– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments 68 (5): 259-268, 2013 © 2013 Accademia Italiana di Scienze Forestali doi: 10.4129/ifm.2013.5.02
EVOLUZIONE E RUOLO DEI SISTEMI AGRICOLI E FORESTALI MULTIFUNZIONALI DI MONTAGNA (
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(*) Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF), Università degli Studi di Firenze;
raffaello.giannini@unifi.it
(**) Accademia Italiana Scienze Forestali, Firenze; antonio.gabbrielli@aisf.it
P remessa
Una analisi dell’evoluzione e del ruolo dei sistemi agricoli e forestali multifunzionali dell’ambiente montano è argomento di estremo interesse, ma di amplissima complessità in quanto la trattazione non può limitarsi ad una analisi di percorsi di tecnica colturale, in quanto
Questo lavoro è l’analisi dell’evoluzione delle attività umane nelle aree montane italiane per quanto riguarda l’uso del suolo in agricoltura e in selvicoltura. Data la vasta area coperta da boschi, l’analisi mette a fuoco le relazioni fra uomo e foresta.
Tre sistemi sono stati analizzati: agricoltura, pastoralismo e selvicoltura che costituiscono le risorse primarie impiegate per le necessità della vita umana come alimenti ed energia. A livello di paesaggio i prodotti agricoli e quelli forestali restano separati seppure legati all’elemento pastorale.
Due casi tipici dei sistemi multifunzionali: il primo nell’area montana alpina come la malga o il maso chiuso, l’altro nella montagna appenninica come il castagneto da frutto.
La documentazione dell’uso del suolo in area montana alpina sottolinea la profonda relazione che si è sviluppata col tempo fra le attività umane e il bosco. Fino alla metà del secolo scorso il sistema agricolo-forestale si è integrato in un complesso di campi-boschi-pascoli dove gli ultimi hanno avuto parte predominante. Oggi il bosco svolge un ruolo primario in quanto un bosco correttamente gestito provvede a diversi servizi.
Parole chiave: sistemi agricoli; castagneto da frutto; pascolo.
Key words: land use; chestnut orchards; pasturage.
Citazione - G
ianninir., G
abbriellia., 2013 – Evoluzione e ruolo dei sistemi agricoli e forestali multifunzionali di montagna. L’Italia Forestale e Montana, 68 (5): 259-268. http://dx.doi.org/10.4129/
ifm.2013.5.02
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Il presente lavoro è la versione integrale della lettura, tenuta a Firenze durante il 2° Convegno AISSA, (14-17 settembre 2011) che appare, nella versione in lingua in- glese, sul vol. 8, n. 2 (2013) della rivista Italian Journal of Agronomy con il titolo Evolution of multifunctional land use systems in mountain areas in Italy.
viene ad essere coinvolto un aspetto di più vasta portata che è quello che riguarda il rapporto antichissimo che si è instaurato nel tempo e che è presente tutt’oggi, tra uomo e foresta.
L’analisi coinvolge le interazioni tra attività
dei sistemi agricoli e di quelli selvicolturali
anche se, almeno in un primo periodo, questi
ultimi si identificavano nelle utilizzazioni
legnose. Ciò significa fare riferimento alla
gestione del territorio ovvero alla descrizione
ed all’analisi di modelli di uso e coltura delle
risorse primarie sviluppati per soddisfare le
esigenze alimentari, energetiche, di costume
e di ambiente delle popolazioni dei territori
montani.
Il processo prende avvio quando l’uomo ha compreso il significato:
– dell’impiego ragionato di propaguli (seme) ovvero il passaggio dall’uso della sola rac- colta a quello della produzione e raccolta;
– dell’impiego ragionato di propaguli selezio- nati (selezione e domesticazione);
– dell’impiego ragionato di tecniche di colti- vazione tese a ridurre (eliminare) gli ostacoli che avrebbero potuto incidere sulla poten- zialità produttiva dei propaguli impiegati (tecnica colturale).
Questo percorso, che vede l’inizio nel no- stro Paese oltre 5000 anni fa, non ha subìto nel tempo grosse modifiche perché, pur in modo diversificato, è tutt’ora presente anche nelle zone agricole più vocate che non sono certa- mente quelle di montagna.
