• Non ci sono risultati.

Dr. Marco Rossetti

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Dr. Marco Rossetti"

Copied!
36
0
0

Testo completo

(1)

TAGETE 1-2010 Year XVI

137

COMMENTARY ON THE PRONUNCIATION OF THE COURT OF CASSATION N 180, 19.06.09

COMMENTO ALLA SENTENZA 19.6.2009 n. 180 DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Dr. Marco Rossetti*

* Magistrato di Tribunale applicato all'Ufficio Massimario della Corte di Cassazione, Roma ABSTRACT

The victim of a road accident, when applies the direct compensation procedure (art 149 of the insurance code), can claim for damages to his own insurance company, but this is not a mandatory provision. In fact the victim can anyway claim for damges even to the liable of the accident and his insurance company.

---

La vittima di un sinistro stradale, nei casi in cui sia applicabile la procedura di risarcimento diretto prevista dall’art. 149 cod. ass., ha la facoltà, ma non l’obbligo di convenire in giudizio, al fine di ottenere il risarcimento del danno, il proprio assicuratore della responsabilità civile. Tale facoltà non esclude però il diritto di convenire in giudizio vuoi direttamente il responsabile, vuoi l’assicuratore della r.c.a. di quest’ultimo. Ne consegue che non è fondata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 149 cod. ass., nella parte in cui - secondo l’interpretazione del rimettente - non consentirebbe alla vittima di un sinistro stradale, quando sia prevista la procedura di risarcimento diretto, di agire direttamente nei confronti del responsabile e del suo assicuratore (1).

(2)

TAGETE 1-2010 Year XVI

138 (1). RISARCIMENTO DIRETTO, UNA SENTENZA CHE CREA PIÙ PROBLEMI DI QUANTI NE RISOLVA

Con la sentenza qui in rassegna la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 149 d. lgs. 7.9.2005 n. 209 (codice delle assicurazioni), sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 111 cost..

E’ una decisione che stupisce: da un lato infatti non ha ravvisato alcun vizio di legittimità là dove v’erano ottime ragioni per affermarli; dall’altro ha fatto ricorso all’interpretazione costituzionalmente orientata per escludere vizi di legittimità costituzionale del tutto inesistenti.

Per di più, la Consulta ha consegnato agli interpreti una lettura dell’art. 149 cod. ass., non necessaria e non richiesta, la quale non potrà che alimentare ulteriori dubbi e contrasti, al punto che c’è da augurarsi che essa non abbia alcun seguito nella giurisprudenza di merito.

Insomma, un autentico “colpo di sonno” della Consulta, che a mio avviso lascia sul tappeto, irrisolti ed aggravati, tutti i molteplici e seri problemi posti dal sistema del risarcimento diretto.

Vediamo il perché.

1. I due gruppi di censure.

Il giudice rimettente avea censurato l’art. 149 cod. ass. sotto due profili.

Innanzitutto si era doluto del vizio nel procedimento di formazione del d. lgs. 7.9.2005 n. 209. La norma in questione, infatti, era stata introdotta nel codice delle assicurazioni dopo che il Consiglio di Stato aveva già espresso il proprio (obbligatorio) parere sulla bozza di decreto legislativo. Dunque ci si trovava dinanzi ad un testo normativo entrato in vigore senza che l’organo consultivo ne avesse mai saputo nulla.

(3)

TAGETE 1-2010 Year XVI

139 Il secondo gruppo di censure sollevate dal giudice rimettente si fondava sull’assunto che l’art. 149 cod. ass., nel caso di sinistri soggetti alla disciplina del risarcimento diretto, non consentisse alla vittima alcuna alternativa in caso di controversia: unica e sola legittimata passiva rispetto alla domanda di risarcimento era la compagnia assicuratrice della vittima, con esclusione sia del responsabile civile, sia dell’assicuratore di questi.

Tale riduzione della potenziale platea di debitori, si diceva nell’ordinanza di rimessione, violava il principio di uguaglianza, il diritto di difesa e le regole del giusto processo.

La Consulta, come si accennava, ha ritenuto infondata l’una e l’altra di tali censure, con motivazioni che ora dobbiamo esaminare un po’ più da vicino.

2. Il lamentato vizio nel procedimento formativo della legge.

Stabilisce l’art. 20, comma 3, della l. 15.3.1997 n. 59 (recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”), nel testo modificato dall’art. 1 della l. 29.7.2003 n. 229: “salvi i principi e i criteri direttivi specifici per le singole materie, stabiliti con la legge annuale di semplificazione e riassetto normativo, l'esercizio delle deleghe legislative (…) si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) definizione del riassetto normativo e codificazione della normativa primaria regolante la materia, previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, reso nel termine di novanta giorni dal ricevimento della richiesta, con determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente”.

Questa era la procedura che si sarebbe dovuta seguire per l’approvazione del codice delle assicurazioni, un virtù dell’espressa previsione della stessa legge delega (art. 4, comma 1, l. 29.7.2003 n. 229: “il Governo è delegato ad adottare (…) uno o più decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di assicurazioni, ai

(4)

TAGETE 1-2010 Year XVI

140 sensi e secondo i principi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge (…)”.

Quella procedura, tuttavia, non si seguì, perché come già accennato il Governo inviò al Consiglio di Stato, per ottenerne il prescritto parere, una bozza di decreto con certi contenuti, e poi ne approvò un’altra con contenuti diversi.

Dunque ci si trovava dinanzi ad una violazione del procedimento formativo della legge che era palese, solare, indiscussa ed indiscutibile.

Tale violazione è stata ritenuta dalla Consulta irrilevante: e se stupefacente può apparire l’affermazione di per sé, ancor più sorprendenti appaiono le motivazioni spese per sorreggerla.

Queste motivazioni sono tre, così riassumibili:

(a) l’art. 149 cod. ass. ha rafforzato, e non attenuato, la tutela della vittima di sinistri stradali; le previsioni di tale norma rientrano pertanto nel concetto di “riassetto della materia” che formava oggetto della delega al Governo;

(b) poiché la modifica “incriminata” non provocava alcuno stravolgimento del sistema normativo previgente, nulla rileva che il Consiglio di Stato non l’abbia esaminata prima di dare il proprio parere;

(c) in ogni caso, il Consiglio di Stato ha comunque dato il proprio parere a posteriori, quando venne chiamato a pronunciarsi sullo schema di regolamento di attuazione dell’art. 149 cod. ass..

Ciascuna di queste affermazioni lascia francamente basiti.

La prima di esse mescola inammissibilmente il contenuto della legge con le regole che presiedono alla sua formazione: lo schema di decreto sarebbe potuto essere anche migliorativo, peggiorativo o neutro rispetto alla poisizione del danneggiato, ma ciò non poteva e non doveva avere alcun rilievo sul piano della regolarità formale. Affermare il

(5)

TAGETE 1-2010 Year XVI

141 contrario equivarrebbe a dire, per esempio, che una sentenza priva della sottoscrizione dell’estensore è nulla se condanna, mentre è valida se assolve.

La seconda affermazione è ancora meno condivisibile: essa praticamente giunge all’aberrante conclusione che se il Governo esercita la delega conferitagli dal Parlamento senza debordare dai limiti di essa, la violazione del procedimento formativo è irrilevante. Verrebbe allora di chiedersi a cosa serva il parere del Consiglio di Stato, se la mancanza di esso non interessa nessuno.

Ma è la terza affermazione, tra quelle poste dalla Consulta a giustificazione del rigetto della questione di legittimità costituzionale fondata sull’art. 76 cost., che appare del tutto inaccettabile. Secondo il giudice delle leggi, infatti, la mancanza del parere del Consiglio di Stato sarebbe resa irrilevante dal fatto che “comunque” (proprio così!) tale parere è stato reso ex post, e cioè sullo schema di regolamento di attuazione della legge illegittimamente formatasi. Or bene, a prescindere dal fatto che il parere sugli schemi di decreti legislativi era stato più volte ritenuto obbligatorio ed imprescindibile dallo stesso Consiglio di Stato (cfr. C. Stato, sez. per gli atti normativi, 14-06-2004, n. 7904/04, in Foro amm.-Cons. Stato, 2004, 1838), il parere preventivo si chiama così perché è reso prima che un atto (normativo od amministrativo) sia formato, altrimenti sarebbe un atto di controllo e non più un parere. L’argomento speso dalla Consulta urta dunque col buon senso, prima ancora che col diritto. Sarebbe come dire, per fare qualche esempio, che se viene promulgata una legge approvata da un solo ramo del parlamento, l’altro potrebbe a posteriori ratificare la legge già in vigore, sanando il vizio procedimentale;

oppure che se una sentenza della Consulta è nulla perché deliberata da un collegio di due giudici, gli altri potrebbero a posteriori dare la propria approvazione e sanare la nullità; od ancora che se un decreto legge venisse promulgato e pubblicato in Gazzetta

(6)

TAGETE 1-2010 Year XVI

142 Ufficiale senza la firma del Capo dello Stato, quest’ultimo potrebbe sottoscriverlo ex post con effetto retroattivo, e via fantasticando.

