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LE PROVINCE E L ASSETTO DEI POTERI LOCALI NELLE LEGGI DELLA REGIONE PIEMONTE (ANNI )

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LE PROVINCE E L’ASSETTO DEI POTERI LOCALI NELLE LEGGI DELLA REGIONE PIEMONTE

(ANNI 2006 – 2008)

Marzo 2009

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LE PROVINCE E L’ASSETTO DEI POTERI LOCALI NELLE LEGGI DELLA REGIONE PIEMONTE (ANNI 2006 – 2008)

Dalla lettura delle 105 leggi approvate dal Consiglio regionale (39 nel 2006, 29 nel 2007 e 37 nel 2008), risulta innanzi tutto che almeno 28 di esse contengono disposizioni che riguardano direttamente le province (vedi tabella 1).

Per le attività di tali enti assumono poi rilevanza alcune importanti proposte di nuove discipline di settore che sono già state inserite in disegni di legge presentati dalla Giunta al Consiglio, ma non ancora approvati; in particolare i disegni di legge regionali n. 228, presentato il 30 gennaio 2006 in materia di aree naturali e della biodiversità, n. 488, presentato il 13 novembre 2007 in materia di pianificazione del governo del territorio, e n. 514, presentato il 29 gennaio 2008 in materia di caccia.

Infine vengono in rilievo altri testi normativi ancora in corso di elaborazione, ma già sottoposti in bozza ad un primo esame tecnico in vista del loro passaggio nella Conferenza Regione – Autonomie locali e della loro eventuale approvazione da parte della Giunta, in particolare in materia di servizi educativi per la prima infanzia, in materia di istruzione e formazione professionale, in materia di usi civici, in materia di promozione e sviluppo della pratica sportiva ed infine in materia di gestione dei rifiuti.

Oggetto dell’analisi sono dunque complessivamente 36 testi normativi, 28 leggi già emanate ed 8 testi normativi in itinere; essi rivestono una particolare importanza per le province in quanto:

intervengono sui contenuti e sull’organizzazione dei servizi e delle attività compresi nelle funzioni che già sono nella competenza provinciale,

modificano in qualche modo il quadro delle funzioni e dei compiti attribuiti alle province, intervenendo su materie per le quali tali enti erano già indicati in qualche modo come titolari di funzioni, ma ampliando e ridefinendo l’ambito degli interventi provinciali,

incidono sul funzionamento complessivo delle autonomie locali piemontesi.

I. Le leggi di decentramento e le leggi di settore

Innanzi tutto occorre rilevare che, negli anni considerati, l’assetto dei ruoli e dei compiti della Regione e delle Autonomie locali non è più definito mediante leggi complessive di decentramento, leggi cioè che individuano trasversalmente il riparto di compiti e funzioni di regioni, province, comuni e di altri enti locali ovvero di soggetti di autonomia funzionale, con riferimento a discipline già definite in precedenti leggi di settore. Tale modalità di riparto delle funzioni tra gli enti è stata utilizzata in Piemonte, in particolare tramite le leggi regionali 44 del 2000, 5 del 2001, per la quasi totalità delle materie nelle quali si svolgevano compiti amministrativi regionali, e 17 del 1999, per l’agricoltura.

L’assetto dei poteri locali si viene invece definendo, nelle normative regionali elaborate nel triennio considerato dalla presente analisi, tramite specifiche leggi di settore con le quali si intende innovare la disciplina dei singoli ambiti di intervento, a seguito da esigenze emergenti sia da nuove normative statali, sia da mutamenti sociali, organizzativi o comunque da altre opportunità di innovare l’erogazione di servizi e le modalità dello svolgimento di attività di competenza legislativa regionale.

