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Il testo del disegno di legge, all’esito dell’esame della Camera dei Deputati, è stato trasmesso al Senato della Repubblica, ove ha acquisito diversa numerazione e risulta attualmente denominato D.d.l

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Parere, ai sensi dell'art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, sul testo del D.d.l. n.1441 bis-C., recante: “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria”, limitatamente alla parte relativa alla delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali e di contenimento e di razionalizzazione delle spese di giustizia.

(Delibera dell’11 marzo 2009)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta dell’11 marzo 2009, ha adottato il seguente parere:

«1. Premessa.

Il presente parere ha per oggetto il disegno di legge n. 1441 bis C. recante: “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria” limitatamente alla parte relativa alla delega al governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali e di contenimento e di razionalizzazione delle spese di giustizia.

Il testo del disegno di legge, all’esito dell’esame della Camera dei Deputati, è stato trasmesso al Senato della Repubblica, ove ha acquisito diversa numerazione e risulta attualmente denominato D.d.l. A.S. n. 1082 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”.

L’analisi che segue è, inoltre, limitata – in ossequio al dato normativo e alla costante prassi consiliare1 – ai profili riguardanti l’ordinamento giudiziario, l'organizzazione e il funzionamento della giustizia e la disciplina dei diritti fondamentali costituzionalmente previsti.

2. Oggetto.

Le modifiche alla disciplina processuale introdotte con il disegno di legge attengono, in estrema sintesi ed addentrandoci nei profili valutativi, limitatamente, in conformità a quanto si è detto in esordio, agli aspetti di maggior rilevanza per le ricadute sulla organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia, alle seguenti tematiche:

a) mediazione e conciliazione delle controversie civile e commerciali: art. 39;

b) misure urgenti per il recupero di somme afferenti al bilancio della giustizia e per il contenimento e la razionalizzazione delle spese di giustizia: art. 40.

3. Il disegno di legge delega in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali.

Ciò premesso, la disposizione che si occupa della mediazione e della conciliazione delle controversie civile e commerciali è l’art. 39, composto da tre commi, con il quale si delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data in entrata in vigore del disegno di legge in esame, uno o più decreti legislativi in materia2.

1 Così, da ultimo, i pareri 17 gennaio 2008 sul disegno di legge recante «Disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente.

Delega al governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della relativa disciplina» approvato dal Consiglio dei ministri il 24 aprile 2007, 20 febbraio 2008 sul disegno di legge di conversione del decreto legge 1° novembre 2007 n. 181 concernente: «Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza», 19 giugno 2008 sul decreto legge 23 maggio 2008, n. 90, recante «Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania ed ulteriori disposizioni di protezione civile».

2 In particolare, ai sensi del III comma, nell’esercizio della suddetta delega, il Governo dovrà:

a)prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l'accesso alla giustizia;

b)prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione;

c)disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l'estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 5, e in ogni caso attraverso l'istituzione, presso il Ministero della giustizia, di un Registro degli organismi di conciliazione, vigilati dal medesimo Ministero, fermo restando il diritto delle camere

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Con il disegno di legge delega in esame si introduce nell’ordinamento italiano la possibilità di ricorrere, per la risoluzione delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili, ad uno strumento alternativo rispetto alla giurisdizione.

Si tratta, senz’altro, di una innovazione di inedita portata (giacché precedenti interventi normativi in tal senso sono sempre stati limitati a determinati settori ovvero a specifiche materie), in ordine alla quale la valutazione complessiva non può che essere positiva, sia perché la stessa risponde a nuove e diverse esigenze della società civile sia perché essa si colloca in una posizione di perfetta coerenza con le scelte in tale direzione già compiute dall’Unione europea.

Invero, lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie (per usare la terminologia dell’art. III-269, n. 2 lett. g) del trattato costituzionale europeo) è una delle politiche dell’Unione europea nel settore della giustizia civile.

Questa politica si è tradotta in numerosi interventi; tra i principali vanno senza dubbio annoverati: a) le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 19993; b) il Libro Verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie, presentato il 19 aprile 20024; c) il Codice europeo di condotta per i mediatori5, presentato a Bruxelles il 2 luglio 2004; d)

di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell’art. 2 L.

580/1993 ad ottenere l’iscrizione di tali organismi nel medesimo registro;

d)prevedere che i requisiti per l'iscrizione al Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministero della giustizia;

e)prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli;

f)prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro;

g)prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali;

h)prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto al Registro;

i)prevedere che gli organismi di conciliazione iscritti nel Registro possano svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche;

l)per le controversie in particolari materie, prevedere la facoltà del conciliatore di avvalersi di esperti, iscritti nell'albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, i cui compensi sono previsti dai decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e le perizie giudiziali;

m) prevedere che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conciliazione tra le parti;

n)prevedere il dovere dell'avvocato di informare il cliente prima dell'instaurazione del giudizio della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;

o)prevedere, a favore delle parti, forme di agevolazione di carattere fiscale, assicurando, al contempo, l'invarianza del gettito attraverso gli introiti derivanti al Ministero della giustizia, a decorrere dall'anno precedente l'introduzione della norma e successivamente con cadenza annuale, dal Fondo unico giustizia di cui all'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008 n. 143;

p)prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell'accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l'accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un'ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell'articolo 9 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115;

q)prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi;

r)prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

3 Nel corso del Consiglio emerse l’opportunità di istituire negli Stati Membri dell’Unione europea delle procedure alternative di risoluzione delle controversie, quale strumento per la semplificazione e la facilitazione dell’accesso alla giustizia. A tal fine il Consiglio prese atto della necessità di individuare e stabilire principi comuni nel settore delle procedure ADR, incaricando la Commissione della redazione di un Libro Verde, che avrebbe dovuto fare il punto sullo stato della situazione nei diversi Stati membri con riferimento alla legislazione in materia e allo sviluppo delle procedure alternative di risoluzione delle controversie in e, contestualmente, avviare una procedura di consultazione presso i soggetti interessati e gli operatori del settore, volta all’individuazione delle misure comunitarie più adeguate da intraprendere per disciplinare uniformemente le procedure di ADR.

4 Il Libro Verde ha ad oggetto tutte le procedure di risoluzione alternativa delle controversie, nelle quali non è prevista

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la proposta di direttiva sulla mediazione6 del 21 ottobre 2004; e) la scelta di campo a favore degli strumenti alternativi contenuta in molte direttive (tra tutte, a titolo esemplificativo, l’art. 17 della direttiva 2000/31 sul commercio elettronico7); f) la Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, che ha sostanzialmente recepito la proposta di direttiva di cui alla precedente lett. d), limitandone tuttavia l’applicazione alle controversie transfrontaliere.

3.1. Le forme alternative di risoluzione della controversia.

Si usa parlare di forme alternative di risoluzione della controversia utilizzando la traduzione di un’espressione anglosassone, vale a dire Alternative Dispute Resolution (conosciuta con l’acronimo ADR), con la quale sono stati indicati i sistemi di risoluzione delle dispute che si distinguono rispetto a quelli di competenza del giudice statale.

Secondo le più recenti impostazioni dottrinali8 l’ADR ha caratteristiche positive in sé e richiede un sistema giudiziario efficiente come migliore incentivo per il suo sviluppo.

L’ADR, invero, può divenire uno strumento importante per una trasformazione della giustizia civile ed una sua evoluzione verso un sistema più flessibile e più attento alle caratteristiche del caso concreto, nell’ambito di un sistema integrato di giustizia che tenda sempre più a specializzare la funzione dei vari strumenti di definizione, articolando non solo gli strumenti alternativi alla decisione ma anche la gamma di quelli decisionali in senso stretto.