Ma in tema di procedimento formativo della legge e degli atti aventi forza di legge non esiste alcun principio, né costituzionale né desumibile dalla legge ordinaria, che escluda il rilievo della nullità per il solo conseguimento degli effetti, secondo lo schema previsto in tema di nullità processuali dall’art. 156, comma terzo, c.p.c.. Aggiungasi che per opinione pacifica la violazione del procedimento di formazione della legge costituisce una invalidità formale, che ne può comportare l’incostituzionalità od addirittura l’inesistenza1. Ad applicare dunque rigidamente i princìpi generali non è possibile negare l’illegittimità costituzionale dell’art. 149 cod. ass., per vizio di forma.

Vale la pena aggiungere che in passato la Consulta si era mostrata molto meno

“generosa” nei confronti del legislatore, dinanzi ai vizi del procedimento di formazione delle leggi: ad esempio Corte cost., 25-07-1994, n. 338, in Cons. Stato, 1994, II, 1116, aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la norma delegato che, in difetto di una apposita previsione nella legge delega, aveva preteso di sostituire il parere della conferenza stato-regioni al diretto parere delle regioni interessate (art. 2, 2º comma, e 3, 2º comma, d.leg. 30 giugno 1993 n. 269). Ed ancora, Corte cost., 29-12-1981, n.

204, in Foro it., 1982, I, 333,

dichiarò costituzionalmente illegittima una legge regionale (l. reg. Campania 21 febbraio 1973, n. 7), la quale aveva istituito un nuovo comune senza che fossero state sentite le popolazioni interessate2.

1 GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, 133 e ss.; 483 e ss.; 491.

2 In argomento si veda anche CERVATI, Il controllo di costituzionalità sui vizi del procedimento legislativo parlamentare in alcune recenti pronunce della corte costituzionale, in Giur. costit., 1985, I, 1445.

(7)

TAGETE 1-2010 Year XVI

143 Per completezza d’informazione è doveroso comunque soggiungere che la sentenza qui in rassegna non è rimasta sola in questo atteggiamento di sostanziale svalutazione delle regole sul procedimento formativo della legge. Lo stesso Consiglio di Stato, nel parere formulato sulla bozza del regolamento di attuazione dell’art. 150 cod. ass. (parere 19.12.2005 n. 5074/2005), aveva anch’esso ritenuto che le norme sul risarcimento diretto erano state sì introdotte senza il proprio parere; ma tuttavia non ne trasse alcuna conseguenza, limitandosi ad affermare che la mancanza del parere sulla legge delegata non comportava altro che “l’esigenza di un esame puntuale della coerenza delle disposizioni recate da tali nuovi articoli con i criteri direttivi della legge di delega n. 229 del 2003”. Come dire: che importa il modo in cui si è formata la legge, quel che conta è il modo in cui si formerà il regolamento.

3. Il lamentato contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 cost..

Così sgombrato il campo dai sospetti di contrasto dell’art. 149 cod. ass. con l’art. 76 cost., la Consulta è passata ad esaminare gli altri profili di censura, relativi agli 3, 24 e 111 cost.. Nessuno di essi - afferma la sentenza - è fondato, perché erroneo è il presupposto interpretativo da cui muove il giudice rimettente. Secondo quest’ultimo, infatti, l’art. 149 cod. ass. non consentirebbe alla vittima di un sinistro stradale alcuna altra via giudiziaria che l’azione solo ed unicamente nei confronti del proprio assicuratore della r.c.a., con esclusione quindi tanto del responsabile civile, quanto del suo assicuratore. Questa interpretazione è erronea, afferma invece la Consulta, perché l’art. 149 cod. ass. in realtà non esclude o limita in alcun modo né l’azione ordinaria della vittima nei confronti del responsabile civile (ex art. 2043-2054 c.c.), né l’azione diretta della vittima nei confronti dell’assicuratore del responsabile, ex art. 144 cod. ass..

(8)

TAGETE 1-2010 Year XVI

144 Ora, che l’art. 149 cod. ass. non possa inibire alla vittima di proporre l’azione aquiliana nei confronti del responsabile è affermazione, prima ancora che condivisibile, ovvia. Il codice delle assicurazioni non ha infatti in alcun modo modificato il codice civile, né avrebbe potuto farlo. Per risolvere definitivamente tale questione - e lo osserva correttamente la stessa sentenza qui in commento - sarebbe bastato ricorrere alla storia del diritto: anche all’indomani dell’introduzione della legge 24.12.1969 n. 990, e dell’azione diretta prevista dall’art. 18 di quella legge, vi fu chi sostenne che tale norma avesse abrogato l’azione ordinaria ex art. 2054 c.c. spettante al danneggiato nei confronti del responsabile, consentendogli solo l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del danneggiante. Tale tesi venne però seccamente smentita dalla giurisprudenza dell’epoca, e la labile traccia che ha lasciato nei repertori rileva quanto quella tesi fosse strampalata3.

Da questa corretta premessa la Consulta ne ritrae una seconda, assai meno corretta: e cioè che l’art. 149 cod. ass. non limita né impedisce in alcun modo il ricorso alla azione diretta della vittima nei confronti dell’assicuratore del responsabile: quella, per intenderci, prevista dall’art. 144 cod. ass..

Questa conclusione è raggiunta sulla base dei seguenti argomenti:

(a) la lettera della legge, dove si dice che il danneggiato “può”, ma non “deve”, promuovere l’azione risarcitoria nei confronti del proprio assicuratore;

(b) la ratio della legge, che è incentivare la concorrenza tra le imprese assicuratrici.

Poiché, si afferma nella sentenza, questa ratio non è coessenziale con l’obbligatorietà dell’azione nei confronti del proprio assicuratore, questa non può ritenersi obbligatoria;

3 Si veda in tal senso, in motivazione, Cass. 7.6.1974 n. 1718, in Foro it., 1975, I, 947. Nello stesso senso, ex multis, App. Perugia 29.9.1979, in Assicurazioni, 1980, II, 2, 136, ma specialmente 142.

(9)

TAGETE 1-2010 Year XVI

145 (c) la coerenza con la legge-delega, la quale non solo non consentiva alcuno

“stravolgimento” del sistema previgente, ma imponeva un rafforzamento della tutela dei consumatori: rafforzamento che potrebbe ritenersi raggiunto solo a patto di ritenere la procedura di indennizzo diretto ulteriore rispetto a quella tradizionale, rivolta nei confronti dell’assicuratore del responsabile.

Ergo, conclude la Corte costituzionale, poiché l’azione diretta nei confronti del proprio assicuratore è, per la vittima, alternativa ed aggiuntiva rispetto all’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, non sarebbero violati né l’art. 3 cost., né l’art. 24, né l’art. 111 cost..

A me pare tuttavia che tale conclusione tuttavia non sia giustificata dalla lettera della legge; non sia giustificata dalla sua ratio, e non sia giustificata nemmeno da alcun principio costituzionale o comunitario. Si tratta, al contrario, di una sentenza minata da numerosi vulnera, che proverò ad esporre sinteticamente.

4. I vulnera della decisione.

Primo vulnus: la logica della decisione.

La Consulta ha ritenuto non sussistere contrasti con gli artt. 3, 24 e 111 cost., sull’assunto che l’azione nei soli confronti dell’assicuratore della vittima è “alternativa” a quella nei confronti dell’assicuratore del responsabile. Siccome - si dice - il danneggiato può promuovere l’una o l’altra, il nuovo ostituto non viola la parità di trattamento od il diritto di difedsa.

