Il sistema di governo nella Costituzione italiana
Prof.ssa M. Cristina Grisolia
Per capire bene gli elementi che caratterizzano oggi la forma di governo italiana, è necessario ripercorrerne gli sviluppi partendo dal disegno originario, per passare alla sua attuazione nel nostro sistema, fino ad arrivare alle profonde modifiche
determinate dalla riforma elettorale del 1993 e poi dalla più recente riforma del 2005.
Per far questo occorre – sia pure in estrema sintesi – fermare l’attenzione su tre aspetti fondamentali:
a. Il modello costituzionale
b. Il funzionamento del modello fino alla riforma elettorale del 1993 c. La riforma elettorale del 1993 e la fase di transizione
d. La riforma elettorale del 2005: l’inizio della una nuova fase e le prospettive future
Definizione di forma di governo
Secondo quelle che sono le categorie classiche del diritto costituzionale, si intende per forma di governo di uno Stato gli insieme dei rapporti che caratterizzano le relazioni che si instaurano fra i supremi organi di governo.
In base a questa definizione, si possono distinguere varie forme di governo,
presidenziale direttoriale, parlamentare e all’interno di questa varie forme di governo parlamentare a seconda del sistema dei partiti che le sorregge.
Si può anticipare che quella introdotta dalla Costituzione del 1948 è una forma di governo di tipo parlamentare. Cioè una forma di governo caratterizzata dall’esistenza di un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento e dalla collocazione super partes del capo dello stato. Organo chiamato, in posizione di indipendenza e neutralità, a
garantire in corretto funzionamento di questo rapporto e, più in generale, il corretto funzionamento dell’intero sistema.
Nell’ambito di questo schema si inserisce un sistema politico definito a
multipartitismo esasperato, caratterizzato da un numero molto elevato di partiti tra loro molto conflittuali.
a. il modello costituzionale
.
Punto di partenza di questa analisi è l’ordine del giorno, approvato dalla Seconda Sottocommissione, incaricata di disegnare il nuovo assetto istituzionale della neonata repubblica italiana, nella seduta del 5 settembre 1946, proprio all’inizio dei lavori dell’Assemblea costituente.
In quella seduta la Sottocommissione, con 22 voti favorevoli e 6 astenuti, votò il famoso o.d. g. Perassi con il quale, dopo aver rilevato che né il governo presidenziale né il governo direttoriale rispondevano alle condizioni della realtà italiana, veniva espressa la scelta verso una forma di governo parlamentare “da disciplinarsi tuttavia - come si precisava in quel documento – con dispositivi costituzionali idonei a
tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di governo ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo”.
Alla base di questa scelta, maturata alla luce di un complesso dibattito che aveva occupato per ben tre giorni quella Commissione, vi era la consapevolezza che, subito esclusa la possibilità di introdurre un sistema di tipo direttoriale - assembleare, caratterizzato da un’eccessiva rigidità del rapporto governo – parlamento
(impossibilità di revocare il governo una volta eletto, ovvero di sciogliere le Camere, anche quando queste si discostino dagli indirizzi politici espressi dal corpo elettorale) ed ugualmente esclusa l’introduzione di sistemi presidenziali ( perfetta separazione
tra Governo e Parlamento che costituiscono due centri di indirizzo e decisione
reciprocamente autonomi, ma facilmente contrapponibili tra loro, oltre che equilibrati da un sistema di decentramento forte); l’unica soluzione risultava quella del sistema parlamentare. Un sistema dove governo e parlamento, non solo non si
contrappongono, ma sono espressione dello stesso indirizzo politico (perchè il
governo è espresso dalla stessa maggioranza parlamentare) e, quindi sono legati da un rapporto di collaborazione.
Un sistema, tuttavia, quello prescelto che, calato in una realtà – quale quella italiana – già allora caratterizzata da un elevato numero di partiti fra loro assai diversi e
conflittuali, esigeva, come si legge in quell’ordine del giorno, meccanismi di razionalizzazione in grado di assicurare la durata degli esecutivi, senza esporre il governo a continue crisi.
Va subito detto, tuttavia, che le buone, anzi le ottime, intenzioni espresse in quelle storiche sedute dai nostri Costituenti non ebbero poi il seguito sperato.
Gli auspicati meccanismi di razionalizzazione si sono tradotti in assai pochi elementi volti ad assicurare la stabilità dell’esecutivo (voto di fiducia palese sul programma; limiti introdotti alla sfiducia dall’art. 94, i poteri di direzione e coordinamento attribuiti al presidente del consiglio, gli ampi poteri attribuiti al Capo dello Stato rispetto ai tradizionali sistemi parlamentari).
