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Discrimen » Linee interpretative e nodi problematici della abusività della condotta nei nuovi reati ambientali. Prove tecniche di abusivismo giudiziario?

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ETS

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Criminalia

Annuario di scienze penalistiche

primo piano

Legislatore e dottrina penalistica: è ancora possibile un dialogo?

Verità e giustizia di transizione

tavola rotonda

Il controllo sull’accusa nella fase intermedia del processo penale: condizione attuale e prospettive future Le polizie

il punto su...

La particolare tenuità del fatto

Interessi finanziari dell’Unione europea, prescrizione del reato e principio di legalità.

A proposito della sentenza Taricco

“Abusivamente” negli ecodelitti

dibattito

Il giudice penale, oggi: alla ricerca di un ruolo e di un’identità?

Sezione I – La crisi del giudice “bocca della legge” - Sezione II – Le élite giudiziarie

spigolature penalistiche

Democrazia crepuscolare e diritto vivente

Al capezzale del diritto penale moderno (e nella culla, ancora vuota, del suo erede)

Antologia Interviste Letture

Ricordo di Massimo Pavarini

Edizioni ETS

Criminalia 2015

€ 50,00

ISSN1972-3857

Primo Piano

Giovanni Fiandaca, Legislatore e dottrina penalistica: è ancora possibile un dialogo? – Michele TaruFFo, Verità e giustizia di transizione

Tavola rotonda: Il controllo sull’accusa nella fase intermedia del processo penale: condizione attuale e prospettive future. Nota introduttiva di Daniele Negri. Ne discutono: lorena BachMaier WinTer - FaBio cassiBBa - Theodora chrisTou - BéaTrice lapérou-scheneider - MoriTz vorMBauM

Tavola rotonda: Le polizie. Nota introduttiva di Adolfo Ceretti. Ne discutono: davide BerTaccini - roBerTo

cornelli - anna Maria Giannini - roBerTo sGalla - luiGi Manconi - sTeFano anasTasia - valenTina

calderone

Il punto su… La particolare tenuità del fatto – GiovannanGelo de Francesco, Illecito esiguo e dinamiche della pena – serena QuaTTrocolo, L’altra faccia della medaglia: l’impatto della particolare tenuità del fatto sul processo penale

Il punto su… Interessi finanziari dell’Unione europea, prescrizione del reato e principio di legalità. A proposito della sentenza Taricco – caTerina paonessa, “Lo strano caso Taricco”, ovvero le garanzie del tempori cedere alla mercé di una “eccentrica” decisione europea? – Giovanni Tarli BarBieri, La “scommessa” dei controlimiti.

Problemi e prospettive del giudizio di costituzionalità a margine della vicenda Taricco – anTonio vallini, La portata della sentenza CGCE “Taricco”: un’interferenza grave in un sistema discriminatorio

Il punto su… “Abusivamente” negli ecodelitti – luca Bisori, Linee interpretative e nodi problematici della abusività della condotta nei nuovi reati ambientali. Prove tecniche di abusivismo giudiziario? – luca Troyer, I nuovi reati ambientali “abusivi”: quando la rinuncia alla legalità penale diviene un illusorio instrumentum regni Dibattito Il giudice penale, oggi: alla ricerca di un ruolo e di un’identità? - Sezione I – La crisi del giudice “bocca della legge” – luciano violanTe, L’evoluzione del ruolo giudiziario – nicolò zanon, L’ascesa del potere giudiziario, tra mode culturali e mutamenti costituzionali - Sezione II – Le élite giudiziarie – carlo Guarnieri, La crescente importanza della formazione giudiziaria in Europa – GaeTano insolera, I percorsi di una egemonia Spigolature penalistiche

Giuliano BalBi, Democrazia crepuscolare e diritto vivente – FausTo GiunTa, Al capezzale del diritto penale moderno (e nella culla, ancora vuota, del suo erede)

Antologia

davide aMaTo, Attività di protezione civile e responsabilità penale: criticità attuali e prospettive di riforma – cosTanza Bernasconi, Il modello della tipicità umbratile nella recente legislazione penale – Francesco

d’alessandro, La riforma delle false comunicazioni sociali tra aporie legislative e primi disorientamenti applicativi – luciano euseBi, Senza politica criminale non può darsi diritto penale. L’essere e il dover essere della risposta ai reati nel pensiero di Massimo Pavarini – FaBio Fasani, I martiri invisibili. Quale ruolo per il diritto penale nella lotta al terrorismo islamico? – dario MicheleTTi, Il criterio della competenza sul fattore di rischio concretizzatosi nell’evento. L’abbrivio dell’imputazione colposa – carlo pierGallini, Autoriciclaggio, concorso di persone e responsabilità dell’ente: un groviglio di problematica ricomposizione – renzo orlandi, Il sistema di prevenzione tra esigenze di politica criminale e principi fondamentali

Interviste: Ettore Randazzo intervista Giovanni canzio, Primo Presidente della Corte di cassazione – andrea

Mascherin, Presidente del Consiglio Nazionale Forense Letture

GaeTano carlizzi, Testimonianza esperta, causalità penale e teoria della conoscenza: note di lettura su Susan Haack, Legalizzare l’epistemologia. Prova, probabilità e causa nel diritto – renzo orlandi, Esercizi e lezioni di comparazione penale. A proposito del volume Strukturvergleich strafrechtlicher Verantwortlichkeit und Sanktionierung in Europa

Ricordo di Massimo Pavarini: davide BerTaccini, Massimo Pavarini, nel mio tempo www.edizioniets.com/criminalia

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Comitato di direzione

Stefano Canestrari, Giovanni Canzio, Adolfo Ceretti, Cristina de Maglie, Luciano Eusebi, Alberto Gargani,

Fausto Giunta, Marco Nicola Miletti, Renzo Orlandi, Michele Papa, Ettore Randazzo, Francesca Ruggieri Coordinatore

Fausto Giunta

Comitato di redazione

Alessandro Corda, Dario Micheletti, Daniele Negri, Caterina Paonessa, Antonio Vallini, Vito Velluzzi Coordinatore

Dario Micheletti

Direttore responsabile Alessandra Borghini

www.edizioniets.com/criminalia

Registrazione Tribunale di Pisa 11/07 in data 20 Marzo 2007

Criminalia

Annuario di scienze penalistiche

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Edizioni ETS

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Criminalia

Annuario di scienze penalistiche

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www.edizioniets.com

© Copyright 2016 EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa [email protected]

www.edizioniets.com ISBN 978-884674616-0 ISMN 1972-3857

(6)