Si deve evidenziare anche che all’interesse della produzione agricola primaria, si è asso- ciato subito un percorso parallelo incentrato sull’incremento della produzione di proteine animali attraverso tecniche di allevamento pa- storale e/o zootecnico. Il più antico collante (V millennio a.C.) fra l’uomo ed il bosco è stato forse il pascolo, al quale venivano avviati gli animali via via addomesticati, primi fra i quali, pecore, capre, suini.
Fino a che il bosco fu aperto a tutti, que- sto rappresentava uno spazio disponibile dal quale raccogliere legna morta caduta a terra ed erba mediante il pascolamento degli animali.
Quando le popolazioni se lo appropriarono con la nascita delle Comunità e si cominciò a “coltivare-utilizzare” il bosco abbattendo le piante, il pascolo diventò rapidamente una pratica conflittuale, come conflittuale divenne il rapporto fra il pastore e l’agricoltore il quale, disboscando e coltivando, tendeva a sottrarre al pascolo spazi sempre più ampi.
Il legame tra i tre sistemi di utilizzazione delle risorse naturali rinnovabili, agricoltura, pastori- zia e selvicoltura è stato indubbiamente avviato dalla pastorizia che, evolvendosi nel tempo, si è unita all’agricoltura trasformandosi in zootec- nia, mentre la selvicoltura si scioglieva dal pri- migenio trinomio molto lentamente e fino ad oggi non del tutto scomparso, per assumere un ruolo a sé stante inserendosi con la produzione
legnosa in filiere produttive di tipo industriale.
Tuttavia il legame ha avuto più motivazioni eco- nomiche che tecniche ed in particolar modo il bosco ha rappresentato una irrinunciabile fonte di entrate per i modesti redditi di una magra agricoltura di montagna caratterizzata da tecni- che scarsamente innovative. Ma su queste due funzioni, che potremmo chiamare complemen- tari, sovrastava sempre l’attività pastorale in quanto risultava quella più redditizia.
A livello territoriale e di paesaggio i sistemi assumono una identità multifunzionale propria che prevede una forte interconnessione tanto da divenire un unico oggetto che si inserisce nel controllo e nella gestione del territorio. In effetti il bosco “è stato a guardare”e non poteva fare diversamente quando l’azione dirompente dell’uomo ha deciso la sua eliminazione. D’altra parte l’uomo aveva necessariamente una sola esigenza, quella di disporre nel modo più facile e conveniente possibile aree da destinare alla produzione di beni primari quali gli alimenti e le fonti energetiche. È difficile individuare in questa fase un percorso ragionato e diffuso di gestione selvicolturale della foresta: gli interessi erano concentrati sulla utilizzazione della bio- massa legnosa prodotta dalla foresta naturale che veniva considerata risorsa inesauribile. La necessità di un rapido sviluppo agricolo com- portò la sostituzione del bosco con la coltura agraria a partire dalle aree più favorevoli, ov- vero le aree di pianura. In montagna questo avveniva in prevalenza lungo gli alvei dei fiumi e nei suoli pianeggianti.
Questo processo è continuato quasi fino ai
nostri giorni. Le aree di maggiore conflitto sono
state quelle di montagna dove le caratteristiche
ambientali imponevano forti limiti alla diffu-
sione della coltura agraria. Determinanti gli alti
valori di acclività. Invero le tecniche di siste-
mazione agronomica, quali il terrazzamento,
non hanno impedito la coltivazione della vite
in Valtellina e su la “montagna sul mare” delle
Cinque Terre in Liguria, o quella del farro
nei versanti dell’alta Garfagnana. Tutti questi
esempi indicano però una strutturazione com-
partimentalizzata del territorio in cui i sistemi
della coltura agraria in senso stretto, realizzati
a scapito del bosco, rappresentavano unità ge-
stionali singoli a bassa integrazione agricola- selvicolturale.
m ultifunzionalità ed inteGrazione
Sorge una domanda: la multifunzionalità dei sistemi agricoli e forestali dove la possiamo tro- vare? Ed ancora: sono noti modelli di gestione integrati tra bosco ed attività agricole?
