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L’ETÀ GIOLITTIANA

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Academic year: 2021

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L’ETÀ GIOLITTIANA

La crisi di fine secolo

L’Ottocento in Italia si chiuse all’insegna della crisi economica e del disagio sociale: la produzione industriale era cresciuta solo al Nord e si concentrava ancora nel triangolo Milano – Torino – Genova. Anche l’agricoltura si era evoluta tecnicamente, ma solo nel Settentrione. Si era però aggravata la questione meridionale, cioè l’arretratezza economica e sociale del Mezzogiorno: ciò aveva provocato, nel periodo dal 1880 al 1900, l’emigrazione di 5 milioni di italiani provenienti dalle masse contadine e operaie che erano partiti, in particolare, verso gli USA e l’Argentina.

Quando, in seguito a cattivi raccolti, il prezzo degli alimenti aumentò, scoppiò la protesta popolare. Il governo presieduto da Rudinì rispose con la repressione più spietata: nel 1898 a Milano, il generale Bava-Beccaris ordinò di cannoneggiare la folla, uccidendo un centinaio di manifestanti.

Il movimento operaio e i socialisti

Il Partito Socialista Italiano fu fondato nel 1892. Fu il primo partito moderno di massa in Italia;

raccoglieva i consensi dei proletari dell’industria e dei braccianti agricoli del Nord. Era guidato da Filippo Turati, di orientamento riformista: intendeva attuare in Parlamento riforme graduali a favore della masse operaie utilizzando una strategia politica che prevedeva anche la collaborazione con le forze politiche della borghesia. Un’altra corrente del PSI era quella rivoluzionaria, secondo la quale il cambiamento era possibile solo con una rivoluzione popolare.

Anche se in numero minore, erano attivi in Italia anche gli anarchici, intenzionati a scatenare la rivoluzione coinvolgendo le masse con disordini e attentati. Uno di questi, Gaetano Bresci, per vendicare l’Eccidio di Milano, nell’anno 1900 uccise in un attentato il re Umberto I , il quale aveva conferito un’onorificenza a Bava-Beccaris. Il suo gesto gettò l’Italia sull’orlo della guerra civile.

Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, volle a capo del nuovo governo Giuseppe Zanardelli che nominò ministro il liberale Giovanni Giolitti (1842-1928). Nel 1903 Giolitti divenne Presidente del Consiglio. In carica fino al 1914, egli ripristinò la centralità del Parlamento dopo le tendenze autoritarie degli anni precedenti, attuando una politica riformista che prevedeva l’accordo con i rappresentanti del movimento operaio, cioè i sindacati e l’ala riformista del partito socialista guidata da Turati. Il governo Giolitti non usò la forza per difendere gli interessi degli imprenditori ma al contrario cercava di rimanere neutrale: i lavoratori e gli imprenditori dovevano infatti trovare un accordo tramite trattative. In questo modo diminuì il conflitto sociale e politico.

Partito Socialista Italiano 1892

Riformisti di Turati (Parlamento)

Rivoluzionari

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2 Principali riforme attuate dal Governo Giolitti

1903 - Legge che garantiva il diritto di sciopero

1904 - Legge per tutelare il lavoro delle donne e dei ragazzi (età minima portata ad anni 12), sostenere l’invalidità e la vecchiaia.

1905 - Statalizzazione delle ferrovie

1911 - Legge scolastica di miglioramento della scuola elementare, che diventava statale.

1913 - Diritto di voto a tutti i cittadini maschi maggiori di 30 anni che avevano svolto il servizio militare

Nell’ “Età giolittiana” (1903 – 1914) l’Italia vide il suo “decollo industriale” favorito da: nuovi impianti idroelettrici, lo sviluppo dell’industria chimica (gomma), meccanica, automobilistica (Fiat) e agro-alimentare (Cirio, per es.), ma il Sud non fu coinvolto in questo processo, sicché l’emigrazione dal Sud aumentò, aggravando la questione meridionale.

Le critiche più aspre vennero da Gaetano Salvemini che accusò Giolitti di clientelismo (concedere favori e vantaggi in cambio di pacchetti di voti), soprattutto al Sud.