Primo Piano

GIOVANNI FIANDACA

Legislatore e dottrina penalistica: è ancora possibile un dialogo? 17 MICHELE TARUFFO

Verità e giustizia di transizione 21

Tavola rotonda

Il controllo sull’accusa nella fase intermedia del processo penale:

condizione attuale e prospettive future

Nota introduttiva di Daniele Negri 53

Ne discutono:

LORENA BACHMAIER WINTER

FABIO CASSIBBA

THEODORA CHRISTOU

BÉATRICE LAPÉROU-SCHENEIDER

MORITZ VORMBAUM

Tavola rotonda Le polizie

Nota introduttiva di Adolfo Ceretti 121

Ne discutono:

DAVIDE BERTACCINI

ROBERTO CORNELLI

ANNA MARIA GIANNINI,ROBERTO SGALLA

LUIGI MANCONI,STEFANO ANASTASIA,VALENTINA CALDERONE

(7)

6

Il punto su… La particolare tenuità del fatto GIOVANNANGELO DE FRANCESCO

Illecito esiguo e dinamiche della pena 199

SERENA QUATTROCOLO

L’altra faccia della medaglia: l’impatto della particolare tenuità del fatto

sul processo penale 225

Il punto su… Interessi finanziari dell’Unione europea, prescrizione del reato e principio di legalità. A proposito della sentenza Taricco

CATERINA PAONESSA

“Lo strano caso Taricco”, ovvero le garanzie del tempori cedere

alla mercé di una “eccentrica” decisione europea? 249

GIOVANNI TARLI BARBIERI

La “scommessa” dei controlimiti. Problemi e prospettive del giudizio di

costituzionalità a margine della vicenda Taricco 275

ANTONIO VALLINI

La portata della sentenza CGCE “Taricco”: un’interferenza grave

in un sistema discriminatorio 295

Il punto su… “Abusivamente” negli ecodelitti LUCA BISORI

Linee interpretative e nodi problematici della abusività della condotta

nei nuovi reati ambientali. Prove tecniche di abusivismo giudiziario? 315 LUCA TROYER

I nuovi reati ambientali “abusivi”: quando la rinuncia alla legalità penale

diviene un illusorio instrumentum regni 329

(8)

Dibattito Il giudice penale, oggi: alla ricerca di un ruolo e di un’identità?

Sezione I – La crisi del giudice “bocca della legge”

LUCIANO VIOLANTE

L’evoluzione del ruolo giudiziario 341

NICOLÒ ZANON

L’ascesa del potere giudiziario, tra mode culturali e

mutamenti costituzionali 359

Sezione II – Le élite giudiziarie CARLO GUARNIERI

La crescente importanza della formazione giudiziaria in Europa 365 GAETANO INSOLERA

I percorsi di una egemonia 371

Spigolature penalistiche GIULIANO BALBI

Democrazia crepuscolare e diritto vivente 377

FAUSTO GIUNTA

Al capezzale del diritto penale moderno

(e nella culla, ancora vuota, del suo erede) 383

Antologia DAVIDE AMATO

Attività di protezione civile e responsabilità penale:

criticità attuali e prospettive di riforma 391

COSTANZA BERNASCONI

Il modello della tipicità umbratile nella recente legislazione penale 417

(9)

8

FRANCESCO D’ALESSANDRO

La riforma delle false comunicazioni sociali tra aporie legislative e

primi disorientamenti applicativi 435

LUCIANO EUSEBI

Senza politica criminale non può darsi diritto penale. L’essere

e il dover essere della risposta ai reati nel pensiero di Massimo Pavarini 467 FABIO FASANI

I martiri invisibili. Quale ruolo per il diritto penale nella lotta

al terrorismo islamico? 485

DARIO MICHELETTI

Il criterio della competenza sul fattore di rischio

concretizzatosi nell’evento. L’abbrivio dell’imputazione colposa 509 CARLO PIERGALLINI

Autoriciclaggio, concorso di persone e responsabilità dell’ente:

un groviglio di problematica ricomposizione 539

RENZO ORLANDI

Il sistema di prevenzione tra esigenze di politica criminale e

principi fondamentali 557

Interviste

Ettore Randazzo intervista

GIOVANNI CANZIO, Primo Presidente della Corte di cassazione e ANDREA MASCHERIN, Presidente del Consiglio Nazionale Forense

583 597

Letture

GAETANO CARLIZZI

Testimonianza esperta, causalità penale e teoria della conoscenza:

note di lettura su Susan Haack, Legalizzare l’epistemologia.

Prova, probabilità e causa nel diritto 603

(10)

RENZO ORLANDI

Esercizi e lezioni di comparazione penale. A proposito del volume

Strukturvergleich strafrechtlicher Verantwortlichkeit und Sanktionierung

in Europa 619

Ricordo di Massimo Pavarini DAVIDE BERTACCINI

Massimo Pavarini, nel mio tempo 625

(11)

TABLE OF CONTENTS

On the front page GIOVANNI FIANDACA

Lawmakers and criminal law scholarship: is a dialogue still possible? 17 MICHELE TARUFFO

Truth and transitional justice 21

Roundtable

Check on the prosecution during the intermediate phase of the criminal process: state of the art and future perspectives Introductory remarks by Daniele Negri

53 Discussants:

LORENA BACHMAIER WINTER

FABIO CASSIBBA

THEODORA CHRISTOU

BÉATRICE LAPÉROU-SCHENEIDER

MORITZ VORMBAUM

Roundtable

The different facets of policing

Introductory remarks by Adolfo Ceretti 121

Discussants:

DAVIDE BERTACCINI

ROBERTO CORNELLI

ANNA MARIA GIANNINI,ROBERTO SGALLA

LUIGI MANCONI,STEFANO ANASTASIA,VALENTINA CALDERONE

(12)

Focus on… Low-harm offenses GIOVANNANGELO DE FRANCESCO

Low-harm offenses and the dynamics of punishment 199

SERENA QUATTROCOLO

The other side of the coin: the impact of low-harm offenses

on the criminal trial 225

Focus on… EU’s financial interests, statute of limitations and the principle of legality. On the Taricco case CATERINA PAONESSA

“The curious case of Taricco”, or tempori cedere guarantees at the mercy of an “eccentric” European decision?