Piuttosto che i meccanismi di razionalizzazione, più numerosi i correttivi, ai quali si dimostrarono particolarmente interessati i Costituenti i quali , in una prospettiva che allora rendeva assai incerto definire quelle che sarebbero state le forze politiche destinate a formare le future maggioranze di governo, si preoccuparono di
predisporre un sistema in grado di assicurare il più possibile garanzie reciproche : v.
un forte sistema di controllo costituzionale delle leggi e dei comportamenti degli organi costituzionali; l’introduzione dell’istituto referendario; costruzione di una struttura interna all’organo esecutivo imperniata da elementi che andavano sia nella direzione della governabilità (nomina del presidente del consiglio da parte del Capo dello Stato e nomina dei ministri su sua proposta; titolarità della direzione
dell’indirizzo politico) sia della uguale legittimazione di tutte le forze politiche che
avrebbero partecipato alla compagine governativa ( mancanza del potere di revoca, responsabilità collegiale).
Un modello, dunque, quello previsto, che poneva l’accento più sulla garanzia che non la governabilità e che sostanzialmente trovava il suo completamento, sul piano
elettorale, nella scelta del sistema proporzionale che, pur non incluso nella nostra Costituzione, è stata subito considerato come un elemento della nostra Costituzione materiale.
b. il funzionamento del modello fino alla riforma elettorale del 1993
Sotto tale profilo va subito detto che il modello parlamentare ha fin dall’inizio – o, quanto meno, a partire dal 1953 con la fine della fase degasperiana – funzionato in termini anomali o comunque sconosciuti all’esperienza classica dei governi
parlamentari.
Alla base di ciò stanno, non tanto i difetti o le carenze del modello, quanto la vicenda politica che ha caratterizzato il nostro paese, ben diversa da quella dei paesi (o delle epoche) in cui il governo parlamentare ha nel complesso funzionato.
E’ noto come il buon funzionamento di un governo parlamentare viene
tradizionalmente misurato con riferimento a due aspetti, che vengono in definitiva a misurare la stessa ratio del sistema.: la possibilità di realizzare una piena alternanza tra maggioranza ed opposizione; la netta distinzione dei ruoli spettanti alla
maggioranza e alla opposizione: la prima investita di poteri di indirizzo, la seconda del controllo politico su tali poteri.
Condizioni che dipendono, a loro volta, da alcune “precondizioni” determinate dalla presenza di un tessuto sociale sostanzialmente omogeneo quanto alla condivisione dei valori di fondo e da un sistema politico ordinato su un numero limitato di partiti ben coesi al loro interno.
Ambedue questi elementi, come è noto, non si sono realizzati in Italia, dove, a partire dai primi anni della nascita della nostra Repubblica si è radicato un sistema definito a
multipartitismo esasperato . Caratterizzato cioè , non solo da un numero elevato di partiti fra loro molto diversi, ma anche dall’esclusione dall’area di governo di cospicue e affatto secondarie forze politiche.
Il che ha creato governi deboli ed instabili e un sistema di democrazia bloccata , senza ricambio .
Tutto ciò ha prodotto:
1. frequenti crisi di tipo extraparlamentare, per la mancanza di formule di ricambio che rendeva impossibile l’apertura di crisi formali;
2. esistenza della convenzione che assegna la presidenza del coniglio alla DC . Conseguente indebolimento della compagine governativa e
modifica del ruolo del presidente del consiglio da organo di indirizzo a mero organo di mediazione di una politica governativa frammentata e definita con una formula felice una politica di governo per ministeri . 3. la mancanza di un ricambio compensata, però, da una confusione di ruoli
tra maggioranza ed opposizione attraverso il fenomeno c.d. del
consociativismo, legato alla formazione di indirizzi non decisi dalla sola maggioranza , ma concordati con l’opposizione.
4. accrescimento dei poteri del Capo dello Stato, accompagnato da una forte politicizzazione della carica (contrassegnata dalla difficoltà di elezione) resa sempre più evidente e dalla prassi del ricorso al c.d. potere di esternazione che soprattutto con la presidenza Pertini ha molto
rafforzato la posizione del Presidente nel circuito politico governo- parlamento- opinione pubblica.
Le cose cominciano a cambiare agli inizi degli anni ’80 con la caduta della prima e, poi, della seconda convenzione
Si formano i primi governi a conduzione laica, (Spadolini; Craxi) che imposero come urgenti i problemi della governabilità dando inizio ad una serie di riforme in questo senso (la legge 400/88; la riforma del voto segreto e dei regolamenti parlamentari, l’avvio del dibattito sulle riforme costituzionali), senza però riuscire a consolidare
alcun mutamento a causa della profonda crisi politica ed istituzionale apertasi con i processi di mani pulite.
Cade subito dopo, con la caduta del muro di Berlino nel 1989, anche la conventio ad escludedum..
