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LA VALUTAZIONE DEL DANNO PERMANENTE PER LA POLIZZA INVALIDITÀ PERMANENTE DA MALATTIA: INTERPRETAZIONE DEI CRITERI DETTATI DALLA POLIZZA

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LA VALUTAZIONE DEL DANNO PERMANENTE PER LA POLIZZA INVALIDITÀ PERMANENTE DA

MALATTIA: INTERPRETAZIONE DEI CRITERI DETTATI DALLA POLIZZA

Prof. Alessandro Chini

Premesso che già il titolo della nostra conversazione offre il fianco, a mio avviso, ad una prima fondamentale critica in quanto i criteri informativi di una polizza, specialmente quando si tratta di I.P.M., ritengo non debbono essere interpretati ma, invece, molto chiari per tutti; comunque, poiché questo è il compito assegnatoci, vediamo di interpretare (ma a questo punto sarebbe più corretto usare il verbo criticare) questi, in realtà non sempre chiari, criteri informativi.

Non vi è dubbio che le polizze che tutelano l’invalidità permanente da malattia, da quando le stesse, per quanto attiene l’aspetto medico-legale, sono state preparate dagli Uffici Commerciali anche con la collaborazione dei Consulenti Medici Legali di Direzione di importanti gruppi assicurativi (alcuni dei quali sono consulenti ANIA), hanno raggiunto, indubbiamente, livelli più che accettabili in quanto i principi che le informano sono più aderenti a quelli che debbono informare la medicina assicurativa di questo settore anche se gli stessi sono ancora migliorabili, dato che sono, sotto alcuni aspetti, criticabili.

E’ stato, ad esempio, meglio definito il concetto di malattia una volta genericamente inteso come ogni alterazione non costituente infortunio ed oggi, invece, meglio riferito ad ogni alterazione clinicamente diagnosticabile e, quindi, nosograficamente riconosciuta.

Rimane invece non sufficientemente corretta la dizione, compresa nei rischi esclusi, del non riconoscimento, tra gli eventi contrattualmente protetti, dei comportamenti nevrotici: a cosa si intende riferire la polizza con la dizione

“comportamenti nevrotici”?

Il termine “nevrotico” ormai non è più in uso nel DSM a partire dalla sua terza edizione dove si definiva “disturbo nevrotico un disturbo non psicotico (definizione scientificamente poco accettabile in quanto negativa: come quella vecchia da malattia), cronico o ricorrente, caratterizzato soprattutto da ansia, che viene avvertita o espressa o in modo alterato”.

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Nell’attuale DSM-IV ripeto, invece, nessuna classe diagnostica è definita

“nevrosi” e il termine è sparito totalmente, anche se molti medici, in genere, considerano ancora, erroneamente come nevrosi i disturbi d’ansia, quelli somatoformi, quelli sessuali, ecc. (più correttamente questi quadri andrebbero catalogati tra i disturbi psichici da stress) forse a significare situazioni psichiche nelle quali il giudizio della realtà della persona e l’organizzazione della personalità sono comunque intatti.

Detto questo, e considerata l’aspecificità del termine “nevrosi”, ritengo non abbia più senso parlare di “comportamenti nevrotici”.

Inutile, poi, sempre nei rischi esclusi, la precisazione del non riconoscimento, non tanto dei soggetti con intossicazione, peraltro non specificato se acuta o cronica, conseguente ad uso non terapeutico di stupefacenti posto che l’uso di stupefacenti può effettivamente avere una giustificazione clinico- terapeutica, quanto l’intossicazione conseguente all’uso non terapeutico di allucinogeni come se possa prevedersi un uso terapeutico di tali sostanze posto che non risultano essere le stesse inserite in nessun prontuario relativo al trattamento di una qualche patologia nosograficamente determinata.

L’interesse scientifico verso gli allucinogeni ha, infatti, solo carattere sperimentale in quanto si è visto che con l’uso degli stessi si è provocata una tossicosi sperimentale di tipo schizofrenico sulla quale studiare l’effetto di farmaci adoperabili in tale forma morbosa e, sempre dal punto di vista sperimentale, che l’impiego di detti farmaci aiuta ad attuare una analisi psicodinamica farmacologicamente attivata ed a favorire la psicoterapia di alcuni quadri psichici e, in particolare, di quelli legati all’alcoolismo.

Ma altri sono i settori che ritengo meritino una particolare considerazione ed una più approfondita analisi alla determinazione dell’indennizzo.

Ma, prima di considerare analitamente gli stessi, voglio ricordare che nelle polizze vengono riportati i parametri di riferimento relativi ad una percentuale di invalidità permanente inferiore al 25% che esclude tale indennizzo e quelli relativi ad una percentuale di invalidità permanente superiore al 74% che prevede un indennizzo da liquidare pari al 100% del capitale assicurato mentre non vengono forniti quelli relativi ai gradi intermedi di invalidità permanente, cosa che, invece,

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sarebbe stata di estrema utilità data la percentualmente alta casistica che rientra proprio nella fascia compresa tra il 26% ed il 74%.

