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Il mercato del libro nella Milano di Federico Borromeo (1595-1631)

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE

CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE BIBLIOGRAFICHE, ARCHIVISTICHE, DOCUMENTARIE E PER LA CONSERVAZIONE E IL

RESTAURO DEI BENI LIBRARI E ARCHIVISTICI CICLO XXV

TESI DI DOTTORATO DI RICERCA

IL MERCATO DEL LIBRO NELLA MILANO DI FEDERICO BORROMEO (1595 1631)

Dottoranda Paola Arrigoni

Relatore: Chia.ma Prof.

Angela Maria Nuovo

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INDICE

Introduzione 3

Cariche dello Stato di Milano 7

1. Notizie biografiche della famiglia degli Antoni 9

2. La vendita della bottega degli Antoni (1603)

2.1 Storia e documenti 23

2.2. Inventario della vendita: struttura e consistenza 32

2.3 Datazione della merce libraria 46

2.4 Analisi della merce in bottega 60

3. L'inventario della vendita: analisi bibliografica

3.1 Inventario come fonte storica 79

3.2 Metodologia e trascrizione delle fonti 79

3.3 Quantità e assortimento 81

3.4 Analisi bibliometrica: le edizioni e i formati 85

3.5 Luoghi di produzione 88

3.6 Editori e stampatori 91

3.7 Le edizioni: il catalogo degli autori e dei titoli 96

3.8 Le edizioni: analisi linguistica 99

3.9 Edizioni spagnole 101

3.10 Edizioni milanesi 104

4. Il mercato del libro a Milano

4.1 Il mercato del libro a Milano 111

4.2 I privilegi di stampa a Milano nel XV secolo 126

4.3 I privilegi di stampa nel XVI secolo 151

4.4 La censura 164

Conclusioni 179

Inventario degli Antoni 183

Privilegi milanesi dei secoli XV e XVI 363

Edizioni degli Antoni 389

Documenti 419

Elenco degli stampatori e dei tipografi 439

Illustrazioni 451

Bibliografia 469

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Introduzione

Il lavoro intende dare un quadro dell’effettiva circolazione dei materiali a stampa a Milano tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento dal punto di vista delle attività dei librai con bottega. Il libro è un oggetto che, dopo essere stato prodotto, deve essere venduto come qualunque merce e la sua storia, di cui sono stati ampiamente studiati gli aspetti culturali ed editoriali, non può più prescindere dalla conoscenza delle dinamiche del suo mercato e dei meccanismi economico giuridici che ne sono alla base. Proprio in questa direzione vanno gli studi sul commercio librario, che delineano scenari e suggeriscono linee di indagine da seguire e da verificare

nella variegata situazione italiana. 1 Giovandosi di questa consolidata

storiografia, il presente studio si propone quindi di colmare la vistosa lacuna che riguarda la situazione del mercato librario milanese del Cinque Seicento, lacuna che ha concorso a generare un’immagine, per molti versi fuorviante, di un mercato di importanza secondaria e dal raggio ristretto. È nei primi due secoli che il commercio dei libri si perfeziona come specifica attività di scambio e circolazione di merci, portando il libro italiano, principalmente in latino, all’apice della diffusione su tutti i mercati allora raggiungibili dai mercanti librai italiani.

In quest’ottica ci si è volti alla situazione del Ducato di Milano: con lo scopo di illustrare le dinamiche di produzione, di vendita e le abilità imprenditoriali degli uomini del libro, è stata analizzata documentazione archivistica e bibliografica di operatori milanesi.

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Fonte principale dell’indagine è un eccezionale documento, l’inventario della «bottega granda» di Giacomo Antonio degli Antoni, redatto nel 1603 per la vendita dell’attività al cognato Giovanni Antonio Somasco. Questo tipo di documento solo di recente è stato incluso come fonte primaria per la ricostruzione del commercio librario poiché fornisce dati e informazioni utili per misurare la portata dell’attività commerciale: esso ha il pregio di riportare l’elenco di tutta la merce presente, il numero di copie disponibili e il valore patrimoniale, dati che un altro tipo di fonte, come il catalogo editoriale, non fornisce destinato com’è al pubblico per la vendita al dettaglio. Attraverso un’attenta analisi fisica, testuale e bibliografica del manoscritto, che conta più di cinque mila edizioni, si è così potuto delineare la fisionomia dell’importante e ricca bottega e, contestualmente, dare un quadro della disponibilità commerciale dei libri a Milano.

Il lavoro è stato condotto principalmente presso l’Archivio di Stato di Milano (Fondo Notarile) dove sono conservati l’inventario e gli atti che lo riguardano.2

Nel primo capitolo sono indagate le vicende biografiche e aziendali, strettamente connesse, della famiglia degli Antoni: i documenti d’archivio relativi sia all’attività commerciale sia alla vita privata aiutano a meglio comprendere il modus operandi dell’azienda e il suo ruolo nella realtà milanese.

Nel secondo capitolo, dapprima attraverso la cospicua documentazione notarile, si ripercorre la vendita della bottega. In seguito, attraverso l’analisi dell’inventario, fisica e testuale, si dà conto di tutta la merce in vendita al momento della cessione, della sua organizzazione nelle categorie commerciali del tempo.

Nel terzo capitolo sono esposti i risultati dell’analisi bibliografica. A questo scopo è stato usato un metodo quantitativo per la raccolta dei dati numerici e un metodo qualitativo per l’identificazione delle opere e degli autori. Le informazioni sono confluite in due database di 5.901 item ciascuno,

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strutturati in campi di ricerca interrogabili sia singolarmente sia con l’utilizzo di filtri. L’identificazione degli oltre 11 mila titoli elencati ha restituito un insieme di dati da cui derivare l’analisi, volta a dare un profilo descrittivo e numerico del vasto assortimento, a ricostruire l’andamento cronologico, la distribuzione quantitativa, linguistica e per materia delle edizioni e a tracciare la rete dei rapporti commerciali. La casistica di autori e relative opere serve a completare il profilo dal punto di vista culturale e dei settori disciplinari.

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Elenco dei governatori dello Stato di Milano nelle età di Carlo V (1535 1556), Filippo II (1556 1598), Filippo III (1598 1621) e Filippo IV (1621 1665):

1535 1536 Antonio de Leyva, principe di Ascoli, capitano della lega difensiva d'Italia.

1536 1538 cardinale Marino Ascanio Caracciolo, cesareo luogotenente generale del dominio milanese.

1538 1546 Alfonso d'Avalos d'Aquino, marchese del Vasto, governatore militare.

1546 Alvaro de Luna, castellano, ottenne la carica interinalmente

1546 1555 Ferrante (o Ferdinando) Gonzaga, principe di Molfetta, duca di Ariano, capitano generale.

1555 1556 Fernando Alvarez de Toledo, terzo duca d'Alba, capitano generale d'Italia.

1556 1557 cardinale Cristoforo Madruzzi, vescovo e principe di Trento e Bressanone, luogotenente.

1557 Giovanni de Figueroa, castellano, governò interinalmente.

1558 1560 Gonzalo II Fernández de Córdoba, duca di Sessa, primo mandato.

1560 1563 Francesco Ferdinando d'Avalos de Aquino, marchese di

Pescara.

1563 1564 Gonzalo II Fernández de Córdoba, duca di Sessa, secondo mandato.

1564 1571 Gabriel de la Cueva, duca di Albuquerque, marchese di Cugliar, conte di Ledesma e Huelma.

1571 1572 Alvaro de Sande, capitano generale in Italia, castellano di Milano.

1572 1573 Luis de Zúñiga y Requesens.

1573 1580 Antonio de Guzmán, marchese d'Ayamonte, del consiglio segreto. 1580 1583 Sancho de Guevara y Padilla, castellano e capitano generale. 1583 1592 Carlo d'Aragona Tagliavia, principe di Castelvetrano, duca di

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1592 1595 Juan Fernández de Velasco, connestabile di Castiglia, duca di Frias, conte di Haro e Castelnuovo, signore della casa dei Velasco, primo mandato.

1595 Pedro de Padilla, castellano, governò interinalmente. 1595 1600 Juan Fernández de Velasco, secondo mandato.

1600 1610 Pedro Enríquez de Acevedo, conte di Fuentes, del consiglio di stato.

1610 1612 Juan Fernández de Velasco, terzo mandato.

1612 1616 Juan de Mendoza y Velasco, marchese de la Hynoiosa, gentiluomo della camera e del consiglio di guerra, generale dell'artiglieria di Spagna.

