COLLEGIO DI ROMA
composto dai signori:
(RM) DE CAROLIS Presidente
(RM) SIRENA Membro designato dalla Banca d'Italia (RM) LEPROUX Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) NERVI Membro designato da Associazione
rappresentativa degli intermediari
(RM) MARINARO Membro designato da Associazione
rappresentativa dei clienti
Relatore SIRENA PIETRO
Nella seduta del 19/06/2015 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione - la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Le ricorrenti hanno affermato che:
-il 31 ottobre 2012, la banca resistente avrebbe provveduto al pagamento di un assegno bancario di € 2.260,00, senza aver previamente accertato che la firma di traenza apposta sul titolo fosse conforme allo specimen depositato; -tale sottoscrizione sarebbe risultata palesemente contraffatta; -la banca resistente non si sarebbe pertanto comportata con la diligenza tecnica richiesta dall’art. 1176, 2°
comma, c.c.
Ciò posto, le ricorrenti hanno chiesto che: -la banca resistente sia condannata al pagamento di € 2.260,00 a titolo di risarcimento del danno, pari all’importo dell’assegno apocrifo che è stato portato all’incasso.
La banca ha resistito al ricorso affermando che:
-il pagamento dell’assegno bancario di cui si tratta, avendo un importo inferiore a
€ 5.000,00, sarebbe avvenuto mediante la procedura di c.d. check truncation, la quale consentirebbe alla banca girataria per l’incasso di inviare alla banca trattaria un messaggio elettronico contenente le informazioni necessarie per la sua estinzione, anziché presentargli materialmente il titolo di credito; -tale procedura non consentirebbe pertanto alla banca trattaria di effettuare alcun controllo sull’autenticità della firma di traenza; -nel caso di specie, quest’ultima sarebbe completamente diversa da quella di specimen, senza che sia stato neppure fatto il tentativo di imitarla; -le ricorrenti non avrebbero denunciato quanto accaduto all’autorità di Pubblica Sicurezza; -avrebbero altresì violato le loro obbligazioni contrattuali, omettendo di custodire diligentemente il libretto di assegni di cui erano titolari.
Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che: -il ricorso sia respinto, perché infondato in fatto e in diritto.
DIRITTO
Si deve preliminarmente rilevare che, secondo un orientamento dottrinale cui aveva prestato adesione la giurisprudenza più risalente nel tempo, la banca trattaria che paghi un assegno bancario apocrifo incorrerebbe in una responsabilità oggettiva. A partire da una ormai remota sentenza (Cass. civ., 5 febbraio 1958, n. 322), la giurisprudenza di legittimità e di merito si è tuttavia nettamente orientata nel senso che si tratti invece di una responsabilità basata sulla colpa.
Questo Arbitro ritiene di aderire al secondo di tali orientamenti giurisprudenziali.
Trattandosi della responsabilità da inadempimento di un’obbligazione contrattuale che la banca trattaria si è assunta nei confronti del traente, essa è pertanto liberata dall’obbligazione di risarcimento del danno laddove dia la prova di aver adempiuto tale obbligazione con la diligenza tecnica che è richiesta dall’art. 1176, 2° comma, c.c.
In particolare, la diligenza che è richiesta a una banca nell’adempimento delle proprie obbligazioni deve essere valutata con particolare rigore, perché è
«qualificata dal maggior grado di prudenza e attenzione che la connotazione
professionale dell’agente consente e richiede» (Cass. civ., sez. I, 24 settembre 2009, n. 20543).
In alcuni precedenti analoghi, questo Arbitro ha affermato quanto segue: «la banca, dunque, è ritenuta responsabile per aver pagato un assegno falsificato nella firma di traenza qualora la falsità sia riconoscibile dopo un diligente esame, ancorché a vista. Tali principî valgono non solo per l’ipotesi in cui l’assegno sia presentato dal prenditore direttamente alla banca trattaria, ma anche in quella […]
in cui l’assegno pervenga ad essa in sede di stanza di compensazione. In merito alla controversia in esame è di tutta evidenza che la difformità della firma rispetto a quella depositata dal cliente è rilevabile “a vista”, non richiedendo una indagine particolarmente complessa, e che dunque i responsabili della filiale avrebbero potuto rilevare tale difformità operando un mero riscontro tra lo specimen del cliente e la firma – grossolanamente imitata – apposta ai titoli all’atto della presentazione» (decisione del Collegio di Napoli, n.1621 del 2011).
Aderendo al principio di diritto enunciato da Cass., 31 marzo 2010, n. 7956, questo Arbitro ha precisato inoltre che la verifica della diligenza della banca non può essere circoscritta al mero controllo della autenticità della firma di traenza, ma deve estendersi a ogni aspetto dell’operazione contestata e allo svolgimento complessivo del servizio che essa si è impegnata a effettuare nell’interesse del proprio cliente (decisioni del Collegio di Napoli, n. 1599 del 2011 e n. 2218 del 2011; decisione del Collegio di Roma, n. 963 del 2012).