Non sfugge, infatti, che l’ADR ha il pregio di consentire “la continuazione dei rapporti tra le parti” e, pertanto, evita quel clima di agone proprio del ricorso alla giurisdizione, che determina

una adjudication, vale a dire quelle conosciute nel nostro paese con il nome di mediazione o conciliazione, con esclusione dell’arbitrato. Nel documento sono state riportate le esperienze in materia dei diversi Stati Membri ed evidenziate una serie di problematiche, sotto forma di ventuno quesiti, relativamente alle quali tutti gli interessati sono stati invitati a presentare osservazioni. La Commissione, nel Libro Verde, ha sottolineato che “lo sviluppo di queste forme di composizione delle controversie non deve essere percepito come un modo per rimediare alle difficoltà di funzionamento del sistema giudiziario, ma come un’altra forma di pacificazione più consensuale e, in molti casi più appropriata che il ricorso al giudice o ad un arbitro”.

5 Il codice è uno strumento di autoregolamentazione, che, in quanto tale, permette di garantire una maggiore elasticità, quanto mai necessaria in un settore quale quello delle ADR, dove l’informalità e la volontarietà sono due degli elementi caratterizzanti la procedura. Il fine primario del Codice è quello di sensibilizzare gli Organismi e i singoli mediatori sulle questioni legate alla deontologia ed alla qualità dei servizi offerti: la competenza dei mediatori, l’indipendenza ed imparzialità rispetto alle parti, la gestione del procedimento, il ruolo del mediatore al momento della redazione dell’accorso, l’obbligo di riservatezza e di fissare altresì i principi fondamentali in proposito.

6 La proposta di direttiva ha lo scopo di armonizzare le legislazioni dei singoli Stati Membri, soprattutto con riferimento ai rapporti tra le procedure ADR ed il processo ordinario, superando alcune difficoltà legate alla diversa efficacia degli accordi raggiunti dalle parti per la composizione delle controversie insorte tra di loro a seconda che siano state concluse in sede giudiziale o stragiudiziale nonché i problemi connessi alle liti transfrontaliere.

7 Il citato art. 17 recita: “Gli Stati membri provvedono affinché, in caso di dissenso tra prestatore e destinatario del servizio della società di informazione, la loro legislazione non ostacoli l’uso, anche per vie elettroniche adeguate, degli strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie previsti dal diritto nazionale. Gli Stati membri incoraggiano gli organi di composizione extragiudiziale delle controversie, in particolare di quelle relative ai consumatori, ad operare con adeguate garanzie procedurali per le parti coinvolte. Gli Stati membri incoraggiano gli organi di composizione extragiudiziale delle controversie a comunicare alla Commissione le decisioni significative che adottano sui servizi della società dell’informazione nonché ogni altra informazione su pratiche, consuetudini od usi relativi al commercio elettronico.

8 Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, afferma che “la conciliazione e più in generale i mezzi alternativi di risoluzione delle controversie non devono essere considerati un ripiego a fronte di una situazione drammatica della giurisdizione statale: quasi che, se quest’ultma funzionasse bene, dei mezzi alternativi si potrebbe benissimo fare a meno. E non devono essere considerati neppure uno strumento deflativo di una richiesta di tutela giurisdzionale, cui l’apparato pubblico non riesce a far fronte”.

Negli stessi termini si esprime Caponi, La conciliazione stragiudiziale, Cosi, Perché conciliare, nonché Di Rocco e Santi, La conciliazione, secondo i quali sarebbe più opportuno adottare le locuzioni Appropiate o Addotional o Complementary Dispute Resolution, così da poter considerare i metodi di ADR “il canale principale”. Essi dovrebbero rappresentare un’opzione primaria per le parti che si trovano di fronte ad una controversia.

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inevitabilmente la conflittualità di tali rapporti e, dunque, ostacola la possibilità stessa di conciliare la controversia.

L’affermazione nel panorama ordinamentale dell’ADR comporta un cambiamento di prospettiva culturale prima ancora che tecnico-giuridica.

Infatti la risoluzione giurisdizionale delle controversie diviene solo una species del genus

“risoluzione delle controversie”. Accanto ad essa vi sono anche i cc.dd. strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, che, per l’appunto, sono alternativi proprio rispetto alla giurisdizione.

Quest’ultima costituisce, senza dubbio, un dovere costituzionale dello Stato ma non un suo diritto.

In tale prospettiva i rapporti tra la giurisdizione e gli altri mezzi devono essere impostati sulla base del principio di sussidiarietà: ove questi altri strumenti siano idonei a raggiungere lo scopo, ad essi deve essere data la precedenza cronologica.

In altri termini alla giurisdizione deve essere riconosciuta una posizione di centralità nella tutela dei diritti ma non una posizione di priorità. La giurisdizione è centrale, perché è l’unico strumento che funziona sempre e, per tale ragione, è garantito costituzionalmente. Essa, tuttavia, non è prioritaria né in senso logico né in senso cronologico9.

Non si ignora che il processo è divenuto progressivamente l’unico luogo ove la tutela dei diritti civili viene attuata e proprio tale circostanza ha prodotto un incredibile aumento delle cause con il conseguente incremento dei tempi di definizione del giudizio. La resistenza giudiziale alle pretese può essere indotta dai vantaggi che derivano dalla durata del processo. Anche il ricorso al processo, tuttavia, può essere dissuaso dalla eccessiva durata del processo e dalla dilatazione del risultato concreto; e ciò con conseguente rinuncia all’esercizio dei diritti lesi. La giustizia lenta ed inefficiente invece di garantire tutela ai diritti ne accredita la negazione.

La conciliazione, tuttavia, va promossa non per realizzare un effetto deflativo del contenzioso civile ma perché rappresenta uno strumento di ampliamento dell’area della tutela, vale a dire “uno dei diversi mezzi di risoluzione delle controversie disponibile in una società moderna, che può essere il più idoneo per alcuni tipi di controversie, ma certamente non per tutte”(cfr.

relazione di accompagnamento alla proposta di direttiva sub 1.1.4).

Quanto detto, d’altronde, trova conferma nella circostanza che proprio dall’Unione europea provengono forti spinte all’introduzione ed alla diffusione dell’ADR negli Stati membri. Invero la politica dell’Unione vale anche per quei paesi (dalla Germania, all’Olanda all’Austria) in cui i tempi per la definizione delle controversie sono ampiamente accettabili. La filosofia europea è quella di promuovere l’applicazione del diritto sostanziale evitando il più possibile le liti giudiziarie, che appaiono come un ostacolo alla fluidità del mercato. Pertanto, più che di un approccio deflazionistico, si tratta di una chiave di lettura improntata alla massima funzionalità della vita economica10.

3.2. La conciliazione stragiudiziale.

Chiarita la funzione degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, è necessario soffermarsi sulla natura e sulla struttura dello strumento conciliativo stragiudiziale.

La conciliazione si caratterizza per l’intervento di un soggetto estraneo alle parti, il cui compito è di favorire l’accordo delle parti. La funzione che svolge il conciliatore non va confusa con quella dell’arbitro: quest’ultimo ha il potere di imporre alle parti la risoluzione della controversia, in quanto il lodo vincola le parti come una sentenza. Il conciliatore, al contrario, non

9 Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, afferma che “l’idea comune è quella della priorità della giurisdizione, che è concetto diverso da quello della centralità della giurisdizione. Con quest’ultima espressione si indica un principio assolutamente ovvio, che trova fondamento negli artt. 24 e 111 Costituzione: la tutela giurisdizionale dei diritti è un’attività costituzionalmente necessaria, che il legislatore non può circoscrivere o eliminare.

