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Discrimen » Dal governo della legge al governo degli uomini? A proposito delle influenze reciproche fra diritto e processo

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Academic year: 2022

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A PROPOSITO DELLE INFLUENZE RECIPROCHE FRA DIRITTO E PROCESSO

SOMMARIO: 1. La strumentalità necessaria. - 2. Interazioni funzionali e complemen- tarietà garantistica. – 3. La coerenza funzionale dei codici Rocco. – 4. La gestione sostanziale del tempo processuale. - 5. L’interferenza del processo sul valore-cardine della penalità. – 6. La relativizzazione dell’allocazione siste- matica delle garanzie. – 7. La vocazione illuminista e liberaldemocratica della nostra Costituzione. - 8. La crisi della legalità. – 8.1. Il piano del diritto so- stanziale. – 8.2. L’angolazione processuale. - 8.3. L’imprevedibilità degli esiti del giudizio. – 9. La funzione garantistica della motivazione. Lo stato dell’arte.

– 10. Il principio del contraddittorio. – 11. L’insuffi cienza della terzietà. – 12.

Verso un ritorno al giudice senza legge?

1. La strumentalità necessaria. – La patologia del diritto sostanziale trova la sua correzione naturale attraverso il processo. Si pensi al negozio giuridico affetto da annullabilità e fi nanche da nullità; esso continua a pro- durre effetti (e, se del caso, a essere soggetto a imposta), fi nché il fattore di invalidità non venga dichiarato con sentenza. Da qui il carattere c.d. serven- te di ogni processo.

La specifi cità penalistica risiede nella natura necessaria di questa stru- mentalità, dovuta al carattere “fi siologicamente patologico” del diritto pena- le. L’esistenza e la persistenza del divieto, infatti, non sono in grado, in sé e per sé, di prevenire il confl itto sociale, né di sanarlo. La previsione di reato diventa effi cace solo quando le sue violazioni vengono accertate, processa- te e punite. Detto altrimenti: la spontanea osservanza del divieto – quale funzione precipua del diritto penale - non assume alcun rilievo giuridico.

La giuridicità del “penale” è interamente fondata, invece, sulla violazione del diritto sostanziale, ossia sul fallimento della sua funzione orientativa dei comportamenti. È la serietà con cui viene trattata la patologia del reato, che consente al diritto penale di perseguire, in termini di prevenzione generale, i suoi obiettivi di tutela. In questo senso, la funzione preventiva del diritto penale è interamente debitrice del suo processo di attuazione1. Al di fuori di esso, le norme penali sono tigri di carta, prive di effettività.

1 F. CARNELUTTI, Pena e processo, in “Riv. dir. pen.”, 1952, p. 167; T. PADOVANI, La di- sintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1992, p. 433 s.

Studi Senesi, CXXV (2013)

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2. Interazioni funzionali e complementarietà garantistica. - Gli stretti nessi che intercorrono tra diritto penale sostanziale e processo emergono ad un duplice livello.

Si può distinguere, infatti, da un lato, il piano della interazione funzio- nale, dall’altro, quello della complementarietà garantistica.

L’interazione funzionale ha come obiettivo il corretto ed effi ciente fun- zionamento dell’apparato repressivo dello stato. Essa presuppone un rigi- do riparto di competenze tra il diritto sostanziale e quello processuale, tra il piano delle valutazioni politico-criminali effettuate in astratto, ossia per classi omogenee di fatti umani, e quello dell’accertamento di singole respon- sabilità individuali. Il processo penale, infatti, non persegue proprie fi nalità di contrasto della criminalità. Esso è il tramite tra due categorie sostanziali:

il reato e la pena. Le scelte di tutela e le funzioni della punizione sono proprie del diritto sostanziale; il processo è chiamato a condividerle. La coerenza dei ruoli è, dunque, la principale e irrinunciabile condizione di un’ottimale integrazione funzionale.

La complementarietà garantistica, invece, incarna un’esigenza anta- gonistica rispetto alla funzione repressiva. La forte incidenza della pena un tempo sul corpo del cittadino, oggi sui suoi fondamentali diritti di libertà, fa sì che i sistemi penali abbiano avvertito, da sempre, l’esigenza di salvaguar- dare l’innocente dall’ingiustizia e proteggere lo stesso colpevole da eccessi repressivi, ossia dalla giustizia ingiusta. Non si dimentichi che quando si ce- lebra un processo penale, la parte debole è l’imputato che si trova lo stato contro. Non esistono imputati forti, perché nessun uomo, per quanto poten- te, è più forte dello stato. Le garanzie sono appannaggio indistintamente di ogni cittadino, di cui si sospetta la colpevolezza. Esse legittimano il sistema penale, rendendo accettabile il funzionamento dell’apparato repressivo, di- spensatore a freddo di sofferenze - chiamate pene - che assurgono a livello di valore sociale e ordinamentale, nella misura della loro stretta necessità.

3. La coerenza funzionale dei codici Rocco. – Iniziando dal rapporto di interazione funzionale, va ricordato che i codici Rocco del 1930, essendo frutto di un parto gemellare, avevano un elevato grado di coerenza funzio- nale, ispirata ad alcune idee di base chiare e ferme. Tra queste spiccavano:

a) la rapidità del processo inquisitorio; b) la non negoziabilità delle scelte sostanziali e segnatamente del suo principale valore, la pena.