1616 1618 Pedro de Toledo Osorio, marchese di Villafranca. 1618 1625 Gomez Suarez de Figueroa y Córdoba, duca di Feria.

1625 1629 Gonzalo Fernández de Córdoba, capitano generale del consiglio di guerra.

1629 1630 Ambrogio Spinola Doria, marchese de los Balbases,

commendatore maggiore di Castiglia.

1630 1631 Alvaro de Bazán, Marchese di Santa Cruz, generale del mare.

Abbreviazioni

AEM Acta Ecclesiae Mediolanensis

ASCMi Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana ASDMi Archivio storico diocesano di Milano

ASL Archivio storico lombardo

ASMi Archivio di Stato di Milano

Edit16 Censimento nazionale delle edizioni italiane del XVI secolo

GW Gesamtkatalog der Wiegendrucke

KVK KVK Karlsruhe Virtual Catalog

ISTC Incunabula Short Title Catalogue

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1. Notizie biografiche della famiglia degli Antoni

Giovanni Antonio degli Antoni nacque a Sabbio Inferiore nella Riviera di Salò, sulla sponda bresciana del lago di Garda, probabilmente nel 1527.1

L’imprecisione deriva dall’esistenza di due diversi status animarum milanesi che dichiarano per il 1566, rispettivamente, un’età di 39 e 35 anni.2 Un aiuto

a far chiarezza può arrivare dal contratto che degli Antoni concluse con il libraio pavese Francesco Negroni nel 1553. La sottoscrizione dell’atto richiedeva soggetti giuridicamente capaci, cioè che avessero compiuto i 25 anni, ragione che porta a individuare nel 1527 l’anno di nascita. I patti prevedevano che degli Antoni, indicato il ‘de Sabio’, acquistasse una fornitura di libri giuridici (diversarum legum) a Lione e che Francesco Negroni anticipasse la somma di 120 scudi d’oro per il pagamento dei volumi. Solamente alla consegna, a Pavia, avrebbe avuto luogo il saldo finale di altri 100 scudi d’oro.3

Il documento rivela che nel 1553 degli Antoni era già, quindi, in grado di procurare testi da Lione tramite un esercizio commerciale, a disposizione di librai milanesi e di altre città limitrofe, ben avviato e assortito. Il suo arrivo a Milano, da Venezia, doveva risalire a qualche anno prima, al 1552 come

confermano alcuni documenti.4

1 Notizie bio biobliografiche sub voce: Roberto Gallotti in Dizionario dei tipografi e degli

editori italiani: il Cinquecento, Milano, Bibliografica, 1997, p. 35 37 e Nicola Raponi in Dizionario biografico degli italiani, Milano, Treccani, 1961, v. 3, p. 509.

2 Gli status animarum appartengono entrambi alla parrocchia S. Michele al Gallo di Milano, uno redatto da Gerolamo Acqua nel 1574 e l’altro da Nicola Laghi nel 1581 (Archivio Storico Diocesano di Milano, d’ora in poi ASDMi, sezione x, S. Maria segreta, 6, q. 25, f. lv e q. 26, f. lv). Riccardo Bottoni, Libri e lettura nelle confraternite milanesi, in Stampa, libri e letture a

Milano nell’età di Carlo Borromeo, a cura di Nicola Raponi e Angelo Turchini, Milano, Vita e

Pensiero, 1992, p. 270.

3 Nell’atto la residenza di Giovanni Antonio degli Antoni è indicata in porta Romana, parrocchia di S. Tecla. Archivio di Stato di Milano (d’ora in poi ASMi), Notarile, Giuseppe Porri, filza 11962, Pacta, 14 agosto 1553.

La moneta vigente era la lira imperiale con le sue frazioni: 1 lira imperiale = 20 soldi = 240 denari; 1 soldo equivaleva a 12 denari. Lo scudo valeva circa 5 lire e 12 soldi. Angelo Martini,

Manuale di metrologia, ossia Misure, pesi e monete in uso attualmente e anticamente presso tutti i popoli, Torino, E. Loescher, 1883, p. 353 354.

4 « […] Antonio di Antoni (who had plied his trade in Venice before moving to Milan in 1552)» Kevin M. Stevens, Printing and patronage in Sixteenth century Milan: the career of

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Il suo nome, infatti, compare negli allegati di una confessio del 30 maggio

1554.5 Il milanese Giovanni Ambrogio “De Restis”, residente nella parrocchia

di Santa Tecla in porta Romana, dichiarava di aver ricevuto il saldo di un credito dai librai pavesi Paganino Paganini e Michele Parenti. A nome loro aveva pagato 252 lire imperiali al libraio Pietro Antonio Sessa.6 Scorrendo i 5

allegati si legge come Sessa e degli Antoni avevano seguito una spedizione di libri da Lione, tramite i Giunta, organizzata in 14 balle, proprio per i due librai pavesi. Per il servizio Paganino e Parenti avevano pagato, tra il 1550 e il 1552, 100 scudi a Sessa, mentre nel 1552 ne avevano versati 50 a degli Antoni. Non potendo far fronte a tutto l’importo erano poi dovuti ricorrere a un prestito. Dalla lettura si vede come il ruolo svolto da Giovanni Antonio degli Antoni e da Pietro Antonio Sessa fosse stato non solo di fornire libri, se necessario a credito, ma anche di procurarli da Lione e supervisionare le consegne.

Degli Antoni agiva in qualità di procuratore di Sessa: nel 1552 però il libraio moriva e la vedova Caterina Resta con il figlio Giulio Cesare, impossibilitati a mandare avanti la bottega, decidevano di affidarne la gestione a degli Antoni. Il contratto quinquennale, a partire dal 1553, stabiliva che degli Antoni mettesse a disposizione solo le proprie competenze per il buon andamento dell’attività, in attesa che il ragazzo imparasse il mestiere. Alla fine dei cinque anni, pagati tutti i creditori, rientrato il capitale iniziale, quanto rimaneva era da dividere in egual misura tra i due contraenti.7

5 ASMi, Notarile, Giuseppe Porri, filza 11963, Confessio, 30 maggio 1554 e Kevin M. Stevens,

New light on Andrea Calvo and the book trade in Sixteenth century Milan, «La Bibliofilia»

102(2001) n° 1, p. 46.

6 Pietro Antonio, nipote di Melchiorre Sessa, risiedeva a Milano, dove aveva bottega di libraio, come spiega Angela Nuovo in Il commercio librario nell’Italia del Rinascimento, 3. ed., Milano, Franco Angeli, 2003, p. 175n.

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Degli Antoni, in breve tempo, aveva dimostrato di essere un abile commerciante, di avere esperienza e capacità, indubbiamente acquisite e perfezionate durante il periodo veneziano: a questo legame può essere ricondotta la conoscenza di Vincenzo Somasco, editore e libraio originario di Pavia, ma attivo nella città lagunare. I buoni rapporti fra i due sfociarono nel 1559 nel matrimonio fra degli Antoni e la figlia del Somasco, Benedetta, che

portava in dote la somma di duemila lire imperiali.8

La coppia abitava a Milano nella casa dei Piantini, in contrada degli Orefici, con il nipote Giovanni Antonio, figlio del fratello Giacomo.9 Lavoravano al

suo servizio, dal 1557 il nipote Giovanni Antonio, e da prima del 1557, l’altro nipote Giovanni Antonino, figlio del fratello Ludovico. Tra il 1560 e il 1570 fu di appoggio ai trasferimenti in città da parte dei figli delle due sorelle, i nipoti Pietro, Francesco, Simone, Michele, Comin e Battista Tini affinché intraprendessero lo stesso mestiere.10

Per consolidare e ampliare la propria posizione sul mercato, degli Antoni nel 1561 acquistò la consistente attività del tipografo di origine bergamasca

bisogno et assortimento de detta botega, havendo amplia libertà sì nel comprare quanto nel vendere tanto a contante come a credenza si come a lui parerà expediente per benefitio de detta compagnia [...] Al fine della quale compagnia se habia a dividere in questo modo: cioè pagare prima tutti li creditori [...] poi restituire alli detti heredi la somma del capitale che loro haveranno posta in detta compagnia in tanti libri che alhora si troveranno in essere per li medesimi preti et ordini servato [...] del detto primo inventario [...] et di poi tutto il restante che si troverà alhora in essere così denari come debitori et libri et ogni altra qualsivoglia cosa aspetante a questa compagnia se habia a dividere per mità, cioè la mità al detto Julio Cesare et l’altra mità al detto Gio. Antonio defalcando della portione de ciascuno tanto che fussi debitore per danari tolta per giornata il suo vestire». Approfondito esame del contratto è in Kevin M. Stevens, Printers, publishers and booksellers in Counter

Reformation Milan: a documentary study (Ph.D. dissertation, University of Wisconsin,

Madison, 1992), p. 394 400. Lo studioso rileva che, già dal 1552, degli Antoni era procuratore di Melchiorre Sessa, zio di Pietro Antonio, come anticipato nella nota 6, e agisse da collegamento tra i due: la bottega di Pietro Antonio, al segno del leone, era sita al Broletto. 8 L’importo della dote è in ASMi, Notarile, Carlo Matteo Bonanomi, filza 19616, Procura, 23 novembre 1594. Per la trascrizione si rimanda all’appendice.