Con l’altra espressione, invece, si indica quello stato psicologico istintivo, in base al quale – ove si presenti la necessità di tutelare un diritto – il ricorso alla giurisdizione viene invocato come il primo ed immediato rimedio”

10 Nel parere del Comitato economico e sociale sul libro verde si scrive, al punto 2.2.3., che “in ogni caso, gli ADR non devono costituire uno strumento per sottrarsi alla giustizia dei rispettivi paesi” e che “essi presentano il vantaggio di proporre alle parti un sistema alternativo, fermo restando il diritto di queste ultime di ricorrere alla giustizia”.

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impone ma propone; il suo intervento favorisce l’accordo tra le parti, che è comunque il frutto esclusivo delle loro volontà e, quindi, ad esse soltanto imputabile. In linea di principio il regime giuridico e gli effetti dell’atto conclusivo della conciliazione non si distinguono dal regime giuridico e dagli effetti del contratto, stipulato direttamente dalle parti, senza l’intervento del conciliatore.

La conciliazione può svolgersi secondo due diverse modalità, cui corrispondono due diverse tipologie di intervento del legislatore.

Da un lato vi è la conciliazione “aggiudicativa”, o basata sui diritti, nella quale il conciliatore valuta le ragioni delle parti, e sottopone loro una proposta che coincide con quella che sarebbe, a suo avviso, la decisione della controversia in sede giurisdizionale (o arbitrale). Le parti possono convincersi ad accettare tale proposta, bilanciando i rischi ed i benefici (anche in termini di tempi) della soluzione consensuale rispetto a quella eteronoma.

L’altro tipo di conciliazione è quella cd. “facilitativa”, o basata sugli interessi, nella quale il conciliatore non valuta le ragioni delle parti, ma i loro interessi sottostanti, e sottopone loro una proposta che sia in grado di soddisfare tali interessi. L’abilità del conciliatore sta proprio nella capacità di farsi chiarire dalle parti quali siano gli interessi sottesi al conflitto, al fine di proporre una soluzione che ne tenga adeguatamente conto.

La principale differenza11 che intercorre fra la conciliazione “aggiudicativa” (o “valutativa”) e conciliazione “facilitativa” può così sintetizzarsi: nella prima il conciliatore cerca e propone una soluzione parametrata sulla fondatezza delle rispettive pretese in termini di diritto; nella seconda, invece, egli cerca una soluzione parametrata agli interessi reali sottesi alle rispettive pretese giuridiche, che tenga conto non del “bene della vita” come formalizzato dal diritto ma della possibile utilizzazione concreta che di questo bene della vita la parte vuole fare.

Nella conciliazione facilitativa, dunque, il conciliatore non cerca la soluzione “giusta” ma la soluzione “conveniente”; da ciò deriva che ciascuna parte apporta non gli argomenti idonei a convincere il conciliatore che essa ha ragione ma gli elementi che indicano i suoi veri interessi.

Nella conciliazione valutativa, invece, le parti sottopongono al conciliatore non gli elementi volti a chiarire ciò che veramente intendono perseguire ma gli argomenti idonei a convincerlo che essa ha ragione, in modo da indurlo a fare la “proposta” alla stessa più favorevole.

Il legislatore italiano si è occupato della conciliazione stragiudiziale solo negli ultimi quindici anni, e ciò ha fatto seguendo due diverse direzioni: da un lato, al fine di introdurre tentativi obbligatori di conciliazione; dall’altro, con l’obiettivo di disciplinare tentativi non obbligatori.

Il principale – ma non unico – settore nel quale è obbligatorio il tentativo di conciliazione è costituito dalle controversie di lavoro (artt. 410 e ss. per le controversie con datore di lavoro privato;

artt. 65 e 66 D.Lgs. 165/2001, per le controversie con datore di lavoro pubblico. Accanto ad esso il legislatore stabilisce che la domanda giudiziale debba essere preceduta da un procedimento conciliativo, a titolo esemplificativo, nelle controversie fra utenti e gestori di sistemi di comunicazione (art. 1, comma 11, L. 249/1979); nelle controversie in materia di subfornitura (art.

10 L. 192/1998); nelle controversie agraria (art. 46 L. 203/1982); in alcune controversie in materia di proprietà industriale (art. 71 bis L. 633/1941).

L’ipotesi più dettagliatamente disciplinata di procedimento di conciliazione facoltativo è sicuramente offerta dalle controversie societarie (artt. 38 e ss. D.Lgs. 5/2003).

3.3. Valutazioni e possibili linee di intervento sul disegno di legge delega in esame al Senato della Repubblica.

Nel contesto fino ad ora descritto si inserisce la proposta di legge delega contenuta nell’art.

39 in esame, in ordine ad alcune indicazioni del quale, proprio alla luce delle considerazioni sopra svolte, la valutazione non può che essere positiva.

11 Sul punto, fra i contributi più recenti, Rubino, I procedimenti; Amadei-Soldati, Il processo societario.

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Innanzitutto appaiono in linea con la natura della conciliazione stragiudiziale le previsioni di cui al comma 2 lett. a) e b). Infatti il tentativo di conciliazione può avere successo solo se è sostenuto da una reale volontà conciliativa e non se è svolto per ottemperare ad un obbligo. In questo caso si trasforma in un mero adempimento formale, che ingolfa gli uffici preposti, ritardando la definizione della controversia e sottraendo energie allo svolgimento dei tentativi di conciliazione seriamente intenzionati. Pertanto, la facoltatività del ricorso alla mediazione sembra poter meglio garantire il raggiungimento delle finalità cui lo strumento stesso è preordinato. Sotto altro aspetto, solo l’indipendenza e la professionalità degli organismi di conciliazione sono in grado di garantire l’efficacia dello strumento stragiudiziale in esame, al contempo consentendo alle parti di non nutrire sospetti sull’imparzialità dei conciliatori e, dunque, sull’affidabilità del meccanismo conciliativo.

Del pari con favore va guardato alle previsioni di cui alle lettere o), q) ed r) del medesimo comma. Invero, l’individuazione del termine massimo di quattro mesi entro il quale il procedimento di conciliazione deve chiudersi nonché la prescrizione di forme di agevolazioni di carattere fiscale appaiono misure idonee a promuovere ed a facilitare l’accesso alla procedura in oggetto, giacché prospettano il contenimento sia dei tempi sia dei costi, disposizioni tanto più efficaci a fronte della notevole durata ed onerosità del processo civile.

Sotto altro aspetto, la previsione che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva consente di evitare che la mediazione venga ritenuta un’alternativa meno utile rispetto al procedimento giudiziario, cosa che accadrebbe se l’esecuzione dell’accordo raggiunto fosse rimesso alla buona volontà delle parti.

A fronte di tali indubbie positività, va, tuttavia, rilevato che la norma in esame non appare fissare – neanche sotto forma di principi – i criteri per l’attivazione ed il funzionamento del meccanismo conciliativo, né tanto meno ne definisce i rapporti con il giudizio ordinario.

Invero, pur prevedendo la lett. c) del comma 2 dell’art. 39 che la disciplina della mediazione sia in linea con la normativa comunitaria e che debba essere istituito presso il Ministero della Giustizia un Registro degli organismi di conciliazione, tuttavia appaiono mancare disposizioni di carattere generale, utili ad indirizzare l’attività legislativa che dovrà essere posta in essere dal Governo. Non appare, conseguentemente, condivisibile la previsione di cui alla lett. d) del medesimo comma, che rimette ad un decreto ministeriale l’indicazione dei “requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione”, giacché si tratta di individuare le caratteristiche e le qualificazioni professionali necessarie per garantire la funzionalità e l’efficienza della conciliazione stragiudiziale e, pertanto, era quanto mai necessario fornire in sede di legge delega i criteri generali.