Si tratta di un approccio molto differente rispetto a quello passato perché la individuazione delle funzioni che devono rimanere in capo alla Regione ovvero di quelle che devono transitare in altri livelli istituzionali (province, comuni, altri enti locali e autonomie funzionali), se effettuata nelle disposizioni di settore, facilmente risponde in misura maggiore ad esigenze di efficienza e di efficacia nella realizzazione dei compiti e delle attività che espressamente la nuova legge di settore regolamenta, a favore dei bisogni di cittadini ed imprese. Infatti nei casi in cui viene effettuato un riparto in una pluralità di materie, tramite una

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legge generale di decentramento, più facilmente prevalgono, nella scelta del livello in cui collocare la singola funzione, ragioni di architettura ed equilibrio istituzionale.

Tale differenza emerge chiaramente in alcuni dei casi nei quali la nuova legge di settore ridisciplina in modo più organico il riparto dei compiti tra Regione, province e comuni, abrogando espressamente le precedenti norme dettate, per la materia di cui si tratta, con le leggi regionali di decentramento emanate all’inizio degli anni duemila. In proposito si possono richiamare le disposizioni contenute nelle recenti leggi regionali che hanno disciplinato la materia dell’ istruzione, del diritto allo studio e della libera scelta educativa (l.r. 28 del 2007), ovvero quella dell’occupazione e del lavoro (l.r. 34 del 2008), o, ancora, quella della navigazione interna (l.r. 2 del 2008) nella quale, tra l’altro, si prevede (art. 5) che alcune delle funzioni in precedenza attribuite alle Province (autorizzazione di manifestazioni nautiche che interessano più comuni) siano correttamente riportate in capo a forme associative intercomunali.

II. L’attribuzione alle province di singoli adempimenti più che di vere e proprie funzioni

Una seconda considerazione riguarda il fatto che ancora in alcune delle leggi di settore l’attribuzione dei compiti amministrativi regionali alle province continua a riguardare più singoli adempimenti che non vere e proprie funzioni, globalmente intese e comprensive di tutti i compiti strumentali alla svolgimento dei servizi e delle attività di cui si tratta. In tal modo, tra l’altro, viene complicato inutilmente (con conseguenti difficoltà per i cittadini o le imprese utenti delle prestazioni pubbliche) il numero degli enti che intervengono nello stesso ambito di materia o attività o, addirittura, nello stesso procedimento.

Di questa modalità di riparto di funzioni amministrative - che si potrebbe definire “riduttiva” e poco conforme alle nuove disposizioni costituzionali – si trovano alcuni esempi nelle leggi esaminate, relative alle materie agricoltura e ambiente. (vedi tabella 2).

In altri casi l’attribuzione di meri adempimenti è posta congiuntamente in capo ad una pluralità di enti, con conseguente pregiudizio per la chiarezza delle responsabilità in capo ai diversi soggetti. Così, ad esempio, in base a quanto previsto nella l.r. 29 del 2008 in materia di distretti rurali e agroalimentari, circa l’obbligo di province e comuni (in modo indistinto tra i due livelli istituzionali, con pregiudizio per la chiarezza delle responsabilità attribuite a ciascun di essi !) di fornire servizi per il piano di distretto, mettendo a disposizione risorse umane e fisiche (art. 7, l.r. cit.).

III. Le materie ed i tipi di funzioni attribuite e la loro conformità a quelle di un ente di area vasta

Molte delle disposizioni contenute nelle leggi regionali esaminate prevedono invece attribuzioni alle province che hanno come oggetto vere e proprie funzioni, cioè un complesso di attività amministrativa organicamente orientata a rispondere ad un interesse pubblico o ad un bisogno di cittadini o imprese. Per tali casi può essere utile approfondire il contenuto delle funzioni per cogliere la portata di tali norme anche rispetto al dibattito in corso sulla riforma del sistema delle autonomie locali, ed in particolare sul tema di una più funzionale ridistribuzione delle funzioni amministrative tra i diversi enti che operano a livello della regione Piemonte.