Nel tempo, l’equilibrio funzionale del pianeta Rocco si è progressiva- mente perso, con l’affermarsi di due fenomeni disfunzionali: a) la gestione del tempo processuale da parte del diritto sostanziale; b) l’interferenza del processo sul valore cardine della penalità.

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Detto altrimenti: il diritto sostanziale, debordando dai suoi argini, di- sciplina oggi il cuore temporale del processo; per converso, nuove logiche processuali hanno fi nito per interferire negli ambiti propri della commisura- zione e delle modalità esecutive della pena.

4. La gestione sostanziale del tempo processuale. - La gestione sostan- ziale del tempo processuale ha una precisa causa nel sovraccarico degli uffi ci giudiziari.

Questo fenomeno, che oggi ha superato i limiti di guardia, aveva di- mensioni ragguardevoli già negli anni ’70. In origine, esso veniva contenuto attraverso l’uso cadenzato delle amnistie, ossia attraverso la strumentalizza- zione di un istituto sostanziale per fi nalità defl attive che gli erano estranee.

Il ricorso sistematico alle amnistie era unanimemente e giustamente criticato perché, da un lato, banalizzava la serietà del sistema sanzionatorio; dall’al- tro, piegava la fi nalità sostanziale dell’amnistia – che è quella di soddisfare eccezionali esigenze di pacifi cazione sociale – a contingenze processuali. A fronte di ciò bisogna riconoscere che l’amnistia, pur essendo un ripiego, era pur sempre espressione di una scelta politica trasparente, ben lontana dal- le soluzioni prasseologiche (se non anche sottobanco) che ne hanno preso il posto.

Oggi, ad ogni modo, la strada dell’amnistia è ben più diffi cile da per- correre, sia per l’esperienza negativa del passato, sia per le maggioranze qualifi cate che sono richieste dal riformato art. 79 Cost. Così, lo sfi atatoio del sovraccarico è diventato l’istituto della prescrizione del reato, che è isti- tuto temporale, ma di matrice sostanziale. La prescrizione è legata, per sua natura, alla logica del tempori cedere, la quale viene a cadere con l’inizio del processo, pena il paradosso che il diritto all’oblio maturi mentre si celebra il processo, ossia il rito della memoria.

Da qui l’arrogazione da parte della prescrizione di due funzioni proces- suali che non le appartengono: a) assicurare in modo improprio e presuntivo la durata ragionevole del processo (piaccia o non piaccia, infatti, l’ordina- mento non prevede altro limite al protrarsi del processo); b) consentire, di fatto, in modo opaco e in tensione con il principio della obbligatorietà dell’a- zione penale, la selezione dei reati da non perseguire attraverso la posposi- zione della loro trattazione processuale e la loro conseguente destinazione alla prescrizione.

La distorsione dell’istituto sostanziale provoca, a sua volta, una spirale di simmetriche torsioni sul piano processuale: il riferimento è, tra l’altro, all’impiego della categoria dell’inammissibilità dell’impugnazione quale an-

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2 Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 1997, BAHROUNI, in “Cass. pen.”, 1997, p. 2666 s.;

ID., 8 maggio 1996, DE LEO, in “Studium iuris”, 1996, p. 1064, con scheda di D. MICHELETTI. Per una critica, v. E. DOLCINI, Problemi vecchi e nuovi in tema di riti alternativi: patteg- giamento, accertamento di responsabilità, misura della pena, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 2009, p. 578; v. anche F. GIUNTA, Se la sentenza emessa su richiesta delle parti possa operare come causa di revoca della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa, in “Studium iuris”, 1997, p. 168 s.

3 Cass. pen., sez. I, 11 marzo 2008, n. 13799, De Jure.

tidoto all’uso pretestuoso del gravame, quando esso mira a lucrare l’estin- zione del reato per intervenuta prescrizione.

5. L’interferenza del processo sul valore-cardine della penalità. – Per quanto riguarda l’interferenza del processo sul valore della penalità, vengo- no in rilievo tre fenomeni.

Il primo si collega al varo del codice di rito del 1989, anche se si era storicamente palesato già con la legge n. 689 del 1981. Il riferimento va alle riduzioni di pena previste, in chiave effi cientistica, per i riti speciali e per incentivare forme di semplifi cazione processuale. Come noto, con un approc- cio fi n troppo fedele alla ratio defl attiva del “patteggiamento”, talune rico- struzioni sono arrivate a teorizzare la plausibilità (logica e costituzionale) di un’irrogazione di pena svincolata dal previo accertamento della colpe- volezza. Queste impostazioni non sono prive di conseguenze. Con realismo non encomiabile, per esempio, la giurisprudenza è arrivata a negare che la pena applicata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. possa determinare la revoca del- la precedente sospensione condizionale ai sensi dell’art. 168 c.p.2 Questo orientamento, oggi fortunatamente superato3, è il segno di come le funzioni preventive della pena si prestino a essere sacrifi cate sull’altare di esigenze processuali, ritenute prevalenti.