Ma tale argomento è solo apparente. La conformità a Costituzione di una una procedura giudiziale o stragiudiziale va valutata di per sé, a nulla rilevando che essa non sia obbligatoria. Così, ad esempio, anche il ricorso amministrativo al prefetto avverso l’irrogazione di una sanzione amministrativa per violazione del codice della

(10)

TAGETE 1-2010 Year XVI

146 strada è alternativo al ricorso giurisdizionale, ma ciò non consentirebbe certo di affermare che nell’ambito della prima procedura possano essere violati i princìpi costituzionali del contraddittorio e della non discriminazione.

Allo stesso modo, dire che l’azione ex art. 149 cod. ass. è “alternativa” al sistema tradizionale è soluzione che non dà risposta al quesito posto dal rimettente. Si ammetta pure, infatti, che tale azione sia davvero alternativa: ciò non potrebbe giustificare certo alcuna abrogazione dell’art. 2043 c.c.; e se dunque la vittima decidesse di convenire in giudizio il proprio assicuratore della r.c.a., non gli si potrebbe impedire che convenire in giudizio contestualmente anche il responsabile civile.

In definitiva, dire che la vittima, ove lo voglia, può sempre promuovere l’azione diretta comune ex art. 144 cod. ass., non basta per potere concludere che l’azione diretta speciale ex art. 149 cod. ass. è per ciò solo rispettosa dei princìpi costituzionali sul diritto di difesa e sul giusto processo. Beninteso, ad avviso di chi scrive violazioni a tali princìpi da parte dell’avv. 149 cod. ass. - come meglio si dirà tra breve - non sembrano affatto ravvisabili, ma sul piano della motivazione appare del tutto insufficiente dire, come ha fatto la Consulta, che l’azione giudiziaria “A” è conforme a Costituzione solo perché l’attore, se vuole, può promuovere in alternativa l’azione giudiziaria “B”.

Secondo vulnus: la lettera della legge.

L’art. 149, comma 6, cod. ass., stabilisce che “il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'art. 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione”. La Consulta ha ritenuto che, usando la norma il verbo “potere”, essa vada interpretata nel senso che “il danneggiato, appunto (…), "puo" - ma non "deve" - esperire quell'azione”, e cioè è libero di farlo o non farlo a suo piacimento.

(11)

TAGETE 1-2010 Year XVI

147 Una lettura così semplicistica della norma non può che sconcertare, una conoscenza così maccheronica della lingua italiana non può che addolorare.

La Corte costituzionale sembra ignorare che il verbo “potere” esprime nella lingua italiana molti diversi significati:

(a) avere la possibilità di fare qualcosa (ad es., “io posso aiutarti”);

(b) essere in grado di fare qualcosa (ad es., “posso correre i 100 metri in 10 secondi”);

(c) avere il diritto di fare qualcosa (ad es., “io posso proporre appello”);

(d) necessitare del permesso per fare qualcosa (ad es., “non puoi entrare »).

In ambito giuridico, vengono in rilievo prevalentemente i significati sub (c) e (d), che esprimono rispettivamente il “potere che dipende da me”, e quindi facoltà, capacità, potenzialità; sia quello di “potere che mi è concesso”, e quindi regola di condotta (concetti che, in altre lingue, sono espressi da lemmi diversi: in inglese e tedesco, ad esempio, i verbi “may” e “dürfen” si riferiscono alla facoltà, mentre “can” e “können” si riferiscono al potere).

Tali princìpi ovviamente non sono elucubrazioni di chi scrive, ma costituiscono acquisizioni unanimi e pacifiche bella scienza linguistica: per non stancare il lettore mi limiterò a ricordare il Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, vol. XIII, Torino, 1986, ad vocem “potere”, 1113, ove si attesta l’uso di tale verbo come sinonimo di

“avere il permesso di”, “essere consentito” sin dall’epoca di Dante (Inferno, X, 8: “La gente che per li sepolcri giace/ potrebbesi veder?”), aggiungendo che l’uso di “potere”

come sinonimo di “dovere, essere obbligati a” discende direttamente dalla sintassi del verbo possum latino, anch’esso usato nello stesso senso: quando infatti Cicerone si chiedeva “potest igitur testibus iudex non credere?”, non voleva certo dire che il giudice

“può” credere ai testimoni a suo piacimento (e quindi può farlo o non farlo), ma intendeva ovviamente dire che il giudice non “deve” credergli se sono testimoni sospetti

(12)

TAGETE 1-2010 Year XVI

148 (Pro Fonteio, XXI, 4: su questo testo e sulla sintassi del verbo possum in latino si veda, a sostegno di quanto si viene dicendo in queste note, Zennaro, La sintassi di postume debeo e la ristrutturazione, in http://lear.unive.it/bitstream/10278/261/1/Atti-3-10s- Zennaro.pdf).

Ora, se la legge afferma che a taluno è concesso di poter fare “solo” qualcosa, la buona sintassi della lingua italiana induce a concludere che il verbo potere è stato utilizzato nel secondo dei sensi sopra indicati. Dire che “Tizio può fare solo x”, vuol dire che “Tizio deve fare x”, così come dire che non si può tollerare un sopruso significa che non si deve tollerarlo; dire che non si può rubare significa che non si deve derubare. Ma basti: quale imperativo è più categorico di quello religioso? Ebbene, sinanche Nostro Signore, quando intese ammonire i discepoli a non essere avidi di ricchezze terrene, disse loro “nessun servitore può servire due padroni” (Luca, 16, 13), ovviamente per dire che nessun servitore deve farlo.

Per fortuna la Corte costituzionale non si occupa di Sacre Scritture, altrimenti ad applicare i criteri ermeneutici utilizzati dalla sentenza qui in rassegna il messaggio evangelico suonerebbe pressappoco così: “se volete, potete servire Dio, ma potete anche servire le ricchezze, a vostro piacimento”!

Terzo vulnus: l’uso ambiguo del concetto di “alternatività”.

Secondo la Consulta, l’azione diretta speciale ex art. 149 cod. ass. sarebbe “alternativa”

all’azione diretta “comune” ex art. 144 cod. ass.. Il concetto di “alternatività”, come noto, può indicare sia un nesso di esclusione reciproca (se si sceglie A non si può scegliere B, e viceversa), sia un nesso di esclusione unilaterale (se si sceglie A non si può scegliere B, ma non viceversa), sia un nesso di esclusione eventuale (si può scegliere A oppure B, ma anche tutte e due).

(13)

TAGETE 1-2010 Year XVI

149 La Consulta non chiarisce affatto in che modo debba intendersi l’ “alternatività”

dell’azione nei confronti del proprio assicuratore rispetto all’azione ordinaria nei confronti del responsabile, ed a quella diretta nei confronti dell’assicuratore di questi. In teoria, al riguardo, non potrebbero darsi che due possibilità:

(a) l’azione diretta “speciale” ex art. 149 cod. ass. esclude l’esperibilità sia dell’azione ordinaria ex art. 2043 c.c. che di quella diretta comune nei ex art. 144 cod. ass.;

(b) l’azione diretta “speciale” ex art. 149 cod. ass. non esclude l’esperibilità delle tradizionali azioni contro il responsabile ed il suo assicuratore.

Ora, in qualsivoglia modo volesse intendersi il senso in cui il concetto di “alternatività” è stato impiegato dalla Consulta, si perverrebbe comunque ad una soluzione impraticabile.

Se, infatti, si interpreta la sentenza nel senso che, se la vittima propone l’azione ex art.

149 cod. ass., non può promuovere l’azione nei confronti del responsabile, si abrogherebbe per via interpretativa l’art. 2043 c.c., e si realizzerebbe proprio quello

“stravolgimento” paventato dalla Consulta.