Ci si può allora chiedere innanzi tutto se la scelta del livello istituzionale al quale la funzione è stata collocata dalla legge regionale sia conforme ai criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, richiamati nell’art. 118 della Costituzione, in materia di riparto di funzioni amministrative tra i diversi enti che costituiscono la Repubblica.

In proposito si può innanzi tutto rilevare, per quanto attiene al principio di differenziazione, che nelle leggi regionali considerate, in due casi i compiti sono stati previsti con attribuzione ad una soltanto delle otto province piemontesi, e più precisamente alla Provincia del Verbano-Cusio-Ossola per i compiti relativi all’acquisti di benzina in territorio di confine ed alla Provincia di Torino in materia di gestione di aree protette, nel relativo ddl non ancora approvato.

Più complesso il tema dell’applicazione dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza.

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Ci si può in proposito domandare se le scelte del livello istituzionale al quale attribuire i diversi compiti previsti sono coerenti con quanto viene emergendo nel dibattito sull’attuazione del nuovo titolo V° della Costituzione tramite la cosiddetta carta delle autonomie, in particolare con riferimento alla distinzione tra le funzioni di prossimità, che dovrebbero caratterizzare i compiti comunali, e quelle di area vasta, che dovrebbero invece caratterizzare il livello provinciale. La risposta non è certamente semplice, anche in considerazione dello stato ancora embrionale del dibattito che dovrà portare, tra l’altro, alla individuazione delle funzioni fondamentali di province, città metropolitane e comuni; tuttavia certamente una verifica sul campo della disciplina che riguarda gli specifici settori in cui si articolano le funzioni pubbliche che rientrano nella competenza legislativa regionale, ai sensi dell’art. 117 Costituzione, può contribuire a costruire in modo concreto criteri per distinguere le funzioni comunali di prossimità da quelle provinciali di area vasta, rendendo il dibattito meno teorico e più vicino alle reale esigenze dei cittadini e delle imprese, per quanto attiene all’assetto dei diversi poteri pubblici.

Per rispondere ai quesiti sopra formulati e ricercare la logica che ha portato alla scelta di collocare quei compiti amministrativi, e non altri, al livello provinciale, può essere opportuno analizzare il contenuto dei compiti attribuiti, considerando congiuntamente due aspetti rilevanti: quello della materia a cui la funzione si riferisce e quello del tipo di attività amministrativa mediante la quale la nuova funzione viene esplicata.

A. Le materie

Si può in primo luogo considerare che le materie nelle quali sono stati attribuiti compiti alle province sono in parte quelle più tradizionali ed in parte quelle che si sono consolidate in capo alle province dalla fine degli anni novanta con il primo decentramento amministrativo a costituzione invariata.

Dall’esame delle disposizioni contenute nel gruppo di leggi regionali piemontesi emanate nel periodo considerato, si viene confermando che si tende a fare riferimento alle province nell’attribuzione di funzioni che riguardano principalmente i seguenti bisogni dei cittadini e delle imprese:

a. tutela ed alla valorizzazione del territorio e dell’ambiente, nel triennio considerato, in particolare per quanto riguarda il governo del territorio e l’urbanistica, la gestione della fauna e degli ambienti acquatici, il rendimento energetico degli edifici, le aree protette, la gestione dei rifiuti e la tutela della fauna;

b. sviluppo delle risorse umane della comunità ed al loro inserimento lavorativo, nel triennio considerato, in particolare per quanto riguarda l’istruzione e la formazione professionale, l’occupazione ed il lavoro;

c. interventi per favorire lo sviluppo economico e produttivo, nel periodo considerato (confermando peraltro una tendenza rilevata anche nelle leggi regionali di periodi precedenti) solo per quanto riguarda il settore agricolo (distretti rurali e agroalimentari; funghi; tartufi) e non quelli relativi all’industria e all’artigianato;

d. servizi relativi alla mobilità ed ai trasporti, riscontrati nelle leggi considerate solo per quanto attiene alla navigazione interna ed il trasporto di viaggiatori mediante noleggio di autobus con conducente (ma già ampiamente previsti in leggi regionali precedenti in tutti i rami dei trasporti e nella viabilità).