L’estensione del diritto di voto alle masse popolari favorì il PSI, ma segnò anche il ritorno dei cattolici alla vita politica e, in vista delle elezioni del 1913 Giolitti strinse un accordo (Patto Gentiloni) con l’Unione Elettorale Cattolica: i cattolici votarono per i liberali di Giolitti, ottenendo in cambio la salvaguardia dell’istruzione religiosa nella scuola pubblica ed il blocco delle proposte di legge sul divorzio. I cattolici crearono un proprio movimento politico solo nel 1919: il Partito Popolare.

Nel 1914 la maggioranza si presentava molto ampia ma eterogenea (erano presenti correnti e ideologie in contrasto tra loro). Inoltre era aumentato notevolmente il passivo del bilancio statale, ed erano sorte dure polemiche tra i nazionalisti e i socialisti rivoluzionari ; si scatenarono violente proteste con molte vittime tra i lavoratori. Nel marzo del 1914 Giolitti presentò le sue dimissioni: fu sostituito dal conservatore Antonio Salandra, sino allo scoppio della prima guerra mondiale.

La propaganda nazionalistica e la guerra di Libia

L’Associazione Nazionalista Italiana era un movimento di destra guidato da Enrico Corradini:

non sosteneva certo la lotta operaia bensì una lotta internazionale da parte dell’Italia che affermasse la sua grandezza nel mondo.

L’Impero Ottomano, anche se molto indebolito, controllava ancora la Libia, regione povera e in gran parte desertica, ma vicina all’Italia. Nel 1911 gli Italiani sbarcarono sulle sue coste, ma incontrarono l’ardua resistenza delle tribù beduine. L’impresa fu sostenuta dai grandi gruppi industriali e finanziari, interessati alle commesse militari e alla costruzione delle colonie, oltre che naturalmente dai movimenti di propaganda nazionalista cui parteciparono anche Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio. L’Italia occupò tutta la fascia costiera libica e le isole del Dodecaneso ma la conquista della Libia fu completata solo per via diplomatica.

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L’Europa agli inizi del Novecento

La Belle Epoque

Gli ultimi decenni dell’ Ottocento e i primi anni del Novecento, sino allo scoppio della Grande Guerra, videro in Europa il trionfo della società borghese dinamica, ricca e in continuo progresso grazie all’industria ed all’incessante innovazione scientifico-tecnologica . La capitale di quest’Europa in pieno sviluppo era Parigi ma tutto l’Occidente vide in quel periodo il trionfo dell’energia elettrica, del cinema, dell’automobile e dei primi aeroplani.

Tuttavia la società europea di inizio Novecento era attraversata da fortissimi contrasti : ricca, in parte, ma con grandi disuguaglianze economiche e sociali; liberale, ma in realtà dominata dai grandi monopoli; razionalista e fiduciosa nella scienza (positivismo) , ma agitata da ideologie irrazionali come il nazionalismo e il razzismo.

Le masse sulla scena politica

In quasi tutti i Paesi (eccetto la Russia) il diritto di voto maschile era affermato all’inizio del secolo. Ne conseguì una maggiore partecipazione politica, una crescente sindacalizzazione, la diffusione di movimenti di massa – come quello socialista o quello ad esso opposto, nazionalista – misero in difficoltà i sistemi politici: la Francia era lacerata dall’antisemitismo e da tentati colpi di stato dell’estrema destra; la Germania viveva un irrigidimento autoritario con Guglielmo II; la Russia, che non aveva permesso riforme costituzionali, vide l’esplosione della rivoluzione nel 1905. Solo la Gran Bretagna pareva aver bilanciato la forza conservatrice con la nascita del partito laburista (sinistra).

Conflitti in campo coloniale

Il periodo apparentemente spensierato della “Belle Epoque”, in realtà nascondeva forti tensioni internazionali di ordine economico e politico: i grandi stati europei erano infatti contrapposti in campo coloniale per affermare la propria grandezza di potenza europea.

Gran Bretagna e Francia avevano sfiorato il conflitto con l’incidente di Fashoda (1898) nel Sudan di influenza britannica ma invaso da una spedizione francese. La Russia e il Giappone si scontrarono per il controllo della Manciuria (parte dell’Impero cinese); Germania e Francia vissero due crisi marocchine e si rinfocolò la rivalità per la zona Alsazia - Lorena, diventata tedesca dal 1870. L’Inghilterra inoltre vedeva minacciato il suo tradizionale primato in campo navale dai tedeschi che stavano allestendo una grande flotta da guerra. Per le comuni divergenze nei confronti della Germania, Francia e Inghilterra strinsero un’alleanza nel 1904 (Intesa cordiale). Quando a questa si unì la Russia, che temeva di rimanere isolata, nacque la Triplice Intesa (1907) che si opponeva alla già esistente Triplice Alleanza fra Germania, impero Austro-Ungarico e Italia (risalente al 1882 ma più volte rinnovata).

