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Licenziamento illegittimo dipendente pubblico, spetta la Naspi?

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Licenziamento illegittimo dipendente pubblico, spetta la Naspi?

Autore: Redazione | 10/01/2019

Il dipendente che perde involontariamente il lavoro ha diritto ad un sussidio da parte dell’Inps che viene denominato Naspi. Questa indennità non spetta ai dipendenti pubblici anche se è necessario specificare meglio tale eccezione.

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La Costituzione Italiana, nei suoi principi, afferma che lo stato italiano è uno Stato sociale. Ciò significa che le istituzioni pubbliche devono farsi carico di sostenere le persone nei loro momenti di difficoltà. Tra le varie vicende della vita che possono mettere in difficoltà una persona e la sua famiglia c’è, senza dubbio, la perdita del lavoro. Chi perde il lavoro, infatti, si ritrova da un giorno all’altro senza un reddito e non può dunque far fronte alle esigenze necessarie a vivere, per sè e per la propria famiglia. Per questo l’Inps eroga a chi perde il lavoro una apposita indennità di disoccupazione che ha cambiato nome nel corso del tempo e che oggi si chiama Naspi. Questo sussidio, tuttavia, non spetta a tutti i dipendenti. In particolare, è legittimo chiedersi: in caso di licenziamento illegittimo dipendente pubblico, spetta la NASpI?

Che cos’è la Naspi?

Come abbiamo detto, la Costituzione Italiana[1] afferma che lo Stato deve provvedere al supporto dei lavoratori che non sono in condizione di guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro a causa di un evento che impedisce loro di lavorare. tali eventi sono la malattia, l’inabilità al lavoro, la disoccupazione.

Chi perde il lavoro, infatti, piomba in una situazione di forte disagio economico a causa della perdita del reddito, con il quale il lavoratore assicura a sé ed alla sua famiglia, una esistenza libera e dignitosa. Ecco, quindi, che di fronte alla disoccupazione, l’Inps eroga al disoccupato un assegno mensile per un certo periodo di tempo nel quale il lavoratore deve attivarsi per trovare un nuovo impiego. Questo sussidio ha cambiato nome nel corso del tempo ma la sostanza non è cambiata di molto.

Oggi l’indennità di disoccupazione si chiama Naspi, che sta per Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego [2]. Si tratta di una indennità mensile di disoccupazione che sostituisce le precedenti prestazioni di disoccupazione ASpI e MiniASpI – in relazione agli eventi di disoccupazione involontaria che si sono verificati a decorrere dal 1° maggio 2015. La Naspi è erogata su domanda dell’interessato.

Da quando si prende la Naspi?

L’indennità di disoccupazione Naspi spetta a partire:

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dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, se la domanda è presentata entro l’ottavo giorno. Dal giorno successivo alla presentazione della domanda, se presentata dopo l’ottavo giorno successivo alla cessazione, ma entro i termini di legge;

dall’ottavo giorno successivo al termine del periodo di maternità, malattia, infortunio sul lavoro/malattia professionale o preavviso, se la domanda è presentata entro l’ottavo giorno. Dal giorno successivo alla presentazione della domanda, se viene presentata dopo l’ottavo giorno ma entro i termini di legge;

dal trentottesimo giorno successivo al licenziamento per giusta causa, se la domanda è presentata entro detto trentottesimo giorno. Dal giorno successivo alla presentazione della domanda, se viene presentata oltre il trentottesimo giorno successivo al licenziamento, ma entro i termini di legge.

La Naspi viene pagata mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive presenti negli ultimi quattro anni. Per fare un esempio, se Tizio ha lavorato, negli ultimi 4 anni, per 2 anni, prenderà la Naspi per un anno, ossia per un periodo di tempo pari alla metà del periodo lavorato negli ultimi 4 anni.

I periodi in cui il disoccupato prende la Naspi sono coperti da contribuzione figurativa [3] e, cioè, in questi periodi si prendono i contributi come se si lavorasse.

In un caso il lavoratore, anziché prenderla mese per mese, può chiedere l’intera Naspi tutta insieme. Questa possibilità è offerta a chi intende avviare un’attività lavorativa autonoma o d’impresa individuale o vuole sottoscrivere una quota di capitale sociale di una cooperativa, nella quale il rapporto mutualistico ha ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio. In questo modo si cerca di agevolare l’imprenditorialità dei disoccupati.

La Naspi spetta in tutti i casi di disoccupazione?

Non sempre la perdita del lavoro dà diritto alla Naspi. La legge richiede, infatti, che la perdita del lavoro sia involontaria. E’ evidente che se un lavoratore decide in

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autonomia di cambiare lavoro la Naspi non gli spetta poiché è stata una sua libera scelta che lo ha portato a perdere il lavoro.

La regola generale è, dunque, che la Naspi spetta solo in caso di licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro. Seguendo questa regola, la Naspi non spetterebbe mai in caso di dimissioni del dipendente o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (che si ha quando il rapporto di lavoro termina per scelta consensuale di entrambe le parti). Tuttavia questa regola non è così rigida come sembra. Vediamo perché.