249

GIOVANNI TARLI BARBIERI

The “bet” of counter-limits. Problems and perspectives of constitutional judicial review on the margin of the Taricco case

275

ANTONIO VALLINI

The impact of theCJEU’s “Taricco” decision: a serious disturbance within a discriminatory system

295

Focus on… “Without authorization” in environmental crimes LUCA BISORI

Interpretation and problems regarding the

“without authorization” component of new environmental crimes.

Technical tests of judicial interpretation “without authorization”? 315 LUCA TROYER

New environmental crimes “without authorization”: when giving up

on the principle of legality becomes a deceptive instrumentum regni 329

(13)

12

Opinion exchange on The criminal court judge, today:

in search of a role and identity?

Section I – The crisis of the judge as “bouche de la loi”

LUCIANO VIOLANTE

The evolution of the role of the judiciary 341

NICOLÒ ZANON

The rise of judicial power, between cultural trends and constitutional transformations

359

Section II – Judiciary élites CARLO GUARNIERI

The growing relevance of judicial training in Europe 365 GAETANO INSOLERA

Paths of hegemony 371

Critical notes GIULIANO BALBI

Crepuscular democracy and case law 377

FAUSTO GIUNTA

At the sickbed of modern criminal law

(and in the cradle, still empty, of its heir) 383

Anthology DAVIDE AMATO

Civil protection department activities and criminal liability:

current problems and perspectives for reform 391

COSTANZA BERNASCONI

The indefinable Actus Reus in recent penal legislation 417

(14)

FRANCESCO D’ALESSANDRO

Reform of false accounting fraud between legislative contradictions

and early conflicting case law 435

LUCIANO EUSEBI

No criminal law without penal policy. Is and ought in the response

to crime in Massimo Pavarini’s thought 467

FABIO FASANI

Invisible martyrs: what role for the criminal law in the fight

against Islamic terrorism? 485

DARIO MICHELETTI

Allocation of decision-making competence and the materialization

of a related risk factor: the fit of prosecution for negligence 509 CARLO PIERGALLINI

Self-money laundering, complicity, and corporate criminal liability:

a hard-to-undo tangle 539

RENZO ORLANDI

Preventive measures between necessities of penal policy

and fundamental principles 557

Interviews

Ettore Randazzo interviews

GIOVANNI CANZIO, Chief Justice of the Cassation Court and ANDREA MASCHERIN, President ofCNF, Italian National Lawyers Council

583 597

Book Reviews GAETANO CARLIZZI

Expert testimony, causation in criminal law, and theory of knowledge:

reading Susan Haack’s Evidence Matters. Science, Proof,

and Truth in the Law 603

(15)

14

RENZO ORLANDI

Exercises and lessons of penal comparison.

On Strukturvergleich strafrechtlicher Verantwortlichkeit und Sanktionierung in Europa

619

Remembering Massimo Pavarini DAVIDE BERTACCINI

Massimo Pavarini, in my time 625

(16)

LUCA BISORI

LINEE INTERPRETATIVE E NODI PROBLEMATICI DELLA ABUSIVITÀ DELLA CONDOTTA NEI NUOVI REATI AMBIENTALI.

PROVE TECNICHE DI ABUSIVISMO GIUDIZIARIO?

SOMMARIO: 1. “Abusivamente”: una vecchia conoscenza approda nel diritto penale dell’ambiente. – 2. Ipotesi interpretative. – 3. Precisazioni sul parametro normativo della condotta “abusiva” – 4. La sfuggente “abusività” per violazione di principi generali.

1. “Abusivamente”: una vecchia conoscenza approda nel diritto penale dell’ambiente

Nel contesto di una riforma controversa, tra le molteplici criticità dei novelli delitti di inquinamento e disastro ambientale spicca il tema della abusività della condotta – nota modale dell’agire tipico che si rinviene, in forma d’avverbio, in entrambe le fattispecie – che ha formato oggetto di accese diatribe tra i primi commentatori.

Questione sensibilissima, a giudicare dalla causticità di qualche tono negli scritti di chi per primo si è occupato dell’esegesi della fattispecie; questione cer- tamente rilevante ai fini dello spettro tipico della fattispecie, posto che alla solu- zione di quel significato s’attribuiscono conseguenze anche radicali.

In via di prima e grossolana approssimazione, le posizioni dei commentatori possono ridursi a tre affermazioni, alla cui stregua ‘abusivamente’:

– è requisito tipico che disinnesca ogni reale funzione di tutela della norma, restringendone eccessivamente (ed irragionevolmente) la portata applicativa, sino a depotenziarla del tutto;

– è sì nota modale della condotta tipica, ma del tutto inutile perché nulla ag- giunge, o dice l’ovvio;

– è requisito tipico che ha portata ulteriormente selettiva della tipicità, circo- scrivendo il novero delle condotte illecite a quelle – appunto – ‘abusive’ (restan- do però da verificare cosa ciò in concreto significhi).

La prima posizione è peraltro appannaggio pressoché esclusivo dei più feroci detrattori dell’avverbio: che impedirebbe in radice la configurabilità dei reati in discorso ogni qual volta la condotta dell’agente è in qualche modo coperta da una autorizzazione amministrativa per l’attività inquinante, sì da consentire di ravvisa-

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Luca Bisori

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re il delitto nella sola, residuale e sostanzialmente inutile ipotesi di attività del tut- to clandestina.

“Tutto dipende solo dalla presenza o meno di un’autorizzazione della P.A.”, in- somma, “perché è questo che significa ‘abusivamente’”: così da rendere possibile la sussistenza di un disastro ambientale – sì – ma autorizzato, e dunque non punibi- le. Un autentico ossimoro, in termini teorici, ed una scelta sciaguratissima in con- creto, specie se calata nella realtà di un Paese ‘non normale’ – quale il nostro – in cui spesso si autorizzano attività industriali che in nessun altro paese civile sareb- bero autorizzate, ed in cui norme regolamentari ed amministrative pessime, ca- renti o comunque straordinariamente complesse appaiono del tutto inadeguate alla tutela ambientale. Una scelta, in definitiva, che legittima il sospetto che si sia inteso limitare l’intervento giudiziario, facendo dipendere l’esistenza del delitto, per inte- ro, solo da un intervento amministrativo quale il rilascio di una autorizzazione:

“mano libera all’industria inquinante e basta con questi giudici troppo zelanti”1. La seconda posizione muove proprio dall’ossimoro sopra ricordato: se l’avverbio in esame fungesse realmente da discrimine tra quello che è lecito e quello che non lo è, occorrerebbe supporre la legittima configurabilità di un disa- stro ambientale autorizzato, ciò che non può essere; dunque il lemma nulla ag- giunge (e nulla toglie) alla fattispecie2. D’altra parte, è nota la scarsa capacità se- lettiva delle clausole di antigiuridicità espressa – quale quella in esame – che in verità “altro non fanno se non ricordare l’ovvio, ossia che il fatto tipico costituisce reato solo se non è imposto o facoltizzato da un’altra norma dell’ordinamento”3.

