SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SCIUTO ORAZIO nato il 22/02/1957 a ACI CATENA
avverso l'ordinanza del 02/03/2016 del TRIB. LIBERTA di CATANIA sentita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;
lette/sentite le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI
Udit i difensor Avv.;
Penale Sent. Sez. 5 Num. 55081 Anno 2016 Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: PEZZULLO ROSA Data Udienza: 28/06/2016
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dr.
Pasquale Fimiani, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv.to Alessandro Vecchio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 2.3.2016 il Tribunale di Catania ha confermato l'ordinanza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Catania in data 16.1.2016 di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Sciuto Orazio, per il delitto di partecipazione all'associazione mafiosa armata operante in Catania e provincia denominata clan Laudani o "Mussi 'i ficurinia" (capo A).
1.1. Il Tribunale ha evidenziato che il compendio indiziario a carico del ricorrente è costituito dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Laudani (classe 1982), pienamente riscontrate dai contenuti dei colloqui intercettati in carcere tra l'indagato ed i suoi familiari, nonché indirettamente dalle dichiarazioni del collaborante Nazareno Anselrni.
2.Avverso tale ordinanza l'indagato, a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso affidato a quattro motivi con i quali lamenta:
-con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all'art. 606, primo comma lett. c) c.p.p. per violazione degli artt. 116 e 178 c.p.p.; invero, eseguita l'ordinanza di custodia cautelare oggetto di impugnazione ed espletato l'interrogatorio previsto dall'art. 294 c.p.p., il corposo compendio indiziario (costituito da oltre 90 faldoni - l'informativa di reato del N.O. dei Carabinieri di Catania composta da quasi 15.000 pagine) veniva restituito alla segreteria della Procura della Repubblica, che autorizzava l'esame degli atti contenuti nel fascicolo del P.M. unicamente attraverso la consultazione telematica presso l'Ufficio TIAP della Procura di Catania (concretamente mediante visione sulla postazione dei p.c. a disposizione dei difensori), non essendo l'ufficio abilitato al rilascio di copia degli atti; in data 18 febbraio 2016 è stata avanzata richiesta di rilascio di copia di alcuni atti indicati in maniera dettagliata, ma la richiesta veniva rigettata dal P.M. procedente adducendo che "nessun incombente risulta a carico di questo Ufficio quanto al rilascio copie"; orbene, trattandosi di atti utilizzati per l'emissione di un provvedimento coercitivo, la Procura non poteva opporre alcun divieto al rilascio di copie, ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 116 c.p.p., e l'impossibilità di accedere agli atti (mediante la necessaria estrazione di copia stante l'enormità degli atti da esaminare) ha impedito alla difesa di valutare l'opportunità di avanzare richiesta di riesame, di fruire di un tempo
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adeguato per l'esame degli atti stessi per proporre i motivi di impugnazione ex art. 309 comma 6 c.p.p., nonché, più in generale, del diritto di difesa dell'indagato costituzionalmente garantito con conseguente nullità dell'ordinanza custodiale impugnata, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p.; vero è che la richiesta di riesame veniva presentata il giorno successivo alla richiesta di rilascio di copia degli atti, ma ciò non ha un effetto sanante su un "rifiuto"
certamente illegittimo di rilascio copie;
- con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all'art. 606, primo comma, lett. c) c.p.p., in relazione agli artt. 267 e 268 c.p.p. in conseguenza della tardività e parzialità dell'autorizzazione all'accesso della difesa alla copia delle intercettazioni e agli atti relativi; invero, proposta la richiesta di riesame ed ottenuta la possibilità di accedere agli atti (trasmessi il 24 febbraio), è emersa l'assenza, tra gli stessi, dei c.d. files audio relativi alle intercettazioni ambientali tra l'indagato e i familiari di quest'ultimo, effettuate presso la Casa Circondariale di Catania, sicché, il successivo 25 febbraio, veniva depositata ulteriore istanza alla Procura per ottenere il rilascio di copia delle registrazioni delle conversazioni tra presenti e dei relativi atti; l'istanza veniva esitata sabato 27 febbraio, alle 11.48, e in tale provvedimento il P.M. comunicava che "i decreti e i verbali di trascrizione richiesti si trovano depositati presso la segreteria della scrivente e che si autorizza il difensore a recarsi presso l'ufficio CIT per provvedere a sue spese all'ascolto dei ffies audio"; il provvedimento in questione risulta illegittimo perché emesso tardivamente (il 27 febbraio, dopo due giorni dalla richiesta e alla vigilia dell'udienza di riesame fissata per il lunedì 29 febbraio) e limitando arbitrariamente il diritto di accesso alle intercettazioni al solo ascolto presso il competente ufficio della Procura, con immotivata esclusione della possibilità di ottenere copia delle registrazioni audio;
