che vigilerà il sistema della mediazione civile e commerciale.

Il provvedimento emanando, quindi, istituirà alcuni necessari paletti con l'obiettivo di garantire una prestazione efficace sia sul piano qualitativo che su quello quantitativo. Per il primo aspetto, sembra che il regolamento stabilirà che il giudice che nega l'omologazione del verbale di conciliazione avvenuta tra le parti deve trasmettere al responsabile del registro dei mediatori e all'organismo che ha seguito la procedura di mediazione una copia del provvedimento di diniego. Inoltre, l’organismo di mediazione avrà l’obbligo di consegnare alle parti una scheda per la valutazione sulla bontà del servizio ricevuto, copia da trasmettere compilata al responsabile del registro. Queste due indicazioni normative dovrebbero intervenire per tenere sotto controllo il livello delle prestazioni offerte, che dovranno avere standard qualitativi molto elevati. Una ulteriore garanzia sarà data dalla norma che prevede un'esclusione dal registro per l'organismo di mediazione che non avrà svolto almeno dieci procedimenti di mediazione in due anni. In tal caso, dopo l’espulsione, il medesimo organismo non potrà ottenere una nuova iscrizione prima che sia trascorso un anno.

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Sul piano delle tariffe della mediazione, sembrerebbe che sarà ammessa una riduzione di un terzo degli importi quando nessuna delle controparti di quella che ha introdotto il tentativo di mediazione si presenti al tavolo delle trattative. Qualora invece la mediazione termini positivamente con un accordo delle parti (la c.d. conciliazione) le tariffe saranno innalzate di un quarto del compenso previsto. Lo stesso aumento sarà stabilito poi nei casi di particolare complessità. Sul versante della formazione, invece, i corsi di formazione dovrebbero poter continuare ad essere previsti per un massimo di trenta partecipanti ad edizione di corso, questo per assicurare il buon andamento generale del corso stesso e per assicurare un buon rapporto didattico tra aspiranti mediatori e docenti. Il corso di formazione potrebbe essere previsto per un numero minimo di 50 ore (quindi 10 di più del minimo previsto per la formazione del conciliatore societario), di oltre ad valutazione finale di 4 ore). Il numero minimo di docenti a disposizione dell’ente potrebbe essere di cinque unità. L’attività di docenza sarà affidata a professionisti preparati che dovranno poter attestare la loro competenza, producendo almeno tre pubblicazioni scientifiche in materia di mediazione e dimostrando altresì di avere già svolto attività di docenza in materia di mediazione presso ordini professionali, enti pubblici e università.

Nell’ambito relativo alla responsabilità professionale medica la provincia autonoma di Bolzano ha notevolmente anticipato i tempi relativi alla applicazione della procedura conciliativa.

A partire dal 1 agosto 2007 è stata, invero, insediata la Commissione conciliativa per questioni di responsabilità medica. Essa è prevista dall’articolo 15 della Legge provinciale 18 novembre 2005, n.10 e, con Decreto del Presidente della Provincia 18 gennaio 2007 n.11 è stato emanato il regolamento di esecuzione dell’art. 4/bis della legge provinciale 7/2001, la quale contiene i principi del procedimento davanti alla Commissione conciliativa.

Tale Commissione è composta da tre membri nominati in base a terne di nominativi proposte dal Presidente del Tribunale di Bolzano, dall’Ordine dei medici e degli odontoiatri di Bolzano, nonché dall’Ordine degli avvocati di Bolzano e dalla Segreteria.

Sotto il profilo organizzativo si è cercato di instaurare una relazione con le parti necessarie della procedura, in particolar modo con le strutture della Sanità Pubblica rimarcando che la procedura conciliativa è nell’interesse di tutte le parti, anche e forse, soprattutto dei medici.

Compito della Commissione non è affatto quello di conciliare tra una pretesa in danaro maggiore o minore dei pazienti, ma di accertare in primis e quale presupposto necessario di ogni liquidazione del danno, la sussistenza della responsabilità del medico.

La quantificazione del danno avviene solo in una fase successiva sulla base di una decisione secondo diritto e non secondo equità, tranne una espressa ed unanime richiesta delle parti in tal senso.

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E’ importante sottolineare che la Commissione conciliativa ha competenza solo ed esclusivamente in merito alla responsabilità dei medici, tant’è che delle domande istruite e portate a conclusione nel corso del 2007 la stessa Commissione ha dichiarato la propria incompetenza in quanto l’errore era ascrivibile ad un infermiere.

Nel corso della procedura conciliativa la presenza della compagnia di assicurazione della struttura sanitaria è solo facoltativa: la Commissione formula la sua proposta di conciliazione che non ha alcun valore vincolante né per le parti necessarie né per l’assicurazione stessa, ma ha un peso rilevante poiché obbliga la parte che è di diverso avviso ad effettuare ulteriori indagini rispetto a quelle svolte dalla Commissione.

Per quanto concerne la presenza in sede conciliativa di medici privati, ovvero non legati da alcun rapporto contrattuale con la struttura sanitaria, sono state riscontrate differenti soluzioni della controversia: alcuni medici hanno transatto alla prima udienza, altri hanno fornito ulteriori informazioni circa il loro operato per consentire una ulteriore valutazione del caso, altri ancora hanno affidato alla Commissione la valutazione del caso con l’obiettivo di ottenere una consulenza da parte dei medici incaricati dalla stessa.