Questo orientamento si pone agli antipodi del primo solo apparentemente, giacché reagisce ai paventati effetti di eccessiva restrizione dell’illecito ammetten- do la rassicurante possibilità di una interpretazione che si limiti a non tenere con- to della lettera della norma: non v’è da preoccuparsi, giacché l’avverbio in que- stione in realtà non aggiunge nulla, né potrebbe.

L’aspra censura al legislatore per avere inserito la clausola in esame diviene dunque, nei fatti, antesignana d’una esegesi abrogatrice: e d’altra parte, altri isti-

1 G. AMENDOLA, Delitti contro l’ambiente: arriva il disastro ambientale “abusivo”, in www.lexambiente.it; ID., Non c’è da vergognarsi se si sostiene che nel settore ambientale la responsa- bilità penale degli industriali inquinatori deve essere più limitata di quella “normale”, ibid.

2 A.MANNA, in Trattato di diritto penale-Parte generale e speciale. Riforme 2008-2015, 2015, p. 980 ss.

3 A.BELL-A.VALSECCHI, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, in Diritto penale contemporaneo, 2015, 2, p. 79 s. Anche ad avvi- so dell’Ufficio del Massimario della Suprema Corte (Relazione n. III/04/2015 del 29 maggio 2015, 10), è lecito dubitare della concreta necessità della clausola, giacché l’esigenza di agganciare la re- sponsabilità del soggetto agente avrebbe trovato comunque soddisfacimento attraverso le consuete coordinate che presidiano la responsabilità penale per dolo o colpa.

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tuti presidiano l’esigenza di tener conto di condotte prudenti o osservanti (l’elemento soggettivo, in primis).

L’opzione esegetica intermedia assegna invece all’avverbio una reale funzione positiva, quanto meno nella misura in cui si sforza di identificarne un significato precettivo univoco: talora anche muovendo dal rammarico per la sua inopportunità.

Le soluzioni sono tuttavia variegate.

Minimo comun denominatore è il richiamo alla (più o meno) consolidata4 giu- risprudenza a proposito dell’identica espressione contenuta nell’art. 260 T.U.

Ambiente, che punisce – tra le condotte rifluenti nelle attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti – anche la condotta di colui che gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti: espressione che consente di ravvisare una situazione abusiva non già nel solo caso di assenza di autorizzazione, ma anche in ogni altro caso in cui una autorizzazione sia scaduta, ne siano stati violati gli ambiti di effi- cacia, le prescrizioni, i limiti. Che vi sia una attività autorizzata non è d’ostacolo, insomma, al riconoscimento dell’illecito se l’esercizio in concreto avviene “in con- trasto con i fini sostanziali che il titolo (e la norma) si prefigge ovvero con una nor- ma diversa o con gli stessi princìpi generali dell’ordinamento”5.

Si tratta, in definitiva, di una clausola di illiceità speciale equivalente a illeci- tamente, a contra jus, e dunque idonea a trattenere nel recinto del fatto illecito qualsiasi condotta che – pur riferibile ad attività autorizzata – si traduca in viola- zione sostanziale delle prescrizioni impartite con l’atto autorizzatorio, o da norme di diritto ambientale e di altri settori limitrofi.

Ad avviso di altri, ancora, financo dai soli principi generali6.

La formula – si è osservato – mira a delimitare l’ambito del cd. rischio consen- tito: “ogni attività industriale inquina, tanto o poco” ma spetta alla P.A. stabilire quali siano “i livelli di inquinamento tollerabili in nome di altri valori o interessi confliggenti”, la norma incriminatrice fa sintesi dei principi ora richiamati incri- minando non qualsiasi inquinamento, ma solo quelli che fuoriescono dall’ambito del rischio consentito, così perimetrato dalle prescrizioni della P.A. e dalle norme di legge7.

Neppure vi sarebbe da preoccuparsi dell’evenienza di atti abilitativi illegittimi o sostanzialmente contrari alle norme: soccorre il principio secondo cui resta pur sempre al giudice di valutare la validità e l’efficacia dell’atto autorizzatorio, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale che proprio nella mate-

4 Anche a questo proposito si registra una qualche contrapposizione, giacché G. AMENDOLA, loc. cit., ritiene l’indirizzo di cui si dirà niente affatto consolidato, salve solo le più recenti, e merito- rie, aperture ad una lettura più estensiva.

5 UFFICIO MASSIMARIO, cit., p. 12.

6 L.RAMACCI, Diritto penale dell’ambiente, Piacenza 2015, p. 381.

7 C.RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, Torino 2015, p. 15 ss.

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Luca Bisori

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ria ambientale trova elettivo campo d’applicazione, e che consente al giudice di

‘accedere’ direttamente alla sostanza della fattispecie sanzionata, consistente pur sempre nella violazione delle norme che regolano la materia sotto molteplici pro- fili, anche al di là dell’esistenza di un formale titolo abilitante che quelle norme abbia di fatto esso stesso disatteso8.

2. Ipotesi interpretative

Misuriamoci dunque con le tre ipotesi interpretative.

La prima ha più lo spessore di un argomento polemico che la fondatezza di una opzione esegetica seriamente sostenibile.

Che abusivo non significhi clandestino – nel contesto in esame – è piuttosto evidente: sul piano strettamente letterale non perché non vi siano, nel codice, fat- tispecie in cui quel lemma può assumere anche un significato analogo (l’introduzione abusiva in un sistema informatico evoca più la sua clandestinità che la mancanza del titolo di accesso; idem per l’ingresso abusivo nel fondo altrui, che è tale quando effettuato senza necessità), ma perché in questo settore la puni- zione di fatti clandestini in senso proprio passa sempre per l’impiego di formule diverse (in mancanza di/senza autorizzazione).

D’altra parte, a fronte di una espressione polisenso (giacché abusivamente può ben significare con abuso di una facoltà, secondo accezione altrettanto latamente impiegata nel codice), davvero nulla nei lavori preparatori legittima l’impressione che con esso si sia voluto restringere il campo applicativo della norma alle sole condotte clandestine: tanto più che la clausola in esame discende dalla sostituzio- ne di altra (“in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrati- ve, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale”) giudicata – per l’appunto – troppo restrit- tiva9, ma certamente – neppure quella originaria – non a tal punto restrittiva.