È pacifico tra le parti del presente giudizio che la firma di traenza apposta sull’assegno pagato dalla banca resistente sia completamente diversa da quella di specimen.
Questo Arbitro ritiene pertanto che la banca resistente non abbia dato la prova di aver adempiuto le proprie obbligazioni contrattuali nei confronti della ricorrente con la diligenza tecnica di cui all’art. 1176, 2° comma, c.c.
La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 1 delle controdeduzioni) che gli assegni bancari di cui si tratta sarebbero stati pagati mediante la procedura di c.d.
check truncation, nella quale la loro presentazione materiale sarebbe sostituita dalla ricezione di un messaggio elettronico inviato dalla banca girataria per l’incasso e contenente i loro dati. L’eccezione è tuttavia infondata.
Si deve premettere che la procedura di troncamento dell’assegno (c.d. check truncation) costituisce una forma semplificata di presentazione del titolo al
pagamento, utilizzabile soltanto dalle banche alle quali l’assegno sia stato girato per l’incasso e soltanto per i titoli di modesto ammontare. Più precisamente essa consente alla banca negoziatrice di assegni circolari e bancari di richiederne il pagamento alla banca (emittente o trattaria) mediante l’invio di un messaggio elettronico contenente le informazioni contabili relative al titolo necessarie per la sua estinzione. La trasmissione di questo messaggio alla trattaria sostituisce la presentazione dell’assegno in forma cartacea o elettronica, la quale è invece prevista dalla legge (art. 31, 3° comma, l. ass.). Secondo tale procedura, pertanto, l’assegno bancario non è inviato alla banca trattaria, ma è “troncato” presso quella negoziatrice e si presume che esso sia stato debitamente pagato: qualora la banca trattaria ometta di comunicare, entro il terzo giorno lavorativo dalla data di compensazione, il rifiuto di pagamento, le è definitivamente precluso di dare la prova che il pagamento non era dovuto e di richiederne pertanto l’importo alla banca negoziatrice.
Il limite di tale procedura, la quale ha solo un fondamento negoziale (accordo interbancario del 1° luglio 1993), è dato dal fatto che essa non consente alla banca trattaria di verificare direttamente la regolarità formale della firma di traenza e la sua conformità allo specimen depositato dal traente. Ma ciò non può andare a discapito di quest’ultimo.
Secondo l’orientamento già espresso da questo Arbitro, infatti, si deve rilevare quanto segue: «la check truncation comporta un vantaggio, nei termini sopra descritti, in capo alle banche, ma comporta altresì dei rischi maggiori di quelli a cui si va incontro nel trattamento degli assegni secondo le procedure previste dalla legge (giacché la banca negoziatrice in relazione all’assegno da incassare non invia il titolo ma trasmette soltanto un flusso di dati): è per questa ragione che l’utilizzo della procedura in esame è stato limitato ai titoli di importo contenuto e le banche che hanno aderito all’accordo hanno convenuto anche una forma di autoassicurazione. Il rischio non può esser fatto ricadere sul cliente, che – a differenza della banca – non trae da detta procedura alcun vantaggio in termini di snellezza e fluidità operativa. D’altro canto, sulla banca incombe l’obbligo di verifica dell’autenticità della sottoscrizione degli assegni mediante raffronto con lo specimen; essa non può pretendere di sottrarsi convenzionalmente a detto obbligo, o, più precisamente, non può pretendere che la propria scelta organizzativa di avvalersi della procedura di check truncation valga a rendere
legittima una clausola di limitazione dei diritti e delle azioni del cliente in caso di inadempimento oppure di adempimento parziale o inesatto dei propri obblighi.
Una siffatta clausola sarebbe, infatti, comunque vessatoria ai sensi e con gli effetti di cui all’art. 33, comma 2, lettera b) del codice del consumo» (decisione del Collegio di Roma, n.261 del 2010).
Il fatto che le ricorrenti non abbiano diligentemente denunciato quanto accaduto all’Autorità di Pubblica Sicurezza, com’è stato lamentato (a p. 1 delle controdeduzioni) dalla banca resistente, non è suscettibile di escludere (in tutto o in parte) il risarcimento del danno loro dovuto, ai sensi dell’art. 1227, 2° comma, c.c.: per quanto esse vi fossero indubbiamente tenute, tale loro comportamento non sarebbe stato comunque idoneo a evitare il già avvenuto pagamento del titolo fraudolento, e pertanto il danno che deve essere loro risarcito.
P.Q.M.
Il Collegio accoglie il ricorso e dispone che la banca resistente provveda al pagamento in favore delle ricorrenti della somma di euro 2.260,00 (duemiladuecentosessanta/00), oltre agli interessi legali dalla data del reclamo al saldo.
Dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che la banca resistente corrisponda alla Banca d’Italia la somma di euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alle ricorrenti quella di euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1