-con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all'art. 606, primo comma, lett. c) c.p.p., per violazione degli artt. 267 e 268 c.p.p., stante l'esecuzione dell'attività di captazione da parte di soggetti non autorizzati e con modalità non previste dal decreto del P.M.; in particolare, nel decreto di urgenza, manca qualunque delega/autorizzazione all'utilizzazione di impianti appartenenti a privati, nonché delega all'esecuzione delle intercettazioni da parte di ausiliari privati, laddove, così come attestato nel verbale di nomina di ausiliario di polizia giudiziaria datato 13 giugno 2013, il servizio è stato svolto con apparecchiature di proprietà della ditta S.P.S. di Caltagirone e con l'ausilio di personale specializzato della medesima ditta; le intercettazioni, dunque, benché delegate alla P.G., non solo sono state eseguite, invece, con apparecchi privati e con l'ausilio di personale privato, senza alcuna apposita autorizzazione P.M., ma
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per di più il verbale di nomina di ausiliario è stato redatto ben tredici giorni dopo l'inizio delle operazioni;
- con il quarto motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all'art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p. per violazione degli artt. 192 e 273 c.p.p., nonché per carenza e contraddittorietà della motivazione; invero, all'indagato è stato attribuito il reato di cui all'art. 416 bis c.p., in permanenza sino al novembre 2013, sulla base delle dichiarazioni dell'unico collaboratore di giustizia Laudani Giuseppe, omettendo tuttavia di ripercorrere il contenuto delle dichiarazioni; le accuse provenienti dal Laudani, tuttavia, sono del tutto prive di riscontri esterni e, pertanto, inidonee a determinare la sussistenza di un quadro indiziario sufficiente a fondare una misura cautelare, atteso che non risulta che il Pappalardo venne avvicinato da qualcuno per ritrattare, né che effettivamente ebbe a rendere dichiarazioni di comodo nel diverso procedimento al quale si fa riferimento, né che vi sono chiamate in correità convergenti, posto che la generica dichiarazione del collaborante Anselmi Nazareno, secondo cui della vicenda di Pappalardo se ne occupò il gruppo di Aci Catena, non coinvolge minimamente lo Sciuto; in particolare, nel caso in esame, mancano elementi di riscontro sul fatto in sé, nonché, individualizzanti sul coinvolgimento dello Sciuto nella vicenda in questione e significativa, a tal proposito, è la circostanza, neppure valutata dal Tribunale, della totale assenza di riferimenti, sia pur generici, dei numerosi altri collaboratori di giustizia, sentiti nell'ambito delle indagini relative a questo procedimento, alla persona di Sciuto Orazio; il Tribunale cogliendo un'evidente lacuna nell'ordinanza custodiale ha affrontato la problematica connessa al concetto di "appartenenza", facendo riferimento ad un presunto ruolo dinamico ricoperto dallo Sciuto che sarebbe individuabile nell'attività illecita di recupero crediti, svolta assieme ad altri appartenenti al clan, ma dall'esame degli stralci delle dichiarazioni del Laudani riportate dal Tribunale nell'ordinanza impugnata, il collaborante non risulta aver mai fatto cenno ad attività di recupero per conto dell'associazione mafiosa, in collaborazione con altri associati, né può dirsi che dell'illecita attività di recupero crediti si sia mai discusso nell'ambito delle conversazioni intercettate; il Tribunale, in proposito, con una motivazione certamente suggestiva, si limita ad evidenziare i rapporti di conoscenza e in qualche caso di parentela tra Sciuto e soggetti che sarebbero appartenenti al clan per, poi, ipotizzare (senza che ciò sia mai stato oggetto di accuse provenienti dal Laudani) che le questioni trattate dall'indagato con i familiari nel corso dei colloqui intercettati siano riferibili a vicende di interesse associativo, del tutto prive di riscontri in atti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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Il ricorso non merita accoglimento.