Venendo all’orientamento di chi ritiene che la clausola non serva a nulla, e che dunque possa serenamente ignorarsi, essa risente dell’influsso polemico del pri- mo, e non merita miglior sorte.

In termini generali, si potrà dire molto delle clausole di antigiuridicità, e della loro tendenziale vaghezza, ma certo non che esse non abbiano mai a che fare con la tipicità: senza l’abusivamente non si comprenderebbe in cosa consiste il delitto di cui all’art. 615ter c.p., e tanto potrebbe dirsi di clausole generali (valvole di si- curezza del sistema repressivo, le chiama efficacemente l’Ufficio del Massimario)

8 L.RAMACCI, op. cit., 380; UFFICIO MASSIMARIO, loc. cit., p. 12.

9 A.BELL-A.VALSECCHI, op. cit.,p. 79.; vd. anche C.RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, cit., p. 15 s.

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del tipo arbitrariamente, indebitamente, senza giusta causa, etc., che talora incar- nano anzi il significato tipico, differenziale (rispetto all’area del lecito) del disva- lore di fattispecie.

Sul piano dei principi, e sistematico, moltissime sono le ragioni per le quali nel caso che ci occupa la clausola non può non svolgere una funzione di ulteriore se- lezione della tipicità: di una tipicità che resta comunque molto sottile, nonostante il numero (non piccolo) delle parole adoperate.

È buona regola, almeno nei settori dell’ordinamento ostinatamente informati al principio di legalità, diffidare in linea di principio di interpretazioni che neghi- no un senso (un qualsiasi senso) alle parole del legislatore: si avranno casi, certo, in cui l’imperizia, la fretta, l’inconsapevolezza del contesto sistematico (che resta- no peccati capitali) producono frutti inemendabili, ma fare dell’imperizia un ca- none ermeneutico ci par troppo.

Anche – forse soprattutto – quando le conseguenze del preteso errore sono palpabili, e non piacciono.

Che la clausola abbia un senso precettivo lo dimostrano i lavori preparatori:

diversamente da quanto contemporaneamente avvenuto in altri ambiti10, il per- corso che ha condotto alla sua introduzione è sufficientemente chiaro, ed è quello sì di ampliare (cioè di rendere meno stretto) il richiamo, espresso, alla violazione di norme o regolamenti (non più – necessariamente – essi stessi autonomamente integranti un illecito di settore), ma certo non di eliminarlo.

Diversamente, il legislatore storico non avrebbe resistito alla ricorrente richie- sta emendativa, in corso di votazioni, di abrogare la locuzione.

Sul piano sovranazionale, essa rappresenta peraltro un esplicito rinvio alla di- rettiva 2008/99/CE, che richiede il carattere persino illecito della condotta causa- tiva dell’inquinamento o disastro: e se è vero che il legislatore italiano avrebbe ben potuto ricorrere a formule incriminatrici ancor più ampie, è altrettanto vero che l’evidente derivazione della formula da altra, più selettiva, ‘ammorbidita’ ma non eliminata, è il chiaro segno dell’intendimento di mantenere ad essa un preci- so senso positivo.

Il tema si presta, però, a qualche ulteriore considerazione.

Il tentativo di disinnescare il senso dell’espressione nasce tutta da una valuta- zione teleologico-funzionale: perché così costruita, la fattispecie non sarebbe suf- ficientemente efficace, non svolgerebbe appieno la funzione repressiva che l’interprete ritiene debba svolgere.

Si tratta di una opzione di principio inaccettabile: nel metodo, assai prima del (e forse persino indipendentemente dal) merito.

10 Il riferimento è alla nota vicenda della riforma del falso in bilancio.

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Luca Bisori

320

In apicibus, perché l’ampiezza del fuoco repressivo è affare del legislatore de- mocraticamente legittimato: forse un vecchio arnese, ma di migliori allo stato non se ne trovano.

Dunque, dire ‘fin dove’ deve spingersi la norma è compito della legge: se ne discendono lacune di tutela, anche insopportabili, pazienza, il sistema penale sopporta inefficienze repressive, è frammentario per naturale vocazione liberale, chiude le porte (oltre che all’analogia anti-lacuna) anche agli sforzi inventivi dell’interprete bene intenzionato11.

Non diversamente, l’abrogazione del senso del requisito tipico è inaccettabile anche quale risultante dall’impiego, in chiave esegetica, di canoni di ragionevolez- za teleologica della norma, sì da farle dire ciò che ella dovrebbe dire per avere un senso compiuto alla luce dei suoi fini di tutela (veri o supposti, ora non interessa).

Non v’è dubbio, si tratta di un ragionamento ermeneutico del tutto legittimo, correntemente adoperato ed anzi essenziale in più occasioni.

Ma esso – come è stato acutamente osservato – “è tutto ‘dalla parte dell’autorità’, nell’ottica della funzionalità di tutela penale. In ottica garantista c’è bisogno di un ulteriore controllo: la funzionalità teleologica (della teleologia repres- siva) non può giustificare la rottura degli affidamenti nella legalità quale limite del potere di coercizione. Dietro il problema dell’interpretazione letterale si profila un problema sostanziale, che con riguardo al giudice è il problema della fedeltà alla legge, e dal punto di vista dei destinatari dei precetti legali è questione di affidamen- to, di tenuta dei limiti garantisti”12.

L’interprete che si affidasse per intero a valutazioni funzionalistiche (di suffi- ciente efficacia della repressione) travalicando il dato letterale esplicito si farebbe – indebitamente – legislatore.

Persino quando l’orizzonte teleologico fosse perfettamente cristallino: ciò che, nel caso di specie, neppure è, per le ragioni che si sono dette, e che chiamano in causa anzitutto il senso opposto palesato dai lavori preparatori.

Né qui possono proporsi analisi di contesto o sistematiche che rendano neces- sitata la conclusione ermeneutica, come in altri recenti casi pure si è ritenuto (an- che forzando il dato letterale)13: perché qui il contesto o manca (le norme sono parte di un corpus nuovo), o tende in altra direzione, precisamente quella che re- putiamo preferibile, dell’esistenza di un apprezzabile significato precettivo (deli- mitativo della responsabilità).