TRIPLICE ALLEANZA 1882

TRIPLICE INTESA 1907

AUSTRIA - UNGHERIA ITALIA

FRANCIA GERMANIA

RUSSIA GRAN BRETAGNA

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L’Europa dell’Est senza stati nazionali

Nella parte centro-occidentale del continente si erano affermati pienamente gli stati nazionali, ma nella parte orientale, all’inizio del Novecento erano presenti tre grandi stati multinazionali: l’Impero austro-ungarico, l’impero russo e l’impero ottomano, in ognuno dei quali convivevano nazionalità diverse che causavano conflitti, talvolta multietnici e lotte per l’indipendenza. Sotto il sempre più debole controllo dell’Impero ottomano, l’instabile quadro dei Balcani vedeva sgretolarsi l’equilibrio che Bismarck aveva creato: grandi tensioni infatti percorrevano gli stati indipendenti di Serbia e Montenegro, la Bosnia – Erzegovina, amministrata dall’Austria e la Bulgaria, protettorato della Russia.

L’Austria, unica potenza europea priva di impero coloniale, aveva esteso la sua influenza nell’area dei Balcani, appoggiata dalla Germania, ma questa regione interessava in modo particolare alla Russia che mirava ad espandersi verso il Mediterraneo. Anche l’Italia era interessata ad avere la propria parte dell’impero turco in disfacimento, per affermarsi sull’Adriatico; anche la Gran Bretagna intendeva espandere i suoi interessi nel Mediterraneo (1878: controllo dell’isola di Cipro).

D’altra parte la Serbia aspirava a realizzare il “nazionalismo grande-serbo” dei popoli di lingua slava facendo leva sui nazionalismi antiturchi. In questo era appoggiata dalla Russia e contrastata dalla Bulgaria. Anche Romania, Montenegro e Grecia puntavano ad espandersi a spese dell’oppressivo impero ottomano.

La situazione peggiorò a partire dal 1908, quando il movimento nazionalista dei Giovani turchi (ufficiali dell’esercito) portò alla caduta del sultano. Fu allora che l’Austria si appropriò della Bosnia-Erzegovina (già suo protettorato) suscitando l’ostilità della Serbia, che mirava ad avere uno sbocco sul mare, e dell’Italia (interessata alle coste adriatiche del sud). Questo quadro politico causò negli anni 1912-1913 una serie di guerre che demolirono l’impero ottomano ed esasperarono il conflitto fra Austria - Ungheria e Serbia per il controllo dei Balcani, e furono la causa scatenante della Prima Guerra Mondiale. Infatti, nel 1913 la Serbia, nonostante le vittorie conseguite, non aveva raggiunto il desiderato accesso al mare, impeditole dall’Austria che ancora esercitava la sua protezione sulla Bosnia-Erzegovina. Per non rendere possibile il progetto serbo, l’Austria aveva anche imposto la creazione dello stato dell’Albania.

Le cause della Prima Guerra Mondiale

Da tempo la conflittualità sul piano economico e coloniale fra le grandi potenze era in costante crescita: lo spazio disponibile per l’espansione era ormai in gran parte occupato.

Infatti, mentre la Gran Bretagna e la Francia disponevano enormi imperi coloniali, la Germania era molto più svantaggiata in questo senso, nonostante avesse accresciuto enormemente la propria potenza industriale e mercantile. L’impero tedesco, sotto Guglielmo II, aveva abbandonato la politica di equilibrio dettata da Bismarck (cancelliere fino al 1890) per assumere una linea aggressiva nei confronti di Gran Bretagna e Francia. La Gran Bretagna era intimorita dalla crescente concorrenza economica e politica della Germania, e anche la Francia nutriva una forte ostilità antitedesca da quando nel 1870 aveva dovuto cedere l’Alsazia e la Lorena alla Germania. A questa instabilità si sommava la contrapposizione antica fra Austria e Russia che, interessate all’area balcanica ed ai territori del debole impero ottomano, parteggiavano rispettivamente a favore della Bosnia-Erzegovina e della Serbia. L’ Italia, dal canto suo, mirava a recuperare le terre irredente (“Trento e Trieste”), ancora dominate dagli austriaci, e aumentare la propria influenza nell’area adriatica e balcanica.