Analizziamo, ora, i sistemi organofunzionali che, con maggior frequenza, vengono alla attenzione del medico di assicurazione.

Prendiamo, ad esempio, l’apparato cardiovascolare.

Non può essere assolutamente condivisa né accettata, una valutazione medico-legale che tenga prevalentemente conto, nella sostanza, della classificazione dell’insufficienza cardiaca proposta dalla NYHA basata esclusivamente su parametri clinici soggettivi senza far riferimento o facendolo in modo estremamente superficiale, alle risultanze di accertamenti strumentali che, in sede applicativa medico-legale, debbono invece integrare i suddetti parametri onde obiettivare l’assenza di compromissione della funzionalità cardiaca, caratteristico della prima classe, o una funzionalità lievemente, mediamente o gravemente compromessa, che deve strumentalmente caratterizzare i quadri clinici descritti, rispettivamente, per II, III e IV classe NYHA.

D’altra parte l’individuazione della situazione funzionale cardiaca è oggi tutt’altro che difficile compito avendo praticamente quasi sempre a disposizione, nelle cartella cliniche allegate alla domanda di riconoscimento di una I.P. da malattia cardiaca, i tests elettrocardiografici (il più delle volte comprensivi anche delle prove da sforzo con il prodotto polso-pressione espressione o meno, unitamente ad una eventuale scingrafia miocardica, di una ischemia residua), l’Holter, espressione o meno di una tachiaritmia ventricolare, e, soprattutto, l’ecocardiografia bidimensionale, espressione della funzione ventricolare sinistra numericamente sintetizzata, diciamo così, dai valori della frazione di eiezione.

Sarebbe stato a questo punto opportuno precisare, nelle condizioni che determinano una I.P. da malattia inferiore al 25% o superiore al 74%, accanto alle generiche indicazioni clinico-disfunzionali nelle stesse descritte ed al fatto che nella prima si fa riferimento alla II e nella seconda alla III e IV classe NYHA, i più precisi elementi ai quali ho poc’anzi accennato e che consentono una più facile individuazione della percentuale di danno.

Per tale tipo di I.P. da malattia, poi, non ritengo corretto non tener conto, anche se di tale parametro non viene fatto alcun riferimento in polizza e fermo restando che la valutazione, come da disposizioni contrattuali deve essere effettuata in un periodo compreso tra i 6 ed i 18 mesi a seconda del grado di

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stabilizzazione della stessa, delle indicazioni prognostiche della malattia stessa in ordine alla qualità ed aspettativa di vita del cardiopatico.

Ma ancora maggior meraviglia suscita la genericità delle indicazioni valutative relative ai postumi delle malattie virali che colpiscono il fegato e la loro totale assenza relativamente all’AIDS specialmente in considerazione della particolare frequenza con la quale, quanto meno i postumi delle epatiti virali, vengono alla osservazione del medico di assicurazione.

Per quanto attiene la valutazione dei postumi delle malattie del fegato, facendo riferimento a quelli conseguenti alle epatiti C, ad esempio, parlare genericamente della presenza di non specificate condizioni che determinano, rispettivamente, una I.P. superiore al 74% od una I.P.P. inferiore al 25% appare oggi, allo stato delle attuali conoscenze, clinicamente e medico-legalmente non condivisibile.

Premesso che il giudizio sulla esistenza o meno di una I.P.P. da malattia post-epatitica HCV correlata deve essere espresso dopo almeno otto mesi dall’avvenuto contagio, quando conosciuto, perché entro tale termine il 30%

(media ricavata dalle percentuali proposte dagli studiosi che si sono occupati dell’argomento e che oscillano da un minimo del 15% ad un massimo del 50%) dei soggetti guarisce, vediamo a quali specifici dati strumentali e laboratoristici le condizioni di polizza avrebbero dovuto far riferimento.

Non la ecografia il cui ruolo, nella diagnostica delle epatiti virali croniche, è del tutto trascurabile se si tiene conto che, sino a quando non compaiono i primi segni di ipertensione portale, il reperto ecografico può rientrare nei limiti della normale variabilità, ma i dati di laboratorio ed istologici.

Le transaminasi seriche, ad esempio, sono, tra i tests di laboratorio, l’indicatore più utilizzato di danno epatico oltre che di successo o meno della terapia nei soggetti sottoposti a trattamento con interferone o farmaci alternativi (minore importanza hanno la bilirubinemia, le gammaglobuline, il tempo di protrombina, la fosfatasi alcalina e le Gamma GT) ma non bisogna dimenticare che il l’entità del loro incremento non ha valore assoluto in quanto non sempre si correla con l’estensione di una necrosi cellulare potendo essere anche espressione di patologie diverse dall’epatite cronica virale come l’obesità, l’alcoolismo, la malattia diabetica, l’ipertiroidismo o l’assunzione di droghe o farmaci particolari.

