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Cambiare verso? Spunti di riflessione su imposte, spesa e futuro del welfare

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Academic year: 2022

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la Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 3/2017

RPS

Cambiare verso? Spunti di riflessione su imposte, spesa e futuro del welfare

Gilberto Turati

Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 3 2017 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link:

http://wwww.ediesseonline.it/riviste/rps/quale-destino-i-diritti-sociali- europa/cambiare-verso-spunti-di-rifl

La ricetta di politica economica adottata dagli ultimi governi si è orientata negli anni della crisi ad una riduzione del peso del settore pubblico sul Pil per dare una spinta alla crescita. Questo orientamento della politica di bilancio, che mira a ridurre le imposte e la spesa, si al- linea con le sole proposte organiche di riforma del settore pubblico finora avanzate da think-tank indipendenti, che hanno come obiettivo quello di stimolare la riflessione su come riformare le politiche fiscali e sociali del paese. Il punto di partenza per questa riflessione è vedere quali opzioni abbiamo a disposizione: si identificano sostanzialmente tre modelli alternativi (socialdemocratico, liberale e corporativo) per l’organizzazione del Welfare State nei paesi capitalistici, che si differen- ziano chiaramente rispetto alla spesa che implicitamente si genera e al- le coperture garantite da ciascuno. Il modello socialdemocratico è quello che offre maggiori protezioni e implica una maggiore spesa e un maggior coinvolgimento dello Stato. Al contrario, il modello libe- rale è quello che offre le minori protezioni e che spinge verso il mer- cato per soddisfare la domanda di protezione sociale. In una sorta di posizione intermedia, per volume di spesa e di tassazione, si colloca infine il modello corporativo, che guarda ai lavoratori divisi in corpo- razioni come soggetti da tutelare. L’Italia ha chiaramente adottato un modello corporativo; e la frammentazione dei programmi di spesa è uno dei grandi problemi nel processo di modernizzazione del welfare italiano, perché l’abbandono della categorialità comporta la riduzione

Gilberto Turati è professore associato di Scienza delle finanze presso la Fa- coltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Roma).

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la Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 3/2017

RPS

di privilegi per alcuni a vantaggio almeno del mantenimento delle tu- tele per altri.

Ci sono almeno due ragioni oggettive per spiegare il malcontento nei confronti dell’attuale modello corporativo dello Stato Sociale italiano:

la prima ragione è la demografia, la seconda il mutamento del ruolo delle donne e della famiglia come soggetto auto-produttore di alcuni servizi di welfare. Entrambe le ragioni chiedono un mutamento della domanda di coperture, pensate per una struttura sociale che oggi non c’è più. A partire da queste ragioni oggettive, la domanda di riforme viene inoltre alimentata dalla diffusione anche in Europa della retorica della “responsabilità individuale”, l’idea cioè che lo Stato debba inter- venire ad aiutare gli individui solo quando le circostanze che li hanno colpiti sono davvero al di fuori del loro controllo. Una retorica soste- nuta anche dall’esperienza di continui episodi di assistenzialismo che vengono raccontati dalla stampa e dall’incapacità (quando non dalla mancanza di volontà) di porvi rimedio. La retorica dell’impegno, per un economista, identifica immediatamente un problema di “compor- tamento opportunistico”, il problema che si è cercato di affrontare con le recenti riforme in giro per l’Europa dell’intervento assicurativo pubblico sul mercato del lavoro rivedendo in senso restrittivo le co- perture. Ma nell’ambito dello Stato Sociale questo problema si mischia con la “selezione avversa”, davvero un problema di (s)fortuna e non di impegno, che mette in luce la natura redistributiva dell’intervento pubblico, dai più fortunati ai meno fortunati. Lo Stato Sociale moder- no deve fare redistribuzione e non limitarsi ad assicurare, visto anche l’aumento delle diseguaglianze che abbiamo osservato con la crisi economica; ma deve farlo in modo efficiente.

C’è infine un ulteriore elemento che complica la capacità di riformare in Italia: la situazione della finanza pubblica. Per tutti gli anni Ottanta si sono gestiti i conflitti sociali col debito, andando avanti a registrare enormi disavanzi di più di dieci punti di Pil per un intero decennio.

Questa strategia esplode nel 1992, quando il paese sottoscrive il Trat- tato di Maastricht e le regole europee mettono a nudo tutti i limiti di un modello solo italiano e acuiscono la conflittualità tra le due aree del paese, che hanno attese diverse in termini di riforma e fanno dia- gnosi diverse dei problemi: la retorica dei territori settentrionali è tutta legata alla spesa inefficiente del Sud finanziata coi soldi del Nord; la retorica di quelli meridionali è invece legata all’evasione fiscale e alle ricchezze nascoste. Queste due visioni sono inconciliabili tra di loro:

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la Rivista delle Politiche Sociali / Italian Journal of Social Policy, 1/2017

RPS

guardano allo stesso problema ma da versanti opposti e identificano un’altra grande frattura che percorre il paese accanto a quella genera- zionale indotta dai mutamenti demografici. Le riforme dovranno pas- sare da una grande operazione di chiarezza: dobbiamo capire se vo- gliamo continuare ad essere un paese con tutele relativamente estese (e alta pressione fiscale) o vogliamo transitare verso un modello libe- rale più simile a quello degli Stati Uniti. La risposta a questa domanda condizionerà necessariamente il percorso di riforma: il modello statu- nitense richiede scelte draconiane perché dovrebbe comportare una sensibile riduzione della tassazione in prospettiva e un taglio della spesa. Continuare con un modello europeo richiede invece scelte me- no drastiche: le riforme devono concentrarsi sul disegno di un sistema di prelievo e di spesa più efficiente, ma poi le riforme vanno fatte an- che se riducono le rendite per alcuni. Senza atteggiamenti schizofreni- ci, con un grande patto nazionale tra generazioni, territori e poteri dello Stato.

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