Tutte queste rivalità strategiche avevano sostituito quindi l’equilibrio costruito da Bismarck con un sistema di alleanze politico/militari contrapposte: la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa.

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5 L’industria militare si sviluppò notevolmente nel primo decennio del Novecento, e mentre diminuiva la corsa alle colonie (lo spazio coloniale era ormai saturo), si accendeva quella agli armamenti che in Europa divenne presto inarrestabile: le classi dirigenti dei diversi Paesi erano ormai dominate dai grandi gruppi industriali e dalle gerarchie militari che guardavano con favore ad un prossimo conflitto, anche come mezzo per consolidare l’unità nazionale e arginare i conflitti sociali. Si sviluppò così anche fra le popolazioni europee un consenso allo scoppio di un conflitto sostenuto anche dalla stessa classe operaia richiamata al “patriottismo”

alimentato da antiche rivalità. Anche il movimento socialista internazionale si divise sulla linea di condotta e, quando la guerra scoppiò, molti partiti socialisti si dichiararono favorevoli.

Si scatenarono violenze contro i pacifisti nello spirito della “Comunità d’agosto” che nell’estate del 1914 attraversava le popolazioni europee.

Luglio 1914: lo scoppio del conflitto

La scintilla che accese la guerra generale in Europa scoccò nei Balcani. Il 28 giugno 1914 uno studente bosniaco di nazionalità serba assassinò a Sarajevo (capitale della Bosnia) in un attentato l’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, l’erede al trono d’Austria. L’Austria attribuì il complotto alla Serbia e le dichiarò guerra, con l’appoggio del kaiser tedesco Guglielmo II. Ma in difesa della Serbia intervenne la Russia dello zar Nicola II. In pochi giorni scattarono le alleanze incrociate: la Germania dichiarò guerra alla Russia e poi alla Francia e l’esercito tedesco, muovendosi verso ovest invase lo stato neutrale del Belgio; la Gran Bretagna, a sua volta, dichiarò guerra alla Germania, seguita dal Giappone, che mirava ai possedimenti tedeschi in Estremo Oriente. L’Italia, dato che la Triplice Alleanza era un patto difensivo, si mantenne neutrale. L’ Impero Ottomano temendo un’invasione della Russia, si unì alla Triplice Alleanza.

La Germania era costretta a combattere su più fronti e per questo vedeva l’unica possibilità in una guerra rapida, ciò motivo l’invasione del Belgio che consentì ai tedeschi di marciare su Parigi. I francesi, coadiuvati dagli inglesi, respinsero l’attacco nemico sul fiume Marna (settembre 1914). La situazione sul fronte occidentale (ottocento km di trincee, dalla Manica al confine svizzero) entrò in una lunga fase di stallo. Lo stesso accadeva sul fronte orientale dove i tedeschi bloccarono l’avanzata russa a Tannenberg e ai laghi Masuri, in Prussia. Nel Mediterraneo gli anglo-francesi sostenuti da un contingente australiano e neozelandese furono sconfitti dai turchi a Gallipoli. Fu allora che l’Italia intervenne nella primavera del 1915, aprendo un nuovo fronte meridionale per gli imperi centrali.

Dall’estate del 1914 l’Italia si era divisa tra neutralisti (liberali, cattolici, socialisti, la maggioranza del parlamento), contrari all’entrata in guerra, e interventisti. I nazionalisti ovviamente erano a favore della guerra come anche gli ” irredentisti” che volevano scendere in campo contro l’Austria per recuperare le terre italiane “irredente”: Trieste e il Trentino.

AUSTRIA + BOSNIA - ERZEGOVINA CONFLITTO

RUSSIA

SERBIA

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6 Decisivo fu l’atteggiamento del governo Salandra che avviò trattative segrete con la Triplice Intesa.

Infatti, con il Patto di Londra, firmato il 26 aprile 1915, l’Italia entrava in conflitto in cambio di Trentino, Tirolo meridionale, Trieste, Gorizia, l’Istria (senza Fiume) e parti della Dalmazia.

L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il 24 maggio 1915 al fianco di Francia e Gran Bretagna.