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Peraltro l’entità dell’aumento della asportata-aminotrasferasi (AST) o transaminasi glutammico ossalacetica (GOT) così come quella della alanino amino transferasi (ALT) o della transaminasi glutammico piruvica (GPT), fermo restando che un rialzo inferiore a due volte la norma può non essere di rilevanza clinica, non ha, di per sé, valore prognostico in quanto, almeno nei postumi della epatite HCV correlata, è molto più importante considerare il rapporto AST/ALT (GOT/GPT) i cui valori normali oscillano tra 0,7 e 1,4 e che soltanto quando è aumentato, assume valore clinico, prognostico di malattia e quindi valutativo in sede medico-legale.

Da ricordare ancora che tra i tests sierologici, la presenza (positività) di anticorpi HCV depone soltanto per l’evidenza di un avvenuto contatto con l’HCV ma, per accertare l’attività della infezione e la misura del carico virale, parametri indispensabili per orientare una valutazione medico-legale di invalidità permanente, è necessaria la presenza (positività) quantitativa, oltre che qualitativa, dell’HCV RNA che è espressione della replicazione virale ricordando sempre, però, che la sua positività scompare nei pazienti che rispondono ai trattamenti con interferone ed antiretrovirali ricomparendo, però, nuovamente in caso di recidiva.

Altrettanto e forse più importante ancora è il ruolo della biopsia epatica da non far praticare, ovviamente, soltanto per finalità assicurative ma che comunque, spesso, è corredo della documentazione medica esibita dall’assicurato. Tale tipo di indagine consente di conoscere ed anche quantificare, mediante approfonditi sistemi di punteggio (intuitiva l’importanza di tale possibilità ai fini valutativi medico-legali), il grado di attività del processo necroinfiammatorio (grading), l’entità e la diffusione della fibrosi con le sue eventuali distorsioni dell’architettura istologica e, quindi, di valutare, nel suo complesso, il grado di progressione (staging) della malattia.

Ed infine l’AIDS che, nelle malattie previste in polizza, non è neppure indicata.

Mi rendo perfettamente conto delle difficoltà che si incontrano quando, per tale patologia, si cerca di trasformare in una espressione numerica quadri particolarmente complessi e polimorfi come quelli che caratterizzano questo tipo di malattia ma tale difficoltà, di fronte alla attuale frequenza con la quale la predetta si presenta alle necessità di giudizio della medicina assicurativa, non giustifica l’abbandono di ogni tentativo valutativo, peraltro sempre possibile,

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anche se i parametri da prendere in considerazione possono consentire, ovviamente, soltanto risposte molto approssimative.

Mi riferisco, ad esempio, al periodo di incubazione della malattia che è di circa 10 anni e che è condizionato negativamente (accelerazione) dall’età (la progressione aumenta, in genere, mediamente di 1,5 volte ogni 10 anni di età) e dell’insorgenza di infezioni opportunistiche.

Per le finalità valutative medico-legali, non considerando l’infezione o sindrome retrovirale acuta precedente la sieroconversione di nessuno o comunque scarso aiuto per la soluzione dei problemi legati alla I.P.P. da malattia, ritengo assuma particolare rilevanza prendere in considerazione le due principali forme cliniche dalla malattia: la malattia soggettivamente asintomatica da HIV e la sindrome da immunodeficienza acquisita.

La prima è caratterizzata dall’assenza di sintomi legati all’infezione associata talora ad una sindrome linfoadenopatica generalmente retronucale, laterocervicale, ascellare e, con una minor frequenza, extrainguinale nonché ad un numero di linfociti T CD4 sempre a 500 nonchè a valori di viremia plasmatica (HIV-RNA) nella norma.

La seconda è definita dalla comparsa delle infezioni opportunistiche che, a seconda della loro epoca di insorgenza e della loro importanza viene distinta in tardiva, con numero dei linfociti T CD + 4 inferiori ai 200 ed i 300 per ml, carica virale (HIV RNA) non superiore a 30.000 o, avanzata, con numero di linfociti T CD + 4 oscillante inferiore ai 200 e carica virale (HIV RNA) superiore a 30.000 e con sopravvivenza dei soggetti che ne sono portatori, rispettivamente, in media di tre anni e dodici mesi.

Tutto ciò premesso, invito tutti i Colleghi che hanno, per motivi scientifici e/o professionali, interesse a che le lacune evidenziate in questa sede, vengano, per quanto possibile, colmate, ad adoperarsi, collaborando con gli specialisti dei settori considerati, per cercare di eliminare lacune non consentite ad una Medicina Assicurativa che, in questi ultimi anni, ha assunto una importanza anche sociale sconosciuta alle altre branche della medicina-legale.

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Collana Medico-Giuridica n. 14

IV CORSO DI QUALIFICAZIONE ED AGGIORNAMENTO IN MEDICINA ASSICURATIVA

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