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Mercato del Lavoro (nb Y Q) (cap. X del libro Corsi-Roncaglia)

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Academic year: 2022

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(1)

M. Bovi Pag. 1

Mercato del Lavoro (nb Y≡Q) (cap. X del libro Corsi-Roncaglia)

Marginalisti: il mercato del lavoro è come gli altri. C’è un prezzo, il salario reale, che essendo flessibile mette d’accordo una domanda ottima e un’offerta ottima:

Offerta di lavoro (Ns): il lavoratore uguaglia il salario reale (beneficio marginale) alla disutilità marginale del lavoro (costo marginale). Ns è funzione crescente del salario reale.

Domanda di lavoro (Nd): l’impresa uguaglia il salario reale (costo marg.) alla produttività marginale del lavoro (beneficio marginale). Nd è funzione decrescente del salario reale.

Salario reale (w): Sotto le consuete ipotesi (es., concorrenza perfetta) il meccanismo di mercato – cioè la variazione del prezzo al variare della domanda e dell’offerta – è in grado di assicurare domanda = offerta.

w è perfettamente flex => riesce sempre ad assicurare la piena occupazione.

Graficamente, il mercato del lavoro è il solito spazio “Q;P” (nel nostro caso N;w):

Per i marginalisti il mercato è sempre in equilibrio => può esserci

solo disoccupazione volontaria: chiunque voglia lavorare al salario di mercato può farlo =>

AD=AS sempre a livello di piena occupazione.

Marginalisti (neoclassici) moderni:

Sono simili ai marginalisti, ma dicono che è possibile avere disoccupazione frizionale. Ad es., se perdo il lavoro, ne devo cercare un altro e nel frattempo rimango disoccupato =>

esiste un tasso “naturale” di disoccupazione in cui ogni individuo rimane disoccupato solo per breve tempo, il tempo di trovare un nuovo lavoro => AD=AS sempre a livello di piena occupazione naturale.

Keynes:

Il mercato del lavoro non è un mercato in concorrenza perfetta.

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Ci sono sindacati e imprese, entrambi dotati di potere di mercato:

Sindacati: contrattano il salario nominale pro capite (W) in base alla loro forza contrattuale Imprese: decidono se assumere in base ai salari reali w≡(W/P). P=prezzi dei beni prodotti dalle imprese. Le imprese possono fissare P.

Se qualcuno (sindacato) fissa P (W), deve lasciar scegliere ad altri (imprese) la Q (occupaz.) Keynes studia in particolare le crisi => focus su disoccupazione involontaria persistente Sindacati deboli se alta disoccupazione: se ↑disoccupazione => ↓W

Imprese deboli se crisi economica => alla ricerca dei pochi clienti, anche P può ↓ Dunque, ↓ sia W che P. Tuttavia,

Keynes dice che ↓W < ↓P => ↑(W/P)≡w => disoccupazione involontaria persistente.

Perché Keynes dice che ↓W < ↓P => ↑(W/P)≡w?

Perché credeva che i lavoratori contrattassero W e facessero resistenza soprattutto a ↓W piuttosto che a ↓(W/P)≡w.

Insomma: rigidità nominale verso il basso => salario reale non si aggiusta => aggiustamento via quantità => disoccupazione involontaria persistente.

Per Keynes, c’è un’altra causa di disoccupazione involontaria persistente: le Aspettative.

Durante le crisi, le imprese potrebbero non assumere perfino se ↓w. Perché?

Logica simile alla trappola della liquidità:

se imprese aspettano che la ↓w provochi ↓AD => esse non assumono.

Anzi, licenziano => ↓occupazione Morale:

anche se il salario reale fosse flessibile, si potrebbe comunque avere disoccupazione involontaria persistente.

Anzi, al contrario dei neoclassici,

per Keynes riduzioni nei salari reali ↓AD => possono perfino aumentare la disoccupazione Formalizziamo il tutto (in termini dei Keynesiani moderni).

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Le contrattazioni salariali e le Parti Sociali

Sindacati:

• contrattano il salario nominale avendo in mente il salario reale

• la disoccupazione ↓ la forza contrattuale del sindacato

In formula: wB = f (U)

wB = salario reale contrattato (B=bargained) N = occupazione effettiva

Nf = occupazione di pieno impiego

U = disoccupazione = Nf – N (=> U livello, non tasso, di disoccupazione). Dato che Nf è costante => U = costante – N => U si muove come –N

Assunzioni:

Nf: indipendente dal salario reale (potrebbe dipendere da demografia, immigrazione,...) BRW è la curva del salario reale contrattato ed è ipotizzata rettilinea

Insomma:

BRW=coppie “N;wB” scelte dal sindacato: per ogni N (cioè U) esso chiede un certo wB BRW è crescente rispetto a N: ↑N (=> ↓U) => ↑forza contrattuale del sindacato => ↑wB

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Imprese

• Nel mercato del lavoro: decidono se assumere nuovi lavoratori guardando ai salari reali Per l’impresa W è dato, ma fissando i prezzi dei propri prodotti (P), essa determina W/P

• Nel mercato dei beni: hanno potere di mercato => possono stabilire i prezzi P Le imprese fissano i prezzi dei loro prodotti in base ad un mark-up sul CLUP Mark up sul CLUP? Chiariamo.

Concorrenza perfetta: la domanda di lavoro ottima vuole che PMargL=W/P Ipotizzando che PMargL = Produttività media del lavoro (Y/N) =>

domanda di lavoro ottima: Y/N=W/P => N/Y=P/W => P = WN/Y WN/Y = costo del lavoro (WN) per unità di prodotto (CLUP).