B. Il tipo di funzioni

Per quanto riguarda invece le caratteristiche dei singoli compiti attribuiti alle province e la verifica dell’adeguatezza di tale collocazione, è necessario rivolgere l’analisi al contenuto di ciascuno di essi, raggruppandoli per tipologia di funzioni, con riferimento a quelle attività amministrative che sembrano maggiormente caratterizzare un ente di area vasta (programmazione e pianificazione, regolazione di attività private, gestione di servizi di secondo livello).

Dall’analisi è emerso che il tipo di attività amministrativa per la quale è attribuita prevalentemente la titolarità in capo alle province è quella di seguito indicata.

1) Attività amministrativa per l’elaborazione e l’approvazione di piani e programmi generali.

Per lo più tale attività si configura per le province come concorso nella formazione di piani e programmi regionali, tramite la formulazione di proposte ovvero l’espressione di pareri. Nei testi normativi analizzati tale coinvolgimento è previsto nei vari casi con diverse modalità. (vedi tabella 3). Occorre in proposito rilevare che per i singoli piani e programmi regionali sono previsti contenuti differenti, dalla sola

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individuazione di obiettivi, indirizzi e criteri, alla fissazione di tipologie e modalità di intervento o, addirittura, di singole azioni previste.

In un solo caso, in materia di pianificazione del governo del territorio è invece attribuita direttamente alla Provincia la funzione di predisposizione e approvazione di programmi, tramite l’elaborazione ed approvazione dei Piani territoriale di coordinamento provinciale, secondo quanto previsto nel ddl regionale 488 del 2007 (peraltro in gran parte a conferma della precedente normativa).

2) Attività amministrativa di pianificazione dei servizi e delle attività, intendendo come tale quella che riguarda la definizione della destinazione delle risorse regionali per le diverse attività e nelle diverse parti del territorio; in particolare tale tipo di funzione è attribuita alle Province, nelle norme regionali esaminate, in numerose materie. (vedi tabella 4).

3) Attività amministrativa di regolazione dello svolgimento, da parte di soggetti privati, ma anche pubblici, di azioni per le quali vi è la necessità di tutelare un particolare interesse pubblico, per lo più di tipo ambientale, ma anche relativo allo sviluppo economico e sociale.

Tale attività di regolazione è attribuita alle Province assegnando ad esse sia compiti di tipo autorizzatorio, sia la tenuta di eventuali registri o altre documentazioni ufficiali che riguardano i soggetti che svolgono l’attività, sia infine, quasi sempre, la vigilanza, il controllo e l’attività sanzionatoria. In alcuni casi, si accompagna poi all’attribuzione di compiti di regolazione anche quella concernente l’intervento di sostegno finanziario delle attività regolate.

In particolare tale tipo di funzione, nelle norme regionali esaminate, è attribuita alle Province in numerose e svariate materie. (vedi tabella 5).

4) Attività di gestione amministrativa e di organizzazione per la realizzazione (diretta da parte dell’amministrazione stessa ovvero mediante attività svolte all’esterno) di servizi pubblici locali; si tratta di servizi che il legislatore regionale ha ritenuto necessario fossero svolti, per le loro caratteristiche di diffusione o di funzionalità, ad un livello territoriale più vasto rispetto a quello comunale (a prescindere dalla dimensione dei comuni nelle diverse parti del territorio regionale).

Nelle leggi regionali considerate tale gestione amministrativa riguarda in particolare i servizi indicati (vedi tabella 6).