11 Dei pericoli dell’autoritarismo bene intenzionato (felicissima espressione di D. Pulitanò) torneremo a dire dopo.

12 D.PULITANÒ, Ermeneutiche alla prova. Il problema del falso valutativo, in www.penalecon- temporaneo.it.

13 Ancora il richiamo è alla vicenda del falso in bilancio, ed alla abrogazione della clausola preesistente “ancorché oggetto di valutazioni”.

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E difatti, il sistema dei reati ambientali ante riforma (e che potremmo serena- mente definire di base, quanto meno per ovvie ragioni di ricorrenza statistica) è costruito essenzialmente – condivisibilmente e fin dall’origine – su paradigmi di tipicità incentrati sul governo amministrativo delle risorse ambientali: perché – come si è ricordato anche citando la recente decisione della Consulta sul caso ILVA14 – non esistono diritti tiranni, l’ambiente è bene tutelato in termini non as- soluti, perché esistono contro-interessi, che debbono bilanciarsi, contemperarsi.

Con ciò non si intende affermare che essi equivalgono, bensì che non possono essere pretermessi di principio: che non sono, insomma, subvalenti per definizione.

Dunque è esatto affermare che occorre tracciare i confini del rischio consentito.

Il bilanciamento non è però operazione che può affidarsi (ex post) all’autorità giudiziaria penale, neppure la meglio intenzionata ed illuminata: è rimessa – per scelta sistematica, anche di politica criminale – ad una preventiva valutazione del- la P.A.

Questo essendo il contesto, le nuove norme – che non hanno né abrogato né messo in discussione, sotto altri profili di compatibilità di principio, le ‘vecchie’ – vi si adeguano nella misura in cui, in una ragionevole prospettazione di progres- sione della tutela, i delitti ambientali di evento costituiscono fatti offensivi, di danno, che inverano a livelli dimensionali più o meno vasti il concretizzarsi del pe- ricolo di offesa sotteso alla fissazione delle prescrizioni comportamentali violate.

Non è un caso se la posizione più ferocemente abolizionista muove da un tranciante giudizio di inadeguatezza di quel sistema di norme (pessime-carenti- complicate), cui dovrebbe supplirsi (almeno nell’ambito degli ecodelitti) con l’affidamento diretto al giudice di una valutazione caso per caso, essa sì idonea alla tutela di beni costituzionalmente garantiti: “mano libera all’autorità giudiziaria”

dunque (per parafrasare l’obiezione opposta).

Diremo ancora dell’inaccettabilità della tesi: essa però finisce col suonare con- fermativa dell’interpretazione che qui si propone, perché riconosce una continui- tà normativa (che vorrebbe spezzare) tra il principio di tipizzazione che informa il sistema previgente e le nuove fattispecie.

Sganciare l’interpretazione di queste dal primo significherebbe rinnegare – senza il conforto di un qualche riconoscibile indice interpretativo – l’intero im- pianto delle norme penali ambientali, in favore di strumenti tanto straordinaria- mente repressivi (i limiti edittali sono eloquenti) quanto altrettanto straordina- riamente incerti sul piano della tipicità.

Non va dimenticato, infatti, che l’avverbio in discorso si colloca in una cornice tipica particolarmente fragile, intessuta col filo tenue di concetti assai vaghi (la compromissione misurabile, l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema, etc.), ini-

14 C.RUGA RIVA, I nuovi ecoreati cit., p. 32, citando Corte cost., sentenza n. 85/2013.

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donei a stringere un fatto materiale sufficientemente determinato: l’abusività della condotta, per quanto essa stessa clausola largamente indeterminata, se incarnata dalla inosservanza di norme e prescrizioni riconoscibili può arricchire la funzione selettiva della fattispecie.

Una funzione che attiene ai profili della tipicità oggettiva della condotta, non surrogabile da correttivi di diverso genere: davvero vorremmo credere alle parole di ottimismo sulle magnifiche ed innate capacità del sistema di autolimitarsi, spe- se da chi ritiene – lamentandosi dell’irragionevole imbrigliamento dell’attività re- pressiva in maglie tipiche troppo selettive – che il cittadino/imprenditore do- vrebbero comunque restare massimamente sereno, giacché ognun sa che chi agi- sce prudentemente e diligentemente, in buona fede e ligio alle leggi, nulla rischia, perché nel suo agire fa difetto l’elemento soggettivo15.

Anche noi non spenderemmo un euro in una scommessa del genere16, ma non è solo questo il tema: l’argine dell’elemento soggettivo (e/o della buona fede) è strumento improprio, prima che debolissimo, perché non si discute qui di quel che crede, sa o immagina l’agente (di regola un operatore economico), ma dell’affidamento che il cittadino deve poter fare nella capacità del sistema penale di costruire precetti chiari sul piano oggettivo delle regole dell’agire.

Affidare la verifica (postuma) della liceità della condotta all’analisi (somma- mente incerta) dei profili della colpevolezza, specialmente se declinati in termini colposi e di colpa generica, significa rimettere nelle mani del giudice – di fatto – l’identificazione dei confini dell’illecito.

E d’altra parte, l’affermazione potrebbe persino apparire contraddittoria: per- ché in un settore fortemente regolato dalla legge, da norme variamente subordi- nate, e da molti e spesso articolatissimi atti amministrativi, la regola cautelare vio- lata che determina la colpa svolge anzitutto una funzione di tipizzazione oggettiva dell’illecito. Quanto meno nell’ambito delle fattispecie colpose (che pure costitui- ranno, sempre per incidenza statistica, il maggior numero delle forme di manife- stazione dei nuovi reati) non si potrebbe comunque prescindere da una identifi- cazione oggettiva dei confini di liceità dell’agire.

3. Precisazioni sul parametro normativo della condotta “abusiva”

Resta da comprendere, tuttavia, a quali violazioni e di quali atti, regole, norme o princìpi si riferisca la connotazione abusiva della condotta tipica.

15 G.AMENDOLA, Delitti, cit.

16 C.RUGA RIVA, Ancora sul concetto di abusivamente nei delitti ambientali: replica a G. Amen- dola, in www.lexambiente.it.

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Se abusiva è la condotta di chi sia sprovvisto di qualsiasi abilitazione, così è certamente abusiva la condotta che travalica significativamente i limiti di un’autorizzazione esistente: è abusiva la condotta di chi immetta nell’ambiente una quantità di inquinanti largamente superiore al consentito, o che immetta so- stanze inquinanti del tutto diverse da quelle autorizzate.