Il secondo fenomeno si collega alla legislazione premiale in materia di criminalità organizzata, la quale mira a favorire, attraverso l’offerta di be- nefi ci sanzionatori, la delazione dell’associato o del concorrente. Fin qui l’in- terferenza processuale, consistente nell’offerta di un contributo probatorio, produce effetti in bonam partem. Per converso, la mancata collaborazione processuale assume un carattere assai poco soave, perché può precludere la fruizione dei benefi ci penitenziari, sulla base di presunzioni di perico- losità individuale, discutibili e fi nanche sospette, ma insuperabili. Si pensi, in particolare, alle preclusioni previste dall’ordinamento penitenziario nei confronti degli autori di alcuni gravi reati. L’art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 subordina la fruizione dei benefi ci penitenziari alla «collaborazione di

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4 L. EUSEBI, L’ergastolo “ostativo”. Traendo spunto dalla vicenda di Carmelo Musume- ci, in “Criminalia”, 2010, p. 675 s.

5 La tesi, sostenuta da K.A. HALL, Die Lehre vom corpus delicti. Eine dogmatische Querellenexegese zur Theorie des gemeinen deutschen Inquisitionsprozesses, Stuttgart 1933, è stata ripresa da noi da A. PAGLIARO, Il fatto di reato, Palermo 1960, p. 108 s; ID., Fatto (di- ritto penale), in “Enc. dir., vol. XVI, 1967, p. 951 s. V. anche: R. ORLANDI, Inchieste prepa- ratorie nei procedimenti di criminalità organizzata: una riedizione dell’inquisitio generalis, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1996, p. 572 s. Per una completa ricapitolazione, v. A. GARGANI, Dal corpus iuris al Tatbestand, Milano 1997, p. 73 s.

giustizia», anche in presenza di meritevolezza soggettiva e in assenza di col- legamenti con la criminalità organizzata4.

Il terzo fenomeno di interferenza del processo sulla pena si manifesta attraverso l’usurpazione delle funzioni proprie della penalità. Esso non è legato all’evoluzione normativa recente, ma costituisce un punto tradizionale di tensione tra processo e funzioni della pena. Il riferimento è alla carce- razione preventiva (per chiamarla con il suo nome, come fa del resto l’art.

13 Cost.), che si presta a svolgere sempre più la funzione preventiva tipica dell’anticipazione di pena, specie quando è disposta per l’esigenza di impedi- re la commissione di reati. Senza contare l’irrigidimento della carcerazione preventiva attraverso il regime penitenziario previsto dall’art. 41-bis ord.

pen., che opera nei confronti dell’imputato associato mafi oso, che non colla- bora, o fi nché non collabora.

6. La relativizzazione dell’allocazione sistematica delle garanzie. - Passando al tema della necessaria complementarietà garantistica tra diritto penale sostanziale e processo, si rende necessaria una breve premessa: dal punto di vista dell’allocazione sistematica delle garanzie che legittimano la potestà punitiva, la distinzione tra l’angolazione sostanziale e quella pro- cessuale tende a relativizzarsi. Come conferma la storia e la comparazione dei sistemi penali, le garanzie si ispirano a un delicato rapporto di pesi e contrappesi che va valutato nella sua interezza. In questo contesto si possono verifi care relazioni di equivalenza garantistica tra istituti sostanziali e istituti processuali: principalmente tra criteri di defi nizione dei fatti da sottoporre a pena e regole probatorie. Esemplifi cativa di questo fenomeno è l’origine processuale della più importante categoria della dogmatica moderna, ossia quella del Tatbestand. Essa, secondo note ricostruzioni storiche5, derive- rebbe dalla nozione di corpus delicti (per esempio il cadavere della vittima nell’omicidio), la cui funzione era quella di perimetrare l’inquisitio genera- lis, quale fase del processo fi nalizzata ad accertare il reato come accadimen-

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6 Così D. PULITANÒ, Sui rapporti fra diritto penale sostanziale e processo, in “Riv. it.

dir. proc. pen”., 2005, p. 968.

7 Per esempio, P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano 2012, p. 2.

8 Di recente, sul punto, F.M. IACOVIELLO, La Cassazione penale. Fatto, diritto e moti- vazione, Milano 2013, p. 2.

9 D. PULITANÒ, Sull’interpretazione e gli interpreti della legge penale, in Scritti in onore di Giorgio Marinucci, vol. I, Milano 2006, p. 666.

to naturalistico, accertato il quale poteva procedersi all’inquisitio specialis, essenzialmente fi nalizzata a far luce sull’autore del reato. Nel Medioevo era la categoria del corpus delicti che conteneva lo straordinario potere dell’in- quisitore.

Ebbene, il declino dell’inquisitio generalis è segnato storicamente dal sopraggiungere, con l’Illuminismo, del principio di legalità, che descrivendo in astratto e in modo tassativo le tipologie di reato, ha inteso mandare in soffi tta, con l’inquisitio generalis, anche il corpus iuris, la cui funzione de- limitativa è stata assunta per l’appunto dal Tatbestand. Nella modernità la legalità sostanziale è l’àncora cui è ormeggiato il processo, contro il rischio di derive punitive incontrollate. Il processo penale diventa così lo “strumento dello strumento, cioè del diritto sostanziale”, che “riverbera sul processo le medesime funzioni di garanzia di legalità e libertà”6.