Del pari le successive lettere e), f) g), h), i), l) ed m) appaiono calibrate più sui diritti dei conciliatori che sui loro doveri, con un pericoloso spostamento di prospettiva, che rischia di tradursi in un danno per l’istituto stesso. In altri termini, se da una parte può condividersi la scelta effettuata dal legislatore di riconoscere piena dignità professionale ai conciliatori, dall’altra desta preoccupazione che la medesima attenzione non sia stata prestata nel predisporre le garanzie utili ad assicurare il corretto funzionamento della conciliazione.

Infatti, proprio perché è con la legge delega in esame che si introduce nel sistema italiano la generale possibilità di ricorrere all’ADR per le controversie civili e commerciali aventi ad oggetto diritti disponibili, sembra quanto mai necessario che il legislatore fissi una cornice normativa completa ed unitaria, nell’ambito della quale vanno poi collocate le specifiche disposizioni relative alla conciliazione stragiudiziale, eventualmente avendo anche cura di effettuare un coordinamento con norme già vigenti relative alla medesima materia.

Ciò posto, sembra opportuno che il legislatore:

A) effettui preliminarmente precisazioni di carattere terminologico. Invero il nostro sistema non conosce una definizione normativa di conciliazione. Esso corrisponde a quello che nel mondo anglosassone è indicato con l’espressione mediation, tuttavia l’utilizzo della sua traduzione nel nostro ordinamento è stato considerato fonte di equivoci in presenza di una previsione normativa, quale l’art. 1754 del codice civile, che definisce come mediatore: colui che mette in relazione due o

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più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza. In ambito privatistico, pertanto, si è fatto generalmente ricorso al termine “conciliazione”, con esso intendendo la soluzione concordata di una controversia insorta tra due o più parti, raggiunta attraverso l’opera di un terzo qualificato, sia esso giudice o altro soggetto, e volta a perseguire un risultato soddisfacente per entrambe le parti.

Va pure evidenziato che con il termine “conciliazione” si può riferirsi sia al risultato della stessa sia all’attività che a tale risultato conduce. Dal punto di vista strutturale si può, infatti, distinguere la dimensione procedurale e l’aspetto sostanziale, il “tentativo di conciliare, inteso come procedimento, finalizzato alla ricerca di una soluzione della lite fondata sul consenso, e la conclusa conciliazione, atto che pone fine alla lite, ristabilendo tra le parti una situazione di assenza di conflitto12”.Se volessimo uniformarci al linguaggio utilizzato in sede comunitaria, dovremmo riservare il termine “conciliazione” a quell’attività prestata dal giudice nell’ambito del procedimento giudiziale che si svolge innanzi allo stesso, usando quello di “mediazione” con riferimento invece all’attività svolta dal terzo al di fuori del processo per agevolare le parti nella ricerca di una soluzione consensuale della lite. Alla precisazione terminologica potrebbero, naturalmente, farsi corrispondere realtà differenti, rispondenti ad esigenze diverse ed a criteri normativi non omogenei.

Al riguardo occorre tenere presente che il “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione13 di cui all’art. 38 D.Lgs. 5/2003”, contiene all’art. 1, lett. d), la definizione di conciliazione.

L’istituto viene definito: “il servizio reso da uno o più soggetti, diversi dal giudice o dall’arbitro, in condizioni di imparzialità rispetto agli interessi in conflitto e avente lo scopo di dirimere una lite già insorta o che può insorgere tra le parti, attraverso modalità che comunque ne favoriscano la composizione autonoma”. Si tratta della prima definizione di conciliazione stragiudiziale, la quale sembra riproporre quella di mediazione fornita dalla direttiva europea del maggio 2008, citata in apertura.

L’esame complessivo dell’art. 39 in oggetto sembra riferire il termine “mediazione” al tentativo di conciliare, inteso come procedimento, finalizzato alla ricerca di una soluzione della lite fondata sul consenso, ed il termine “conciliazione” all’atto che pone fine alla lite, ristabilendo tra le parti una situazione di assenza di conflitto.

Sarebbe, dunque, opportuno che il legislatore intervenisse in maniera definitiva a livello terminologico, al fine di disegnare una cornice chiara ed inequivoca nell’ambito della quale collocare l’istituto di nuova introduzione;

B) preveda specifici requisiti idonei a garantire la preparazione dei conciliatori; in tale prospettiva non appare utile la mera indicazione della conoscenza delle discipline economiche e giuridiche, giacché prescinde totalmente dalla (necessaria) conoscenza approfondita delle tecniche conciliative;

C) introduca efficaci meccanismi di controllo della qualità in merito al servizio di mediazione anche tramite l’elaborazione di codici di condotta;

12 Così Luiso, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti.

13 Il regolamento è stato assunto con decreto del Ministro della Giustizia n. 222 del 23 luglio 2004; ad esso ha fatto seguito il Regolamento recante approvazione delle indennità spettanti agli organismi di conciliazione a norma dell’art.

39 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n.5, assunto con decreto del Ministro della Giustizia n. 223 del 23 luglio 2004.

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D) disciplini le modalità di nomina dei conciliatori, in maniera da garantirne l’imparzialità o, meglio, la neutralità14; a tal fine non appare sufficiente istituire albi di conciliatori ma occorre far sì che la designazione per il singolo procedimento ricada su un soggetto munito di idoneità generale e imparzialità specifica, con riguardo alla singola controversia (sia dal punto di vista dei rapporti con le parti, sia dal punto di vista degli interessi in discussione);

a. chiarisca quale sia il ruolo dei difensori dell’ambito della procedura conciliativa (anche al fine di garantire quanto indicato al precedente punto D), ed eventualmente individui precise cause di incompatibilità collegate all’attività prestata dai difensori in sede di conciliazione stragiudiziale in relazione al giudizio successivamente instaurato;

b. preveda l’obbligo di informazione della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione anche in sede di instaurazione del giudizio (eventualmente all’atto dell’iscrizione della causa), al contempo non escludendo stabili strumenti di divulgazione al pubblico di informazioni su come contattare mediatori ed organizzazioni che forniscono servizi di mediazione;

c. introduca la possibilità di promuovere e facilitare la conciliazione anche nel corso della causa, consentendo al giudice, ove intraveda fondati margini per la risoluzione della controversia in sede stragiudiziale, di sospendere il procedimento nonché i termini di prescrizione;

d. disciplini le modalità di instaurazione del procedimento di conciliazione e fissi le regole basilari per il suo svolgimento, avendo presente che il procedimento deve essere più spedito e semplice, dal punto di vista formale, rispetto al procedimento ordinario, altrimenti non se ne giustificherebbe l’esistenza. Per essere presentato come una soluzione positiva, ha bisogno di uno svolgimento rapido ed efficiente, la cui presenza sullo sfondo induca tutte le parti ad esplorare l’utilità di un accordo. A tal fine dovrebbe essere previsto che i “contenuti” del procedimento siano noti in tutti i suoi elementi sin dall’inizio del procedimento15.