9 Per distinguere Giovanni Antonio degli Antoni dall’omonimo nipote sono introdotti i sottotitoli senior e junior.

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Fa m i gli e degli Antoni - Som a sco

Giovanni Antonio degli Antoni

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Francesco Moscheni.11 Oberato da impegni finanziari e alla ricerca di denaro per

i creditori, Moscheni vendette le due botteghe situate in piazza dei Mercanti con tutti i beni contenuti, libri, stampe, matrici, strumenti di legatoria e suppellettili d’arredo.

Il contratto, stipulato alla presenza del notaio Giovanni Guglielmo Pusterla, prevedeva che si stabilisse il prezzo per ogni tipo di merce. Libri e stampe provenienti da Venezia e da altri circuiti stranieri sarebbero stati pagati secondo il prezzo lagunare: la merce corrispondente a un marchetto veneto sarebbe stata pagata un soldo milanese e, limitatamente al materiale veneziano, si prometteva un ulteriore sconto del 27 per cento. I volumi stampati da Moscheni erano valutati 8 lire per risma, eccetto che per i più economici testi scolastici, donati e grammatiche, ridotti alla metà, 4 lire la risma. Arredi e utensili sarebbero stati ceduti in base alla stima effettuata da esperti, come le legature valutate però secondo il costo corrente. Inoltre Moscheni trasferiva a degli Antoni il contratto d’affitto delle due botteghe, di proprietà di Cesare Carcano, per lo stesso tempo e allo stesso prezzo.12

L’accordo tra Moscheni e degli Antoni prevedeva che il primo pagamento, di 150 scudi d’oro, fosse da effettuarsi al momento della stipula dell’atto di vendita e

11 Una precisa analisi dell’attività di Francesco Moscheni e dei suoi rapporti con degli Antoni in Kevin M. Stevens Printing and patronage, cit., p. 152 158.

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coprisse anche l’affitto dei locali: la cifra rimanente, da stimare, era da corrispondere nei tre anni successivi. Il Moscheni esigeva anche il pagamento dei creditori veneziani, la cui somma di 300 scudi sarebbe stata saldata da degli Antoni e detratta dal totale, e procurava l’effettiva licenza per il passaggio di affitto. Ma non si sarebbe ritirato definitivamente, la vendita gli aveva permesso, dopo aver pagato i debiti, di rimanere in attività per altri sei anni, fino al 1566.

Uno dei due locali era la “bothega granda”, identificata poi dal segno del grifone: l’atto di acquisto dimostra il giro d’affari che degli Antoni senior aveva raggiunto.

All’attività commerciale il libraio univa la produzione tipografica. Sotto questo profilo, nel 1564, è da segnalare l’interessante vicenda della ristampa milanese delle Lettere e del Dialogo spirituale di Bonsignore Cacciaguerra le cui onerose condizioni indussero degli Antoni senior a rinunciare. La ristampa delle Lettere sarebbe arrivata sul mercato un anno dopo la prima edizione, stampata da Giovanni Maria Viotti a Venezia nel 1563 con privilegio, provvedimento che avrebbe precluso i mercati di Venezia, Roma, Firenze e Napoli.13 Cacciaguerra

chiedeva anche di non vendere per sei mesi la ristampa a Genova, dove Viotti aveva inviato un certo numero di copie, saturando le possibilità di smercio. Inoltre, per non incorrere nella censura, bisognava che il testo fosse adeguatamente corretto o che almeno fosse inserita la tavola degli errori; l’autore, infine, richiedeva 50 copie omaggio o quante ne concedeva la benevolenza dello stampatore.

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Dopo cinque mesi di trattative Giovanni Antonio degli Antoni senior scriveva al

barnabita Girolamo Marta, che aveva fatto da tramite, un risoluto messaggio:14

Milano 13 dicembre 1564.

L’è quatro giorni che ò auto certi libri da Bonsig.r. Caciaguera li quali V.R. me

proposi, dil che le avissa per la sua che colui à il prevelegio de Venetia et de Roma et non voli ne posi mancho mandar a Genoa, siche concludo de non voler far questa spexa. Siche io non le voglio far altramente et vele mando a Voi detti sui libri et la sua lettera anchora acio posiati vedere con verità quelo che vi dico.

Non altro, Christo vi guardi

Vostro

Gio. Antonio di Antoni.

Al deto Bonsig.re non li scrivo altramente per eser ocupato et V.S. li potrà scrivere lei quelo li ò detto.

In calce d’altra mano: resposto a dì ultimo di Gennaro del’65, che Ms. Antonio non

vuole stampare stante i decreti di Rhoma et di Venetia

Degli Antoni senior, infastidito dalle eccessive restrizioni, metteva fine alla trattativa diretta sia alla pubblicazione delle Lettere sia del Dialogo spirituale: non avrebbe stampato né l’una né l’altro. Le Lettere avrebbero visto la luce in Milano nel 1567, a opera dei fratelli Meda, mentre Viotti stesso, già nel 1564, realizzava la ristampa, seguita da successive edizioni veneziane e romane, continuate fino al 1584.15

14 Romeo de Maio, Bonsignore Cacciaguerra un mistico senese nella Napoli del Cinquecento, Milano Napoli, Ricciardi, 1965, p. 163 164 e appendice p. 202 203 dove sono riportati i testi di entrambe le lettere.

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Il buon andamento del mercato milanese e il ruolo che vi rivestiva degli Antoni senior sono testimoniati da due lettere che Pietro Galesini, in qualità di collaboratore, scriveva all’arcivescovo Carlo Borromeo.16

Nella prima, datata 18 ottobre 1567, Galesini riportava la testimonianza del nostro libraio per il quale, dall’arrivo dell’arcivescovo, si era registrato un aumento dei guadagni passati dai 3 mila ai 4 mila scudi annui:

[…] Doppo che V.S. Illustrissima è in Milano si vendono tanti libri di theologia, spirituali, et concilii di Trento, che a pena i librari possono supplire, anzi mi dice ms. Antonio libraro, che dove per avanti in ciascun anno egli arrivava nella vendita de i libri a tre mila scudi, in quest’anno, che lei è stata in Milano, ha passato quattromila et dove prima si vendevano se non libri volgari, di romanzi et altre vanitadi hora non si vendono se non libri de Santi Padri, dottori della Chiesa, Bibie, Catechismi, dottrine christiane, concilii di Trento, Somme et libri spirituali.17

Nella seconda lettera, datata 5 maggio 1568, Galesini lamentava la cattiva abitudine dei religiosi, chiamati a esercitare il ministero in città per conto dell’arcivescovo, di lasciare da pagare i libri che compravano presso la bottega:

[…] Il medesimo padre [fra Giovanni Volati predicatore del Duomo ndr.] ha lasciato qui con me ms. Antonio librario per libri hauuti circa quindici scudi di debito, de i quali il signore Conte Giambattista Borromeo ha promesso di pagarne dodeci, del resto, che sono circa tre scudi, il detto padre, vorrebbe, come anco ne supplica V.S. illustrissima che gli facesse pagare.18

La risoluzione di un credito poteva non avvenire in modo così pacifico e richiedere invece le vie legali. Degli Antoni senior dovette chiedere l’intervento dell’autorità preposta in tre casi: con il podestà di Varese, Giovanni Paceco, con

16 Pietro Galesini, nacque ad Ancona verso il 1520 e morì a Milano verso il 1590. Benedettino, storico, cronista e traduttore fu protonotario apostolico, rimase con Carlo Borromeo dal 1561 sino alla morte, coadiuvandolo anche nelle decisioni disciplinari.

17 Mario Bendiscioli, Come San Carlo Borromeo si interessasse di commercio librario, «Echi di San Carlo Borromeo» (1938), p. 701.