Dal punto di vista penalistico, la legalità non è solo espressione della separazione dei poteri e riserva politica nelle scelte di criminalizzazione (os- sia laicità e mondanità del diritto). La legalità penale è anche determinatezza del precetto e divieto di analogia della legge penale. Si fa strada l’idea che la norma penale sostanziale, più che una regola di giudizio, sia una regola di condotta.

Da qui la distinzione, ancora oggi praticata dalla nostra manualistica7, tra la norma sostanziale, come regola rivolta ai cittadini, e la norma proces- suale, come regola per i soggetti processuali.

In breve: l’Illuminismo temeva il potere del giudice penale e sottopone- va la giurisdizione a precisi vincoli legalistici8. La metafora del giudice bocca della legge è solo un aspetto del rapporto di soggezione del giudice alla legge.

La ricetta illuministica consiste nell’anteporre il fatto tipico al fatto storico, assegnando alla descrizione normativa il compito di guidare l’accertamento processuale.

7. La vocazione illuminista e liberaldemocratica della nostra Costitu- zione. - Come è stato ben detto, l’impianto penalistico della nostra Costituzio- ne è epistemologicamente illuministico e politicamente liberaldemocratico9.

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10 Così M. NOBILI, Principio di legalità e processo penale, in Il diritto penale alla svolta di fi ne millennio. Atti del Convegno in ricordo di Franco Bricola, Torino 1998, p. 303, che si richiama a N. BOBBIO (La ragione nel diritto, in Reason in Law, Milano 1987, p. 86).

11 M. RONCO, Il principio di tipicità della fattispecie nell’ordinamento vigente, Torino 1979, p. 91 s.

La nostra Costituzione, infatti, è ancorata al principio di legalità so- stanziale e processuale (sub specie di obbligatorietà dell’azione penale), al reclutamento del giudice per concorso e alla sua sottoposizione alla legge.

In breve: al modello di sistema giuridico fondato sul “governo degli uo- mini (liberamente giudicanti)” è stato preferito quello del “governo delle leggi”10.

La Costituzione, per contro, lascia del tutto in ombra la proiezione pro- cessuale della tipicità, ossia la prova del fatto di reato. La libertà consentita al riguardo al giudice sembra assoluta, limitandosi la Costituzione a dare per scontato l’ancoraggio del sistema al principio del libero convincimento del giudice, quale alternativa al regime della prova legale. La garanzia contro il rischio che il giudice faccia un impiego arbitrario della libertà valutativa del- le risultanze probatorie è anch’essa metodologica: il riferimento è al generale obbligo di motivazione, espressione di una ferma fi ducia nel razionalismo decisionale del giudice e nella sua onestà intellettuale (da cui dipende l’effet- tività di questa fondamentale garanzia).

La stessa funzione nomofi lattica, affi data alla Corte di cassazione quale giudice di sola legittimità, polarizza il sistema di garanzia contro l’arbitrio giudiziale più sul versante della quaestio iuris, che su quello della quaestio facti (sul punto si tornerà a proposito delle prospettive di controriforma dell’art. 606, lett. e, c.p.p.).

In breve, secondo una parte della dottrina11, il sistema, mentre aspire- rebbe a essere “chiuso” sul piano della descrizione dei tipi di reato, rimane comunque eccessivamente “aperto” alla discrezionalità giudiziale sul versan- te della prova.

In realtà il sistema non è affatto chiuso sul piano della descrizione dei tipi di reato. Anticipando le conclusioni cui si perverrà, il sistema appare doppiamente aperto: tanto sul versante della tipicità, quanto su quello della prova.

8. La crisi della legalità. - La base garantistica dell’intero sistema pe- nale – ossia la legalità – è in crisi sia sul piano sostanziale, che su quello processuale.

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12 Con riguardo, per esempio, ai delitti offensivi dei sentimenti, v. amplius F. GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale? I reati in materia di religione e il problema della tutela dei sentimenti, in Scritti in onore di Mario Romano, vol. III, Napoli 2011, p. 1559.

8.1. Il piano del diritto sostanziale. - La crisi della legalità sostanziale può esaminarsi, a sua volta, sotto il triplice profi lo ordinamentale, legislativo e giurisprudenziale.

La crisi ordinamentale della legalità si coglie nel passaggio dal mono- polio della riserva di legge al pluralismo incontrollato e incontrollabile delle fonti. Per descrivere lo stato dell’arte, si parla sempre più spesso di ordina- mento multilivello e di Rechtfi ndung (ricerca del diritto). È forte l’impres- sione che si consenta al giudice di scegliere la fonte in vista della soluzione prescelta, sulla base delle sue precomprensioni e della sua cornice valoriale.

La discrezionalità ermeneutica è ulteriormente amplifi cata dalla possibilità - ritenuta legittima dalla giurisprudenza anche nel campo penale - che il giu- dice nazionale disapplichi la norma interna favorevole in nome del primato del diritto europeo, peraltro liberamente e opportunamente interpretato in vista dell’epilogo della disapplicazione.