e. preveda che la “domanda di conciliazione” abbia tutti gli effetti propri della domanda giudiziale e, in particolare, che essa sospenda i termini di prescrizione e di decadenza;

f. chiarisca l’obbligatorietà della presenza delle parti, necessaria per raggiungere più facilmente un accordo, anche limitatamente ad alcune fasi del procedimento;

g. individui nella “riservatezza” l’elemento caratteristico della mediazione, intesa come riservatezza sul contenuto delle trattative intercorse tra le parti, affinché, in caso di insuccesso, né gli atti né i documenti né le dichiarazioni formulate dalle parti in sede di procedimento di conciliazione trovino ingresso nel processo. In tale prospettiva appare opportuno che siano introdotti dei limiti alla testimonianza dei mediatori e dei suoi ausiliari, al fine di evitare che le parti interessate, temendone le ricadute nell’eventuale successivo giudizio, non rivelino il proprio reale interesse sottostante, così da ostacolare e rendere più difficile la conciliazione della controversia;

h. chiarisca se l’atto con il quale le parti conciliano sia o meno impugnabile;

i. preveda che le spese del procedimento di conciliazione siano contenute in tariffe massime, i cui importi siano comunque inferiori a quelli fissati per il giudizio

14Sul punto cfr. Eligio Resta, Giudicare, conciliare, mediare, in Politica del diritto, 1999: “la neutralità del giudice e quella del mediatore sono due imparzialità diverse, forse antitetiche, dato che quella del giudice consiste nel non identificarsi in nessuna delle parti, mentre quella del mediatore nell’essere, nello stesso tempo, entrambe le parti”.

15 L’idea del procedimento di conciliazione in ambito societario come “giusto procedimento”, cui applicare entro certo limiti le garanzie previste dall’art. 111 Cost., è resa esplicita da Arieta-De Santis, Diritto processuale societario.

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ordinario, al fine di incoraggiare le parti a ricorrere allo strumento alternativo alla giurisdizione;

j. preveda la possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato anche per il procedimento di conciliazione;

k. introduca meccanismi di collegamento tra il procedimento conciliativo ed il processo;

l. consenta al giudice di valutare, al termine della causa, la ragionevolezza e la giustificabilità del rifiuto da parte del vincitore della causa di procedere ad un tentativo di risoluzione alternativa, con le necessarie conseguenze in termini di spese di giudizio; non si dovrà trattare di una conseguenza automatica ma di una valutazione caso per caso, basata sul comportamento delle parti nella causa e sulla obiettiva incertezza del caso16.

Le indicazioni sopra fornite appaiono utili a meglio definire le caratteristiche strutturali e funzionali della conciliazione, che, per essere apprezzata e dunque, conseguire le finalità cui è preposta, deve caratterizzarsi come professionale, strutturata e tecnicamente organizzata, non affidata, quindi, alla sola improvvisazione creativa del mediatore, che pure ha un ruolo importante.

Solo in tal modo, infatti, le parti potranno superare la preoccupazione che al di fuori del giudizio ordinario non siano rispettate le garanzie giurisdizionali, dalle stesse ritenute indispensabili per la

“giusta” definizione della controversia.

Non sfugge, d’altronde, che la previsione della conciliazione stragiudiziale nel sistema ordinamentale italiano costituisce l’espressione di una nuova impostazione culturale, che, seppure rimessa all’intervento legislativo, necessita di tempi lunghi per poter compiutamente essere compresa ed accettata. Ciò non toglie, tuttavia, che alcune precisazioni sul piano tecnico nonché facilitazioni sul piano operativo possano contribuire in maniera determinante a superare pregiudizi e diffidenze nei confronti dell’ADR.

4. Il disegno di legge in materia di recupero di somme afferenti al bilancio della giustizia e per il contenimento e la razionalizzazione delle spese di giustizia.

L’art. 40 del disegno di legge A.S. n. 1082 contiene una serie di disposizioni che introducono misure urgenti per il recupero di somme afferenti al bilancio della giustizia e per il contenimento e la razionalizzazione delle spese di giustizia.

Per una più razionale disamina della proposta normativa de qua – che sul punto si presenta necessariamente frammentaria, in considerazione dell’incidenza della tematica su diverse disposizioni di legge - si procederà ad una valutazione di ciascuna modifica, con contestuale indicazione delle criticità laddove rilevate.

4.1. Modifiche al codice di procedura penale riguardanti la condanna alle spese processuali.

16 Appare in proposito opportuno richiamare nella presente sede la disciplina dettata sul punto dall’art. 40 D.Lgs.

5/2003 per la conciliazione in materia societaria. A seguito della modifica del primo periodo del secondo comma dell’art. 40 D.Lgs. 5/2003, la formalizzazione della proposta del conciliatore – ove non sia stato raggiunto l’accordo – è subordinata alla richiesta delle parti. Sembrerebbe, dunque, che le parti debbano esprimere il consenso all’adozione del cd. modello valutativo, nel quale, come si è detto sopra, al conciliatore viene chiesto di formulare una proposta; in altre parole è alle parti rimessa la scelta del tipo di intervento richiesto al conciliatore. Di conseguenza anche il comma 5 della norma in esame va letto alla luce della novella legislativa, di talché ciò che il giudice è chiamato a valutare comparativamente non è più la proposta del conciliatore bensì il comportamento tenuto dalle parti nel corso del procedimento di conciliazione (diversamente opinando, si lascerebbe alle parti la scelta in ordine all’applicazione, nel successivo ed eventuale giudizio) di un sanzione di carattere processuale, che non sembra poter rientrare nella loro disponibilità).

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Il primo comma della norma in esame propone la modifica delle modalità di pubblicizzazione della sentenza di condanna, nel senso che essa sarebbe non più pubblicata “in uno o più giornali designati dal giudice” bensì “nel sito internet del Ministero della giustizia”.

Tale proposta influisce indirettamente sul contenimento delle spese, in quanto la pubblicazione è effettuata a spese del condannato ma il relativo ammontare è anticipato dall’Erario.

La pubblicazione della sentenza, oltre che nel caso di condanna all’ergastolo, è prevista, in ragione della specifica natura del reato nelle ipotesi di condanna per l’usurpazione di funzioni pubbliche (347 c.p.), per l’usurpazione di titoli o di onori (art. 498 c.p.), per il rialzo ed il ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio (art. 501 c.p.), per le frodi contro le industrie nazionali (art. 514 c.p.), per la frode nell'esercizio del commercio (art. 515 c.p.), per la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine art. 516 c.p.) ed infine per la vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517c.p.).

L’esame dei reati per i quali è prevista la pubblicazione della sentenza di condanna evidenzia la finalità stessa di tale pena accessoria, diretta (salvo per il caso della condanna all’ergastolo, per il quale la pubblicazione si ricollega alla necessità di comunicare la condanna in ragione della gravità del reato) a prevenire la commissione di fattispecie di analoga natura. Si tratta, infatti, di reati realizzati con abuso della fede pubblica, ragion per cui la diffusione della notizia della condanna ha la funzione di prevenire l’affidamento di coloro i quali dovessero venire a contatto con il condannato, con l’effetto conseguente di evitare l’eventuale commissione da parte del medesimo di reati analoghi.

Così delineata la funzione della pubblicazione della sentenza, emerge con tutta evidenza che la pena accessoria in esame ha un senso in quanto determini l’effettiva divulgazione della notizia della condanna.

Considerazioni di carattere empirico avvertono che la medesima collettività indifferenziata, destinataria della comunicazione a mezzo stampa, non può essere ugualmente raggiunta attraverso l’inserimento della condanna nel solo sito del Ministero della Giustizia e, quindi, sotto questo profilo, l’efficacia preventiva della pena accessoria viene notevolmente ridotta se non addirittura a mancare.