Occorre infine evidenziare, per la rilevanza che ciò assume ai fini della individuazione del ruolo della provincia nel sistema amministrativo regionale, che è previsto in alcune delle leggi regionali esaminate, accanto all’attribuzione di vere e proprie funzioni, lo svolgimento, da parte delle province, di attività di promozione e coordinamento per la costruzione di strumenti di aggregazione ed interazione tra diversi centri di interesse, pubblici e privati, rilevanti sia per la migliore erogazione di servizi pubblici, sia per garantire l’efficacia dello sviluppo locale.

Così, ad esempio, la provincia è chiamata espressamente a promuovere la stipulazione di accordi di collaborazione tra enti territoriali, istituzioni scolastiche, agenzie formative, ma anche con il coinvolgimento di servizi sociali, sanitari, culturali e del lavoro, per la migliore progettazione, realizzazione e monitoraggio di tutti i complessi interventi che riguardano il sostegno al diritto all’istruzione e formazione (art. 5, l.r.

28/2007). Ancora, le province sono chiamate a promuovere la costituzione dei comitati dei bacini di pesca, ai quali partecipano associazioni e organizzazioni piscatorie e comuni (art. 5, l.r. 29/2006) ed inoltre a realizzare “azioni di animazione del territorio” al fine di promuovere la costituzione dei soggetti giuridici misti pubblico–privato per la gestione dei distretti rurali e di quelli agroalimentari (art.5, l.r. 29/2008).

Accanto a tali compiti di governance, l’individuazione del ruolo delle province si completa nella previsione di attività di collaborazione e supporto agli altri enti locali (assistenza tecnico-amministrativa di cui alla l.r. 8/2006).

I contenuti delle funzioni provinciali attribuite, che emergono dall’analisi per materia e per tipo di attività secondo quanto sopra indicato, mettono in rilievo che le caratteristiche delle decisioni da assumere a livello territoriale intermedio tra regione e comune sono quelle proprie di un’attività di “governo”, volte cioè ad incidere su aspetti strategici delle attività pubbliche, sia per le infrastrutture (ad esempio viabilità) che per i servizi (ad esempio istruzione e formazione), e comunque tali da investire aspetti di relazione complessiva tra soggetti, pubblici e privati, chiamati ad assicurare lo sviluppo delle comunità

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amministrate, e da richiedere scelte di priorità e di sviluppo ordinato di sistemi complessi di rete. Tutte attività cioè che nell’ordinamento costituzionale italiano fanno capo ad organismi di tipo elettivo.

IV. Criticità rispetto alla costruzione di un sistema semplificato ed integrato di autonomie della Regione e degli Enti locali

Dal primo esame delle normative regionali elaborate o approvate nel periodo considerato, ci si può domandare se emerge che il legislatore regionale si muove nella direzione di un’evoluzione dell’ordinamento piemontese verso un sistema innovato ed adeguato alle linee generali che risultano dalla riforma del titolo V°

della Costituzione, capace quindi di recepire e facilmente armonizzarsi con i processi di cambiamento dell’amministrazione centrale, di quella regionale e delle autonomie locali, oggetto dell’attuale dibattito innescato dal tema del federalismo fiscale e della nuova carta delle autonomie.

In base ad una valutazione esclusivamente di carattere tecnico, si ritiene che la risposta possa essere solo parzialmente positiva; infatti emergono certamente alcune “luci”, rappresentate dagli elementi decisamente innovativi sopra evidenziati, con riferimento alle funzioni attribuite alle province; in particolare risulta evidente lo sforzo di costruire, in alcune importanti leggi di settore (ad esempio quelle sul diritto allo studio, sull’occupazione ed il lavoro, sulla pesca) una ripartizione di funzioni (regionali, provinciali e comunali) che risponda ad una logica di sistema, basato cioè organicamente sui ruoli dei diversi livelli istituzionali individuati e di facile percezione da parte degli utenti (cittadini ed imprese), e riferito alla più adeguata collocazione dei compiti amministrativi al livello più efficace rispetto ai temi ed ai bisogni collettivi che le singole discipline pongono.