Non meno nota è la crisi legislativa della legalità, dovuta allo scadimen- to della tecnica normativa, alla crescita delle fattispecie indeterminate e al fi siologico superamento della tipicità descrittiva. Limitando l’attenzione a quest’ultimo fenomeno (i primi due sono stati oltremodo scandagliati in dot- trina), non è azzardato affermare che nel comune immaginario penalistico la legalità sostanziale si traduce in una tipicità preferibilmente descrittiva, ancorata ad accadimenti naturalistici suscettibili di essere più agevolmente provati. Questa fi ducia nella possibilità di descrivere i reati è stata eccessiva- mente enfatizzata, poiché non tiene conto del normativismo sotteso a molte tipizzazioni solo apparentemente descrittive (basti pensare alle fattispecie causalmente orientate, specialmente quando l’evento non è naturalistico). In particolare, le esigenze di tutela emergenti impongono sempre più spesso ora l’integrazione delle fattispecie incriminatrici attraverso elementi valutativi, ora la previsione di tecniche di tipizzazione interamente normative (si pensi ai reati omissivi colposi). In breve: bisogna prendere atto che, salvo rare eccezioni, la base descrittiva dei reati o non è esaustiva o è del tutto assente, con la conseguenza che la fattispecie non sempre offre all’interprete la riso- luzione preventiva del bilanciamento dei beni in confl itto12. La consapevo- lezza che talvolta l’iconografi a dei reati incontra limiti oggettivi insuperabili (si pensi ai “reati estimativi”, tali perché consistenti in valutazioni, come per esempio il falso in bilancio) apre un nuovo orizzonte, che riguarda il futuro della tipicità.

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13 R. BRICCHETTI, Nullità degli atti: il principio di tassatività all’esame dell’interpreta- zione giurisprudenziale, in “Criminalia”, 2010, p. 453.

14 R. BRICCHETTI, Lo stato della legalità penale nella giurisprudenza, in “Criminalia”, 2012, p. 262.

Quanto al rilievo che occupa la legalità nel quadro dei valori professati dai giudici nell’esercizio della giurisdizione, emerge evidente una concezione giurisprudenziale della legalità del tutto autoreferenziale, la quale rinuncia in radice alla sua funzione storica e peculiare nel campo penale, ossia la de- limitazione della giurisdizione. Si pensi alla giurisprudenza costituzionale in materia di determinatezza della norma penale: la Corte costituzionale inco- raggia la giurisprudenza a sanare in via interpretativa le fattispecie incrimi- natrici imprecise. In tal modo si fi nisce per svilire di fatto una delle rationes del principio di determinatezza, che è quella di precludere alla giurisdizione la defi nizione dei confi ni dell’illecito penale, nel rispetto della separazione dei poteri. L’invito della Corte costituzionale - va da sé - è stato accolto di buon grado da una giurisprudenza già predisposta alla gestione degli ambiti di potere lasciati scoperti dal legislatore. Infatti, il giudice - quale portiere della Consulta - raramente sottopone al controllo di costituzionalità questio- ni che attengono alla determinatezza della legge penale, ossia al parametro delimitativo della propria giurisdizione.

Anche il simmetrico divieto di analogia, quale insuperabile confi ne in- terpretativo dello ius dicere, viene depotenziato dalla giurisprudenza. Esso ha subito oggi, nel diritto vivente, una distorsione che ha fi nito per travisare il suo tradizionale piano di intervento, che non riguarderebbe i signifi cati dell’enunciato normativo, ma i (dis)valori sottostanti; con conseguente am- plifi cazione degli spazi di libertà valutativa del giudice. L’interrogativo “dove passa il confi ne?” (il riferimento è discrimine operativo con l’interpretazione estensiva) diventa domanda retorica: il confi ne passa dove il giudice vuole, di volta in volta, che passi.

8.2. L’angolazione processuale. - Anche la legalità processuale registra signifi cative trasformazioni, che ne modifi cano, seppure indirettamente, la portata garantistica. Per una corrente di pensiero presente in dottrina e in giurisprudenza la violazione formale delle regole processuali non produce effetti se non ha leso l’interesse sotteso alla noma violata. Questo approccio si riscontra, per esempio, in materia di deducibilità e sanatoria delle nullità:

il criterio formale viene sostituito da un criterio di tipo empirico-valutativo che valorizza il concreto pregiudizio patito13, nonostante che il sistema non preveda questa possibilità14. Un ragionamento analogo governa l’apprezza-

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15 Così, ricordando le pagine in argomento di Francesco Carrara, M. NOBILI, L’immora- lità necessaria, Bologna 2009, p. 286.

16 Amplius F. GIUNTA, La legittimazione del giudice tra vincolo di soggezione alla legge e obbligo di motivazione, in “Gius. pen.”, 2011, I, c. 260 s.

mento di altre violazioni delle regole processuali, come l’effettuazione di do- mande suggestive quando esse non sono consentite. La loro rilevanza non è più formale e astratta, ma concreta, ossia subordinata all’accertamento del modo in cui l’informazione acquisita in violazione delle regole ha infl uenzato il giudizio. La violazione delle regole fi nisce, dunque, per rilevare come vizio della motivazione, con un capovolgimento dell’insegnamento tradizionale sul valore delle invalidità, secondo cui “L’atto compiuto diversamente da quel che stabilisce la legge, non ha la consueta effi cacia”15.