È evidente, infatti, la diversa divulgazione derivante dall’inserzione su un quotidiano locale rispetto a quella dell’inserzione sul sito internet del Ministero. Nel primo caso la pubblicazione sul quotidiano è diffusa ad una collettività indifferenziata, individuata solo dalla scelta del quotidiano;

nel secondo caso il contenuto informativo è limitato ai soggetti che accedono al sito Internet del Ministero della Giustizia.

L’empirica constatazione del differente livello di comunicazione evidenzia che la proposta di cui al comma 1 dell’art. 40 non comporta un mero mutamento delle modalità di pubblicazione ma, di fatto, modifica - quasi abrogandola surrettiziamente - la sanzione accessoria della pubblicazione della sentenza.

La scelta del legislatore, senz’altro utile nell’ambito di un disegno volto al contenimento dei costi, va dunque adeguatamente considerata anche alla luce delle finalità non solo repressive ma soprattutto preventive di tale sanzione accessoria. All’esito di una comparazione tra i benefici e gli effetti negativi della proposta di modifica potrebbe dunque ritenersi opportuna l’individuazione di strumenti di pubblicità diversi, ma comunque idonei a dare maggiore pubblicità alla sentenza di condanna, quale, ad esempio, l’inserimento in siti a carattere nazionale e locale collegati all’ambiente commerciale o pubblico ove il reato è stato commesso, da aggiungersi all’inserimento nel sito del Ministero della Giustizia.

A coronamento della previsione che modifica il sistema di pubblicazione della sentenza, il comma 2 lett. b) dell’art. 40 dispone la soppressione all’art. 531, comma 6, c.p.p. dell’inciso: “e designa il giornale o i giornali in cui deve essere inserita”.

Il comma 3 dell’art. 40 prevede che “Al comma 4 dell'articolo 171-ter della legge 21 aprile 1941, n. 633, la lettera b) è sostituita dalla seguente: «b) la pubblicazione della sentenza ai sensi dell'articolo 36, secondo comma, del codice penale»”.

(11)

Il comma 4 dell’art. 40 prescrive infine che “All'articolo 18, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, le parole da: «in uno o più giornali indicati dal giudice» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «nel sito internet del Ministero della giustizia. La sentenza è altresì pubblicata mediante affissione nel comune ove l'ente ha sede principale. La durata della pubblicazione è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni»”.

4.2. Continua in tema di modifiche del codice di procedura penale.

Il comma 2 lett. a) dell’art. 40 prevede alcune modifiche del codice di procedura penale. Si tratta di modifiche relative alla condanna alle spese, che per taluni profili destano perplessità sia per quanto concerne il rispetto del principio di non colpevolezza ed il principio di legalità della pena sia per quanto concerne la garanzia dell’effettiva recuperabilità delle spese.

È, innanzitutto, proposta l’abrogazione dell’inciso “relative ai reati cui la condanna si riferisce”, di cui al comma 1 dell’art. 535 c.p.p. Tale previsione, che limita la condanna al pagamento delle spese ai soli reati per i quali vi sia stato accertamento della responsabilità penale, impedisce che siano poste a carico dell’imputato le spese processuali relative ai reati per i quali, invece, vi sia stata assoluzione.

L’abrogazione dell’inciso in esame sembra infatti doversi interpretare nel senso che il venir meno della correlazione della condanna con i reati ai quali essa si riferisce comporti la conseguente imposizione delle spese anche per i reati per i quali vi sia stata assoluzione. Si osserva in proposito che ciò rischia di determinare un’irragionevole disparità di trattamento tra coloro che sono assolti per l’unico reato per cui erano imputati e coloro che sono assolti per alcuni reati e condannati per altri, in quanto processati per più reati.

L’imposizione delle spese per il processo con esito assolutorio contrasta, inoltre, con il principio di non colpevolezza, in quanto sarebbero poste a carico dell’imputato le spese processuali sostenute per la sua assoluzione.

Il comma 2 lett. a) dell’art. 40 propone, inoltre, la soppressione del secondo comma dell’art.

535 c.p.p., in base al quale “i condannati per lo stesso reato o per reati connessi sono obbligati in solido al pagamento delle spese e i condannati in uno stesso giudizio per reati non connessi sono obbligati in solido alle sole spese comuni relative ai reati per i quali è stata pronunciata condanna.”17.

Tale abrogazione determina il venir meno dell’obbligo di solidarietà, ragion per cui i condannati saranno obbligati pro quota al pagamento delle spese.

17La ricostruzione giurisprudenziale concernente la condanna alle spese è nel senso che l'obbligo solidale al pagamento delle spese processuali deriva solo dalla condanna per concorso nel medesimo reato o per reati tra i quali ricorre una connessione qualificata e non nasce, invece, nel caso in cui l'unicità del processo deriva da connessione soggettiva o probatoria ovvero da una mera opportunità processuale (ez. I, sent. n. 12151 del 15-03-2006 (ud. del 15-03-2006), (rv.

233877)

La pronuncia n. 98 del 1998 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 188, secondo comma c.p. dell’art. 188, comma secondo, c.p. , nella parte in cui prevedeva la trasferibilità agli eredi del condannato dell'obbligo di rimborso delle spese processuali, escludendone il carattere civilistico ed affermandone la natura penalistica di sanzione accessoria, non ha alcuna incidenza sul regime di solidarietà previsto dall’art. 535, secondo comma, c.p., nel senso che le spese sostenute dallo Stato in via di anticipazione per l'attuazione della funzione giurisdizionale nell'ambito di un processo con pluralità di imputati dello stesso reato devono farsi gravare individualmente su ciascuno per l'intero, salva la possibilità dell'esperimento dell'azione di rivalsa nei confronti degli altri. (Sez. I, sent. n. 15841 del 06-04-2006 (ud. del 06-04-2006), B.E. (rv. 234092)

Tra le obbligazioni civili derivanti da reato che il condannato deve soddisfare per ottenere la riabilitazione va compresa anche quella del pagamento delle spese processuali che deve essere soddisfatta nel rispetto della regola della solidarietà.

Pertanto tra i condannati per lo stesso reato o per reati connessi l'obbligazione non si estingue con il pagamento pro quota ma con il pagamento per l'intero importo.

Sez. I, sent. n. 18030 del 26-01-2006 (ud. del 26-01-2006), (rv. 234438)

(12)

L’eliminazione della solidarietà dell’obbligazione per il pagamento delle spese si pone in contrasto con l’obiettivo dell’agevolazione del recupero. Se è vero, infatti, che tale abrogazione rende più equa la distribuzione del carico delle spese in ragione della introdotta corrispondenza, è, altresì, vero che essa comporta un aggravio oltre che in termini di recupero anche in termini di individuazione della quota spettante a ciascuno dei condannati. Invero, ove l’eliminazione della solidarietà rispondesse alla necessità di far corrispondere con esattezza le spese alla condanna - in modo che ciascuno risponda esclusivamente per le proprie - allora ragioni di coerenza imporrebbero una divisione non in parti uguali, ma secondo l’effettiva loro attribuibilità a ciascuno dei condannati. Ciò comporterebbe, in ogni caso, ulteriore aggravio del lavoro degli uffici giudiziari e verosimile evenienza dell’insorgere di conflittualità, eventualmente da risolvere in sede civile.

4.3. Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia

L’art. 40 del disegno di legge al comma 5 prevede alcune modifiche al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni.

In particolare, la lett. a) del comma 5 introduce per i processi dinanzi alla Corte di Cassazione il pagamento di un importo pari all'imposta fissa di registrazione dei provvedimenti giudiziari, che va ad aggiungersi al contributo unificato.