Ma accanto a tali luci emergono anche numerose “ombre”, dovute più che altro al fatto che ancora in molte leggi regionali di settore la costruzione del riparto delle funzioni tra i diversi livelli istituzionali appare più casuale e non sempre riconducibile a scelte e logiche basate su di un disegno coerente con le innovazioni introdotte in questi ultimi anni dalle leggi costituzionali ed ordinarie. Tali carenze sono certamente in parte anche determinate dalle incertezze e dai numerosi dubbi che ancora sono presenti nel dibattito nazionale per la costruzione dei ruoli dei diversi livelli territoriali di amministrazione.

In proposito si indicano di seguito alcune prime questioni, riferite alle principali criticità che emergono dalle leggi e dalle proposte esaminate, da approfondire ulteriormente per la costruzione di un sistema integrato di esercizio di funzioni amministrative nella regione Piemonte.

Facendo riferimento principalmente all’obiettivo di semplificare e chiarire il sistema dei livelli istituzionali, i problemi che emergono potrebbero essere sintetizzati nei tre seguenti quesiti.

1) Come evitare di frantumare tra i diversi livelli istituzionali le funzioni da ripartire attribuendo ad essi meri adempimenti, singoli compiti e fasi procedimentali, badando invece ad configurare sempre vere e proprie funzioni organiche, da porre in capo ad un solo ente, che ne sia pienamente responsabile, secondo logiche che utilizzino al meglio le caratteristiche proprie della pluralità dei livelli territoriali previsti dal nostro ordinamento costituzionale?

In proposito occorrerebbe innanzi tutto tenere presente che per ciascuna delle diverse materie in cui interviene il riparto vi possono essere interessi pubblici di livello territoriale differente (comunale, provinciale e regionale), la cui individuazione potrebbe essere facilitata dal richiamo alle diverse attività amministrative che riguardano specificamente o la gestione o la pianificazione o la regolazione ed il supporto, anche con risorse finanziarie, ed infine la programmazione ed il coordinamento generale.

A tali diversi ambiti di attività, pur relativi alla medesima materia, ci si potrebbe in molti casi allora utilmente riferire per effettuare il riparto tra i diversi livelli istituzionali (comuni, province e Regione), mantenendo l’organicità della funzione attribuita.

Dall’analisi svolta sulla normativa approvata o proposta negli ultimi tre anni nella Regione Piemonte, emergono sostanzialmente i seguenti problemi per una corretta individuazione delle diverse attività

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amministrative sopra indicate e per il loro svolgimento da parte del più adeguato livello istituzionale, ed in particolare di quello provinciale.

a) Non vi è sempre univocità, per le diverse materie, nell’individuare sia i contenuti, generali o puntuali, degli atti di programmazione e pianificazione sia nella individuazione del livello istituzionale, regionale o provinciale, al quale essi sono attribuiti.

In proposito potrebbe essere opportuno cercare innanzi tutto un significato condiviso delle attività di programmazione (per le quali, ad esempio, si può intendere che debba prevalere la individuazione di obiettivi e di finalità, nonché di criteri e di indirizzi generali per il loro perseguimento, nonché per la determinazione di strategie e di risorse complessive) e di quelle di pianificazione (per le quali dovrebbe invece prevalere la individuazione di risorse per tipi di attività e di territorio, nonché degli interventi e delle modalità per la loro realizzazione). In secondo luogo sarebbe opportuno evitare la duplicazione di tali attività a livello regionale e provinciale, ad esempio definendo un criterio di massima che pone in capo alla regione l’attività di programmazione di cui sopra ed in capo alle province l’attività di pianificazione, di cui pure sopra, intesa come strumento di raccordo, definizione di priorità e comunque di interrelazione tra le diverse comunità locali di base. A tale formula di riparto potrebbero certamente presentarsi rilevanti eccezioni: ad esempio il piano territoriale di coordinamento, che ha contenuto riferito in prevalenza ad obiettivi, indirizzi e criteri, ma che è collocato anche a livello provinciale, in relazione alla specificità della materia; o, ancora, la eventuale suddivisione di risorse per tipi di attività e per territori provinciali, che ha contenuto di pianificazione, ma che, per grossi settori di intervento, si rende necessaria, trovando la sua naturale collocazione a livello regionale.