Parlando di sistemi di montagna del nostro Paese, dobbiamo distinguere due tipologie: una dell’ambiente alpino, l’altra di quello appenni- nico, che sono ben diversi fra loro per moti- vazioni socio-economiche, ma soprattutto, per caratteristiche ambientali.
La regione montana alpina rappresenta circa un quarto della superficie totale italiana (75.000 km
2) mentre quella appenninica è circa i due quinti, (120.000 km
2). Si tratta, in totale, di una superficie complessiva pari al 35% di quella nazionale.
In queste due zone sono stati descritti due sistemi polifunzionali dominanti coinvolgenti il bosco: quello alpino con il “pascolo arbo- rato” nel quale, secondo f rancesco P iccioli
(1908), “si tende a conservare le piante che, isolate o in gruppi, coprono più o meno irrego- larmente il terreno ma mai a detrimento della produzione erbacea”; quello appenninico con il “bosco pascolivo” dove “gli animali in giuste proporzioni possono pascolare senza detrimento delle piante o dove in certo modo è tollerato il pascolo”. La grande diversità dei due am- bienti va vista anche dal lato della struttura- zione economico-fondiaria ed aziendale. Una analisi critica del passato rivela la presenza di un elemento comune del mondo di mon- tagna che si estrinseca attraverso un senti- mento diffuso nelle popolazioni ivi residenti che riguarda l’impegno del lavoro quotidiano dedicato al soddisfacimento delle esigenze di vita a livello di unità familiare, più spesso a livello di Comunità. La produzione primaria era perseguita per il “proprio territorio” cioè dove si viveva, più che bene di scambio su cui edificare la sopravvivenza ed il benessere della vita. Tutto ciò è fortemente cambiato negli ul- timi 70-80 anni in quanto la montagna oggi è
capace di fornire efficacissimi servigi, ma che in parte si allontanano dalla multifunzionalità dei sistemi agricoli e selvicolturali.
È sicuramente di aiuto l’analisi di alcuni casi concreti che hanno una storia antica e che rap- presentano importanti punti di riferimento del passato in quanto hanno modellato il territorio che ci è stato consegnato. Questo ci consente un confronto con la situazione odierna da i cui risultati si possono trarre utili insegnamenti per una corretta gestione futura del territorio.
Nell’arco alpino la proprietà è stata ed è oggi pubblica e privata; è rappresentata dalla Comu- nità o dalla singola Azienda. La dimensione del bene può variare molto. Il territorio è dominato dalla presenza del bosco, dai prati sfalciabili, dai pascoli alle quote più alte, dalla presenza di alcune colture agricole spesso limitrofe alle aree urbane. L’unità della struttura aziendale, è ubicata in “montagna” ed è individuabile nella Malga a cui afferiscono pascoli e boschi, patri- monio territoriale comune di Comunità o Re- gole. La Malga è utilizzata, per le attività pasto- rali-zootecniche e per quelle di prima trasfor- mazione del latte, dai proprietari di bestiame residenti nell’area valliva limitrofa, ma anche di provenienza esterna, che attuano o demandano una regolare monticazione e quindi l’alpeggio.
In alcune Regioni l’azienda trova la massima espressione nel “Maso Chiuso” che si identi- fica in una unità aziendale indivisibile nella successione, che associandosi alle contigue a livello di territorio, garantisce la presenza della Comunità. Nel “Maso Chiuso” la superficie a prato-pascolo non supera in media l’8% men- tre quella a bosco raggiunge il 70%. Spesso i pascoli del maso sono insufficienti al carico del bestiame, per cui questo deve essere condotto anche nel bosco che peraltro è l’elemento a cui si ricorre in sede di successione per liquidare le quote spettanti ai coeredi. Nel sistema si crea talvolta un dissidio fra la conservazione del bosco e la normale dotazione di bestiame.
Il filo conduttore che connette e tiene uniti i sistemi è il pascolo che viene praticato anche in bosco creando conflittualità con questo ultimo.
Le filiere produttive possono essere ricondotte
a due tipologie dominanti ovvero a quella della
produzione legnosa ed a quella legata ai pro-
dotti dell’attività pastorale. La coltura agraria in senso stretto (anche cereali, fagioli e patate, ove è possibile) resta in parte dissociata, legata for- temente alla piccola proprietà, rappresentando comunque componente insostituibile per l’ali- mentazione.