La Naspi spetta in caso di:

licenziamento per giusta causa. In questo caso il licenziamento viene intimato poiché il dipendente ha commesso un fatto gravissimo, ad esempio ha rubato merce aziendale. Anche se si potrebbe pensare che in questo caso la perdita del lavoro non è involontaria, perché in effetti il dipendente “se l’è cercata”, la Naspi gli spetta;

licenziamento per giustificato motivo soggettivo o oggettivo;

dimissioni per giusta causa. Le dimissioni del dipendente sono per giusta causa quando è stato il datore di lavoro, con dei comportamenti inaccettabili, a mettere il lavoratore in condizione di andarsene, quasi obbligandolo. E’ il caso del datore di lavoro che non paga lo stipendio al dipendente, che effettua molestie sessuali, che adibisce il dipendente a mansioni degradanti, etc…;

risoluzione consensuale determinata dal rifiuto del dipendente ad essere trasferito in una sede aziendale che dista più di 50 km da quella di provenienza;

risoluzione consensuale firmata dalle parti nell’ambito della procedura di conciliazione delle controversie di lavoro presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro. Prima di licenziare un dipendente per motivi economici, l’azienda deve avviare una procedura di conciliazione presso gli uffici territoriali del Ministero del lavoro. Se, durante questa procedura, le parti si accordano sulla risoluzione consensuale del rapporto, al dipendente spetta eccezionalmente la Naspi.

La Naspi non spetta in caso di:

dimissioni volontarie del dipendente;

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risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, al di fuori dei casi visti sopra.

A chi spetta la Naspi?

La Naspi non spetta, come si potrebbe pensare, a tutti i dipendenti che rispettino i requisiti che abbiamo visto. Ci sono dei dipendenti che pur perdendo involontariamente il lavoro non possono prendere la Naspi. Vediamo a quali tipologie di lavoratori spetta la Naspi.

La Naspi spetta ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perduto involontariamente l’occupazione, compresi:

apprendisti;

soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le medesime cooperative;

personale artistico con rapporto di lavoro subordinato;

dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni.

Al contrario, non possono avere accesso alla prestazione:

dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni;

operai agricoli a tempo determinato e indeterminato;

lavoratori extracomunitari con permesso di soggiorno per lavoro stagionale;

lavoratori che hanno maturato i requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato;

lavoratori titolari di assegno ordinario di invalidità, qualora non optino per la NASpI.

Licenziamento illegittimo dipendente pubblico, spetta la Naspi?

Come abbiamo visto la Naspi spetta solo ai dipendenti pubblici assunti con contratto di lavoro a tempo determinato. A questi dipendenti, una volta scaduto il termine e cessato il rapporto, verrà erogata la Naspi.

Al contrario, la Naspi non spetta ai dipendenti a tempo indeterminato delle

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pubbliche amministrazioni. Il motivo sta nel fatto che questi dipendenti si trovano in una situazione di stabilità del posto di lavoro, vale a dire che il rischio di licenziamento è praticamente nullo e dunque non spetta loro la Naspi.

Si deve inoltre considerare che il fondo con il quale l’Inps paga la Naspi è alimentato con uno specifico contributo Naspi versato dagli stessi datori di lavoro. Le pubbliche amministrazioni non pagano questo specifico contributo per i dipendenti a tempo indeterminato ai quali sarà, dunque, preclusa la Naspi in caso di perdita involontaria del lavoro.

Occorre tuttavia precisare che questa regola vale solo per le pubbliche amministrazioni “pure” come i Ministeri, i Comuni, le Province, le Regioni, gli enti, etc. e non vale per le società a partecipazione pubblica. Per fare un esempio, si pensi alle società partecipate dai comuni che si occupano di trasporti, oppure di acqua e che assumono la forma di società private (s.p.a., s.r.l.).

Questo principio è stato affermato anche dalla Cassazione [4]. La Suprema Corte ha chiarito che le società a partecipazione pubblica, vanno escluse dal concetto di imprese pubbliche poiché la forma societaria è di diritto privato. La Cassazione ricorda anche che queste società devono pagare, con riferimento ai loro dipendenti, i contributi Naspi e Cassa Integrazione e dunque ai loro dipendenti spetta la Naspi in caso di perdita involontaria del lavoro.

Infatti, la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle società che gestiscono servizi pubblici non è diversa, in linea di principio, rispetto a quella dell’impiego alle dipendenze delle società private e, dunque, non c’è in queste società quella stabilità del rapporto, che si trova invece nel pubblico puro, che giustifica l’esclusione della Naspi.

Per valutare se ad un dipendente pubblico spetta la Naspi bisogna dunque capire prima se è dipendente di una pubblica amministrazione in senso stretto oppure di una società di diritto privato a capitale pubblico.

Note

[1] Art. 38 Cost. [2] Art. 1 D. Lgs. n. 22 del 4.03.2015. [3] Circolare Inps n. 94 del 12.05.2015. [4] Cass. sent. n. 27225 del 2017.

Riferimenti

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