18 Enrico Cattaneo, La cultura di San Carlo. San Carlo e la cultura, in Stampa, libri e letture a

Milano nell’età di Carlo Borromeo, a cura di Nicola Raponi e Angelo Turchini, Milano, Vita e

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Guglielmo Pusterla, appaltatore della gabella del sale e con il conte Giovanni Battista Borromeo.

Nel 1569 il podestà di Varese aveva ottenuto libri per una somma di 57 scudi d’oro, di cui una prima parte era da pagare a gennaio, mentre il saldo sarebbe seguito a Pasqua. Scaduti i termini non veniva effettuato alcun pagamento. L’8 luglio 1570 degli Antoni senior indirizzava una supplica al Magistrato straordinario delle entrate affinché:

non lascino pagar a detti dottor Pacheco et sua sigurtà alcuni danari delle loro provvisione sino che al detto supplicante non sia integralmente satisfatto del detto suo credito.19

Nonostante la supplica avesse avuto parere favorevole degli Antoni senior ottenne indietro solo alcuni libri, per di più danneggiati.

Nel caso dell’appaltatore della gabella del sale Guglielmo Pusterla, che gli doveva 120 lire imperiali, degli Antoni senior nel 1574 si faceva costituire procuratore per riscuotere la gabella fino all’esaurimento del credito.20

Più lunga e complicata è la causa con Giovanni Battista Borromeo, che aveva preso a credito libri per 14 anni, dal 5 marzo 1562 al 14 agosto 1576, accumulando un debito di 222 lire imperiali, 18 soldi e 6 denari.21

Il 30 agosto 1577 per recuperare il credito degli Antoni senior si rivolgeva al Magistrato straordinario delle entrate dello Stato di Milano in quanto i beni del conte Borromeo, colpevole dell’omicidio della moglie, erano stati confiscati. Allo scopo inoltrava un memoriale dove, giurando di non fare predictam petitionem seu contradictionem malitiosam nec animo calumniandi, presentava l’elenco dei libri e le dichiarazioni dei nipoti e del legatore, in base alle quali i volumi erano stati regolarmente consegnati a casa del conte e mai pagati.

19 Emilio Motta, Briciole bibliografiche, Como, Tip. Ditta Carlo Franchi di A. Vismara, 1893, p. 22 23 e ASMi, Registro delle Cancellerie dello Stato, XVII, 8, f. 207.

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Le testimonianze descrivevano il Borromeo come un assiduo frequentatore, come un attento lettore delle novità man mano che arrivavano da Lione, Parigi, Basilea, Colonia, Venezia e Firenze. Proprio con lo scopo di costituire una biblioteca adeguata al proprio rango si era rivolto alla fornita bottega degli Antoni.

I titoli che il conte aveva acquistato nei 14 anni erano 343 e venivano tutti elencati con i relativi prezzi.22 I prezzi nella lista però non corrispondevano al

valore attuale, perché, presi dal libro mastro, erano quelli stabiliti al momento della vendita. Ciò significava che alcuni titoli sarebbero stati sovrastimati e altri sottostimati per entrambi le parti, sia per il creditore che per il debitore, spiegava il nipote Giovanni Antonino, addetto sia alla vendita che alla registrazione dei libri sul giornale di bottega:

et al presente gli è de detti libri che gli venderie al doppio et alcuni ch’al presente non valeriano tanto come si lege in detta lista, perché hogi venerà un opera nova ognuno ne vole doppo da lì ad alcuni anni valeno essi libri la mità.23

E dello stesso parere era anche l’altro nipote Giovanni Antonio junior:

Et ha havuto delli libri il detto signor conte che al presente si venderiano il doppio come saria le opere del Tartaglia et le opere del Vignola et altri che sono descritti in detta lista, che ne sono anche, ch’al presente no valeno la mità perché dirò così hoggi sarà stampata un’operetta, quelli che si dilettano di tale scientia la comprano, che di poi che l’hanno letta la voleno tornar a vendere, non la venderano la mità et alcuni libri si venderano più e così va il nostro esercitio.24

Per correttezza si decideva quindi di far valutare i prezzi da un perito esterno, il libraio milanese Gerardo Comaschi, il quale ne attestava la conformità.

22 Di questi 156 titoli riguardavano opere di autori antichi e moderni che andavano dal genere letterario a quello storico, filosofico, medico, geografico e militare, comprendendo trattati di architettura e agricoltura, fino alle pubblicazioni religiose.

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Il legatore Zaccaria de «Tribus occulis», oltre a confermare le lunghe visite del conte in bottega, raccontava di come richiedesse i servizi di legatura e delle volte che, mandato a recuperare i crediti, era tornato a mani vuote o con promesse di acconti in natura (frumento, segale e vino).

La causa andò a buon fine: il 7 novembre 1578 il Magistrato straordinario riconosceva degli Antoni creditore del conte e il 17 dicembre ordinava all’esecutore dei beni, Francesco Panigarola, di saldare il debito appena fosse stato possibile.

Le controversie riguardarono anche le relazioni familiari. Il 24 febbraio 1575, prendendo a causa la mascherata organizzata dai librai per la nascita del primogenito del re nel 1572, degli Antoni inoltrava una petizione al governatore di Milano contro i propri nipoti Tini. Denunciava la mancata partecipazione di Pietro e dei suoi fratelli, Francesco e Simone, e il loro atteggiamento sprezzante, sfociato in insulti diretti e provocazioni verso la sua persona, cui dovevano cinquemila lire imperiali, avute in prestito per acquistare la bottega, che si rifiutavano rifondere; stanco dei ritardi e dei comportamenti ingiuriosi, volti a scoraggiarlo, dopo una prima querela al podestà coglieva l’occasione per sollecitare nuovamente un intervento dell’autorità.25

L’inserimento nella vita sociale della città del libraio è testimoniato dall’appartenenza alla confraternita del Corpus Domini di San Gallo. Il 13 agosto 1566 assumeva la carica di officiale della pace, mentre il nipote Giovanni Antonio e le rispettive mogli risultavano nell’elenco degli iscritti della congregazione. Nel 1569 vi era un ordine di pagamento di 150 soldi a suo favore e nel 1573 il suo nome compariva ancora tra quelli che avevano acquistato torce in occasione della visita pastorale di Carlo Borromeo.26

25 Marina Toffetti, The Tini Family, cit., p.260 261; 263. « [...] detti Tini sendo debitori de lib. 5000 in circa ad uno d’essi, chiamato Antonio delli Antoni, l’hanno sempre provocato, [...] con molte ingiurie et vilanie per loro dette ad un suo nipote, et tutto con intentione si potessero provocarlo à qualche resentimento, di farli perdere il credito suo ò parte d’esso, la qual cosa hormai non potendo più tollerare, ne diede querela avanti il podestà di Milano; et per che, procedendo per la via ordinaria, essi Tini non faranno stima né ubidiranno, essi come hormai dovrebbe cessare, per la pena ordinaria molto leggiera, tuttavia van crescendo maggiormente, favorendoli il detto podestà, acciò dunque che questa perserveranza sia castigata [...]». ASMi,

Potenze Sovrane, cart. 4., 24 febbraio 1575.

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Il 14 ottobre 1583 faceva testamento e nominava erede universale il nipote Giovanni Antonio, poiché dal matrimonio non erano nati figli. Poco tempo dopo vi aggiungeva un codicillo per salvaguardare la dote della moglie. La morte

sopraggiungeva nel novembre 1583.27

Nella gestione dell’attività subentrava il nipote Giovanni Antonio, figlio del

fratello Giacomo.28 Nato intorno al 1548, lavorava alle dipendenze dello zio dal

1557: aveva sposato Chiara Somasco, sorella di Benedetta, sua zia, rafforzando ulteriormente i legami commerciali tra le due famiglie. Il matrimonio era stato celebrato nel 1568 e lo stesso zio aveva provveduto a dare alla ragazza, a un tempo cognata e nipote, una dote di quattromila lire imperiali.29

Anche per lui i documenti attestano l’appartenenza a confraternite religiose. Dopo il periodo presso quella del Corpus Domini, della parrocchia di S. Gallo, passava alla confraternita di S. Gerolamo nella chiesa di S. Nazario alla Pietrasanta. Negli anni 1573 e 1577 vi ricopriva la carica di tesoriere; nel 1577 era nominato priore per volontà di Carlo Borromeo, incarico nuovamente affidatogli nel 1599.30 Al 3 luglio 1585 era tra gli ufficiali eletti per il governo

della compagnia del SS. Sacramento presso la parrocchia di S. Michele al Gallo, in qualità di vicepriore, carica tenuta fino al 1587.31

27 Anche per la morte, come per la nascita, esistono due documenti: uno in data 24 novembre presso la parrocchia di San Simpliciano (ASDMi, sezione x, S. Simpliciano, 3, q. 2), l’altro in data 29 novembre 1583 presso la parrocchia di San Michele al Gallo (ASDMi, sezione x, S.