Più in generale però possiamo affermare che il concetto di multifunzionalità è in prevalenza assegnabile all’ecosistema bosco. Il sistema è efficace perché associa le potenzialità di pabu- lum dei pascoli naturali e del bosco con la pro- duzione erbacea prativa che viene conservata (affienagione) ed utilizzata per l’allevamento zootecnico nei periodi più sfavorevoli. In effetti il bosco ha subìto forti contrazioni nella propria superficie tanto che il suo limite superiore ac- cusa un abbassamento altitudinale di 150-200 metri.
Merita ricordare poi che, nell’ambito dell’am- biente alpino, il modello colturale di integra- zione massima tra produzione legnosa e pro- duzione erbacea è rappresentato dal pascolo arborato con larice che è stato diffuso anche a basse quote in esposizioni a forte irraggiamento.
La scelta del larice, albero plurizonale relativa- mente frugale, eliofilo, con chioma leggera com- penetrabile dai raggi solari e decidua, è stata una scelta oculata e riuscita nell’individuazione del migliore compromesso. Il modello è ante- signano a quelli adottati anche ai nostri giorni nell’ambito dell’agroforestry più spinta.
Il rapporto conflittuale tra bosco e pascolo prese avvio da quando ci si rese conto che la so- pravvivenza del bosco non poteva essere messa a repentaglio da un singolo (pastore o bosca- iolo) con grave danno per l’intera comunità, grande o piccola che fosse. Erano necessarie delle regole che fossero in grado di conservare la polifunzionalità del bosco. La Comunità interviene (l’antico Comune medievale) pre- occupata anzitutto della difesa idrogeologica, poi anche della difesa da venti e valanghe, ma anche di conservare la raccolta della legna e di vari frutti, di consentire sia una modesta agri- coltura montana anche nei vuoti del bosco sia il pascolo, ma desiderosa anche di dare lavoro al popolo con piccole industrie locali. È evi- dente in ciò un’interazione economica, primi- tiva quanto si vuole, ma indispensabile per le
popolazioni di un tempo peraltro non troppo remoto. Così, ad esempio, le Regole cinquecen- tesche di Dimaro (Val di Sole - Trentino) pre- vedono che sia la Comunità a gestire il pascolo collettivo, tramite il forestario, eletto ogni anno dai componenti della stessa, il cui compito era quello di raccogliere il bestiame in paese e por- tarlo poi ai “pascoli alti”. La stessa Comunità si preoccupava anche che il pascolo non fosse esercitato sull’altrui proprietà.
L’evoluzione storica e politica che va verso l’unità nazionale, attraverso le Signorie e i Principati, coinvolge anche una innovazione, l’evoluzione legislativa nei riguardi della salva- guardia del bosco. La necessità di promuovere e definire delle regole gestionali scaturisce dal fatto che al bosco viene riconosciuta una va- lenza strategica che contribuisce in modo de- terminante al benessere della comunità. I vari stati preunitari italiani emanano norme che riguardano tutta la gestione forestale, dai tagli ai dissodamenti e al pascolo, fino ai rimboschi- menti volontari. Gli aspetti legislativi si sono poi affinati nel tempo, così come il pensiero odierno ha sancito nel bosco una figura di sog- getto giuridico (c iancio , 2002; 2010).
In queste disposizioni, il pascolo, che legal- mente o illegalmente, continuerà a permanere in bosco fino ai nostri giorni, è di solito limitato a quelle zone dove il bosco non potrà subire danni il che portava anche a procedure di li- cenze preventive.
2Sull’Appennino un esempio tipico di sistema colturale multifunzionale è la coltivazione del castagno. Forse l’albero forestale che più di tutti è stato influenzato dall’uomo nella sua distribuzione, nell’uso e nella gestione del ter- ritorio, il cui frutto ha fornito alimento essen- ziale per la sopravvivenza di intere generazioni umane di vaste aree montane. Il castagneto da frutto che rappresentava un modello multi- funzionale agro-forestale di per sé, si inserisce nell’economia dell’azienda agraria perché oltre
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