Il servizio reso dalle Commissioni conciliative per questioni di responsabilità medica è manifestazione del grado di cultura raggiunto dalla società, dal momento che realizza una efficace tutela del cittadino di fronte a problematiche che oramai sono diventate all’ordine del giorno.

I pregi di questa procedura sono notevoli e i dati statistici parlano chiaro.

Delle 21 domande pervenute nell’anno 2007, 4 domande sono state istruite e portate a conclusione nello stesso anno 2007 ( 2 delle quali sono state conciliate in occasione della prima udienza) e 14 sono state istruite e portate a conclusione nel corso del 2008; delle 36 domande pervenute nell’anno 2008, 22 domande sono state istruite e portate a conclusione nello stesso anno di ricezione, conciliandone alcune in occasione della prima udienza, altre in occasione della udienza finale e dichiarandone altre inammissibili in quanto era palese che il presunto danno alla salute non era dovuto ad un errore nella diagnosi o nella terapia.

Per completezza espositiva, si deve far presente che con l'art. 39, comma 9, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n.

111, è stato inserito nel D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 l’art. 17-bis, rubricato “Il reclamo e la mediazione”, con cui è stata introdotto, per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti dell’Agenzia delle Entrate, notificati a decorrere dal 2 aprile 2012, un rimedio da esperire in via preliminare ogni qualvolta si intenda presentare un ricorso, pena l’inammissibilità dello stesso.

Con la circolare n. 9/E del 19 marzo 2012 l'Agenzia delle entrate ha emanato i chiarimenti e le linee guida per la gestione di tali procedure, che secondo i dati forniti sarebbero più di 110.000, pari al 66% del contenzioso.

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Dalle norme citate emerge una procedura che intende porsi come uno strumento deflattivo del contenzioso: si prevede, infatti, la presentazione obbligatoria di un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso, nel senso che con essa il contribuente chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto sulla base degli stessi motivi di fatto e di diritto che intenderebbe portare all’attenzione della Commissione tributaria provinciale nella eventuale fase giurisdizionale.

Ancorché denominata mediazione, la procedura, in realtà, ha caratteristiche affatto diverse.

Infatti per mediazione si intende la procedura informale con cui le parti, alla presenza di un terzo, neutrale, imparziale, indipendente e privo di poteri decisionali, il mediatore, tentano di risolvere la controversia addivenendo ad un accordo reciprocamente soddisfacente.

Nella procedura in materia di contenzioso tributario manca la figura del terzo, mentre si assiste ad un confronto tra il contribuente e l'Agenzia delle Entrate alla ricerca di un accordo che ponga fine al contenzioso (o meglio, che lo prevenga).

Pertanto non si può parlare di mediazione bensì di altro istituto rientrante nella più ampia famiglia delle ADR, ossia la negoziazione paritetica.

Le negoziazioni paritetiche infatti, cui anche l'art. 2, co. 2, D. Lgs. n. 28/2010 fa riferimento, sono procedure in cui una parte, generalmente un consumatore, dà mandato ad un'associazione di consumatori per trattare e tentare di risolvere una controversia sorta con un'azienda che eroga beni e servizi.

Alla negoziazione intervengono due soggetti: il rappresentante dell'associazione di consumatori, cui l'utente si è rivolto, e il rappresentante dell'azienda.

Pertanto, l'assenza del mediatore sancisce la differenza sostanziale e formale con la mediazione.

Tra le ADR la negoziazione paritetica svolge un ruolo importante nella gestione soprattutto di micro-controversie. Infatti, secondo il quinto rapporto ISDACI sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia, in tali casi l'accordo è raggiunto dalle parti nel 93% dei casi, in procedure che hanno un valore medio di € 825. La durata media di tali procedure è di circa 72 giorni.

Alla luce di questa distinzione non può non rilevarsi come inappropriato sia parlare di mediazione tributaria, mentre deve invece riferirsi alla procedura come ad una negoziazione paritetica. Sarebbe pertanto il caso di evitare confusioni terminologiche da parte del legislatore, che, peraltro, poco agevolano la stessa diffusione di tali procedure.

Curiosamente, secondo la circolare n. 9/E «la procedura di mediazione deve ritenersi sostanzialmente finalizzata a evitare il “rinvio” ai giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie».

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Una tale descrizione circa la natura ontologica di tale procedimento conferma la distanza dalla mediazione, descrivendosi in realtà una procedura negoziale di reclamo.

Tornando al discorso della mediazione civile e commerciale, si deve osservare che questo è solo l’inizio….L’ auspicio è che siffatta procedura possa trovare applicazione in molte altre materie oggetto di contenzioso.

Verrà in tal modo scongiurato un ulteriore cedimento del nostro sistema giuridico?

Verranno eliminate le montagne di cause pendenti dinanzi ai nostri autorevoli giudici?

Sarà eliminato, o per lo meno, ridimensionato, il carico di arretrato che ammorba le nostre cancellerie?

L’auspicio è quello di riuscire a realizzare una forma di tutela concreta ed effettiva capace di attuare sul piano tecnico - procedurale l’ispirazione all’uguaglianza sostanziale e, soprattutto, la rapidità ed effettività della tutela giurisdizionale riconosciute, a livello formale, negli artt. 3 e 24 della nostra Costituzione.

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