La profonda crisi morale che ha colpito la classe politica, delegittimata sotto la pesante scure dei processi c.d. di mani pulite impedisce però di realizzare le
necessarie riforme e sarà il corpo elettorale ad intervenire con il referendum del 1993 che ha portato alla riforma elettorale di Camera e Senato in senso maggioritario, sia pure temperato da un ampio recupero proporzionale.
c. la riforma elettorale del 1993 e la fase di transizione
Fin troppo note le vicende dopo quella riforma: 1. XII leg. (1994-1996) a. Nascita del goverrno Berlusconi dopo le elezioni del 1994 nelle quali il polo delle libertà sia era presentato con due diverse alleanze al nord (lega) e sud (alleanza nazionale). b.
crisi del governo Berlusconi apertasi nel 1994 con la presentazione di una mozione di sfiducia da parte delle opposizioni cui aderiva la Lega e conclusasi con le dimissioni di Berlusconi prima del voto. c. mancato scioglimento delle Camere e formazione del governo Dini, ministro del Tesoro del governo Berlusconi e con forte coloritura tecnica piuttosto che politica, in grado – secondo le intenzioni del Capo dello Stato – di portare avanti le riforme rese necessarie dal mutamento del sistema politico ed istituzionale, così come indicato nel programma, la cui attuazione era posta alla base della stessa durata del Governo (il governo riceve la fiducia con i voti de PDS , popolari ed astensione di Forza Italia). c.Dimissione del governo Dini dopo l’approvazione della legge finanziaria nel dicembre 1995 e nuove elezioni con la formazione di due coalizioni il Polo e l’Ulivo con un loro leader destinato a divenire il Presidente del consiglio in caso di vittoria 2. XIII leg. (1996- 2001) a. Formazione del Governo Prodi dopo rapide e brevi consultazioni che sottolineavano la
vincolatività del mandato elettorale. b. crisi del governo Prodi , colpito dal voto di
sfiducia dopo il distacco di Rifondazione comunista dalla coalizione di governo. c.
Formazione del governo D’Alema appoggiato da una parte politica, sia pure minoritaria dell’opposizione. (Cossiga ed altri) . c. Crisi del governo D’Alema, formazione di un D’Alema II , di nuovo crisi dopo le elezioni amministrative del 2000 e formazione del governo Amato, 8. XIV leg. (2001- 2006) a. Formazione di due governi Berlusconi che durano fino alla fine della legislatura. b. approvazione prima della fine della legislatura della riforma elettorale del 2005 (con, alla Camera, il premio di maggioranza che assegna 340 seggi -55% - alla lista più votata che non abbia da sé superato questa soglia e, al Senato con il calcolo del premio di
maggioranza a livello regionale alla lista che abbia ottenuto il maggior numero dei voti – ancora il 55% dei seggi assegnati alla regione ).
La instabilità dei governi aumenta il peso politico del Capo dello Stato che, contrariamente ai sistemi maggioritari, accresce le sue facoltà di intermediazione e di intervento.
Nei sistemi maggioritari, infatti, si reclama una pronta riduzione dei poteri di iniziativa e di intervento del Capo dello Stato nell’asse delle decisioni politiche maturate nel raccordo governo-parlamento e, al contrario, un ampliamento dei poteri di controllo-garanzia, volti a limitare il maggiore peso ottenuto dalla maggioranza attraverso il meccanismo elettorale
In deroga a questo schema, invece, oltre alla prevista attivazione dei poteri di controllo del Capo dello Stato (di cui, però, si è preteso un esercizio anche al di là dei limiti tradizionalmente previsti), si è assistito ad un inaspettato incremento - anziché ad una riduzione - delle sue possibilità di intervento nel circuito delle decisioni politiche, obbligandolo ad una sorta di “sovraesposizione del tutto atipica ed inattesa.
L’organo presidenziale, infatti, chiamato in causa in ragione dell’estrema fragilità delle coalizioni di governo e per la forte carenza, a Costituzione invariata, di adeguati meccanismi di garanzia, è stato assai presto considerato, da un lato, come l’unico soggetto in grado di svolgere un’efficace azione di mediazione tra le stesse forze di
maggioranza e, dall’altro, il principale interlocutore di una opposizione alla ricerca di sempre più ampie tutele a fronte di illegittime compressioni dei suoi diritti.
d. La riforma elettorale del 2005: l’inizio della una nuova fase e le prospettive future
Riforma elettorale con l’introduzione di un premio di maggioranza. Inizio della XV legislatura (2006 – 2008) a. la nascita del Governo Prodi. b. crisi del governo Prodi e fine anticipata della XV legislatura . XVI legislatura (2008) a. formazione di un sistema bipolare-bipartitico .b. nomina del governo Berlusconi e inizio di un nuovo indirizzo politico, fortemente contrastato da un’opposizione divisa e senza reali strumenti di intervento c. entrata a regime del sistema maggioritario, ma in un quadro costituzionale ancora plasmato sul sistema proporzionale e con garanzie deboli.
Necessità in questo quadro di riforme costituzionali che riassestino gli equilibri all’interno del governo, unite però a interventi sugli istituti di garanzia, in primo luogo quelli legati alla figura del al Capo dello Stato e ai suoi poteri di controllo, oggi assai deboli.