Maria segreta, 6, q. 9). Si veda Riccardo Bottoni, Libri e lettura nelle confraternite milanesi,

cit., p. 269, nota 77.

28 In realtà nel 1580 degli Antoni senior vendette l’attività ai propri nipoti Giovanni Antonio junior e Giovanni Antonino, uniti in società con il cartaio Giovanni Battista Sirtori, genero di Pacifico da Ponte. Nell’accordo degli Antoni riportava il cambio con le altre monete correnti, provenienti rispettivamente da Venezia, dalla Francia (Parigi, Lione ecc.); dalla Germania e Fiandre; da Roma e altre città italiane, confermando così la rete internazionale dei suoi commerci. Il costo finale era stimato a 106,873 lire 16 soldi e 9 denari e il pagamento prevedeva 885 lire imperiali al mese più altre 318 per l’affitto di negozio e magazzino da espletarsi fino a compensazione. La società tra i nipoti degli Antoni e Sirtori avrebbe dovuto durare al massimo 12 anni. I particolari dell’accordo in Kevin M. Stevens, Printers, publishers and booksellers, cit., p. 403 407.

29 L’importo della dote è in ASMi, Notarile, Carlo Matteo Bonanomi, filza 19616, Procura, 23 novembre 1594. Notizie della famiglia degli Antoni si trovano in Il mestier de le stamperie de i

libri: le vicende e i percorsi dei tipografi di Sabbio Chiese tra Cinque e Seicento e l’opera dei Nicolini, a cura di Ennio Sandal, Brescia, Grafo, 2002, p. 55 60.

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Nel 1603, infine, decideva di vendere la “bothega granda” al cognato, Giacomo Antonio Somasco, fratello di Benedetta e Chiara. La decisione giungeva, probabilmente, dopo un periodo di difficoltà.

Nel maggio del 1590 aveva subaffittato a Giulio Cesare «Alphero» una casa con bottega, posta nella parrocchia di San Gallo: il contratto prevedeva un periodo di 7 anni e una cifra di 80 scudi d’oro l’anno da pagarsi in due rate, a Pasqua e nel giorno di San Michele. Cinque anni dopo, il 3 aprile 1595, i mancati pagamenti costringevano degli Antoni a ricorrere al Vicario pretorio per farsi riconoscere creditore della somma di 270 lire imperiali, per i fitti arretrati non pagati. Il 5 aprile riusciva a recuperare 243 lire imperiali e 14 soldi pro plena et completa solutione della locazione, il cui effettivo costo era di 480 lire imperiali l’anno.32 Nello stesso giorno pagava, a sua volta, una parte di quell’affitto, 100

lire imperiali, al reale proprietario della casa Girolamo Lecco.33

La bottega subaffittata non poteva essere la “bothega granda”. Un documento dell’autunno dello stesso anno riporta il pagamento per la locazione di altri due negozi in piazza dei Mercanti. Il costo annuale delle due apoteche era di 128 lire imperiali e degli Antoni junior ne liquidava una parte, 61 lire imperiali, al collega tipografo Agostino da Tradate, il quale avrebbe girato la somma a Ferrante Carcano il legittimo possessore, il cui nome tornerà nella vendita della “bothega granda” del 1603.

L’anno 1595 offre anche documenti che riguardano gli affari di famiglia. Girolamo Bizzozero, tutore di Camillo e Ludovico, fratelli «de Antoniis», esigeva il rimborso di 126 lire e 3 soldi, anticipati per la cura dei ragazzi ancora in minor età (ad beneficium dictorum minorum). La nota spese allegata dettaglia gli acquisti sostenuti per l’abbigliamento e per la scuola dei due figli degli Antoni.34

Le volontà testamentarie dello zio imponevano che il nipote liquidasse le doti della moglie, quattromila lire, e della zia/cognata, duemila lire. Alla richiesta di esecuzione degli Antoni junior provvedeva, l’11 giugno 1595, intestando loro

32 ASMi, Notarile, Carlo Matteo Bonanomi, filza 19617, Confessio, 4 aprile 1595, documento n.1763.

33 ASMi, Notarile, Carlo Matteo Bonanomi, filza 19617, Confessio, 5 aprile 1595, documento n.1764.

34 ASMi, Notarile, Carlo Matteo Bonanomi, filza 19617, Protestatio, 6 maggio 1595, documento n.1776. Circa i figli dell’Antoni si veda Kevin M. Stevens, Selling books on commission: two

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case e terreni situate nel comune di Sabbio.35 Il precedente è la procura del

1594 affidata da Benedetta e Chiara al bresciano Geronimo ‘de Bonetiis’ per agire a loro nome (agendum et causandum), anche legalmente, contro chi accampasse diritti sui beni in loco Sabii territorii Riparie Salonensis, lasciati da degli Antoni senior, o volesse impossessarsi dei medesimi; in attesa che tali beni venissero dati a pagamento (in solutum), Geronimo li avrebbe amministrati dandoli in locazione (ficti simplicis nomine) trattenendone le quote d’affitto con relativi confessi. Tutto ciò a soddisfazione dei crediti dotali delle due sorelle.36

Non è chiaro perché dovesse rendere le doti: si può pensare che nel frattempo ci siano stati ulteriori scambi di denaro tra le famiglie che spieghino il gesto.

Di lì a pochi anni la “bothega granda” sarebbe passata sotto la gestione della sola famiglia Somasco. Degli Antoni junior, in attesa che si compissero i termini della vendita, avrebbe continuato a esercitare il mestiere nell’altro locale rimasto a suo nome. Oltre alla produzione tipografica dove rimase in attività fino al 1609, un documento del febbraio 1606 riporta un suo commercio di libri

con il parente «Giacomo de Antoniis, del fu Domenico».37 L’anno precedente gli

aveva ceduto volumi per la considervole cifra di 2.200 lire imperiali e il documento attesta il saldo finale, di 200 lire, pro plena et completa solutione et integra satisfactione della vendita.38

35 Il notaio bresciano Sigismondo Raimondi redigeva la datio dei beni immobili per un totale di 14 mila lire imperiali, in cui erano compresi altri lasciti. Si rimanda a Il mestier de le stamperie

de i libri, cit., p. 57.

36 ASMi, Notarile, Carlo Matteo Bonanomi, filza 19616, Procura, 23 novembre 1594. La dote di Benedetta era di duemila lire imperiali cui si univano il denaro e altri beni lasciategli dal marito nel suo ultimo testamento rogato dal notaio milanese Giovanni Stefano Busti il 14 novembre 1583, andato perduto; a Chiara erano dovute quattromila lire imperiali ex causa dottis da degli Antonio senior e da Antonio suo marito. La trascrizione della procura in appendice.

37 Nelle indagini non si è trovato alcun congiunto di nome Domenico e quindi non si è in grado di specificare il grado di parentela. Giacomo degli Antoni compare tra i tipografi attivi a Milano nel Seicento, Caterina Santoro, Tipografi milanesi del secolo XVII, «La Bibliofilia» 67(1965) n° 3, p. 308.