Se, invece, si interpreta la sentenza nel senso che la vittima ha facoltà di scegliere l’azione ex art. 149 cod. ass., ma ciò non le impedisce di promuovere - congiuntamente o successivamente - l’azione diretta ex art. 144 cod. ass. nei confronti dell’assicuratore del responsabile, si incorrerebbe in assurdità ancora maggiori:

(a) il cumulo delle procedure stragiudiziali di risarcimento, ex art. 148 cod. ass.;

(b) la possibilità di convenire i due assicuratori (il proprio e quello del responsabile) in giudizi separati, senza che l’eventuale rigetto della domanda nei confronti dell’uno possa pregiudicare con efficacia di giudicato l’esito della domanda nei confronti dell’altro;

(14)

TAGETE 1-2010 Year XVI

150 (c) l’assenza di solidarietà (manca infatti la eadem causa obligandi tra il debito dell’assicuratore della vittima ed il debito dell’assicuratore del responsabile), con la conseguente inapplicabilità dell’art. 1306 c.c. in tema di giudicato.

In definitiva, quindi, dire che le due azioni di cui qui si discorre sono “alternative”

significa porre l’interprete dinanzi ad un dilemma senza uscita:

- se l’alternatività si intende come esclusione reciproca unilaterale (proposta l’azione ex art. 149 cod ass., non sono possibili quelle ex art. 2043 c.c. o 144 cod. ass.), si perviene ad un risultato costituzionalmente inaccettabile, e cioè l’abrogazione dell’art.

2043 c.c.;

- se l’alternatività si intende come mera facoltà di promuovere l’una, l’altra o tutte e due le azioni, si perviene ad un risultato razionalmente inaccettabile, e cioè la possibile moltiplicazione delle procedure e delle controversie, senza possibilità di invocare il giudicato.

Quarto vulnus: l’uso ambiguo del concetto di “cumulo” (delle azioni).

Al fine di escludere i dubbi di legittimità sollevati dal rimettente, la Consulta ha affermato che l’azione nei confronti del proprio assicuratore prevista dall’art. 149 cod.

ass. non esclude “le tradizionali forme di tutela della vittima”, ed ha richiamato quanto già statuito con la sentenza n. 441 del 2008.

Tuttavia quest’ultima sentenza si era giuardata bene dall’affermare la cumulabilità dell’azione diretta ex art. 149 cod. ass. con quella nei confronti dell’assicuratore del responsabile, limitandosi a ribadire la cumulabilità (del tutto ovvia) tra la prima e l’azione ordinaria ex art. 2043 c.c. nei confronti del responsabile.

La sentenza qui in rassegna invece parrebbe andare oltre, e giungere ad affermare che il nuovo istituto non solo consente la normale azione di responsabilità verso il

(15)

TAGETE 1-2010 Year XVI

151 responsabile, ma anche la comune azione diretta ex art. 144 cod. ass. nei confronti dell’assicuratore di quest’ultimo. Si è detto “parrebbe” perché la sintassi al riguardo adottata ha un andamento incerto, quasi tradisse una intima incertezza. Ed infatti:

- al § 2.1 del “Considerato in diritto” si dice che la nuova azione ex art. 149 cod. ass.

costituisce “un'alternativa all'azione tradizionale per far valere la responsabilità dell'autore del danno”;

- poco più oltre, tuttavia, nello stesso § 2.2, si afferma che resta ferma “la possibilità di opzione per l'azione di responsabilità tradizionale, e per l'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile civile”;

- ancora quattro righe e si cambia di nuovo formula, affermandosi che il sistema del risarcimento diretta ha lasciato persistere la “tutela tradizionale nei confronti del responsabile civile”;

- la stessa affermazione si legge, ancora, più in basso, ove si afferma che l’azione verso ilproprio assicuratore lascia ferma la “tradizionale azione di responsabilità civile”;

- quindi, sorprendentemente, si afferma che “il nuovo sistema di risarcimento diretto non consente di ritenere escluse le azioni già previste dall'ordinamento in favore del danneggiato”, dove l’uso del femminile plurale lascia intendere che la Consulta abbia inteso fare riferimento non solo all’azione ordinaria di responsabilità, ma anche all’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile;

- nello stesso periodo, però, si precisa che “la scelta del danneggiato di procedere nei soli confronti del responsabile civile trova fondamento nella normativa codicistica, non espressamente abrogata”;

- infine, dopo avere ripetuto per quattro volte che l’azione nei confronti del proprio assicuratore non esclude l’azione ordinaria nei confronti del responsabile, la Consulta conclude annunciando che “l'interpretazione costituzionalmente orientata [dell’art. 149

(16)

TAGETE 1-2010 Year XVI

152 cod. ass.] accanto alla nuova azione diretta contro il proprio assicuratore ammette l'esperibilità dell'azione ex art. 2054 c.c. e dell'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile civile”.

Ci troviamo dunque dinanzi ad un testo che presenta due oggettive anomalie:

- da un lato usa espressioni oscillanti, talora affermando che l’azione ex art. 149 cod.

ass. non esclude la sola azione ordinaria nei confronti del responsabile, e talaltra sostenendo che l’azione ex art. 149 cod. ass. non esclude né l’azione ordinaria verso il responsabile, né l’azione diretta nei confronti del di lui assicuratore;

- ma anche a volere negare tale oggettiva ambiguità di sintassi, resta un dato inoppugnabile: la Consulta ha ritenuto l’azione ex art. 149 cod. ass. compatibile sia con l’azione ex art. 2043 c.c., sia con quella ex art. 144 cod. ass., ma ha motivato solo in merito alla compatibilità con l’azione aquiliana. Insomma, è come se la Consulta ci abbia detto: siccome il codice delle assicurazioni non ha abrogato il codice civile, il risarcimento diretto ha lasciato inalterata sia l’azione di responsabilità ex art. 2043 c.c.;

sia l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, ex art. 144 cod. ass..

Ciascun può giudicare quanto sia coerente questa motivazione.

Quinto vulnus: il paventato stravolgimento dei princìpi della responsabilità civile non sussiste.

Secondo la Consulta l’introduzione del risarcimento diretto non ha comportato alcuno

“stravolgimento dei princìpi della responsabilità civile”. Ergo, la nuova azione diretta nei confronti dell’assicuratore della vittima non esclude la tradizionale azione diretta nei confrontoi dell’assicuratore del responsabile.

Quello che precede è un perfetto esempio di paralogismo, o falso sillogismo, che ben meriterebbe di figuirare nei Topici di Aristotele.

(17)

TAGETE 1-2010 Year XVI

153 Messo in termini logici, suonerebbe così:

(a) l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile è un principio della responsabilità civile (premessa maggiore sottintesa);

(b) il risarcimento diretto non può stravolgere i princìpi della responsabilità civile (premessa minore);

(c) ergo, l’azione diretta della vittima nei confronti del proprio assicuratore, prevista dal sistema del risarcimento diretto, non esclude l’azione diretta “tradizionale” nei confronti dell’assicuratore del responsabile (sintesi).

E’ tuttavia di solare evidenza la falsità della premessa maggiore: l’azione diretta nei confronti dell’asicuratore della responsabilità civile non costituisce un princìpio della responsabilità civile. L’assicuraotre non risponde infatti a titolo aquiliano; la sua è una obbligazione scaturente dalla legge, e comunque è prevista da una legge speciale rispetto al codice civile.

Anche in questo caso, quindi, la Corte parte da un assunto del tutto esatto e sacrosanto, e cioè che l’azione ex art. 149 cod. ass. non ha e non potrà mai abrogare la comune azione di responsabilità, per estenderne gli effetti ad un campo del tutto diverso, quello delle azioni dirette previste dall’ordinamento in favore della vittima di un sinistro stradale. Ma l’azione ordinaria e quella diretta sono istituti distinti e separati, la cui compatibilità col risarcimento diretto va esaminata separatamente, e la compatibilità dell’azione ex art. 149 cod. ass. con l’una non può comportare di per sé la compatibilità anche con l’altra.

(18)

TAGETE 1-2010 Year XVI

154 Sesto vulnus: il riferimento alla tutela del contraente.

Nel paragrafo 2.1 dei motivi della sentenza la Corte, per negare che il risarcimento diretto abbia violato la legge delega, ricorre ad un argomento piuttosto intricato che può così riassumersi:

(-) la legge delega imponeva al legislatore delegato di rafforzare la tutela del consumatore, e quindi dell’assicurato;

(-) l’art. 149 cod. ass. ha accordato all’assicurato, che rimanga vittima di un sinistro, una nuova azione accanto ed in aggiunta a quelle preesistenti (azione aquiliana ed azione diretta verso l’assicuratore del responsabile), e quindi ha dato piena attuazione alla legge delega;

(-) la circostanza che analoga azione sia accordata alla vittima anche quando non abbia stipulato il contratto di assicurazione (ad es., conducente non proprietario e non contraente) è un di più, una previsione aggiuntiva la quale comunque nulla toglie al fatto che il legislatore delegato, introducendo il risarcimento diretto, ha rafforzato la posizione del consumatore, così rispettando pienamente la legge delega.