Non basta, tuttavia, una qualsiasi violazione, o la violazione di qualsiasi norma o prescrizione: vi è un abuso quando la violazione è significativa, non minima, quando la violazione delle prescrizioni rende l’agire del reo totalmente esorbitan- te i limiti dell’attività autorizzata.

A sanzionare lo sforamento ‘qual che sia’ penserà di regola altra norma, di di- verso spessore, di regola contravvenzionale, indifferente agli effetti della violazio- ne; l’azione da inosservante si fa abusiva, invece, quando l’utilizzo di una facoltà trasmoda significativamente i limiti imposti, così che essa non è più sostanzial- mente riconducibile al titolo abilitativo violato.

E deve trattarsi di violazione non puramente formale: l’autorizzazione scaduta ma rinnovabile, se non pone al riparo – salve le ipotesi di sanatoria – dalla sanzione contravvenzionale, non è certo sufficiente a rendere abusiva, nel senso indicato dal- la fattispecie, la condotta formalmente inosservante che sia al contempo – ad esem- pio – rispettosa delle prescrizioni preposte alla tutela sostanziale del bene ambien- tale (es., non si sono comunque superate le soglie di immissione nell’ambiente).

Per le ragioni che si sono ora esposte, ci pare che la rilevanza precettiva dell’avverbio non possa essere adeguatamente surrogata da altri principi generali dell’ordinamento, ed in particolare dalla scriminante dell’agire autorizzato (adem- pimento di un dovere, esercizio di un diritto), che postulano pur sempre una formale osservanza del titolo: l’abuso evoca invece, ci pare, qualcosa di più, così da escludere anche la rilevanza di condotte che, pur se formalmente inosservanti, non lo sono in misura tale da giustificare una sanzione pensata per condotte to- talmente e significativamente esorbitanti l’attività autorizzata.

A giudicare dall’andamento dei lavori preparatori, sembra doversi ammettere la rilevanza della violazione anche di norme diverse da quelle specificamente po- ste a tutela dell’ambiente, come – per tutte – le norme in materia di igiene e sicu- rezza del lavoro: all’inclusione delle quali sarebbe per l’appunto intesa la sostitu- zione della clausola originaria (“in violazione di disposizioni legislative, regolamen- tari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosser- vanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale”) con quella attuale17.

Certamente questa è l’intenzione del legislatore: giudicando a contrario, la norma europea – da cui la più ampia locuzione preesistente traeva origine – elen-

17 Cfr. A.BELL-A.VALSECCHI, op. cit., p. 79; UFFICIO MASSIMARIO, op. cit., p. 8; C. RUGA RIVA, I nuovi cit., p. 15.

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ca difatti, tra quelle la cui violazione determina la illegittimità della condotta pu- nita, esclusivamente norme in materia ambientale in senso stretto.

Nondimeno, resta il pericolo che lo spettro di rilevanza della condotta omni- modo inosservante si ampli eccessivamente: e se vi sono materie certamente con- tigue (l’esempio ricorrente è quello della normativa sulle polveri in relazione al caso Eternit: disastro ambientale, questo, derivante dalla violazione di norme d’altro genere), altre lo sono certamente assai meno, e vi è il pericolo che esse sia- no piegate alle ragioni repressive della norma in discorso. Si pensi al caso dell’immissione inquinante determinata di fatto, come causa prossima, dal mal- funzionamento (o anche dalla mancanza) di un apparato preposto solo a tutela della salute dei lavoratori: in tale evenienza, non ci pare che quella violazione possa integrare l’abusività della condotta, perché la norma violata non contribui- sce a delimitare i confini della condotta lecita quale risultante del bilanciamento tra l’interesse alla salvaguardia dell’ambiente e l’interesse allo svolgimento di una attività produttiva.

Allo stesso modo, è certamente necessario – per aversi condotta abusiva – che la norma violata sia applicabile specificamente al contesto di attività nel cui ambi- to si è prodotto l’evento inquinante: non si potrà dire insomma che è abusivo l’agire di tizio perché la norma x – che a lui non si applica ma che è obbligatoria per altri settori contigui di attività, e che ha funzione anche di tutela ambientale – è stata violata.

4. La sfuggente “abusività” per violazione di principi generali

Questo ultimo tema evoca infine il problema più delicato, che è quello della sufficienza o meno della violazione di principi generali e/o di norme che avrebbe- ro dovuto regolare, quali criteri più generali di principio o di metodo, l’attività della P.A., e che, se osservati, avrebbero condotto ad un diverso esito quanto all’autorizzazione dell’attività inquinante: “vero è che il titolo ti consentiva di e- mettere fino a XY, ma a ben vedere avrebbe dovuto tenersi conto della regola scien- tifica Z, e consentirti di immettere la metà, ben al di sotto di quel che tu hai immes- so, così che la tua condotta, pur se formalmente osservante le prescrizioni dell’atto autorizzatorio, è abusiva”.

Tema delicatissimo, in linea di principio, perché l’appello ai principi generali, sino alle norme anche di rango primario che individuano nell’ambiente un inte- resse fondamentale, potrebbe esso sì disinnescare definitivamente il senso precetti- vo dell’avverbio, rimettendo nuovamente nelle mani del giudice, ex post ed alla stregua di criteri di giudizio potenzialmente anche molto generici, l’individuazione dell’area del penalmente illecito: esattamente così come si propone da parte di chi

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giudica tout court inidoneo ad una tutela efficace dell’ambiente l’affidamento alla P.A. dei compiti di tutela e di contemperamento degli interessi contrapposti.

Ammettere la rilevanza anche dei principi generali significa, di fatto, ammette- re una “visione della legittimazione e dei limiti di intervento del giudice penale a tutela dell’ambiente”18 che rimette all’autorità giudiziaria, potenzialmente per in- tero, la determinazione del tipo.

Il diritto dell’ambiente fornirebbe formidabili strumenti utili allo scòpo.

Si pensi, per tutti, al principio enunciato nell’art. 1.1 della parte II dell’Allegato I alla parte V del TUA, in materia di valori di emissione in atmosfe- ra, alla cui stregua “in via generale le emissioni di sostanze ritenute cancerogene e/o tossiche per la riproduzione e/o mutagene devono essere limitate nella maggiore misura possibile dal punto di vista tecnico e dell’esercizio”: potrà il giudice penale ritenere che i valori di emissione fissati in una certa autorizzazione non rispondo- no al principio indicato, perché – ad esempio – l’istruttoria amministrativa non ha tenuto conto di una certa tecnica potenzialmente applicabile all’esercizio dell’impianto e tale da minimizzare ulteriormente le emissioni? Magari una tecni- ca solo sopravvenuta, ma di cui egualmente l’imprenditore avveduto, onerato di obblighi di diligenza particolarmente stringenti, avrebbe dovuto/potuto confor- mare la propria condotta.