8.3. L’imprevedibilità degli esiti del giudizio. – Tirando le fi la del di- scorso: il sistema si regge oggi su tipicità deboli accertate attraverso un pro- cesso che valorizza tre perni garantistici a tutela dell’imputato: la terzietà del giudice, il principio del contraddittorio (comprensivo del diritto di difen- dersi provando) e l’obbligo della motivazione. Per converso, tende a perdere di importanza la corrispondenza della decisione a criteri predeterminati di giudizio.

9. La funzione garantistica della motivazione. Lo stato dell’arte. - È opportuno fare cenno all’effettiva portata di queste tre garanzie, rovescian- do, per comodità espositiva, l’ordine della loro sintetica trattazione.

Iniziando dalla garanzia della motivazione, chi coltiva la dimensione empirica del processo penale sa bene che essa è spesso lontana dal modello di un chiaro e trasparente rendiconto del percorso ermeneutico e della va- lutazione della prova che portano alla sentenza16. Il sovraccarico giudiziario è certamente un ostacolo all’ottimale assolvimento dell’obbligo di motiva- zione. Ma non sono pochi i casi in cui l’elevato numero dei processi che ogni giudice si trova a dover defi nire diventa un comodo pretesto per accedere a motivazioni per relationem, sommarie, semplifi cate, apparenti o implicite;

un ventaglio di espedienti defi nitori intesi a giustifi care l’opacità del percor- si lungo i quali si sviluppa l’amministrazione della giustizia, specie quando approda ad affermazioni di responsabilità.

In particolare, il campo della prova, rimesso, come noto, al principio del libero convincimento del giudice, non riscatta detto principio da prassi intimistiche e arbitrarie. È suffi ciente ricordare quanto stabilmente ripetuto dalla giurisprudenza: “Nel motivare la sua decisione il giudice del merito non

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17 Ex multis Cass. pen., sez. VI, 23 maggio 2013, n. 22925, De jure; ID., sez. II, 21 di- cembre 2012, n. 460, De jure; ID., sez. IV, 27 luglio 2011, n. 29935, inedita; ID., sez. IV, sez.

II, 6 novembre 2009, n. 47375, De jure; ID., sez. VI, 8 luglio 2009, n. 30346, De jure; ID., sez.

II, 23 giugno 2009, n. 27158, De jure; ID., sez IV, 24 ottobre 2005, n. 1149, De jure; ID., sez.

IV, 4 giugno 2004, n. 36757, De jure. V. anche Cass. pen., sez. un., 24 novembre 1999, n. 24, Spina, Ced rv. 214794.

18 Cass. pen., sez. II, 22 maggio 2013, n. 24955, De jure; ID., sez. V, 7 dicembre 2012, n.

49362, De jure; ID., sez. IV, 24 giugno 2011, n. 28800, De jure; ID., sez. VI, 14 gennaio 2010, n. 7651, De jure.

19 Cfr. per esempio Cass. pen., sez. III, 8 marzo 2010, n. 9157, De jure; ID., sez. III, 28 ottobre 2009, n. 9159, De jure; ID., sez. VI, 7 marzo 2007, n. 34885, De jure; ID., sez. I, 8 maggio 2003, Diamante, De jure. V. anche Cass. pen., sez. II, 26 novembre 2009, n. 45571, De jure, secondo cui non è censurabile in punto di legittimità la motivazione che non rechi menzione di alcune testimonianze evocate dalla difesa dell’imputato.

è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece suffi ciente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle de- duzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, pur se non espressamente confutate, siano logica- mente incompatibili con la decisione adottata”17. Questo modo di intendere l’obbligo di motivazione si riverbera sul suo controllo in sede di legittimità, introducendo surrettiziamente una sorta di limite strutturale alla sua lati- tudine. È nota la giurisprudenza secondo la quale “la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito delinei effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustifi cazione, ma deve limitarsi a verifi care se la prospettata giustifi cazione sia compatibile con il senso comune e sia in linea con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”18. E ancora: si ritiene che non sia censurabile davanti alla Suprema Corte l’operato del giudice di merito che, nello scegliere e motivare una delle possibili ricostruzioni del fatto storico, scarta altre ricostruzioni prospettate dalle parti parimenti plausibili19.

Ora, com’è noto, il materiale probatorio ammette sempre o quasi sem- pre chiavi di lettura alternative, alcune più plausibili, altre meno. L’insin- dacabilità della scelta tra le varie ricostruzioni del fatto costituisce, dunque, secondo la giurisprudenza, un angolo buio non ulteriormente illuminabile, nel quale vengono ad accorciarsi le distanze - concettualmente notevoli - tra il giudizio razionale del nostro giudice professionale e il verdetto oracolare della giuria popolare tipica del sistema nordamericano.

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20 Il documento può leggersi, tra l’altro, nel sito dell’Unione delle Camere penali, www.

camerepenali.it/public/fi le/Documenti/La%20Carta%di%20Napoli.pdf.