Ora, che l’introduzione del risarcimento diretto non debordi dalla finalità di “riassetto”

della materia, imposte dall’art. 4 della legge n. 229 del 2003, può senz’altro ammettersi, in virtù del riferimento contenuto nella norma appena citata al “processo di liquidazione dei sinistri”. Ma che la procedura di risarcimento abbia per finalità il rafforzamento della posizione dell’assicurato in quanto tale è affermazione del tutto erronea. Il risarcimento diretto è istituto preordinato alla tutela della vittima di un sinistro stradale e non dell’assicurato, come si desume da una semplice considerazione: la procedura di risarcimento diretto serve a ristorare i danni patiti, e non quelli causati. L’azione accordata dall’art. 149 cod. ass. alla vittima di un sinistro, quando sia operante la procedura di risarcimento diretto, non è un’azione contrattuale, ma

(19)

TAGETE 1-2010 Year XVI

155 un’azione scaturente direttamente dalla legge, rispetto alla quale il contratto di assicurazione non è la fonte, ma il presupposto dell’obbligo.

5. Risarcimento diretto: la disciplina processuale.

Detto delle ragioni per le quali la decisione della Consulta appare poco convincente, è giunto il momento di esporre i princìpi che, a mio sommesso parere, regolano i risvolti processuali dell’istituto previsto dall’art. 149 cod. ass..

(A) Legittimazione passiva.

L’art. 149, comma 6, cod. ass., come già ricordato, disciplina la legittimazione passiva rispetto alla pretesa risarcitoria della vittima, stabilendo che quest’ultimo “può proporre l'azione diretta di cui all'art. 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione”4.

Pertanto, per i sinistri soggetti al regime del risarcimento diretto, la vittima continua ad avere due debitori solidali: il responsabile del sinistro ed un assicuratore della r.c.a.

L’unica differenza rispetto al regime ordinario è che mentre in quest’ultimo il responsabile è obbligato in solido col proprio assicuratore, nel caso di risarcimento diretto il responsabile è obbligato in solido con l’assicuratore dello stesso danneggiato.

L’opposta tesi, secondo cui nelle ipotesi di risarcimento diretto la vittima avrebbe la facoltà di scegliere se convenire in giudizio il proprio o l’altrui assicuratore, è assolutamente incompatibile col testo della legge e con la ratio del sistema, ove si consideri che:

4 La norma è il pendant processuale della previsione sostanziale di cui al primo comma, ove si stabilisce che “i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato”.

(20)

TAGETE 1-2010 Year XVI

156 (-) la vittima “deve” richiedere il risarcimento al proprio assicuratore (art. 149, comma 1, cod. ass.), dunque solo questi è legittimato passivo dal punto di vista sostanziale, sicché non si comprende come la legittimazione sostanziale possa essere unica, e quella processuale duplica;

(-) l’azione diretta ex art. 145 cod. ass. può essere proposta “solo” nei confronti dell’assicuratore della vittima (art. 149, comma 6, cod. ass.), aggettivo che non avrebbe senso se tale legittimazione fosse facoltativa;

(-) non avrebbe senso e razionalità alcuna prevedere una sistema articolato e complesso come quello del risarcimento diretto, per poi lasciare alle parti la scelta se aderirvi o meno.

(B) Proponibilità della domanda.

L’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, nei casi ordinari, è improponibile se non è stata preceduta da una richiesta scritta, che è onere della vittima inviare all’assicuratore del responsabile, e previo decorso dello spatium deliberandi fissato dalla legge (art. 145 cod. ass.).

Una norma analoga è dettata anche per le ipotesi in cui trova applicazione il risarcimento diretto (art. 149, comma 2, cod. ass.). Unica particolarità è - ovviamente - che la richiesta scritta di risarcimento va inviata non all’assicuratore del responsabile, che non è debitore del danneggiato, ma all’assicuratore di quest’ultimo.

La legge tuttavia soggiunge che, nelle ipotesi suddette, la vittima ha l’onere di inviare la richiesta scritta “per conoscenza” anche all’assicuratore del responsabile, sicché si è posto il problema della proponibilità della domanda proposta nei confronti dell’assicuratore della vittima, in mancanza di tale adempimento.

A tale quesito ritengo si debba dare risposta negativa, per due ragioni.

(21)

TAGETE 1-2010 Year XVI

157 La prima ragione è che la ratio della previsione di cui all’art. 145 cod. ass. è quella di favorire la conciliazione stragiudiziale della lite. Ora, poiché l’assicuratore del responsabile nel caso di risarcimento diretto non è debitore della vittima, l’omesso invio anche a lui della richiesta scritta di risarcimento non preclude in alcun modo la potenziale conciliazione della lite, sicché l’omissione in parola non vulnera lo scopo della legge.

La seconda ragione è che, a tutto concedere, l’omissione suddetta resterebbe comunque priva di qualsiasi effetto rilevante, posto che l’assicuratore della vittima, ricevuta la richiesta scritta di risarcimento, ha l’obbligo di darne “immediata comunicazione”

all’assicuratore del responsabile (art. 5, comma 3, d.p.r. 254/06)5.

(C) Litisconsorzio necessario.

Nel sistema ordinario, quando la vittima propone l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile ha l’obbligo di convenire altresì, quale litisconsorte necessario, il responsabile del sinistro, tradizionalmente identificato nel proprietario del mezzo (art. 144, comma 3, cod. ass.). Tale obbligo di integrazione del contraddittorio nei confronti del responsabile deve ritenersi sussistente anche nei casi in cui, trovando applicazione il risarcimento diretto, la legittimazione passiva processuale rispetto all’azione diretta spetta all’assicuratore della vittima.

5 Ha invece ritenuto che la domanda sia improponibile, se manca l’invio “per conoscenza” all’assicuratore del responsabile, Giud. pace Pomigliano d’Arco, 7.11.2007, nella banca dati www.dejure.it. Secondo il giudice onorario campano, l’omissione in parola renderebbe improponibile l’azione diretta perché impedisce “alla compagnia d'assicurazione dell'altro veicolo di poter sostenere le ragioni del proprio assicurato fornendo notizie e prove” all’assicuratore della vittima. Si tratta di tesi difficilmente accettabile, posto che l’assicuratore del

responsabile non solo è a conoscenza del sinistro perché glielo deve comunicare l’assicuratore della vittima (art. 5, comma 3, d.p.r. 254/06), ma ha altresì l’obbligo di attivarsi per fornire dati e notizie all’assicuratore della vittima, mercé l’espressa previsione dell’art. 15, comma 6, convenzione CARD.

(22)

TAGETE 1-2010 Year XVI

158 L’art. 149, comma 6, cod. ass. non attribuisce infatti alla vittima una generica azione diretta nei confronti del proprio assicuratore, ma gli attribuisce “l’azione diretta di cui all’art. 145, comma 2”, cod. ass.. Ci troviamo dunque dinanzi ad una norma recettizia, che richiama integralmente un istituto previsto da altra disposizione, e quindi tutti i suoi ammennicoli ed annessi. E poiché l’azione diretta prevista dall’art. 145, comma 2, cod.

ass. esige l’integrazione del contraddittorio nei confronti del responsabile, quest’ultimo deve partecipare anche al giudizio promosso dalla vittima nei confronti del proprio assicuratore6.

(D) Intervento in causa dell’assicuratore del responsabile.

L’art. 149, comma 6, ultima parte, cod. ass. stabilisce che l’assicuratore del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio promosso dalla vittima contro il proprio assicuratore, “e può estromettere l'altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ferma restando, in ogni caso, la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese medesime secondo quanto previsto nell'ambito del sistema di risarcimento diretto”.