Potrà il giudice penale applicare il generalissimo principio di precauzione per contestare l’abusività della condotta in relazione a determinate emissioni, perché esse avrebbero potuto/dovuto contenersi in soglie minori (rispetto alle autorizza- te, non superate), pur difettando – all’epoca dell’autorizzazione – evidenze scien- tifiche solo successivamente consolidatesi?

Difficile non dare ragione a chi ha osservato che “ci sarà sempre una nuovissi- ma tecnologia o un nuovo studio” che si presteranno ad un giudizio di abusività della condotta di chi abbia ‘inquinato più che zero’: con buona pace del titolo concessogli da una P.A. anche straordinariamente zelante.

Beninteso, non è questione di buona o cattiva fede: è certamente in buona fe- de l’interprete che, in nome delle esigenze di tutela di un bene di rango primario, reputi doveroso minimizzare le pretese “lacune di tutela”. Il problema è che co- stui guarda alle disposizioni come armi, mezzi di lotta, a disposizione della magi- stratura per scòpi di tutela, confondendo il ruolo del giudice con quello della po- lizia giudiziaria o del pubblico ministero in trincea, dimenticando che “la legalità, anche costituzionale, deve prevalere sulla lotta, che può svolgersi solo entro i suoi confini”19.

18 L.MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente, in www.penalecontemporaneo.it, p. 15.

19 M.DONINI, Il diritto giurisprudenziale penale, in www.penalecontemporaneo.it, p. 14 s.

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La buona fede, o meglio il lodevole intendimento di operare interpretativa- mente per assicurare la tutela più efficace, stanno alla base del problema dell’autoritarismo bene intenzionato della magistratura, cioè di quella “situazione spirituale, nella quale buone intenzioni di tutela rischiano di alterare equilibri di sistema e di forzare limiti garantisti in direzione autoritaria”20.

Tema rilevantissimo in un settore quale quello in esame, in cui è scarsamente revocabile in dubbio che il cd. formante giurisprudenziale “domina incontrastato da sempre”21.

In un simile contesto, è certamente preferibile assegnare alla clausola in di- scorso il senso della violazione di precise prescrizioni normative, non anche di clausole di principio, o di principi ricavati da norme di rango primario.

La condotta di colui che si attiene alle prescrizioni di una autorizzazione – ad esempio rispettando i valori-soglia di emissione – non può mai reputarsi abusiva:

il giudice penale non è legittimato al sindacato delle valutazioni tecniche che sot- tostanno a quel provvedimento.

È questione di divisione di poteri, di rapporto tra cittadino e Stato, di rispetto del principio di lealtà e di legittimo affidamento.

Se si vuole, e da altro punto di vista, attingere ai principi generali significa qua- si sempre – in questo settore – occuparsi di questioni di discrezionalità tecnica, il cui sindacato è inibito per principio al giudice penale.

Diversamente, l’incertezza regnerebbe sovrana sotto il cielo di una qualsiasi attività produttiva.

E non varrebbero a disinnescare l’ingiustizia ‘ordinamentale’, connessa alla genetica imprevedibilità della norma incriminatrice, altri istituti – prevalentemen- te in punto di elemento soggettivo – pur correntemente evocati da chi propende per la tesi qui criticata: come già si è detto, è improprio affidare all’elemento sog- gettivo (già di per sé fragilissimo) il compito di correggere l’insufficiente determina- tezza della fattispecie. D’altra parte, resterebbe sempre il rischio dell’affermazione di un massimo onere di diligenza, comunque esigibile da operatori professionali in settori specializzati.

Identiche considerazioni per il principio di buona fede: che non vale ad emen- dare un difetto genetico di determinatezza o riconoscibilità del tipo legale, ed al contrario – se in tal senso adoperato – rischia di alimentare il fallimento del prin- cipio di legalità.

Un correttivo, questo, che resterebbe inaccettabile anche quando si postulasse sempre un esito favorevole per l’imputato in buona fede: al netto delle imperfe- zioni del sistema, e dunque dei possibili errori giudiziari, sarebbe comunque in-

20 D.PULITANÒ, Ermeneutiche cit., p. 5.

21 C.RUGA RIVA, Ancora sul concetto, cit.

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giusto indagare e processare per fatti di questa gravità, prima che condannare, un soggetto che abbia fatto legittimo affidamento nella funzione che la legge affida alla P.A. nel bilanciamento di interessi contrapposti.

Un affidamento oggettivo prima che soggettivo.

Un affidamento, aggiungiamo, tanto più imprescindibile in contesti caratteriz- zati da grande complessità tecnica: l’istruttoria amministrativa, i princìpi di tra- sparenza ed il diritto di partecipazione ed accesso al processo decisionale, costi- tuiscono la migliore garanzia di certezza, riconoscibilità, imparzialità tecnica nella fissazione dei confini dell’agire lecito.

Una garanzia di democraticità della regola tecnica, insomma: essenziale specie nella materia ambientale, in cui al ricorrente proporsi di teorie pseudo- scientifiche si accompagna un tasso talora insopportabile di ideologizzazione del sapere scientifico, che non ha eguali in altri settori (neppure in quello medico).

Strumento imperfetto anch’esso, quello del bilanciamento degli interessi affi- dato alla P.A.: che certamente non pone al riparo da errori, e che egualmente non garantisce dal verificarsi di fenomeni corruttivi o di significato analogo. In questa seconda evenienza – ma a nostro avviso solo in questa – soccorrerà tuttavia il principio oramai consolidatissimo della irrilevanza dell’atto abilitativo frutto di corruzione o comunque di illecito.

All’imperfezione – pretesa, e neppure sapremmo quanto realmente incidente sul piano pratico – del sistema amministrativo e delle norme di settore, e men che meno alla pretesa inclinazione pro inquinatori dell’intero ordinamento, certamen- te non si può rispondere con l’affidamento salvifico dei confini dell’illecito alla sapiente discrezionalità del giudice, neppure se bene intenzionato.

Fuori della violazione dell’atto autorizzatorio, nei termini che si sono precisati sopra, e della rilevante violazione di norme specifiche, specificamente preposte alla tutela ambientale, ci pare che non vi sia spazio per una condotta abusiva rile- vante ai fini delle norme in commento.

Riferimenti

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