Per non dire delle spinte verso un allentamento del controllo di legitti- mità sul versante del travisamento delle risultanze probatorie (il riferimento normativo è all’odierno art. 606, lett. e, c.p.p.), cui guarda con favore la c.d.

Carta di Napoli del maggio 2012, quale documento elaborato da una parte autorevole della nostra dottrina processualpenalistica20.

10. Il principio del contraddittorio. - Venendo al principio del contrad- dittorio, esso, seppure rafforzato dalla scelta del rito accusatorio effettuata con il varo del vigente codice di procedura penale, non può di certo costituire una garanzia compensativa della crisi della legalità sostanziale. Il processo avversariale è un metodo di accertamento della responsabilità penale che ha il pregio di valorizzare la dimensione dialettica del diritto, ma presuppone, a sua volta, l’esistenza di criteri di identifi cazione dei fatti da punire, che nella nostra tradizione giuridica sono condensati nella categoria del fatto tipico.

La crescita di importanza del ruolo del processo non può spingersi fi no a svilire il principale sistema di contenimento della macchina repressiva, che è rappresentato dalla legalità sostanziale. Infatti, altro è la compensazione tra elementi di fattispecie e regole probatorie, quali fattori di delimitazione del raggio di azione della giurisdizione; altro è la pretesa di sostituire alla garan- zia della legalità sostanziale un sistema processuale più rispettoso del metodo dialettico. Il principio di legalità e quello del contraddittorio sono tra loro eterogenei. Essi, obbedendo a istanze garantistiche diverse, devono operare sinergicamente, non alternativamente, poiché, diversamente ragionando, ne discenderebbe un processo penale privo di un oggetto predefi nito, come tale dialettico, ma liberticida.

Calando questa rifl essione su un terreno più concreto, come quello dei processi in materia di criminalità organizzata, meritano attenzione tipolo- gie di reato, segnatamente associative, caratterizzate da una certa perdita di determinatezza della fattispecie incriminatrice, per compensare la quale avrebbe ripreso consistenza la distinzione medievale tra inquisitio generalis e inquisitio specialis. “Qui – si è rilevato - l’investigatore si trova in una po- sizione non molto dissimile da quella che occupava il giudice nella vecchia inquisitio generalis. Ora come allora, l’individuazione dei fatti penalmente rilevanti è operata in concreto, alla stregua di vaghe indicazioni normative (…). Ora come allora, l’accusa va costruita anche sulla base di presupposti extra normativi (…). Di qui la tendenza degli investigatori (e addirittura

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21 R. ORLANDI, Inchieste, cit., p. 586.

dei magistrati giudicanti) a procedere da ‘teoremi’: nel che si coglie, per lo più e di solito polemicamente, un eccesso di soggettivismo da parte dell’in- vestigatore e, quindi, un lato discutibile dell’attività giudiziaria (…). Ma il

‘teorema’ rappresenta spesso una premessa necessaria dell’indagine, poiché fornisce un criterio per riconoscere le condotte penalmente rilevanti all’in- terno di una quantità indifferenziata di condotte potenzialmente lecite. An- che il ‘teorema’ insomma contribuisce alla scoperta della veritas criminis, qualifi candosi così come atto di moderna inquisitio generalis”21.

In breve: al requisito di fattispecie si sostituisce il teorema accusatorio, il quale, però, e fortunatamente, non è regola probatoria, con la conseguen- za che siamo ancora molto lontani da un recupero della funzione medievale del corpus delicti. Scompagnato dalla determinatezza della fattispecie incri- minatrice il carattere eventualmente garantito del processo, sotto il profi lo dei diritti della difesa, vale poco o nulla.

11. L’insuffi cienza della terzietà. - Resta da chiedersi se la terzietà del giudice sia garanzia bastevole. Il sistema penale parrebbe implicitamente svi- lupparsi sulla base di una risposta affermativa al quesito anzidetto. Si fa strada l’idea, cioè, che con la crisi del parametro del giudizio assuma una rilevanza crescente e compensativa l’imparzialità del giudicante. Il diritto penale – da questo punto di vista – fi nirebbe per condividere la principale garanzia di quel problematico settore che è il “sistema di controllo dell’at- teggiamento esteriore”, effettuato attraverso le misure di prevenzione ante delictum, dove la garanzia principale è data dalla riserva di giurisdizione, ossia in defi nitiva della terzietà del giudice.

Un siffatto epilogo, però, non può che preoccupare, perché la terzietà è solamente una precondizione del giudizio. Di per sé non garantisce da giudizi arbitrari. Infatti, la storia e la comparazione insegnano che dove manca la garanzia della legalità operano altri vincoli per il giudice, assenti nel nostro sistema. Il riferimento è per l’appunto a equivalenti garantistici come il pre- cedente vincolante e il sistema delle prove legali.

12. Verso un ritorno al giudice senza legge? - Il quadro che è stato sopra tratteggiato induce a revocare in dubbio che sia rimasto immutato il tradizionale punto di equilibrio tra compiti della legge e poteri del giudice. In realtà il pianeta giustizia sta abbandonando l’orbita costituzionale e la tra- dizione illuministica. La sua evoluzione segna il passaggio dal primato della

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22 M. R. FERRARESE, La governance tra politica e diritto, Bologna 2010, p. 116 s. Da ultimo, v. anche, ma da un’angolazione critica, G. MESSINA, Diritto liquido? La governance come nuovo paradigma della politica e del diritto, Milano 2012, p. 48 s.