La prima parte di tale previsione è pressoché inutile: l’assicuratore del responsabile, in quanto soggetto sul quale grava il peso finale del risarcimento, anche in assenza della norma in esame avrebbe comunque avuto un sicuro interesse ex art. 100 c.p.c. ad intervenire nel giudizio. Ma se la prima parte della norma è inutile, la seconda parte è ambigua, là dove afferma che l’assicuratore del responsabile “può estromettere l’altra impresa”. Il provvedimento di estromissione dal giudizio esige infatti comunque un provvedimento del giudice, rimesso alla sua discrezionalità, mentre il presente indicativo

6 L’opinione è stata condivisa, sia pure sulla base di argomentazioni diverse, da Giud. pace Bari 8.2.2008, nella banca data www.dejure.it.

(23)

TAGETE 1-2010 Year XVI

159 adottato nel comma 6 dell’art. 149 cod. ass. parrebbe lasciare intendere che l’estromissione dipenda non da una valutazione del giudice, ma dal fatto stesso che l’assicuratore del responsabile sia intervenuto in giudizio.

Non meno ambigua è l’ultima parte della norma, dove si precisa che l’assicuratore del responsabile può estromettere l’altra impresa “riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”. Non è chiaro infatti se l’estromissione possa avvenire solo quando l’assicuratore del responsabile, intervenendo, riconosca la totale responsabilità del proprio assicurato, ovvero sia possibile anche quando l’interveniente riconosca soltanto un concorso di colpa del proprio assicurato.

In ogni caso, quel che deve escludersi è che la confessione resa dall’assicuratore interveniente possa vincolare anche l’assicurato. E ciò non solo perché la confessione resa da uno dei condebitori solidali non può nuocere agli altri (art. 1309 c.c.), ma soprattutto perché in tema di assicurazione della r.c.a. la corte di cassazione ha stabilito che la confessione resa dal’assicurato non può vincolare l’assicuratore, e può quindi essere disattesa dal giudice, che ha l’obbligo di accertare la responsabilità in modo uniforme per l’uno e per l’altro7. Il medesimo principio, ricorrendo la stessa ratio, non può quindi non trovare applicazione anche nell’ipotesi inversa a quella esaminata dalla S.C., cioè quando la confessione sia resa dall’assicuratore.

7 Cass., sez. un., 05-05-2006, n. 10311, in Foro it., 2007, I, 1259 (massima), nonché in extenso in Assicurazioni, 2006, II, 2, 272.

(24)

TAGETE 1-2010 Year XVI

160

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del giudizio per risarcimento danni da incidente stradale promosso da Rocca Trasporti s.r.l. nei confronti di Mediterranea s.r.l. e di Zurigo Assicurazioni s.a., nelle rispettive qualità di responsabile civile del danno in quanto proprietaria del veicolo antagonista, e di compagnia che copre i rischi dalla circolazione dello stesso veicolo, il Giudice di pace di Palermo, con ordinanza depositata il 20 marzo 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo, la norma censurata ha previsto un'azione diretta del danneggiato nei confronti del proprio assicuratore, eliminando il diritto, spettante a qualunque danneggiato da fatto illecito, di agire (anche) contro il responsabile del danno e sostituendo alla legittimazione passiva dell'assicuratore per la r.c.a. di quest'ultimo quella dell'assicuratore dello stesso danneggiato.

Il rimettente assume la rilevanza della questione, per il fatto che, avendo la compagnia assicuratrice convenuta eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, alla luce del citato art. 149, per dover essere l'azione proposta nei soli confronti dell'assicuratore del veicolo della stessa attrice, la dichiarazione d'incostituzionalità della norma indurrebbe al rigetto dell'eccezione, mentre in caso contrario l'eccezione dovrebbe essere accolta, con conseguente rigetto della domanda. Il Giudice di pace di Palermo esclude di poter praticare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, argomentando che l'espressione letterale della norma stessa, nel senso che "i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato"

e che in caso di mancata o insufficiente offerta, "il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione", configura per il danneggiato l'obbligo senza alternative di agire contro la propria compagnia assicuratrice.

(25)

TAGETE 1-2010 Year XVI

161 Del resto - argomenta il rimettente - se lo scopo della norma, rivelato anche dai lavori preparatori e dalle dichiarazioni di Governo, è quello di ridurre i costi dei risarcimenti a carico delle compagnie, e così anche dei premi assicurativi, l'interpretazione non può che essere rigorosa, come si ricava anche dall'art. 150 dello stesso Codice, che, nel rimettere alla normazione secondaria procedure e rapporti tra imprese, richiama "i benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto". Lo stesso d.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, attuativo dell'art. 150, predispone appropriati strumenti per il raggiungimento dello scopo della riduzione dei costi, escludendo che le imprese debbano sostenere spese legali e stabilendo la coincidenza tra soggetto che assiste il danneggiato e soggetto che deve formulare la proposta risarcitoria, sicché il danneggiato è di fatto impossibilitato a rivolgersi ad un professionista, e, non essendo così in grado di valutare l'offerta dell'assicurazione, finirà per accettare risarcimenti inferiori al pregiudizio realmente subito. La stessa legge delega (L. 29 luglio 2003, n. 229, Interventi in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e codificazione. - Legge di semplificazione 2001) ha stabilito, tra i criteri direttivi dell'emanando Codice delle assicurazioni, la tutela dei consumatori e dei contraenti più deboli, cioè degli assicurati, il che potrebbe avvenire solo attraverso un abbassamento dei premi di assicurazione. In conclusione, ammettere un'interpretazione alternativa, che faccia salva la tradizionale azione di danni contro il responsabile civile, vanificherebbe l'obiettivo del legislatore, perché, rimanendo prevedibilmente marginale l'azione diretta, le compagnie dovrebbero continuare a sostenere ingenti costi per l'assistenza tecnica dei danneggiati.

Il rimettente, poi, nell'esporre le ragioni di non manifesta infondatezza della questione, denuncia la violazione dell'art. 76 Cost., perché l'azione diretta del danneggiato nei confronti del proprio assicuratore appare innovazione sostanziale e significativa, che, nel contempo, elimina il diritto, spettante a qualunque danneggiato da fatto illecito, di agire (anche) contro il responsabile del danno e sostituisce, quanto all'azione diretta, alla legittimazione passiva dell'assicuratore per la r.c.a. di quest'ultimo (pur prevista, ove manchino le condizioni di applicabilità dell'art. 149, dall'art. 144 dello stesso Codice delle assicurazioni, e, secondo la disciplina previgente, dall'art.

(26)

TAGETE 1-2010 Year XVI

162 18 della legge n. 990 del 1969), quella dell'assicuratore dello stesso danneggiato. Tale innovazione avrebbe dovuto essere oggetto di una delega specifica, che però non si rinviene nella legge n. 229 del 2003, la quale si proponeva semplicemente di realizzare una semplificazione ed un riassetto della legislazione assicurativa, nel rispetto dei principi indicati.

Non sembra possibile giustificare le innovazioni apportate alla luce dei criteri guida della codificazione assicurativa, che sono quelli dell'adeguamento alla normativa comunitaria e della tutela del consumatore e del contraente più debole, anche riguardo alla correttezza dei procedimenti di liquidazione dei sinistri: il soggetto dichiaratamente favorito dalla nuova disciplina è il danneggiato, non l'assicurato, sia perché l'assicurazione copre i danni patiti dai terzi e non dal responsabile civile (contraente nel rapporto assicurativo), sia con riferimento al caso del danneggiato conducente di veicolo altrui. Chè anzi, il rischio di aumento del malus che consegue a danno dell'assicurato dall'esborso del proprio assicuratore a favore di chi lamenta il danno, imporrebbe la partecipazione dell'assicurato al procedimento liquidatorio per far valere le proprie ragioni.