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2.1 Storia e documenti

La “botegha granda” era situata al centro della zona dei commerci milanesi in piazza dei Mercanti, vicino al banco di S. Ambrogio, sede di numerosi negozi e luogo d’affari.1 Milano, dal Medioevo, era divisa in sei settori rozzamente

triangolari, chiamati "sestieri", i cui vertici convergevano proprio nella piazza dei Mercanti mentre il lato esterno era rappresentato dalla cinta muraria lungo la cerchia dei Navigli. I sestieri corrispondevano alle sei porte, chiamate Cumana (Comasina), Nuova, Orientale, Romana, Ticinese e Vercellina, che costituivano le vie principali d’accesso alla città durante il giorno. La centrale piazza dei Mercanti, in parte coperta e in parte scoperta, aveva una forma quadrata delimitata da edifici, con il palazzo civico nel mezzo e sei passaggi ad arco verso le strade che portavano alle porte. La piazza, occupata al centro dal gran portico giudiziario amministrativo del nuovo Broletto, era racchiusa tra altri portici con sale sovrapposte, da edifici riservati alla residenza del podestà, alle carceri e alle sedi delle più importanti università, ossia delle corporazioni di arti e mestieri, tra cui quella dei Mercanti.2 Nei suoi spazi oltre alle botteghe dei mercanti, trovavano posto

anche attività più specificatamente finanziarie, legate alle operazioni bancarie e di giustizia amministrativa; inoltre lì erano ubicate le Scuole Palatine, e quella del Broletto posta sopra la loggia degli Osii, dove si tenevano lezioni giornaliere.3

Nella gestione degli Antoni la bottega fu operativa dal 1561 al 1603. Il contemporaneo Tommaso Garzoni ne La piazza universale di tutte le

1 Il banco di S. Ambrogio nasceva nel dicembre 1593. Alberto Cova, Il Banco di S. Ambrogio, 1972, p. 29.

2 «Nella piazza de’ Mercanti, oltra le botteghe de’ librai [...] Dall’altra parte, sopra certe librerie, sono due scuole nelle quali si leggono publicamente varie lettioni de diversi lettori. Vi sono di più luoghi de’ paratici de’ capellari et merzari». Marzia Giuliani (a cura di) Le

antichità di Milano: una descrizione della città alla fine del Cinquecento, Milano, Biblioteca

Ambrosiana, 2011, p. 110 e 112; Carlo Torre, Il ritratto di Milano, diviso in tre libri, In Milano, per Federico Agnelli, 1674, p. 251 256, in particolare p. 256.

3 Le scuole Palatine facevano tre ore di lezione la mattina (geometria, astronomia e aritmetica) e due nel pomeriggio (logica e greco); la scuola del Broletto la mattina teneva due lezioni di "Umanità" e di sera vi si leggevano le Istituzioni di Giustiniano come propedeutica al diritto. Mario Bendiscioli, Vita sociale e culturale, in Storia di Milano, v. 10: L’età della

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professioni, stampata a Venezia nel 1585 da Giovanni Battista Somasco, così la descriveva:

in Milano dove haveva nobilissima libraria Giovan Antonio delli Antonii all’Insegna del Griffo, piena di esquisiti libri in tutte le professioni, dove hora si ritrova Antonio delli Antoni, honorato suo nipote nella libraria del Griffo, il quale dimostra di non punto degenerare da’ suoi maggiori, et in molti altri luoghi del mondo.4

Il ritratto benevolo potrebbe essere letto come un segno di gratitudine dell’autore verso l’editore. Garzoni era, infatti, sicuramente al corrente dei rapporti professionali e di parentela che intercorrevano tra Giovanni Antonio degli Antoni junior e Giovanni Battista Somasco, i quali, oltre ad aver pubblicato insieme le due edizioni veneziane di Paolo Morigia, il Prato spirituale (1584, Edit16 CNCE 29421) e il Gioiello de christiani (1581, Edit16 CNCE 29420), erano cognati: Giovanni Antonio junior aveva sposato Chiara, sorella di

Somasco.5

Al di là dalle considerazioni di Garzoni il fatto che ci si trovi di fronte ad un’attività di tutto rilievo è dimostrato dall’atto di vendita della bottega. L’inventario allegato elenca 5.901 edizioni per un totale di 11.816 esemplari: un catalogo ampio che offre un ricco e vasto assortimento commerciale, l’unico di cui si abbia notizia nel periodo per il mercato milanese.

Nel novembre 1603 degli Antoni junior decide di vendere la “botegha granda” proprio al cognato Giacomo Antonio Somasco. Degli Antoni sottoscrive dapprima i patti dettagliati in otto punti con Vincenzo Somasco, figlio di Giacomo Antonio, abitante a Pavia, procuratore del padre come da rogito del

4 Tomaso Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, Giovanni Battista Somasco, 1585, discorso cvii, p. 832. L’edizione fu ristampata dai Somasco fino al 1595. 5 Nel 1579 Giovanni Battista Somasco aveva avuto in affitto da Gerardo Cremasco a pagamento di debiti pregressi un negozio nel Broletto Nuovo e nel 1580 era procuratore per degli Antoni a Venezia come si legge in Kevin M. Stevens, Printers, publishers and booksellers in Counter

Reformation Milan: a documentary study (Ph.D. dissertation, University of Wisconsin,

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notaio veneziano Niccolò Doglioni. I patti, una volta accettati, sarebbero stati perfezionati nell’atto di vendita vero e proprio.6

La vendita riguardava l’intero fondo librario, gli arredi e gli attrezzi di bottega. La valutazione del materiale era affidata a una terza persona, un amico scelto di comune accordo dalle due parti: questa terza persona avrebbe stabilito il prezzo da adottarsi per la compravendita, secondo l’uso dell’arbitrato.

Nel punto primo dell’accordo si legge:

I. Che il detto Signor Antonio abia da far vendita come de presente fa al suddetto Somascho presente et che compra tutti li libri descriti in uno Inventario soto scritto da tutte le due parti et consignato nelle mani dil suddetto Carlo Ferari parente et amicho loro comune et per il precio che da deto Sig. Ferari sarà arbitrato, al qualle detti parti in tutto et per tutto se remetono et quello inviolabilmente oservare promettono.

L’arbitro Carlo Ferrari stabiliva che i libri sarebbero stati pagati 10 soldi e cinque denari la risma:

Io Carlo Ferrari per la autorità a me fatta nella presente polizza diciaro [sic] che il pretio delli suddetti libri vendutti dal s. Antonio al suddetto S. Vincentio Somascho debia essere regulato, et pagato a ragione de 10 £ 5 s cadauna risma, dicho £ diece et s cinque per cadauna risma, con li modi et termini suddetti, et per fede ho affirmato la presente di mia mano presente le suddette parte, et acetanti.

Nell’inventario allegato è calcolato il numero totale delle risme, che assomma a 822, più tre quinterni e venti carte, per un valore complessivo di 8.427 lire imperiali.7 Da questa cifra andava sottratto un acconto di mille lire imperiali per

un debito pregresso contratto da degli Antoni nei confronti degli eredi di

6 ASMi, Notarile, Giulio Cesare Ruginelli, filza 21475, Venditio, 1 dicembre 1603, che contiene i patti del 7 novembre. La trascrizione è riportata in appendice.

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Giovanni Stefano Busti, il notaio di famiglia: solo dopo averlo liquidato poteva iniziare il pagamento.8

In data 19 novembre 1603 la moglie di Giovanni Stefano Busti, Caledonia Battala, dichiarava in nome dei propri figli l’avvenuta restituzione del denaro e, sollevando il Somasco da qualsiasi impegno, rilasciava la relativa cessione.9

Dopo l’acconto, la cifra era passata a 7.427 lire imperiali: somma da pagare in dieci anni, a partire dal secondo anno e da effettuarsi sempre nello stesso giorno in cui era stato sottoscritto l’atto.10 Nell’atto di vendita si dettagliava il

pagamento: nei primi due anni si pagavano 825 lire imperiali e soldi cinque, le restanti 6.602 lire imperiali negli otto anni successivi.

Il comportamento da tenere verso i creditori rappresentava un tema rilevante da meritare uno specifico punto nei patti. Ulteriori creditori sarebbero stati liquidati da Somasco, il quale, messo al corrente degli Antoni del pagamento in corso, gli avrebbe dato testimonianza riportandone le debite confessioni e cessioni.11

Definite le questioni economiche, gli accordi entravano nel merito della merce. Il Somasco aveva quattro mesi di tempo per controllare i libri e restituire quelli trovati «defectuosi» o non «compiti» che sarebbero stati valutati come gli altri

8 «[...] Antonio di Antoni, too had many personal and business documents drafted by only a handful of notaries. With one of these the above mentioned Stefano Busti, business and family matters were inseparably linked. Busti advanced substantial sums, as much as 2,000 lire, to Antoni ‘s bookselling business, and as an indication of this patronal relationship, Busti also stood as goodfather for Antoni’s granddaughter, Angela Clara, who was baptized in 1570». Kevin M. Stevens, Printers, publishers and booksellers in Counter Reformation Milan, cit., p. 75. 9 ASMi, Notarile, Giulio Cesare Ruginelli, filza 21475, Cessione, 19 novembre 1603.