Nazionalismo esasperato

Politica aggressiva

← Alleanze contrapposte →

Crisi ricorrenti Dal 1882: Triplice Alleanza

 Germania

 Austria

 Italia → → →

 Impero Ottomano (dal 1914)

Dal 1907: Triplice Intesa

 Gran Bretagna

 Francia

 Russia

 Italia (dal 26/4/1915)

Guerra di Libia tra Italia e Impero turco (1911)

Guerra russo-giapponese (1904-1905)

Crisi balcaniche

Giugno 1914 Attentato a Sarajevo

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Lo svolgimento del conflitto e la vittoria dell’ Intesa

L’illusione di una guerra rapida e vittoriosa si era dissolto nella quotidianità della guerra di trincea, essenzialmente difensiva, dominata dall’artiglieria. Decine di migliaia di uomini cadevano per conquistare pochi chilometri di terreno che poi sarebbe stati persi con un sacrificio altrettanto grandi. La situazione rimase così bloccata per anni con enormi costi umani ed economici, mentre i soldati nelle trincee (v. battaglie della Marna) erano sottoposti ad uno sfibrante logoramento fisico e morale.

Tra il 1915 e il 1916 si completarono gli schieramenti delle alleanze con l’entrata in guerra degli Stati balcanici: Serbia, Montenegro, Grecia e Romania al fianco dell’Intesa; la Bulgaria con Austria e Germania. Grazie a quest’accordo, l’Austria conquistò la Serbia. I Paesi neutrali rimasero Olanda, Spagna, Scandinavia e Svizzera. Gli imperi centrali (Austria e Germania) in questa situazione militare bloccata, avevano tutto da perdere: inferiori numericamente, avevano difficoltà a rifornirsi a causa del blocco navale attuato dalla marina britannica nel Mare del Nord. Per questo, nel febbraio 1916 tentarono una grande offensiva sul fronte occidentale a Verdun, ma dopo sei mesi di battaglia capitolarono. Si contarono oltre settecentomila caduti. Anche la controffensiva anglo-francese sul fiume Somme , che mieté un milione di vittime, si rivelò inutile.

Sul fronte italiano il generale Luigi Cadorna lanciò l’offensiva per sfondare le linee austriache sul fiume Isonzo, sull’altopiano del Carso. Unico risultato, la presa di Gorizia (agosto 1916) dopo una logorante guerra di trincea.

Per forzare il blocco navale britannico i tedeschi spostarono la guerra sul mare, sconfitti nello Jutland, intensificarono la guerra sottomarina illimitata (U-Boot) attaccando con siluri le navi di qualunque nazionalità, anche non militari, in rotta da e per la Gran Bretagna. Il 1917 fu un anno cruciale per le sorti del conflitto. Sul fronte orientale l’esercito russo cedette in più punti mentre le truppe disertavano in massa. La Russia subiva un tracollo economico e militare che divenne anche politico in seguito alla rivoluzione che nel febbraio 1917 portò all’abdicazione dello zar Nicola II e alla rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917. Questi eventi condussero al ritiro della Russia dalla guerra, che permise così ai tedeschi di concentrare le forze sul fronte occidentale e su quello italiano, dove austriaci e tedeschi (24 ottobre 1917) riportarono una gloriosa vittoria a Caporetto e stabilirono la nuova linea del fronte sul fiume Piave, che

divenne luogo dei sanguinosi scontri che si protrassero sino al 25 dicembre 1917.

In tutti gli eserciti ormai dilagava un clima di sfiducia e di rivolta tra le truppe, che alla fine della guerra contarono oltre otto milioni di morti, mentre anche le popolazioni civili dei Paesi impegnati nel conflitto erano piagate da denutrizione ed epidemie. In Francia, Germania e Italia si scatenarono scioperi e sommosse contro la guerra: i socialisti e il Papa Benedetto XV chiedevano di porre fine all’inutile strage.

In questo clima il Presidente degli Stati Uniti Wilson decise di intervenire per spostare l’equilibrio bellico a favore dell’Intesa. La svolta si ebbe nel marzo del 1918, quando i tedeschi lanciarono una nuova grande offensiva sul fronte occidentale giungendo a 60 km da Parigi ma le truppe alleate, sotto il comando del generale francese Foch, sfondarono le linee

nemiche ad Amiens (8 agosto). La fine del conflitto si stava delineando.