23 Di recente, C. GALLI, I riluttanti. Le élites italiane di fronte alle responsabilità, Bari 2012.

24 In termini, v. per esempio, S. POZZOLO, Neocostituzionalismo e positivismo giuridico, Torino 2001, p. 111.

legge e del diritto sostanziale a quello del giudice e del processo; ma senza un adeguato ripensamento dei necessari contrappesi garantistici. Il potere dei giudici nella gestione dei confl itti sociali, già molto ampio con riguardo alla ricostruzione del fatto, è cresciuto a dismisura sul piano interpretativo, al punto che non manca chi attribuisce alla magistratura la funzione di diretta partecipazione alla governance sociale, nella misura in cui il diritto giudizia- rio si è posto come erede della legislazione22.

Anche la dottrina ha mutato interlocutore. Essa preferisce oggi (pro- vare a) dialogare con la giurisprudenza, piuttosto che con il legislatore. La polarizzazione del diritto intorno alla forza creatrice della giurisprudenza è un fenomeno ampiamente riscontrabile a livello comparatistico. La crescente infl uenza che ha assunto il diritto angloamericano, notoriamente carente di radici legislative, e per altro verso la giustizia penale internazionale, aper- ta, per sua natura, all’infl uenza del neogiusnaturalismo postbellico, hanno certamente enfatizzato l’importanza della dimensione giudiziale del diritto anche in quegli ordinamenti ancorati – soprattutto nella materia penale – al volto legislativo della legalità. Così anche da noi correnti di pensiero, eti- chettate come neocostituzionalismo, tendono a trasferire l’attuazione dei valori costituzionali ai poteri neutri. Il riferimento è al ruolo delle Authority nel settore economico e, in termini generali, soprattutto alla giurisdizione, quale componente delle elite sociali23.

Questo approccio intenderebbe affi dare i principi regolatori della liber- tà personale e più in generale della vita collettiva, non tanto, o non soltan- to, alla politica (a base rappresentativa, secondo il modello novecentesco), quanto e soprattutto al governo dei giuristi e alla giurisdizione, che fi nisce per diventare una oligarchia all’occorrenza universale. Il giudice, in partico- lare, sarebbe soggetto non alla volontà della legge, ma a quella del diritto24; ma poiché il diritto non è avulso dall’attività interpretativa, il giudice, in defi nitiva, sarebbe “soggetto all’interpretazione”. Sennonché, segnatamente nella materia penale, dove la legge sostanziale ha una imprescindibile fun- zione di garanzia del favor libertatis, tale svalutazione degli spazi decisionali di tipo politico-assembleare, appare molto distante dalla nostra architettura

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25 Per questa provocazione, v. G. FIANDACA, Spunti problematici di rifl essione sull’at- tuale ruolo della scienza penalistica, in Riserva di legge e democrazia penale: il ruolo della scienza penale, Bologna 2005, p. 51.

26 Così, W. HASSEMER, Perché punire è necessario, trad. it., Bologna 2012, p. 162.

costituzionale, la quale non consente di compensare (o sostituire?) la crisi della riserva di legge (ossia del primato della scelta politica) con la lex docto- ralis25. Senza contare che l’approccio illuministico alle scelte di penalizzazio- ne ha ancora autorevoli estimatori. “Le diffi cili decisioni empirico-normative richieste oggi dalla legislazione – è stato detto - sono nelle mani del potere legislativo, che si avvale dell’appoggio dell’esecutivo, e si trovano in buone mani: in ogni caso di gran lunga migliori di quelle dei tribunali”26.

Ma quand’anche si volesse prescindere dal vincolo rappresentato dall’art. 25, comma 2, Cost., va tenuto conto che la progressiva perdita di importanza del diritto sostanziale a favore del processo, quale luogo e metodo per la ricerca di soluzioni, solo in apparenza favorirebbe la genia dei giuristi:

in realtà la giurisprudenza dialoga poco con la dottrina, non ricambiando le attenzioni di quest’ultima. Così, il vuoto lasciato dalla dialettica parlamenta- re viene occupato da prassi giudiziarie prive dell’auctoritas doctorum e, for- se anche per questa ragione, di solito poco stabili. Torna allora la domanda, oggi divenuta ineludibile: quale bilanciamento costituzionale può equilibrare una giurisdizione così potente e politicamente irresponsabile? Ad essa ne se- gue inevitabilmente un’altra: il declino del diritto legislativo e la crescita di importanza del diritto giurisprudenziale può coesistere con l’immutabilità genetica del giudice, ossia con gli odierni meccanismi di reclutamento di una giurisdizione pensata come serva (intelligente e fedele) della legge?

Interrogarsi, oggi, sul rapporto tra diritto penale sostanziale e processo signifi ca in defi nitiva fare i conti con questioni di fondo che la tradizione giu- spositivistica del diritto è riuscita per molto tempo ad addomesticare.

FAUSTO GIUNTA

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