Neppure l'obiettivo di ridurre i costi di gestione per ottenere l'abbattimento dei premi assicurativi, può riconoscersi tra i criteri direttivi della legge delega, che indica solo la tutela giuridica dell'assicurato. Inoltre, il decreto attuativo del codice predispone gli strumenti per ridurre i costi di gestione delle imprese assicurative, ma non assicura quelli idonei a consentire che i vantaggi economici della riforma possano esser partecipati con gli assicurati (attraverso la riduzione dei premi), piuttosto che destinati a profitto d'impresa. Il vizio di eccesso di delega è rilevabile anche sotto il profilo dell'assenza del parere del Consiglio di Stato, dato che le disposizioni recanti la procedura di risarcimento diretto (art. 149) e la relativa disciplina (articolo 150) furono inserite da ultimo nel Codice delle assicurazioni sulla base del parere reso dalle competenti Commissioni parlamentari, ma non erano presenti nello schema di decreto legislativo sul quale il Consiglio di Stato aveva previamente espresso il proprio parere. La violazione dell'art. 3 Cost. è denunciata dal giudice a quo sotto il profilo della disparità di trattamento tra le ipotesi di diversa entità dei danni. La procedura obbligatoria del risarcimento

(27)

TAGETE 1-2010 Year XVI

163 diretto si applica infatti anche ove la persona del conducente (non, anche parzialmente, responsabile) abbia subito lesioni con postumi permanenti inabilitanti superiori al 9%. La diversità tra le due ipotesi (danni fisici lievi o danni al veicolo e danni alle cose trasportate, da un lato, e danni fisici gravi e perdita di un congiunto, dall'altro) incide ingiustificatamente non solo sulla procedura di liquidazione del danno e sul riferimento soggettivo passivo dell'azione risarcitoria diretta, ma anche sul piano sostanziale, giacché per coloro cui è applicabile la procedura ordinaria di liquidazione il risarcimento è regolato da un atto normativo primario, mentre, per coloro cui si applica la procedura di risarcimento diretto, l'art. 150 del Codice demanda a una fonte normativa secondaria di tipo regolamentare il compito di stabilire - senza, peraltro, al contempo, indicare alcun criterio direttivo - il grado di responsabilità delle parti ed i limiti di risarcibilità dei danni accessori, introducendo, attraverso la delegificazione di detta materia, una diversità di trattamento sostanziale dei diritti dei danneggiati da sinistro stradale. Se anche la procedura di risarcimento diretto fosse ritenuta vantaggiosa per il danneggiato, ne conseguirebbe l'irragionevolezza della esclusione da essa di coloro che, stante la rilevanza dei danni subiti, maggiormente ne beneficerebbero. Ove invece fosse da ritenere svantaggiosa (come in realta), la compressione del diritto all'integrità fisica e della proprietà privata non appare bilanciata dagli interessi economici delle imprese e degli assicurati, attesa la tutela preferenziale di tali diritti.

La questione relativa alla violazione dell'art. 24 Cost. è sollevata con riguardo alla sostituzione, quale legittimato passivo dell'azione risarcitoria, dell'assicuratore del veicolo utilizzato dal danneggiato al responsabile civile e all'assicuratore di quest'ultimo, dei quali la norma censurata esclude la legittimazione passiva. Peraltro, a ritenere tuttora sussistente, nei casi in cui è applicabile la procedura di risarcimento diretto, la legittimazione passiva del responsabile civile prevista dagli artt. 2043 e 2054 cod. civ., sarebbe frustrata la ratio legis dell'istituto in esame, tenuto conto che il responsabile civile nei cui confronti fosse proposta l'azione risarcitoria potrebbe chiamare in giudizio il proprio assicuratore esercitando la domanda di garanzia, con conseguente duplicazione delle spese processuali sostenute dalle imprese di

(28)

TAGETE 1-2010 Year XVI

164 assicurazione per la gestione dei sinistri, e aumento dei premi assicurativi, in contrasto con l'obiettivo del legislatore delegato. Anche a ritenere consentita la partecipazione in giudizio del responsabile civile, la lesione del diritto di difesa sussisterebbe ugualmente: la chiamata dell'assicuratore da parte di quest'ultimo (che, ad esempio, rimanga contumace) sarebbe meramente eventuale; il danneggiato non avrebbe interesse ad esperire azione diretta contro di lui; inoltre, essendo il responsabile civile litisconsorte solo facoltativo, la sua confessione non potrebbe esser liberamente valutata dal giudice nei confronti dei litisconsorzi, come nel litisconsorzio necessario. Ma l'aspetto più eclatante - ad avviso del rimettente - è che la sostituzione del contraddittore naturale (il danneggiante e il suo garante) del danneggiato con un soggetto del tutto estraneo al responsabile del danno, comporta che il danneggiato non può avvalersi degli ordinari mezzi istruttori, quale l'interrogatorio formale, la richiesta di ordine di esibizione della denuncia di sinistro fatta dal responsabile del danno, nonché la richiesta di ordine di esibizione della perizia comparativa effettuata anche sul veicolo assicurato o delle fotografie riproducenti quest'ultimo. Il danneggiato non potrebbe nemmeno avvalersi di uno degli elementi di prova più significativi, recentemente valorizzati dalla riforma del codice di procedura civile (che impone al convenuto di prendere posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda), e particolarmente rilevanti nell'ambito del processo del lavoro, ossia del tenore delle difese espletate nel primo atto difensivo, nonché del rilievo del comportamento processuale e anche preprocessuale delle parti. Il diritto di difesa del danneggiato appare poi limitato da eventuali obblighi contrattuali intercorrenti con il proprio assicuratore. Ne risulta minata anche la parità delle armi delle parti nel processo, con violazione dell'art. 111 Cost., sia a causa degli obblighi contrattuali e legali (obbligo di denunciare il sinistro) dell'attore-danneggiato nei confronti del proprio assicuratore-convenuto, sia per la netta differenza di strumenti processuali e mezzi probatori tra le parti (ad es.

l'assicuratore del danneggiato si può avvalere, contro il danneggiato, della denuncia di sinistro da lui presentata in adempimento dell'obbligo di legge, e ancora di ogni argomento di prova fondato sul suo comportamento processuale e preprocessuale, nonché, se lo ritiene

(29)

TAGETE 1-2010 Year XVI

165 conveniente, di ogni atto trasmessogli dall'assicuratore del responsabile, senza al contempo che il danneggiato attore possa chiederne utilmente l'esibizione). 2. - Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo l'inammissibilità e l'infondatezza nel merito della questione sollevata. Secondo la difesa erariale non è adeguatamente valutata e motivata la rilevanza della questione. Il rimettente, al di là di generiche petizioni di principio, non compie alcuna verifica dei presupposti di applicabilità della procedura prevista dal censurato art. 149, e non accerta se sussista la responsabilità dell'altro conducente.

Le questioni sarebbero, nel merito, manifestamente infondate. È da escludere che vi sia stato stravolgimento del sistema, essendosi nella sostanza costituita in capo all'assicurazione un'obbligazione finalizzata a rafforzare la posizione dell'assicurato, vittima del sinistro. La liquidazione dei danni da parte dell'assicurazione del danneggiato è operata per conto dell'impresa assicuratrice del veicolo responsabile, al fine di rendere più sollecito il risarcimento, nell'interesse del danneggiato. La regolazione dei rapporti tra le imprese avverrà successivamente; l'assicurazione del responsabile civile può intervenire in giudizio con estromissione di quella del danneggiato; è inoltre prevista la rivalsa della prima sulla seconda per quanto pagato in eccedenza.

La norma censurata non si porrebbe al di fuori dei criteri direttivi della legge delega dato che l'espressione "soggetto contraente" comprende anche il soggetto assicurato, legato da un vincolo contrattuale con la compagnia di assicurazione, rispetto alla quale, anzi, emerge la debolezza contrattuale. In sostanza, l'ambito semantico della locuzione impiegata dalla legge delega conferisce ampio margine di discrezionalità al legislatore delegato nel predisporre gli strumenti a favore del contraente più debole.

Il parere del Consiglio di Stato, non vincolante, è concepibile riguardo al corpus normativo nel suo complesso, non già riguardo alla singola disposizione normativa della legge delegata.

Esso, inoltre, è richiesto proprio dalla capacità innovativa della codificazione delegata, che comporta, nelle intenzioni del legislatore, non già il semplice riordino normativo, ma il

(30)

TAGETE 1-2010 Year XVI

166

"riassetto" (come recita lo stesso titolo della legge n. 229 del 2003) della regolazione in un determinato settore, quindi con forza innovativa ben più incisiva dei semplici regolamenti di delegificazione. Dalla stessa relazione del Ministero delle attività produttive, risulta che la stesura delle norme modificate mira a migliorare il coordinamento interno con le disposizioni sulle procedure di risarcimento e sul piano formale a realizzare una maggiore chiarezza espositiva.

