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Discrimen » Dietro la crisi della legalità. Spunti per la prosecuzione di un dibattito

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Academic year: 2022

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DIETRO LA CRISI DELLA LEGALITÀ.

SPUNTI PER LA PROSECUZIONE DI UN DIBATTITO Fausto Giunta

La crisi che attraversa la legalità, anche nel campo penale, è sotto gli occhi di tutti. Sulle cause del fenomeno vi è larga convergenza di opinioni: spiccano l’inettitu- dine della politica a fornire le risposte politico-criminali adeguate e la perdita di cen- tralità del Parlamento. Lo stesso non si può dire delle prospettive che tale crisi di- schiude. A fronte di chi considera irreversibile il declino della riserva di legge, vi è chi si impegna per salvare il salvabile. Meglio una riserva relativizzata, che un politeismo di fonti privo di una qualsiasi cornice.

Le posizioni divergono ulteriormente al momento di esprimere una valutazione dello status quo. La crescita di importanza del diritto giudiziario viene registrata per- lopiù come inoppugnabile dato di fatto. Non manca, però, chi lascia trasparire un con- vinto apprezzamento per il verosimile approdo di questa fase di transizione: la fine del diritto legislativo e il ritorno al governo degli uomini (che segnatamente nel campo penale equivale al governo dei giudici). Si auspica, in definitiva, il pieno recupero della dimensione sapienziale del diritto, quale abito disegnato sul corpo sociale e cucito da sarti esperti. Lo jus puniendi non farebbe eccezione. Il corso della storia premierebbe adesso un modello di diritto creato da chi lo applica, autosufficiente sul piano della legittimazione, libero nel confronto con l’enunciato normativo e vincolato solo da precedenti qualificati, in definitiva centro a se stesso. I caratteri della nuova stagione penalistica sarebbero l’antiformalismo repressivo, la duttilità applicativa, il primato incontrastato della prevenzione. Il volto del Leviatano, che era stato frantumato dalla modernità, si trova adesso sotto i ferri per una paziente ricostruzione maxillo-facciale.

L’obiettivo di fondo è concentrare il potere punitivo nelle mani del giudice, cui dele- gare, nel caso concreto, la sintesi di un universo normativo entropico. L’espressione jurecrazia descrive efficacemente tutto ciò.

Chiude il cerchio del nuovo orientamento di pensiero l’attenzione privilegiata per la vittima anche nei reati in cui brilla per assenza. La costituzione di parte civile non si nega a nessuno, nemmeno a chi è blandamente interessato al (non già dal) reato commesso (si pensi alla giurisprudenza sugli enti esponenziali). Questo sbilanciamento

22.11.2020

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Fausto Giunta

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ostacola ogni serio discorso sul garantismo, degradato a residuo utopistico della crimi- nalistica dell’Ottocento.

Tutto ciò porta a una domanda ineludibile: è davvero auspicabile un diritto pe- nale dove la voce del giudice sostituisce quella del legislatore? Ma prima ancora ci si deve chiedere se in un sistema democratico il diritto penale possa essere autoprodotto dal giudice, senza che la politica dia il suo contributo. Il tema diventa, allora, quello del rapporto tra politica (criminale) e diritto (penale). L’esperienza del common law deve far riflettere. La politica non è estranea a quel mondo giuridico, perché seleziona i principali attori del processo quale luogo di produzione del diritto: giudici e pubblici ministeri. Dietro il problema della legalità c’è quello della magistratura. Naturalmente, nihil sub sole novum: per evitare di lasciare di discorso a metà, non basta chiedersi come va perimetrato il penalmente rilevante. Occorre interrogarsi su come si selezio- nano i decisori di scelte così incisive sulle nostre libertà fondamentali. Il mazziere non è meno importante delle carte da gioco. Proviamo a ripartire da qui.

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