10 ASMi, Notarile, Giulio Cesare Ruginelli, filza 21475, Venditio, 1 dicembre 1603, il punto II recita: «Che a conto del detto prezo detto Somascho sia obligato dentro de un mese prosimo a venire pagare alli eredi dil Sig. Gio. Stefano Busto la suma de lire mile Imperiali senza eceptione o contraditione alcuna, et da detti ne possi reportar qual si voglia cessione, et il restante nel termine de anni diece prossimi a venire dal giorno del instromento che sopra ciò si farà, pagando alla ratta nel fine de ciaschuno anno, cominciando il secondo pagamento nel fine del secondo anno dal giorno del instromento, in modo talle che nel fine delli dieci anni habbi pagato tutto detto prezo».

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10 soldi e cinque denari la risma. Scaduti i termini non avrebbe più potuto avanzare alcuna pretesa.12

IV. Che sia lecito al detto Sig. Somascho dentro de messi quatro rivedere et fare registrare tutti li libri descriti in detto Inventario, et ritrovandone alcuni non compiti quelli restituirli al detto Sig. Antonio, detrandone il prezo alla ratta delli altri, si farà in generale delli scriti in detto Inventario, et passato detto termine non possi esso Somascho pretenderne cossa alcuna contra detto Sig. Antonio per detti libri non compiti.

Scansie e attrezzi di bottega sarebbero stati anch’essi valutati secondo «l’arbitrio de amici comuni».13

La vendita non riguardava, quindi, solo i libri, ma si estendeva a tutta l’azienda. Comprendeva l’insegna del Grifone, che era anche la marca editoriale degli Antoni, come indicato nello specifico punto:14

V. Che il segno del Grifone abbi da esser de detto Somascho et compresso nella venditta de detti libri.

Vi erano inoltre inclusi i locali e il mantenimento dell’affitto al medesimo prezzo da parte del proprietario Ferrante Carcano. L’attività, identificata dalla stessa insegna, doveva continuare a svolgersi nella sua sede originaria, pena la perdita della clientela abituale. Non potendo cedere il contratto di affitto, il venditore s’impegnava a renderne possibile la prosecuzione alle medesime condizioni: stesso prezzo, sessanta scudi l’anno e identica durata decennale.15

12 Nell’atto invece si presuppone che non vi siano libri difettati: «[...] pre supposito quod in ipsis libris aut inter eos non adsint aliqui defectuosi [...]».

13 Ibidem, Punto VI: «Che per rispetto delle scantie et altri utensili di botegha se abiano da estimarsi al arbitrio de amici comuni conforme alla quale estimatione detto Somascho abi da pagare il precio nel atto del Instrumento senza eceptione alcuna».

14 La marca editoriale continuerà a comparire sulla produzione tipografica degli Antoni, ai Somasco, già dotati di una propria marca, il centauro con faretra, serviva per identificare l’attività milanese.

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Degli Antoni metteva dunque in pratica una cessione totale della propria azienda a favore del cognato Giacomo Antonio. Per la famiglia Somasco l’acquisto rappresentava un atto di ampliamento commerciale sulla piazza milanese dalle sedi di Venezia e di Pavia: nella cittadina pavese risiedevano e lavoravano Giulio e Marcantonio, rispettivamente fratello e figlio di Giacomo Antonio Somasco.

Il passaggio di gestione non mise fine ai rapporti professionali tra le due famiglie e negli anni successivi emersero pratiche e questioni anche antecedenti alla cessione.

Giovanni Antonio degli Antoni junior e Giulio Somasco, residente a Pavia, erano debitori nei confronti dei fratelli Emilio e Luigi Omodei di 832 lire, sedici soldi e cinque denari, nella forma di una lettera di cambio. La lettera, protestata il 5 maggio 1600, era stata continuamente rinnovata, finché i fratelli Omodei, nel febbraio 1605, avevano deciso di cederla a Ottaviano e Melchiorre Scotti. L’importo era aumentato a causa degli anni e del corso della moneta ed era arrivato a 5.477 lire imperiali, quindici soldi e nove denari: era stato saldato però dal solo Giulio con la vendita di due appezzamenti di sua proprietà siti nella città di Pavia.16

La decisione di pagare con beni immobili era stata presa per evitare successive perdite ed era basata su precisi accordi intercorsi tra degli Antoni e Somasco.17

Nel documento del febbraio 1605 degli Antoni rimetteva la titolarità del debito a Giulio Somasco che poteva disporne liberamente. In cambio chiedeva indennità e risarcimento di spese e danni, che avrebbe però pagato Vincenzo Somasco, nipote di Giulio, nella seguente soluzione: 10 ducatoni per ogni singolo mese trascorso nella bottega ormai di proprietà Somasco (esplicitando un rapporto di collaborazione di cui non sono spiegati i termini) anticipati nel corrente mese e nel seguente di marzo; e una somma di 700 lire imperiali da riscuotere ogni

sublocata al detto Somasco per l’istesso tempo et fitto de Scutti sesanta l’ano per il qualle esso Sig. Antonio ne è investito dalli eredi del sig. Ferante Carcano».

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anno, in concomitanza della rata della vendita della bottega.18 Degli Antoni, da

parte sua, avrebbe esatto due crediti rimasti in sospeso, ottenendo poi le dovute confessioni da Somasco.

Un credito riguardava la somma di 1.800 lire imperiali accumulata dai coniugi Giulia Pizzotta e Francesco Gerenzano, l’altro il recupero di un quantitativo di libri che era stato consegnato a uno dei fratelli Scotti, probabilmente come anticipo della somma dovuta. La vicenda, oscura in molti punti perché si riferisce a fatti precedenti di cui non è rimasta traccia, presuppone l’esistenza di una rete di accordi e conguagli che lascia intuire quanto i destini economici di queste due famiglie fossero strettamente legati.

Nel 1612 anche il contratto di locazione della bottega passava ai Somasco. I fratelli Carcano, figli di Ferrante, affittavano una bottega a Benedetto Somasco, figlio di Giacomo Antonio, già conduttore della medesima da dieci anni, sita

super platea mercatorum Mediolani, prope locum in quo exercetur bancum Sancti Ambrosii, [...] cui coheret ab una parte illorum de Besutio, ab alia ipsorum fratrum Carcanorum, mediante dicto loco banci Sancti Ambrosii, et ab alia dicta platea mercatorum et in qua quidem apotheca ipse conductor de presenti habitat et exercet mercimonium bibliopole.

Il contratto era attivo dalla festa di San Michele (29 settembre) per i successivi cinque anni a un prezzo annuo di 462 lire imperiali da corrispondersi in due rate: la prima a Pasqua, l’altra a San Michele di ogni anno. Il primo pagamento era da eseguirsi a Pasqua 1613. Il contratto prevedeva le seguenti clausole: il pagamento delle tasse sulla bottega era a carico del conduttore; le manutenzioni erano a carico del locatario; divieto di subaffitto senza preventivo accordo scritto, pena l’annullamento del presente contratto e la puntualità nei pagamenti.19

18 I ducatoni erano una denominazione impropria usata per gli scudi d’argento. Carlo Crippa, Le

monete di Milano durante la dominazione spagnola dal 1535 al 1706, Milano, Crippa editore,

1990. p. 33 34.

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2.2. Inventario della vendita: struttura e consistenza

Come si presenta

L’inventario degli Antoni, allegato all’atto di vendita della bottega, è un semplice quaderno rilegato in cartone, privo di qualsiasi segno identificativo. Sul dorso vi sono due tasselli in pergamena con tre cuciture a vista.

In buono stato e ben conservato, misura alla legatura 195x270 mm., mentre ciascuna carta è 180x265 mm.

Composto di 154 carte, ossia 308 pagine, è formato dall’unione di tre fascicoli, ognuno identificato dalle lettere A, B e C affiancate solo in quel caso alla numerazione della carta, posta normalmente sul margine superiore destro del recto. Il primo quaderno inizia alla prima carta, segnata A, il secondo inizia alla carta B 51r. (D. Libri di Medicina varia) il terzo alla carta C 99r. (Aristofane greco 4°, ultima carta della sezione mista).

La carta 110 è numerata per errore 112 e la sfasatura continua fino alla c. 123, dove è corretta e la numerazione riprende regolarmente dalla c. 124.

La stesura dell’inventario è ordinata, dati e numeri sono ben incolonnati, la grafia è chiara e non si registrano cambiamenti nel colore dell’inchiostro. Nella prima pagina si legge:

Al Nome di Dio adi [spazio per la data manoscritta mancante] / Inuentario delli libri che hà consegnato il In.to Antonio delli / Antonij à Vincenzo Somascho sotto il di sopra detto / et questo secondo i luoro Accordi e pacta.