1.Generico e manifestamente infondato si presenta il primo motivo di ricorso. Ed invero il Tribunale - in merito all'eccezione del ricorrente circa la violazione del suo diritto di difesa per il mancato rilascio di copie di alcuni atti da parte dell'Ufficio della Procura al quale era stata inoltrata apposita richiesta - ha evidenziato come, al momento del rigetto dell'istanza da parte del P.M., gli atti si trovavano già presso il Tribunale del riesame, al quale ben poteva essere chiesto il rilascio delle copie, sicché alcun profilo di illegittimità è ravvisabile nel provvedimento di diniego del P.M.; in ogni caso, a fronte del deposito della richiesta di copie degli atti in data 18.2.2016, l'istanza di riesame è stata depositata il giorno successivo.
Il ricorrente non si confronta con tale valutazione e neppure con quanto ulteriormente evidenziato dal P.M. in calce alla richiesta di rilascio copie, circa l'ampia facoltà concessa alla difesa di consultare telematicamente gli atti presso l'Ufficio TIAP, competente al rilascio copie, che esclude senz'altro la violazione del diritto di difesa, non essendo stata impedita alcuna attività da espletarsi in relazione alla consultazione (e rilascio di copie) degli atti. Sul punto, occorre evidenziare come i motivi devono ritenersi generici, non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
(Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568).
2. Il secondo motivo di ricorso è, anch'esso, infondato. Ed invero, quanto alla circostanza che il provvedimento di diniego di rilascio delle copie dei files audio sia stato emesso due giorni dopo (27.2) il suo deposito (25.2), non si ravvisa in essa alcun profilo di illegittimità, in considerazione dell'assenza di previsione di un termine perentorio per provvedere a tanto e della possibilità concessa di effettuare l'attività di ascolto almeno 48 ore prima dell'udienza di riesame (29.2), tempo questo ragionevolmente sufficiente ed adeguato in relazione all'incombente difensivo da compiere.
Per quanto concerne, invece, la circostanza relativa al fatto che non è stata data la possibilità alla difesa di estrarre copia dei files audio ritenuti utili, bensì solo di ascoltarli, si osserva che, in relazione alla procedura di riesame in relazione alla quale la richiesta (quantunque avanzata al P.M.) è stata effettuata, questa Corte ha affermato il principio secondo il quale non sussiste un diritto della parte interessata ad ottenere "de plano" copia degli atti di indagine, atteso che i diritti della difesa risultano, comunque, tutelati adeguatamente dalla possibilità di esaminare gli atti e, quindi, di estrarne copia informale, mentre il riconoscimento di un diritto in senso tecnico ad ottenere copia degli atti del procedimento, oltre ad essere escluso dalla lettera della legge, urterebbe contro
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lo stesso interesse dell'indagato a una rapida decisione in ordine al suo "status libertatis" (Sez. Un. n. 4 del 03/02/1995, Rv. 200711). Pertanto, non sussiste nullità per violazione del diritto di difesa, ai sensi dell'art.178, lett. c) c.p.p., per il solo fatto che nel procedimento di riesame il difensore non sia stato messo in condizione di estrarre copia di alcuni atti, in quanto è sufficiente che egli abbia potuto esaminare tutti gli atti depositati e sia stato messo in condizione di interloquire sull'intero materiale probatorio (Sez. 3, n. 342 del 07/11/2006, Rv.
235673).
3.Infondato si presenta il terzo motivo di ricorso circa l'inutilizzabilità dell'attività di intercettazione dei colloqui dell'indagato con i familiari presso il carcere in cui si trovava ristretto, con apparecchiatura privata e con l'ausilio di personale privato, laddove erano stati all'uopo delegati dal P.M.- con decreto del 27.5.2013, convalidato dal G.i.p. il 28.5.2013- gli Ufficiali od agenti di P.G..
Sul punto il Tribunale ha evidenziato come non si ravvisi alcun profilo di illegittimità nelle modalità captative delle conversazioni poste a fondamento dell'ordinanza custodiale, dovendosi richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in materia di intercettazione, l'art.