In Italia, Cadorna era stato sostituito dal generale Armando Diaz. Dopo Caporetto fu riorganizzato l’esercito chiamando anche i giovani nati nel 1899 (“i ragazzi del ’99“). Furono promessi premi e terre ai soldati, e la corrente (disfattista) diffusa fra i socialisti lasciò il posto al patriottismo. Gli sforzi non furono vani: gli austriaci vennero fermati durante la seconda battaglia del Piave (15-23 giugno). Tra il 24 ottobre e il 3 novembre 1918, le truppe italiane, unite a divisioni inglesi, francesi e americane, avanzarono verso Vittorio Veneto (terza battaglia del Piave) e,disgregando le forze nemiche, giunsero a conquistare Trento e Trieste.

L’armistizio venne firmato dall’Impero austro-ungarico il giorno seguente, 4 novembre 1918. Anche la Germania, stremata militarmente ed economicamente, chiese all’Intesa l’armistizio che, in data 11 novembre 1918, decretò la fine del conflitto.

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Il significato storico e le eredità della guerra

La Grande Guerra segnò profondamente l’economia, la politica, la società europea e mondiale.

I principali fattori di mutamento furono:

1. La crisi della secolare egemonia (predominanza) economica e politica dell’Europa nel mondo.

 L’Europa del dopoguerra lasciò il ruolo di centro economico e politico del mondo agli Stati Uniti, che videro crescere la loro produzione industriale sino a rappresentare la metà di quella mondiale negli Anni Venti, mentre gli stati europei, pesantemente indebitati nei confronti degli USA, che furono così coinvolti anche politicamente nel ruolo politico internazionale.

2. La crescita del ruolo degli Stati nell’economia.

 Il conflitto totale costò oltre 8 milioni di caduti, 21 milioni di feriti, ma anche chi non combatté in modo diretto fu mobilitato allo sforzo bellico per sorreggere il sistema industriale. Infatti la produzione e l’utilizzo di armi pesanti sempre più sofisticate, tra cui anche sommergibili ed aeroplani, aveva richiesto grandi investimenti economici e tecnologici. Per questo motivo nell’immediato dopoguerra i Paesi europei subirono una grave inflazione, un pesante deficit pubblico e la necessità di riconvertire la produzione da bellica a civile, causando così una forte disoccupazione. Sul medio e lungo periodo si ebbe un sempre maggiore intervento dello Stato nell’economia e si svilupparono la concentrazione industriale e l’innovazione tecnologica che resero possibile la produzione di massa durante il periodo fra le due guerre e il secondo dopoguerra.

3. La mobilitazione delle masse, l’intensificazione dei conflitti sociali, la crisi delle istituzioni liberali

 Maturò in quegli anni una coscienza collettiva: anche milioni di donne fecero ingresso nel mondo del lavoro in sostituzione degli uomini al fronte. Il nuovo protagonismo delle masse, in una situazione di grave disagio sociale ed economico che implicava anche il razionamento, andò a rafforzare il movimento operaio contadino e si aprì una fase di intensi conflitti e imponenti scioperi di matrice socialista avente base nel proletariato agricolo e industriale. Tuttavia la crisi interessava anche i ceti medi, ora reduci dal conflitto e privi di riconoscimenti e di sicurezze economiche. In questo quadro sociale dominavano i cosiddetti “pescicani”, finanzieri e speculatori arricchitisi con la guerra. In tutti i Paesi, comunque, la democrazia subì forti restrizioni: fiorì la censura, che limitava la libertà di informazione, e la stampa finì per ridursi a ruolo di propaganda patriottica che finì per manipolare e controllare l’opinione pubblica.

Durante la guerra lo sciopero fu proibito e represso molto duramente nelle fabbriche che producevano armamenti. Il clima di autoritarismo si diffuse nelle strutture politiche e nella stessa opinione pubblica. Si giunse presto alla crisi dei valori liberali e democratici che presto avrebbe fatto nascere i regimi di tipo fascista.

4. Il tentativo difficile ed irrisolto di creare un nuovo ordine internazionale.

 Non si realizzò la costruzione di un ordine mondiale stabile e duraturo quale era stato raggiunto un secolo prima con la Restaurazione decretata dal Congresso di Vienna (1815), infatti dopo neppure vent’anni il mondo sarebbe stato coinvolto in un nuovo devastante conflitto scoppiato in Europa. Il motivo è spiegato dal fatto che la Grande Guerra aveva avuto come unico obiettivo la vittoria totale, facendo appello ai sentimenti nazionali di massa. Le trattative di pace furono quindi condotte dai vincitori in un’ottica nazionalistica e la conclusione sul piano diplomatico fu insoddisfacente.