La lett. b) del comma 5 dispone la modifica del comma 2 dell'articolo 52 (L), nel senso di portare ad un terzo la riduzione di tariffa, già prevista nella misura di un quarto, per il caso in cui la prestazione dell’ausiliario del magistrato non sia completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato per fatti sopravvenuti e non imputabili all'ausiliario stesso.

La lett. c) del comma 5 interviene sulla procedura di registrazione degli atti giudiziari ed aggiunge il comma 2 bis all’art. 73, in base al quale vengono esentati dall’obbligo della registrazione i provvedimenti della Corte di Cassazione.

La lett. d) del comma 5 introduce l’art. 73-bis, rubricato “Termini per la richiesta di registrazione”, il quale prescrive il termine di cinque giorni per la registrazione della sentenza di condanna al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato.

Viene, altresì, inserito l’art. 73 –ter, che individua nel funzionario addetto all'ufficio del giudice dell'esecuzione il responsabile della trasmissione della sentenza all'ufficio finanziario.

La lett. e), n.1, del comma 5 interviene sulla rubrica dell’art. 205, la quale da “Recupero intero, forfettizzato” è modificata in “Recupero intero, forfettizzato e per quota”.

Il mutamento della rubrica è significativo della innovazione introdotta dal n. 2 della lett. e) del comma in esame, che prevede l’individuazione di quote di spese processuali, da porre a carico dei condannati.

È, infatti, proposta la modifica dei commi 1 e 2 dell’art. 205 citato, nel senso che le spese del processo, anticipate dall'erario, non sarebbero più recuperate per intero - eccezione fatta per i diritti e le indennità di trasferta spettanti all'ufficiale giudiziario e delle spese di spedizione per la notificazione degli atti a richiesta dell'ufficio - come previsto nella vigente formulazione ma verrebbero recuperate nei confronti di ciascun condannato, senza vincolo di solidarietà, nella misura fissa stabilita con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Secondo la previsione del disegno di legge l'ammontare degli importi potrà essere rideterminato ogni anno.

In base alla nuova disciplina prevista per il comma 2 dell’art. 205, la misura del recupero sarebbe non più parametrata al numero degli atti e delle attività mediamente compiute in ciascun processo bensì determinata dal decreto ministeriale di cui al comma 1 dell’art. 205 “con riferimento al grado di giudizio e al tipo di processo”. Non vi sarebbe più, quindi, alcuna differenza tra spese fisse nell’ammontare e spese per atti ed attività di cui non è predeterminato il prezzo.

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Rimarrebbero recuperabili per intero, oltre le spese previste dal comma 2-bis, ovvero quelle per la consulenza tecnica e per la perizia, le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna e le spese per la demolizione di opere abusive e per la riduzione in pristino dei luoghi18; non vi è menzione di altre spese con importo preventivabile nell’ammontare, quali ad esempio quelle relative alla trascrizione dei verbali dibattimentali.

Alla luce delle modifiche previste, parrebbe determinarsi un difetto di coordinamento tra il nuovo comma 2 dell’art. 205 ed il vigente comma 2 bis della medesima norma. Invero, il primo prevede che “sono recuperate per intero, oltre quelle previste dal comma 2 bis, le spese…” ma il comma 2 bis afferma che le spese da esso indicate sono invece recuperate a misura fissa.

La modifica in oggetto dovrebbe consentire di recuperare le spese prevalentemente in base a tariffe predeterminate, con semplificazione della procedura di quantificazione. Ciò impone la massima e costante attenzione in sede di predisposizione del decreto ministeriale di cui al comma 1 dell’art. 205 del Testo unico, affinché si eviti l’eventuale determinazione di conguagli svantaggiosi per l’erario.

Nel secondo comma dell’art. 205 è, altresì, inserita la previsione in base alla quale “il giudice, in ragione della complessità delle indagini e degli atti compiuti, nella statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali può disporre che gli importi siano aumentati sino al triplo”.

Tale previsione desta gravi perplessità. Essa, infatti, produce l’effetto di disancorare la condanna alle spese dal dato oggettivo dell’accertamento meramente matematico del loro ammontare; da ciò consegue il riconoscimento di un’ampia discrezionalità al giudice, limitata solo dalla nozione empirica di “complessità”, in ordine alla determinazione del quantum da recuperare.

Non può omettersi di considerare che la condanna al pagamento delle spese di cui all’art.

535 c.p.p. è ontologicamente correlata ai costi effettivamente sostenuti per il processo, che vengono posti a carico del condannato in applicazione del principio processuale di ordine generale per il quale la soccombenza in giudizio comporta il pagamento delle spese. Si tratta di un’obbligazione civile, che si fonda sull’anticipazione da parte dell’Erario e, quindi, su principio recuperatorio, inidonea a determinare l’obbligo alla corresponsione di maggiori somme rispetto a quelle effettivamente anticipate.

Nel contesto descritto, la previsione secondo la quale il giudice nella statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali può disporre che gli importi siano aumentati sino al triplo, con una discrezionalità che conosce quale limite solo il dato della complessità delle indagini e degli atti compiuti, appare non già una disposizione di tipo recuperatorio su spese anticipate a carico dell’erario, quanto piuttosto una norma sanzionatoria, collegata non alla gravità del reato ma all’articolarsi del processo. Essa appare conseguentemente in contrasto con il principio di legalità della pena. In ogni caso, anche qualora volesse attribuirsi alla previsione in esame una valenza di tipo esclusivamente amministrativo, l’indicazione delle somme dovute dovrebbe corrispondere all’ammontare delle spese sostenute. Sotto altro aspetto non è previsto un meccanismo che consenta al condannato di interloquire sulla determinazione della somma da recuperare o sull’eventuale decisione di aumentare gli importi dovuti. Non è stato altresì introdotto strumento di reclamo contro detta determinazione, tale omessa previsione si potrebbe risolvere in grave pregiudizio per i diritti di difesa.

Il n. 3 della lett. e) del comma 5 prosegue l’operazione di eliminazione della ipotesi di solidarietà e prevede che gli importi di cui al nuovo comma 2 nonché al vigente comma 2-bis dell’art. 205 siano recuperati nei confronti di ciascun condannato in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta, “senza vincolo di solidarietà”.

L’esclusione del vincolo de quo viene stabilita anche per il recupero del contributo unificato e dell’imposta di registro prenotati a debito per l’azione civile nel processo penale, mediante la modifica in tal senso del comma 2 quinquies dell’art. 205.

18 fatto salvo quanto previsto dall'articolo 32, comma 12, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326

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Nella stessa direzione è, inoltre, riformato il comma 2 sexies dell’art. 205 e risulta, così, previsto che “gli oneri tributari relativi al sequestro conservativo di cui all'articolo 316 del codice di procedura penale sono recuperati nei confronti del condannato a carico del quale è stato disposto il sequestro conservativo”.

La lett. f) del comma 5 modifica l’art. 208 del Testo unico, il quale attualmente prevede che, se non è diversamente stabilito in modo espresso, l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso il magistrato, diverso dalla Corte di Cassazione, il cui provvedimento è passato in giudicato o presso il magistrato il cui provvedimento è divenuto definitivo.

La lettera in esame dispone che la suddetta previsione rimanga in vigore per quanto riguarda il processo civile, amministrativo, contabile e finanziario. Per quanto riguarda, invece, il processo penale si prescrive che l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione sia quello presso il giudice dell’esecuzione.