Segue subito l’elenco dei titoli, solamente sul verso della carta è data la conferma della categoria religiosa con l’apposizione della classe A. Libri scrittura sacra.

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Scopo dell’inventario era registrare il posseduto al fine della vendita, quindi l’ordine citazionale è generalmente stringato. Come si può vedere dagli esempi sottostanti la prima informazione riportata è la quantità (il numero delle copie), poi segue una descrizione sintetica, composta da autore e/o titolo, formato e luogo, necessari per distinguere tra edizioni diverse; chiude il numero di fogli per la stampa. In presenza di una disponibilità elevata di copie può essere specificato il numero di carte per la singola unità, come si vede per le 18 copie di Giacomo Menochio, nel terzo esempio della tabella.

Quantità Descrizione N° fogli

2 Auertimenti sp[irtua]li peres 8° bressa 104

2 idem 8° Firenze 105

18 Menoca de adipiscenda 74c 1296

1 Auicena op[er]a in f. basilea 297

1 martino cromero de falsa luterana 34

1 Calepino in 4° 217

4 eneide di vergilio V[enezia] In ottaua rima 80

A fine di ogni pagina è tirato il totale del numero dei fogli. Che si tratti di fogli è evidente fin dai primi titoli: le pagine dell’edizione bresciana e fiorentina degli Avvertimenti spirituali di Diego Pérez de Valdivia, divise per il formato in ottavo danno le somme elencate nella tabella appena vista.

L’abitudine di conteggiare i fogli per calcolare il valore dei libri era una prassi nota nel mercato librario di antico regime. Il numero dei fogli tipografici rappresentava la forma di valutazione più sicura: dare la consistenza dei fogli stampati per ogni singolo titolo consentiva un’effettiva misurazione quantitativa della merce, necessaria per una vendita tra librai, come nel nostro caso, o per la stima di un magazzino, ossia per quelle operazioni che avvenivano tra operatori del settore. Si è, infatti, nell’ambito del libro inteso come prodotto (e non come merce da vendere al dettaglio) e il numero dei fogli dà conto dell’esposizione economica sostenuta da chi ha prodotto il testo. I fogli poi sono conteggiati a risme, ossia a gruppi di 500, e il prezzo è calcolato su ciascuna di esse.20

20 Per la prassi si rimanda a A. Nuovo in Il commercio librario cit., 125 126, e a Edoardo Barbieri, Un esempio di “linguaggio metatipografico”: la struttura del libro secondo

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L’ultima carta dell’inventario, la c. 153, riporta, suddivisi in quattro colonne numerate 1, 2, 3, e 4, il numero di fogli. Apparentemente tra le due serie di numerazioni non c’è corrispondenza, ossia queste cifre non corrispondono ai totali tirati in precedenza a fine di ciascuna pagina: in realtà sono quei totali ma sommati diversamente, probabilmente a partire proprio dalla disposizione sugli scaffali. La prima cifra, 3.490, è il risultato di tutti i fogli elencati fino alla prima riga della carta 2r; la seconda cifra, 5.061, comprende quelli fino alla sesta riga della carta 3r e così via. Chiuso l’inventario analitico, fatto per dettagliare la merce, fu eseguito un nuovo controllo dei fogli e su questa cifra è stato calcolato il prezzo della vendita. Facendo un confronto tra le due somme, quella risultante dalle singole pagine dell’inventario è di 408.238, mentre quella della carta finale con l’elenco di tutti i fogli arriva a 411.094, con una differenza in più di 2.856 che corrisponde a cinque risme. La stesura dell’inventario deve aver richiesto del tempo, più di un mese senz’altro se, secondo i patti di vendita, al compratore Somasco, ne sono concessi quattro per «rivedere et fare registrare tutti li libri descriti in detto Inventario»: quindi nel lasso di tempo della vendita l’attività è continuata e potrebbe offrire una spiegazione alle diverse somme. Inoltre va tenuto presente che non si tratta di una grande differenza: un torchio attivo a tempo pieno poteva consumare fino a tre risme al giorno.

Analisi dell’inventario

L’inventario registra oltre 11 mila titoli per 5 mila edizioni secondo la suddivisione mostrata in tabella.

Carte Edizioni Esemplari

Religione 1r. 37r 1.356 2.811 Diritto 37r. 46v. 344 609 Medicina 46v. 61r. 549 932 Contra haereses 61r. 62v. 59 69 Mista 62v. 100 r. 1.574 3.092 Umanità 100r. 152v. 2.019 4.303 Totale 5.901 11.816

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legi (diritto) libri de medicina.21 Questo primo gruppo è seguito da una

sequenza meno convenzionale: quattro pagine intitolate contra haereses, poi un’ampia sezione priva di nome ma definibile come “mista”, poiché comprende tipologie diverse anche testi già citati ma richiesti con formato o luogo diversi e infine, l’ultima, di letteratura (umanità) che allinea, in doppia serie, libri latini e volgari.

Il materiale librario è ordinato e suddiviso secondo le classi tematiche delle categorie. All’interno di ciascuna classe si segue la seriazione alfabetica, applicata all’autore o al titolo e legata alla forma più nota. Ogni classe può essere suddivisa in soggetti specifici, spesso coincidenti con il titolo com’era nella prassi bibliografica del tempo, ordinati alfabeticamente ed evidenziati dalle lettere in maiuscolo dell’alfabeto. A esemplificazione si dà la struttura delle lettere A C della “religione”:

A. libri di scrittura sacra B. libri di scrittura sacra Casi de conscientiae C. libri di sacra scrittura Confessionari diuersi dionisio cartusian

La sequenza alfabetica applica la seguente logica. Sotto la lettera A sono registrate opere di Antonio Andrés, Agostino Steuco, Agostino Valier, sant’Anselmo, Ambrogio Quistellio, Antonio Fiordibello, Antonio Pucci, Alfonso Bavosi, Athenagoras, Angelo Maria Montorsoli solo per fare alcuni esempi. Oppure titoli a partire dalla lettera A: Gli Avvertimenti spirituali di Perez, gli avvisi rispettivamente di Juan Bernardo Diaz de Lugo, Gaspar de Loarte e Cherubino Ghirardacci; l’Aduertentiae theologiae scolasticae di Fernando Vellosillo e l’Astutiarum vulpeculae domini vineam demolientis declaratio di Hugues Burlat.

L’approccio semantico e di genere si fa evidente proprio nella suddivisione di ogni classe in soggetti specifici, ordinati alfabeticamente: si vede bene nella serie dei Libri di scrittura sacra all’interno delle lettere D. ed E. nei Libri di medicina varia. Ognuna di queste sezioni ospita a sua volta numerose edizioni.

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D. libri di scrittura sacra De potestate papi diversi De misa diuersi

De anno sancto giubileo espositum imnorum varia enarationes in euang.a varia esercitio spirituale diversi enchiridion juris

E. libri sacra scrittura F. libri di scrittura sacra G. libri scrittura sacra Gaetano varia

Istoria ecclesiastica varia Priscianus : Caesariensis

A. libri di medicina varia Avicena varia

Actuario Aforismi varia Andrea Vesalio Anatomie varia B. libri di medicina varia C. libri di medicina varia Cirurgia varia

D. libri de medicina varia De Morbo Galico varia De febribus

De balneis

E. libri de medicina varia Erbario

I libri in volgare, se presenti, sono indicati o dal titolo in latino con la specifica vl. oppure sono riportati direttamente. Ci si trova davanti a una strutturazione per materie ben note, per quanto riguarda le prime tre classi di testi di letteratura professionale (religione, diritto, medicina) cui però sono aggiunte categorie non ancora strutturabili ma necessarie per accogliere i nuovi gusti culturali. Si pensi alla crescita della produzione volgare, ma anche alla sezione contra haereses, assimilabile alla religione ma qui distinta e posta in posizione distaccata, per porre l’accento sull’argomento.

L’umanità, che spazia dal greco al latino al volgare, comprendendo anche argomenti vari come matematica, medicina, grammatiche, storie e pellegrinaggi, presenta invece un’elencazione più complicata. È inoltre la categoria più ampia, copre 52 carte su 154, e dimostra come i nuovi soggetti della produzione contemporanea incontravano decisamente il favore dei lettori. Si riprende la suddivisione alfabetica ma è applicata anche una distinzione precisa tra latino e volgare, quindi le lettere alfabetiche possono apparire due volte in virtù della specificazione linguistica come evidenziato dalle lettere in neretto:

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