Gli unici veri vincitori del conflitto erano dunque gli Stati Uniti che dettarono alla vecchia e rissosa Europa i principi del nuovo ordine mondiale.

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9 Il presidente Wilson, infatti, nel 1918 espose i Quattordici punti sui quali costruire la pace per evitare una nuova terribile guerra. I più importanti tra questi:

1) Ridefinizione dei confini che rispettasse l’autonomia territoriale dei popoli 2) Libertà di commercio e abolizione delle barriere doganali

3) Riduzione al minimo degli armamenti

4) La fine della diplomazia segreta e un’informazione pubblica trasparente da parte dei governi.

Questi obiettivi avrebbero così favorito, per Wilson, la creazione di un organismo sovranazionale, la Società delle nazioni, avente ruolo di paciere internazionale.

I Quattordici punti, in effetti, erano l’espressione di idee politiche innovative, ma di difficile attuazione in Europa, che ancora vedeva la presenza di stati con all’interno etnie diverse, senza contare gli egoismi delle varie nazioni che, anche nel mondo coloniale, tendevano a conservare intatti i propri domini. Fu così che la Società delle nazioni nacque già debole: Stati Uniti (dopo Wilson), Giappone, Unione Sovietica e Germania, per vari motivi, non vi parteciparono; in effetti fu ridotta a semplice espressione degli interessi anglo-francesi.

La Conferenza di pace di Parigi

Nel 1918 i pilastri dell’Europa centro-orientale erano crollati: l’impero russo ad opera della rivoluzione, quello austro-ungarico e il Reich tedesco a causa della dura sconfitta che aveva portato all’abdicazione dei rispettivi monarchi e alla proclamazione della repubblica, mentre a Istanbul il sultano non aveva più autorità nell’area balcanica.

I negoziatori riuniti alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919 ebbero il problema di ridisegnare la carta politica dell’Europa sconvolta dal tracollo simultaneo di questi quattro grandi imperi. Le decisioni, naturalmente, furono prese dai quattro vincitori: gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. Gli sconfitti non furono ammessi come pure la Russia, in quanto il governo socialista non venne riconosciuto dalle potenze occidentali.

Furono firmati cinque diversi trattati di pace, il più importante, detto di Versailles, relativo alla Germania, poi quello di Saint Germaine, con l’Austria, di Neuilly, con la Bulgaria, il Trianon con l’Ungheria, di Sèvres, con la Turchia (nel 1920).

Rimasero irrisolti molti problemi (la questione mediorientale è aperta ancora oggi); l’Italia ne uscì insoddisfatta, l’area centrorientale e balcanica continuò a essere alimentata da tensioni nazionalistiche ed etniche ma, soprattutto, i trattati di pace punirono severamente la Germania, favorendo così l’ascesa al potere di Hitler e del nazismo.

Il crollo dell’Impero Ottomano

Nonostante le riforme introdotte dalla rivoluzione del 1908 (Giovani turchi) la situazione continuava ad essere esplosiva: particolarmente tragico fu lo sterminio degli Armeni, ai quali l’Intesa aveva promesso l’indipendenza. Dopo la sconfitta, gli inglesi occuparono Istanbul e parte dell’Anatolia, i francesi la Siria e gli italiani un’altra parte dell’Anatolia. Il trattato di Sèvres finì per disgregare completamente l’impero turco, assegnandone varie parti agli stati vincitori del conflitto. Fu Mustafa Kemal (Ataturk = Padre dei turchi) che, a capo del movimento d’opposizione addestrò, con l’aiuto dei bolscevichi, un esercito nazionale, conquistando l’indipendenza della Turchia e recuperando buona parte dei territori. La Repubblica turca fu proclamata nel 1923 e il generale Ataturk ne fu presidente a vita; la nuova capitale divenne Ankara. Venne instaurato un regime autoritario, anche se basato su modelli occidentali, per un paese moderno e laico che riconobbe il diritto di voto alle donne, ma era pervaso di un acceso nazionalismo che portò a discriminare le minoranze curda ed armena.

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