268/3 c.p.p. richiede che le operazioni si svolgano sotto il diretto controllo degli inquirenti, ma non è vietata l'utilizzazione di impianti e mezzi appartenenti a privati né il ricorso all'eventuale ausilio tecnico ad opera di soggetti esterni, che siano richiesti di intervenire per fronteggiare esigenze legate al corretto funzionamento delle apparecchiature noleggiate e che si trovano ad agire, in tale evenienza, come "longa manus" o ausiliari del Pubblico ministero o della polizia giudiziaria (Sez. 1, n. 3137 del 19/12/2014, Rv. 262485).
A tale condivisibile valutazione deve, altresì, aggiungersi che il ricorrente non tiene compiutamente conto nel suo argomentare dell'integrale contenuto del decreto del 27.5.2013, con il quale il P.M. dopo aver dato atto delle ragioni dell'urgenza del provvedimento di intercettazione dei colloqui dell'indagato con le persone autorizzate presso la casa circondariale di Catania Bicocca -dove l'indagato all'epoca era detenuto - ha delegato all'uopo per tali operazioni gli ufficiali o agenti di Polizia Giudiziaria del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Catania, e/o personale della polizia dell'Istituto Penitenziario interessato, "con facoltà di sub delega", disponendo l'esecuzione delle operazioni presso la medesima struttura carceraria ed evidenziando nel contempo l'inidoneità, sotto il profilo tecnico, delle postazioni esistenti presso il carcere. Dunque, il provvedimento in questione, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, prevede non solo espressamente la facoltà di avvalersi di apparecchiature diverse da quelle esistenti presso il carcere siccome inidonee, ma anche la facoltà della P.G. delegata di subdelegare le operazioni in qu . one, sicché
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alcuna sostanziale omessa previsione dell'utilizzo di impianti e personale privati può ipotizzarsi.
4. Va respinto, altresì, il quarto motivo di ricorso relativo alla gravità indiziaria a carico dello Sciuto in ordine al reato associativo provvisoriamente a lui contestato. Ed invero il Tribunale ha dato atto che il compendio indiziario che supporta la contestazione mossa all'indagato è costituito innanzitutto dalle dichiarazioni rese sul suo conto dal collaboratore Giuseppe Laudani (cl.'82), nonché dai contenuti dei colloqui intercettati in carcere.
Giuseppe Laudani ha indicato il ricorrente quale componente del gruppo di Aci Catena del clan Laudani, compare dei coindagati Orazio Scuto e Giuseppe Grasso, detto "testazza" ed ha riferito, in particolare, di due condotte sintomatiche della sua intraneità e della sua compenetrazione con gli interessi del sodalizio mafioso, ovvero il tentativo, nel corso del procedimento penale
"Abisso", di avvicinare una delle vittime di estorsione, Antonino Pappalardo, per cercare di farla ritrattare, nonché la sua indicazione, in una missiva destinata all'avv. Arcidiacono, come soggetto cui il legale avrebbe dovuto rivolgersi nel caso avesse necessità di denaro per provvedere alla difesa. Le dichiarazioni del Laudani hanno ricevuto riscontro indiretto, secondo il Tribunale, dal narrato del collaborante Nazareno Anselmi, il quale, nel riportare quanto riferitogli in carcere da Orazio Scuto (cognato dell'indagato), pur senza indicare specificamente l'indagato, ha riferito al gruppo di Aci Catena il tentativo di "avvicinamento" del Pappalardo. Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto riscontrata la chiamata in correità del Laudani, nei confronti dello Sciuto, eminentemente per il contenuto delle intercettazioni ambientali presso il carcere, ove l'indagato era stato ristretto all'indomani del suo arresto in data 23.5.2013, per l'estorsione in danno di Costa Giuseppe, Presidente della Onlus "il Gabbiano". Dal contenuto dei colloqui con i propri familiari durante il periodo di detenzione emergono chiaramente sia la contiguità e la frequentazione dello Sciuto con altri esponenti del clan Laudani facenti capo al gruppo di Aci Catena, tra cui, oltre al cognato Orazio Scuto, Stellario Fileti, sia il suo coinvolgimento in affari illeciti, evidenziato dal tenore dei colloqui, parlando i colloquianti sovente sottovoce, effettuando conteggi e discutendo di somme. In particolare, in svariati colloqui lo Sciuto dà conto dell'aspettativa di essere sostenuto economicamente da Scuto Orazio, sicché si informa dello stato detentivo dello stesso (cfr. colloquio del 5.6.2013) e si lamenta del mancato mantenimento, invece, "dovuto", in base alle aspettative di affiliato mafioso detenuto, perché conforme alle relative "regole" (cfr. colloquio del 26.6.2013); solo in data 5.7.2013 il fratello dell'indagato lo informa di avere ricevuto 500,00 euro da Scuro Orazio, destinati al suo sostentamento in carcere, somma che da allora in avanti sarebbe a suo dire divenuta peno. a. L'attività di