b) La forte differenziazione delle numerose materie per le quali è previsto l’esercizio di compiti di regolazione di attività private da parte delle Province, ma anche il fatto, rilevato sopra nel paragrafo II°., che i relativi adempimenti autorizzativi sono talora frammentati, per la stessa materia, tra diversi livelli territoriali (province, comuni, ma anche Regione) denota come vi sia ancora difficoltà ad individuare in modo univoco la linea di confine tra i casi per i quali la regolazione si pone come funzione di prossimità, e quindi è opportuno che stia in capo ai Comuni e alle loro forme associative, e quelli per i quali invece esse si configura come compito di area vasta, da porre quindi in capo alle province. Occorre infatti evitare che l’attribuzione di compiti di regolazione alle Province sia disposta solamente perché il contenuto dell’attività, pur rispondendo ad interessi prettamente comunali, richiede prestazioni organizzative e tecniche incompatibili con il carattere sottodimensionato di molti Comuni;

in tali casi la soluzione probabilmente non sta nel dare una nuova funzione alle Province, ma nel creare forme associative tra Comuni piccoli.

Un parziale contributo alla soluzione di tale problema potrebbe essere forse dato da un maggiore coordinamento dell’attribuzione di compiti di regolazione (comprensive di tutte le attività strumentali: vigilanza, promozione, sensibilizzazione, ecc.) con quelli di pianificazione e gestione di servizi, privilegiando ad esempio per le province i settori fondamentali alle stesse attribuite (territorio e ambiente, viabilità e trasporti, istruzione e formazione, sviluppo economico e produttivo ovvero quegli altri che saranno individuati).

c) Non si tiene adeguatamente conto, nell’individuare i servizi pubblici locali da gestire a livello comunale (di prossimità) o provinciale (di area vasta) dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni, in relazione ai quali servizi che tradizionalmente si collocavano a livello di prossimità devono ora - per effetto dell’evoluzione del contenuto delle funzioni, del mutare degli principali interessi da tutelare a favore del cittadino o anche solo della tecnologia impiegata - essere gestiti ad un livello territoriale più ampio al fine di assicurare le necessarie economie di scala e le integrazioni tra diverse attività di servizio; si considerino in proposito, a titolo di esempio, i problemi posti dalla gestione integrata dei servizi pubblici locali relativi alle risorse idriche ed ai rifiuti.

2) Come evitare la moltiplicazione dei livelli e del numero degli enti che operano nel sistema amministrativo regionale ?

In proposito - accanto al tema degli enti strumentali regionali, già in molte occasioni segnalato ma nei fatti non ancora affrontato e risolto - emerge quello delle forme associative tra enti locali.

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Esse possono essere utilmente utilizzate per creare la dimensione territoriale adeguata rispetto al contenuto della funzione, riducendo il numero dei soggetti amministrativi, e ciò vale sia per le funzioni di prossimità svolte dai comuni che per quelle di area vasta svolte dalle province.

Il problema è particolarmente presente nella regione Piemonte, in relazione al numero molto elevato dei Comuni, in particolare di quelli di limitate dimensioni.

