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ARTICOLO 18: FINALMENTE EUROPEI?

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Academic year: 2022

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a cura del Gruppo Parlamentare della Camera dei Deputati Forza Italia – Berlusconi Presidente – Il Popolo della Libertà

ARTICOLO 18: FINALMENTE EUROPEI?

23 settembre 2014

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EXECUTIVE SUMMARY

Il dibattito politico di questi giorni, in cui il Senato discute il disegno di Legge delega cosiddetto «Jobs Act», è tutto concentrato sul superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che ha, di fatto, bloccato la crescita e lo sviluppo delle aziende in Italia, quasi tutte sotto i 15 dipendenti.

Di seguito l’analisi del Prof. Giuliano Cazzola, componente del Comitato scientifico di Adapt (associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in un’ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro) e docente di diritto del lavoro Uniecampus.

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Paragonare il profilo e gli effetti della reintegra, come prevista nel nostro ordinamento, ad altri istituti, formalmente analoghi, esistenti in altri Paesi europei non è così semplice quanto appare.

Innanzitutto, va precisato che, in materia di lavoro come in altre materie, non è sufficiente confrontare le norme di legge, senza misurarsi con il «diritto vivente» ovvero con la giurisprudenza consolidata, dal momento che è in giudizio che finiscono le controversie e dove ha luogo l’interpretazione delle norme di legge.

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Si parla spesso, anche a questo proposito, della Germania.

Ebbene, in quel paese esiste una giurisprudenza consolidata che induce il giudice – in quei pochi casi in cui ritiene di dover ordinare la reintegra – ad accertarsi che sia ripristinato il rapporto fiduciario tra il datore e il lavoratore.

Ma venendo a noi, il limite del nostro ordinamento sta proprio nel fatto che nelle situazioni dubbie il giudice si trova privo di alternative, costretto:

a respingere il ricorso del lavoratore;

o ad ordinare la reintegra.

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È vero, la Legge n.92/2012 ha aperto una breccia per quanto riguarda il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (o licenziamento economico) fornendo, tuttavia, dei criteri di legge a cui il giudice deve attenersi nella scelta tra reintegra e indennità risarcitoria.

Sempre per questa fattispecie viene favorita una procedura di conciliazione allo scopo di orientare le parti a ricercare una transazione economica preliminare al giudizio.

In proposito riporto nel seguito dei dati del Ministero del Lavoro da cui risulta che questa nuova procedura si sta consolidando, non senza difficoltà.

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Totali semestrali

nazionali

1° semestre 2012

2° semestre 2012

1° semestre 2013

2° semestre 2013

1° semestre 2014

Richiesta di

conciliazione 1.885

Comunicazion e del datore di

voler licenziare 10.039 11.664 9.165 8.537

Esiti negativi 4.854 4.417 2.774 2.563

Esiti positivi 3.621 5.928 4.445 4.310

Altro 1.425 1.508 1.781 1.174

Pratiche evase 9.900 11.853 9.000 8.047

Fonte: MLPS 2014

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Mentre nel 1° trimestre del 2012, prima dell’entrata in vigore della legge, le richieste di conciliazione per licenziamenti determinati da motivo oggettivo erano state 1.885, già nel 2° trimestre di quello stesso anno si è passati a 10.039. Trend mantenuto nei trimestri successivi.

Si tenga conto che tra le cause principali di esiti negativi va annoverata la mancata presentazione delle parti in sede di conciliazione.

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Come emerge dai dati, ancorché siano ancora importanti gli esiti negativi che comportano generalmente il ricorso giudiziario, vi è una tendenza alla loro diminuzione, confortata, invece, dall’incremento costante degli esiti positivi (ovvero delle intese).

Ma il frutto è ancora acerbo. Potrebbe però maturare, se l’evoluzione normativa seguisse il medesimo tragitto, iniziato con la legge 92/2012.

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Non sarebbe sbagliato, infatti, se anche nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo (ovvero disciplinare) venisse consentito al giudice di sanzionare il provvedimento illegittimo scegliendo, con maggiore libertà di quella che sulla carta gli concede la legge Fornero, tra la condanna alla reintegra o al pagamento di una indennità risarcitoria.

Per ora, la reintegra all’italiana finisce per condizionare non solo il giudice, ma anche le stesse parti sociali.

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