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sostentamento di cui si era fatto carico lo Scuto emergeva già nella conversazione telefonica del 4.6.2013 nella quale Scuto Orazio, usando l'utenza della figlia Valentina, contattava tale cugino omonimo "Orazio", chiedendogli di fargli avere 3 chili di carne a fettine, da inviare a Sciuto Orazio evidentemente per le sue esigenze approvvigionamento (anche alimentare) in carcere. Dal medesimo colloquio del 5.7.2013 emerge che l'indagato, dopo aver parlato di ricezione di altre somme di denaro a titolo di recupero crediti, raccomanda al fratello di chiedere a Scuto Orazio se le dazioni a lui destinate dovessero rimanere note solo a loro, oppure se si potessero rivelare, dichiarazioni queste che, oltre a dar conto della leadership in quel momento riconosciuta a Scuto Orazio, appare dimostrativa della persistente comunicazione su affari dell'associazione tra sodali all'interno e all'esterno del carcere.
4.1. In tale contesto, il Tribunale senza incorrere in vizi, ha ritenuto sussistente un grave quadro indiziario a carico dell'indagato in ordine alla condotta associativa allo stesso ascritta. Le doglianze del ricorrente circa l'inidoneità della chiamata in correità del Laudani a costituire un grave elemento indiziario nei confronti dell'indagato, non essendo assistita da riscontri individualizzanti in merito ai due episodi descritti dal collaborante (ossia il tentativo, nel corso del procedimento penale "Abisso", di avvicinare una delle vittime di estorsione, Antonino Pappalardo, per cercare di farla ritrattare, nonché la sua indicazione, in una missiva destinata all'avv. Arcidiacono, come soggetto cui il legale avrebbe dovuto rivolgersi nel caso avesse necessità di denaro per provvedere alla difesa), non colgono nel segno, atteso che, quantunque i riscontri derivanti dalle conversazioni in carcere oggetto di captazione non riguardino esattamente i due episodi indicati dal propalante, il contenuto dei colloqui conferma ampiamente il nucleo essenziale della chiamata in correità, ossia la piena adesione dell'indagato al sodalizio Laudani.
Invero, la "pretesa" del mantenimento in carcere da parte del sodale ristretto rientra proprio nelle dinamiche criminali della consorteria mafiosa, pronta ad intervenire con il versamento dello "stipendio" per il sostentamento dell'affiliato ristretto.
In ogni caso, più volte questa Corte ha evidenziato come la conferma dell'attendibilità di un'accusa mossa da un collaboratore di giustizia può essere costituita da un fatto diverso, ma, comunque, indicativo della partecipazione all'associazione, a nulla rilevando che il riscontro attenga ad un accadimento collocabile in un diverso contesto temporale, se quest'ultimo sia, comunque, compreso nel periodo di contestazione del reato, in quanto il "fatto" da dimostrare non è il singolo comportamento dell'associato, ma la sua appartenenza al sodalizio (Sez. 5, n. 21562 del 03/02/2015).
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4.2. Immune da censure si presenta, poi, la valutazione del Tribunale, secondo la quale allo Sciuto all'interno del sodalizio deve essere riconosciuto un ruolo dinamico, atteso che il diretto riferimento nel corso dei colloqui a denaro e crediti, l'attività estorsiva sfociata nel suo arresto, la richiesta dello "stipendio", oltre alla conoscenza delle dinamiche criminali del sodalizio, danno pienamente conto della condotta di partecipazione, riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo, appunto, dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016).
5. Il ricorso va, dunque, respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
p.q.m.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1 ter, disp.
att. c.p.p.
Così deciso il 28.6.2016