E’ tuttavia necessario applicare la logica dell’associazionismo comunale in termini coerenti con l’esigenza di configurare una dimensione amministrativa ottimale per l’esercizio di funzioni comunali di prossimità, senza sconfinare in un associazionismo comunale che rischia di duplicare la dimensione provinciale di area vasta. Occorre infatti evitare che le forme associative finiscano per costituire un nuovo e differente livello, che si aggiunge a quelli comunale e provinciale, come per alcuni aspetti emerge dalla recente legge piemontese sulle comunità montane (l.r. 19/2008), per le quali si tende ad attribuire funzioni che non sono solo quelle comunali, da esercitare in modo aggregato, come unioni di comuni, sulla realtà territoriale montana.

Analogo rischio di creare un ulteriore livello amministrativo emerge per le forme associative tra enti di differente livello territoriale, comunale e provinciale, ai fini dell’esercizio integrato di funzioni diverse, alcune di prossimità ed altre di area vasta; la natura disomogenea degli interessi da perseguire da parte di enti di diversa dimensione rischia inoltre di paralizzare il funzionamento dei servizi, come dimostrano recenti esperienze degli Ambiti Ottimali, sia in materia di gestione dei servizi idrici che in quella della gestione dei rifiuti, costituiti non solo con riferimento ad una dimensione territoriale ottimale, ma con una vera e propria entificazione, con partecipazioni sullo stesso piano (al di là dell’entità della quote) di comuni e province; l’ordinamento offre altri strumenti giuridici più adeguati per garantire la collaborazione tra enti che gestiscono funzioni che si riferiscono ad interessi territorialmente differenziati, ma connessi funzionalmente, quali gli accordi di programma e le conferenze di servizi.

3) Come assicurare un equo ed efficace sistema di finanziamento delle nuove funzioni decentrate, non solo nelle leggi statali, ma anche in quelle regionali ?

La risposta certamente sta in gran parte negli esiti della discussione e nella disciplina che verrà emanata in tema di federalismo fiscale, con il conseguente passaggio dai trasferimenti regionali all’utilizzazione, da parte degli enti locali, di propri tributi e partecipazioni a tributi, non solo statali, ma anche regionali.

Occorre tuttavia rilevare che le leggi esaminate, nel disciplinare i tributi regionali e la loro attribuzione agli enti locali ed in particolare alle province, determinano qualche perplessità. Mentre infatti in alcune delle norme esaminate, ad esempio quelle in materia di pesca e tutela della fauna acquatica (l.r. 37 del 2006), vi è attenzione a far confluire alle province le entrate regionali riscosse in materia, nella misura necessaria allo svolgimento della funzione, in alcune altre disposizioni, ad esempio in quelle contenute nelle leggi finanziarie regionali emanate nel periodo considerato, risulta che, in attività per le quali vi è un rilevante impegno in capo alle province nell’esercizio delle relative funzioni, è prevista la riscossione dagli utenti (imprese la cui attività è oggetto di regolazione) di risorse che vengono poi destinate all’utilizzo da parte di enti diversi dalle province; così per i canoni di imbottigliamento di acque minerali e di sorgente, con attribuzione dei relativi introiti solo ai comuni ed alle comunità montane, e non alle province (art. 7 l. r. finanziaria 14 del 2006) o, ancora, in materia di cave, nella quale, a fronte dell’attività di istruttoria delle relative autorizzazioni svolta dalle Province, i diritti di escavazione versati dagli interessati sono destinati solo ai Comuni o agli Enti gestori di aree protette (art.

6 della medesima l. r. finanziaria, modificato dall’art. 2 della l.r. finanziaria n. 9 del 2007). Analoghi rilievi possono riguardare i casi (ad esempio in materia di controlli sugli impianti termici) per i quali, con deliberazioni regionali viene modificata la disciplina dell’erogazione del tributo, magari con più che giustificate agevolazioni per determinate categorie di soggetti, senza compensare le mancate entrate per gli enti locali percettori che svolgono le relative funzioni amministrative.

L’analisi sulle leggi regionali è stata curata dall’Unione Province Piemontesi e le considerazioni contenute nella nota sono state elaborate con l’apporto dei Direttori generali e dei Segretari generali delle Province.

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