La lett. g) del comma 5 modifica la rubrica del Titolo II della parte VII del Testo unico da

“Disposizioni generali per le spese processuali, spese di mantenimento, pene pecuniarie, sanzioni amministrative pecuniarie processuali” a “Disposizioni generali per le spese nel processo amministrativo, contabile e tributario”.

In altri termini il disegno di legge in esame prevede modalità di riscossione diversificate, a seconda che le spese di giustizia siano maturate in processi amministrativi, contabili e tributari (Titolo II), ovvero in giudizi civili e penali (Titolo II bis, introdotto dalla lett. i) di cui si dirà in seguito).

La lett. h) del comma 5 interviene sull’art. 212 del Testo unico, del quale l’art. 1, comma 327 delle legge 24 dicembre 2007, n.244, aveva previsto l’abrogazione a far data dalla stipula della convenzione di cui al comma 36719 della medesima legge, con la quale il Ministero della Giustizia affida ad Equitalia Giustizia la gestione dei crediti del Ministero sulla base del Testo unico. Il citato art. 1 risulta abrogato dall’art. 41, comma 1, lett. c) del disegno di legge in esame.

Si segnala a tal proposito che, non essendo prevista dalla legge alcuna forma di pubblicità della suddetta convenzione, non sembrerebbe esistere alcuna fonte formale dalla quale apprendere se gli artt. 211 e 212 siano o meno attualmente in vigore.

La disposizione in esame, infine, espunge dall’originario testo dell’art. 212 il riferimento alle spese di mantenimento in istituti di pena, che confluiscono nel Titolo II bis del Testo unico, di cui si dirà appresso.

La lett. i) del comma 5 sostituisce il Capo VI bis del Titolo II della Parte IV del Testo unico, come introdotto dall’art. 52 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

Di seguito sono riportate le modifiche.

Il Capo VI bis, “Riscossione mediante ruolo”, è sostituito da un Titolo II bis, intitolato

“Disposizioni generali per spese di mantenimento in carcere, spese processuali, pene pecuniarie, sanzioni amministrative pecuniarie e sanzioni pecuniarie nel processo civile e penale”, contenente

19 Art. 1 , comma 367 legge 344/07: “Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della giustizia stipula con una società interamente posseduta dalla società di cui all’articolo 3, comma 2, decreto legge 203/05, convertito, con modificazioni, dalla legge 248/05, una o più convenzioni in base alle quali la società stipulante con riferimento alle spese e alle pene pecuniarie previste dal testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 115/02, conseguenti ai provvedimenti passati in giudicato o divenuti definitivi a decorrere dal 1° gennaio 2008, provvede alla gestione del credito, mediante le seguenti attività:

a) acquisizione dei dati anagrafici del debitore e supporto all’attività di quantificazione del credito effettuata dall’ufficio competente;

b) notificazione al debitore di un invito al pagamento entro un mese dal passaggio in giudicato o dalla definitività del provvedimento da cui sorge l’obbligo o dalla cessazione dell’espiazione della pena in istituto;

c) iscrizione al ruolo del credito, scaduto inutilmente il termine per l’adempimento spontaneo.

(15)

un unico Capo I, rubricato “Riscossione mediante ruolo”, che contiene tre articoli, vale a dire il 227 bis, il 227 ter ed il 227 quater.

Come già previsto nella vigente disciplina, l’art. 227 bis è rubricato “Quantificazione dell’importo dovuto” e rinvia a quanto disposto dall’art. 211, a sua volta rubricato “Quantificazione dell’importo dovuto”, che, per effetto delle modifiche introdotte dal disegno di legge in esame, sarebbe collocato nel Titolo relativo alla diversa materia delle spese nel processo amministrativo, contabile e tributario.

La principale novità è costituita dall’aggiunta di un secondo periodo, ai sensi del quale alla quantificazione provvede l’ufficio ovvero Equitalia Giustizia, a far data dalla stipula della convenzione prevista dall’art. 1, comma 367 L. 244/2007, di cui si è detto sopra.

All’art. 227 ter vengono inseriti il riferimento alle spese di mantenimento e quello al ruolo di Equitalia Giustizia. Sono, invece, eliminati i commi 2 e 3, ai sensi dei quali attualmente “l'agente della riscossione notifica al debitore una comunicazione con l'intimazione a pagare l'importo dovuto nel termine di un mese e contestuale cartella di pagamento contenente l'intimazione ad adempiere entro il termine di giorni venti successivi alla scadenza del termine di cui alla comunicazione con l'avvertenza che in mancanza si procederà ad esecuzione forzata. Se il ruolo è ripartito in più rate, l'intimazione ad adempiere contenuta nella cartella di pagamento produce effetti relativamente a tutte le rate”.

Il nuovo art. 227 quater prevede che alla riscossione delle spese di mantenimento in carcere, delle spese processuali, delle pene pecuniarie, delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle sanzioni pecuniarie processuali nel processo civile e penale di cui al nuovo Titolo II bis si applichino gli artt. 214, 215, 216, 218 comma 2, e 220, dettati in materia di riscossione delle spese nel processo amministrativo, contabile e tributario.

Parrebbe, pertanto, che in virtù del mancato richiamo degli artt. 212 e 213, i due procedimenti siano simili, giacché la differenza principale consiste nella mancanza della fase dell’avviso bonario di pagamento per quanto concerne il processo civile e penale.

Il comma 6 dell’art. 40 del disegno di legge in esame stabilisce che il recupero delle spese continuerà ad essere regolato dalle norme attualmente vigenti fino all’emanazione del decreto con il quale il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia, individuerà la misura fissa per il recupero delle spese del processo penale anticipate dall’Erario, ai sensi dell’art. 205 del Testo unico, come modificato dal disegno di legge in oggetto.

Il comma 7 dell’art. 40 stabilisce che l’art. 208 del Testo unico, come modificato dal testo in esame, si applicherà solo ai procedimenti definiti dopo la data di entrata in vigore del presente disegno.

Il successivo comma 8, articolato nelle lettere da a) a d) apporta alcune modifiche al più volte ricordato art. 1, comma 367, L. 244/2007 in materia di riscossione dei crediti erariali relativi al processo penale, affidati ad Equitalia Giustizia, conseguenti alla nuova disciplina dettata per l’art.

205 del Testo unico.

Il particolare la lett. a) specifica che rientrano nella competenza di Equitalia Giustizia anche le spese relative al mantenimento in carcere per condanne per le quali sia cessata l’espiazione della pena in istituto a decorrere dal 1° gennaio 2008.

La lett. b) chiarisce che Equitalia Giustizia dovrà effettuare direttamente la quantificazione del credito e non limitarsi ad una mera attività di supporto in tal senso all’ufficio competente.

La lett. c) elimina dalle attività che Equitalia Giustizia dovrà compiere la notificazione al debitore di un invito al pagamento, chiarendo che essa dovrà invece procedere all’iscrizione a ruolo.

La lett. d) conseguentemente, elimina la lett. c) del sopra citato comma 367 dell’art. 1 L.

244/2007.

Infine l’art. 41 del disegno di legge esame dispone l’abrogazione di alcune norme, resa necessaria dall’introduzione delle nuova disciplina in materia di spese di giustizia.

Invero le lett. a) e b) dell’art. 41 dispongono, rispettivamente, l’abrogazione dell’art. 25 del Testo unico delle spese di giustizia e del comma 1 dell’art. 243 del medesimo Testo, limitatamente

(16)

al rinvio che esso compie proprio all’art. 25, in materia di quota forfettaria spettante all’ufficiale giudiziario.

La lett. c) del medesimo articolo dispone l’abrogazione dell’art. 1, comma 372, della legge 244/2007.».

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