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Abusi edilizi: non c è prescrizione per la demolizione

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Abusi edilizi: non c’è prescrizione per la demolizione

Autore: Redazione | 23/08/2016

L’ordine di demolizione dell’abuso edilizio non si prescrive mai, al contrario del reato.

Anche se il reato di abuso edilizio cade in prescrizione, l’opera abusiva va comunque demolita senza poter sperare che il decorso del tempo possa sanarla.

Difatti, l’ordine di demolizione della pubblica amministrazione non va mai in prescrizione. A dirlo, a distanza di pochi giorni da una identica pronuncia, è sempre

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la Cassazione [1].

L’ordine di demolizione di una costruzione abusiva, tanto nell’ipotesi in cui sia impartito dal giudice al termine del processo penale, tanto nell’ipotesi in cui provenga dall’autorità amministrativa, è una sanzione amministrativa, che ha lo scopo non di punire il colpevole, ma di ripristinare lo stato dei luoghi e del terreno per come era anteriormente al reato. Non potendo essere considerato una pena (sulla base dei criteri affermati dalla Corte Edu), non si può neanche applicare la prescrizione. Il che significa che l’ordine di demolizione non scade mai e può essere preteso in qualsiasi momento.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’ordine di demolizione si giustifica per ragioni di tutela del territorio, pertanto non soggiace alla prescrizione dei cinque anni prevista per le sanzioni amministrative [2].

Sulla scorta di quanto affermato dalla Corte di Strasburgo, la Cassazione hanno escluso la natura di sanzione penale dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo [3] dal momento che il provvedimento ha l’esclusivo scopo di ripristinare le condizioni territoriali anteriori all’intervento edilizio abusivo.

Note

[1] Cass. sent. n. 35212/16 del 22.08.2016. [2] Di cui all'art. 28 della l. n.

689/1981, in quanto tale norma concerne le sanzioni pecuniarie di natura punitiva.

Nè, secondo i Giudici del Palazzaccio, l'ordine di demolizione può estinguersi per decorso del tempo, ex art. 173 c.p., dal momento che il medesimo integra una

sanzione amministrativa, mentre la sopra citata norma fa riferimento alle sole pene principali. [3] Art. 31, co. 9, d.P.R. n. 380/2001. Autore immagine:

Pixabay.com

Sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 maggio – 22 agosto 2016, n. 35212 Presidente Grillo – Relatore De Masi

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Ritenuto in fatto

Il Tribunale di Napoli - Sezione Distaccata di Ischia, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 12/4/2015 respingeva la richiesta di revoca o

annullamento dell’ordine di demolizione emesso a seguito dell’intervenuta irrevocabilità della sentenza di patteggiamento n. 394/1998 del medesimo Tribunale, pronunciata nei confronti di A.G. per violazione della normativa urbanistica, ed accoglieva la subordinata richiesta subordinata di sospensione sino

al 24/1/2016 del provvedimento. Avverso l’ordinanza, la A. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico ed articolato motivo, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, c.1, lett. b) ed e), c.p.p., violazione di legge, in relazione agli artt. 172 e 173 c.p., 7 CEDU e 31, comma 9, D.P.R. n. 380 del 2001, e difetto di motivazione dell’impugnata ordinanza, per avere il Giudice dell’esecuzione respinto l’eccezione

di prescrizione della sanzione della demolizione nonostante l’equiparabilità alla sanzione penale, risalendo la sentenza di patteggiamento all’8/6/1998, irrevocabile

l’8/7/1998, ed a nulla rilevando la finalità ripristinatoria/reintegratoria della stessa evidenziata nell’ordinanza.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che "l’ordine di demolizione impartito dal giudice, che configura un obbligo di fare, imposto per

ragioni di tutela del territorio, non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall’art. 28 della L. 689 del 1981, che

riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (Sez. 3, n. 16537 del 18/2/2003, Filippi, Rv. 227176) e, stante la sua natura di sanzione amministrativa, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell’art. 173 c. p. (Sez. 3,

n. 36387 del 7/7/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, n. 19742 del 14/4/2011, Mercurio e altro, Rv. 250336; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv.

248670), atteso che quest’ultima disposizione si riferisce alle sole pene principali (Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573). È stata anche

reiteratamente affermata la compatibilità dell’ordine di demolizione e del sequestro eseguiti dopo la cessione a terzi del manufatto abusivo con le norme CEDU, come interpretate dalla Corte Europea con sentenza 20 gennaio 2009, nel caso Sud Fondi c/ Italia (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M. in proc. Delorier, Rv.

265540, Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918, Sez. 3, n.

47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403). Si è, in quell’occasione, precisato che proprio considerando le argomentazioni sviluppate dalla Corte di Strasburgo

poteva ricavarsi che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una "pena" nemmeno ai sensi dell’art. 7 della CEDU, perché "essa

tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge". Si osservava, inoltre, che la sentenza "nel mentre ha ritenuto ingiustificata

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rispetto allo scopo perseguito dalla norma, ossia mettere i terreni interessati in una situazione di conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche, la confisca (anche di terreni non edificati) in assenza di qualsiasi risarcimento, ha invece espressamente ritenuto giustificato e conforme anche alle norme CEDU un ordine di demolizione

delle opere abusive incompatibili con le disposizioni degli strumenti urbanistici eventualmente accompagnato da una dichiarazione di inefficacia dei titoli abilitativi illegittimi”. Sembra quindi confermato che la invocata sentenza della

Corte di Strasburgo non solo non ha escluso un sequestro o un ordine di demolizione dell’opera contrastante con le norme urbanistiche nei confronti di chiunque ne sia in possesso, anche qualora si tratti di terzo acquirente estraneo al

reato, ma ha addirittura implicitamente ritenuto che una tale sanzione ripristinatoria può considerarsi giustificata rispetto allo scopo perseguito dalle

norme interne di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi e non contrastante con le norme CEDU. Alla luce delle

considerazioni sopra svolte deve dunque pervenirsi alla conclusione che l’ordine di demolizione dell’immobile abusivo impartito dal giudice penale ai sensi dell’art. 31,

comma 9 D.P.R. 380 del 2001, diversamente da quanto ritenuto nell’impugnato provvedimento, non ha affatto natura di sanzione penale nel senso individuato

dalla normativa CEDU, ostandovi non soltanto la qualificazione giuridica

attribuitagli attraverso l’analisi giurisprudenziale, dianzi ricordata, ma anche il fatto che la demolizione imposta dal giudice, come si è più volte rilevato in precedenza,

non ha finalità punitive. L’intervento del giudice penale si colloca, come pure si è detto, a chiusura di una complessa procedura amministrativa finalizzata al ripristino delle originario assetto del territorio alterato dall’intervento edilizio abusivo, nell’ambito del quale viene considerato il solo oggetto del provvedimento

(l’immobile da abbattere), prescindendo del tutto dall’individuazione di responsabilità soggettive, tanto che la demolizione si effettua anche in caso di alienazione del manufatto abusivo a terzi estranei al reato. L’intervento del giudice

penale, inoltre, non è neppure scontato, dato che egli provvede ad impartire l’ordine di demolizione se la stessa ancora non sia stata altrimenti eseguita. Va in conclusione ribadito il principio di diritto secondo cui "la demolizione del manufatto

abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che

assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto

con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una "pena"

nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 c.p.". Segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la

condanna al pagamento della spese del procedimento.

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P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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