Riguardo alla violazione dell'art. 3 Cost., non sarebbe ravvisabile alcuna disparità di trattamento, posto che il diritto del trasportato non è sacrificato ma solo disciplinato con la previsione di una modalità di azione in giudizio, da ritenere più rapida e satisfattiva. Con riferimento, poi, alla pretesa violazione del diritto di difesa, il giudice a quo non avrebbe considerato che non cessano di operare le presunzioni di cui all'art. 2054 cod. civ.: l'attore non risentirebbe alcun pregiudizio dall'atteggiamento processuale della convenuta.

Considerato in diritto

1. - Il Giudice di pace di Palermo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 149 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), che introduce a favore del danneggiato in incidente stradale una speciale azione diretta da esperire contro il proprio assicuratore, per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 111 della Costituzione.

La norma impugnata prevede che - in ipotesi di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti - i danneggiati devono rivolgere la propria richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato (comma 1). La stessa disposizione non si applica ai veicoli immatricolati all'estero e limita l'applicabilità del nuovo sistema (comma 2) ai soli danni al veicolo, alle cose trasportate dell'assicurato e del conducente, e al danno alla persona del conducente non responsabile, se contenuto nel limite di cui all'art. 139 dello stesso Codice (postumi pari o inferiori al 9%).

(31)

TAGETE 1-2010 Year XVI

167 La questione è ammissibile, avendo il rimettente adeguatamente riferito i termini rilevanti nella lite sottoposta al suo giudizio, dai quali discende l'applicabilità dell'art. 149 del Codice delle assicurazioni. Egli espone con chiarezza che la domanda verte sul risarcimento dei danni materiali, e, atteso l'oggetto della domanda, che non riguarda anche i danni alla persona, l'accertamento in ordine all'esclusiva responsabilità dell'altro conducente è irrilevante, giacché tale elemento non è posto dalla norma censurata quale condizione dell'azione da essa regolata.

2. - Nel merito la questione non è fondata.

2.1 - I profili di incostituzionalità evidenziati dal Giudice di pace di Palermo sono riconducibili a due distinti ambiti attinenti, rispettivamente, al vizio di formazione legislativa (art. 76 Cost.) e alla lesione di diritti costituzionalmente protetti (artt. 3, 24, 111 Cost.). La lettura dell'art. 149 del Codice delle assicurazioni, da parte del Giudice di pace di Palermo, approda all'esclusività della tutela apprestata al danneggiato da sinistro stradale e all'obbligatorietà dell'azione configurata, nei casi previsti dalla stessa norma (sostanzialmente: danni ai veicoli, alle cose trasportate e alla persona del conducente con invalidità fino al 9%). La ricostruzione si basa su aspetti letterali e sistematici.

Sotto il primo profilo, l'espressione "il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione", non potrebbe che indurre a configurare un obbligo senza alternative, per il danneggiato, di agire contro la propria compagnia assicuratrice: secondo il rimettente l'espressione "potere nei soli confronti"

esclude l'esercizio del potere nei confronti di altri.

Si può osservare in proposito che l'oggetto della perifrasi non è tanto il rapporto che, con riguardo alla proposizione di un'azione, il legislatore vuole instaurare a favore di un soggetto, quanto l'azione stessa, che è individuata nei confronti (e nei soli confronti) di un determinato soggetto, che è l'assicuratore del danneggiato. Così individuato l'oggetto dell'azione, si passa, appunto, a stabilire la norma (anzi la facultas) agendi a favore di un soggetto, il danneggiato appunto, il quale "puo" - ma non "deve" - esperire quell'azione. Sulla base del significato proprio delle parole, secondo la loro connessione (art. 12 disposizioni sulla legge in generale), l'azione

(32)

TAGETE 1-2010 Year XVI

168 diretta contro il proprio assicuratore è configurabile come una facoltà, e quindi un'alternativa all'azione tradizionale per far valere la responsabilità dell'autore del danno.

Secondo l'interpretazione sistematica del giudice rimettente, lo scopo della norma ricavabile dai lavori preparatori sarebbe poi quello di ridurre i costi dei risarcimenti a carico delle compagnie, e così anche dei premi assicurativi. A tal fine l'applicazione del nuovo sistema non potrebbe che essere rigoroso e non ammettere alternative, come si ricaverebbe dall'art. 150 dello stesso Codice. In altre parole, lo scopo della legge verrebbe vanificato ove si pretendesse di duplicare la tutela attraverso la procedura del risarcimento diretto, con la sopravvivenza della tutela tradizionale contro il responsabile civile e l'assicuratore di quest'ultimo. Non vi sarebbe risparmio di costi e, quindi, neppure riduzione dei premi.

L'argomentazione del rimettente, sul piano degli scopi del sistema legislativo, può essere condivisibile, ma non esaurisce la spiegazione delle finalità che si pone la norma. Che il risparmio per le compagnie assicurative possa concorrere a costituire la ratio legis è possibile, anche se il richiamo dell'art. 150 del Codice delle assicurazioni ai "benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto", quale principio per la cooperazione tra le imprese di assicurazione nell'approntamento della normativa secondaria emanata in attuazione, non equivale ad un suggello della esclusività dell'azione diretta contro l'assicuratore del danneggiato quale condicio sine qua non per l'ottenimento dello scopo di riduzione dei premi. Detto richiamo sembra, piuttosto, agevolare il conducente assicurato nella ricerca dell'interlocutore per il conseguimento della riparazione del danno subito, in fase stragiudiziale e, ove occorra, mediante l'actio iudicii. Alla base dell'innovazione vi è, invece, l'idea che uno dei principali ostacoli allo sviluppo delle effettive condizioni di concorrenza nel mercato assicurativo è rappresentato dalla particolare natura del rapporto contrattuale che si instaura nella r.c.a.:

l'indennizzato non è il cliente dell'assicurazione, ma tipicamente è una terza parte senza vincoli contrattuali con la compagnia di assicurazione tenuta ad effettuare il rimborso.

Creando la legge un rapporto diretto tra impresa e cliente, e stimolando la ricerca da parte di

(33)

TAGETE 1-2010 Year XVI

169 quest'ultimo della "miglior compagnia", risulta forte l'incentivo per le imprese ad investire nella concorrenza sulla qualità di servizi offerti e nella efficienza nella gestione dei sinistri.

Pertanto, non è l'obbligatorietà del sistema di risarcimento diretto che impone le condizioni di un mercato concorrenziale, bensì la ricerca, da parte delle compagnie, della competitività con l'offerta di migliori servizi, e l'incentivo dei clienti non solo ad accettare quella determinata offerta contrattuale, ma a ricorrere al meccanismo, ove ve ne sia bisogno, del risarcimento diretto, come il più conveniente, ferma restando la possibilità di opzione per l'azione di responsabilità tradizionale, e per l'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile civile.

Un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 149 consentirebbe, accanto all'azione diretta contro la compagnia assicuratrice del veicolo utilizzato, la persistenza della tutela tradizionale nei confronti del responsabile civile, dal momento che il Codice delle assicurazioni si è limitato "a rafforzare la posizione dell'assicurato rimasto danneggiato, considerato soggetto debole, legittimandolo ad agire direttamente nei confronti della propria compagnia assicuratrice, senza peraltro togliergli la possibilità di fare valere i suoi diritti secondo i principi della responsabilità civile dell'autore del fatto dannoso" (ordinanza n. 441 del 2008).

Il predetto Codice, nel quadro di un complessivo "riassetto" della materia - il termine è impiegato dal legislatore delegante, che proprio con l'art. 1 della legge n. 229 del 2003 modifica i principi ispiratori della delegazione legislativa di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, al fine di garantire organicità e completezza della materia oggetto del riordino - introduce un meccanismo che, in presenza di certe condizioni, agevola la tutela del danneggiato e, in prospettiva, come lo stesso giudice a quo riconosce, si propone di creare le condizioni per un miglioramento delle prestazioni assicurative. Pur nell'approssimativo coordinamento delle norme del titolo X del Codice, nel loro complesso e nei rapporti con la disciplina vigente, nulla autorizza a ritenere che siano stati stravolti i principi in tema di responsabilità civile, tanto più che le norme poste dal legislatore delegato sono da interpretare nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (sentenze n. 98 del 2008 e nn. 170 e 340 del 2007).

Riferimenti

Documenti correlati