Definendo Y/N≡π => P = W/π = P dei beni compatibile con domanda di lavoro ottima In conc. perf. non è possibile avere un mark-up sul CLUP (i.e., profitti oltre il “normale”) Potere di mercato: imprese possono fissare P e lo fissano in base al mark-up = (1+) =>

il P nel mercato (non concorrenziale) dei beni compatibile con domanda di lavoro ottima è P = (1+) (W/π) [1]

Dove W/π = W(N/Y) = CLUP.

Questo P stabilito dalle imprese riesce a fissare il W/P => ha effetti distributivi (distribuzione del PIL tra salari e profitti. Le rendite qui possono essere trascurate: mercato lavoro). Vediamo

Definendo m ≡ μ/(1+μ), si può dimostrare che (1+μ)=[1/(1-m)]:

1/(1-m)=1/[(1-μ/(1+μ)]=1/[(1+μ)/(1+μ)]-[μ/(1+μ)]=1/[(1+μ-μ)/(1+μ)]=1/[1/(1+μ)]=(1+μ)

 P = [1/(1-m)] (W/π)

 P = mP + W/π [2]

L’ultimo passaggio porta all’eq. [2] la quale isola i termini “distributivi”:

mP = profitto per unità di prodotto = margine unitario di profitto W/π = costo del lavoro per unità di prodotto = CLUP

Es., m = 0,2 [=> (1+μ)=1/(1-0,2)=1,25 => μ = 25%]; π = 5; W = 100 =>

W/π=CLUP=100/5=20

P = 0,2P + 20 => P = 0,2P + 20 => P(1-0,2) = 20 => P=20/0,8 => P=25 mP=0,2*25=5.

Insomma, per ogni unità di prodotto:

P=25 copre il CLUP (20) e fa ottenere un profitto unitario di 5.

L’equazione [2] dà ulteriori indicazioni distributive:

divido per P => 1=m + W/Pπ => formula della distribuzione della “torta pro capite”:

π = mπ + W/P ovvero

prodotto pro capite = profitti reali pro capite + salari reali pro capite

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Detto ciò, è chiaro che - dati m, π e W - fissando P le imprese fissano anche un valore specifico del salario reale detto, appunto, salario reale determinato dal prezzo (wP).

Partiamo dall’equazione distributiva π = mπ + W/P => π(1-m) = W/P =>

Es. coi dati di prima: m = 0,2 e π = 5 => wP = 5(1-0,2) = 4 => in termini reali e pro capite la torta, cioè il prodotto (π) pari a 5 - è distribuito in salari (4) e in profitti pari a 1(=0.2*5)

Chiamiamo PRW = retta del salario reale determinato dal prezzo. Essa “fissa” un certo wP Disegniamo PRW nello spazio “N;w” ricordando l’equazione distributiva π = mπ + W/P:

Perché PRW orizzontale? Perché non dipende da N: wP = π (1 - m) Insomma, ora abbiamo:

wB = salario reale contrattato

wP = salario reale determinato dal prezzo BRW = retta del salario reale contrattato

PRW = retta del salario reale determinato dal prezzo

Ciascuna delle parti sociali vuole avere la parte più grossa della “torta” (π) => conflitto =>

prodotto pro capite < salario reale pro capite + profitto reale pro capite.

Come si risolverà il conflitto distributivo?

Quale sarà l’equilibrio del mercato del lavoro non concorrenziale con sindacati e imprese?

Vediamo.

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Equilibrio del mercato del lavoro con sindacati e imprese Equilibrio:

BRW e PRW si incontrano al livello occupazionale Ne e salario we

Dato Nf, Ne determina il livello di disoccupazione di equilibrio Ue = Nf - Ne

Perché Ue è equilibrio? Perché se U≠Ue (cioè se N≠Ne) allora conflitto non risolto:

Se U<Ue => disocc. troppo bassa => ↑potere contrattuale sindacati che ↑ le loro istanze =>

salario reale contrattato (BRW) > salario reale determinato dal prezzo (PRW).

Graficamente, siamo nel punto X: i sindacati stanno chiedendo un salario reale wB > we

Ma le imprese non vogliono concederlo: non è su PRW.

Lo stallo con U<Ue si può risolvere in due modi:

1. U → Ue. Come?

Imprese non assumono o licenziano => ↑U => ↓richieste dei sindacati => la X scende lungo la BRW finché le istanze sindacali sono compatibili con PRW => si realizza Ue

2. Ne → Nf. Come?

Si devono spostare BRW e/o PRW. Ciò può aversi con interventi dello Stato di vario tipo.

Esempio. Il W è un salario lordo nel senso che

comprende contributi (es., per pagare le pensioni e l’INAIL) e imposte (es. IRPEF) =>

cuneo fiscal-contributivo = W pagato dall’impresa – W netto ottenuto dal lavoratore

 Lo Stato partecipa alla distribuzione e redistribuzione della torta=prodotto pro capite

 Lo Stato può intervenire spostando BRW e/o PRW, favorendo Ne → Nf

Esempio: la politica dei redditi = un qualsiasi intervento dello Stato (in senso lato) che abbia come effetto la modifica nella distribuzione del reddito fra profitti e salari.

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Equilibrio del mercato del lavoro con sindacati e imprese: il NAIRU Finora abbiamo visto contrattazione => problemi lato reale = disoccupazione

Ovvero, il conflitto distributivo può essere risolto via quantità, cioè via disoccupazione:

i sindacati ↑W e le imprese rispondono licenziando => ↑U => ↓richieste dei sindacati =>

BRW= PRW per alta disoccupazione.

Ora: contrattazione => problemi lato nominale = inflazione

Ovvero, il conflitto distributivo può essere risolto via prezzi, cioè via inflazione:

i sindacati ↑W e le imprese rispondono con ↑P => spirale inflazionistica =>

equilibrio BRW= PRW raggiunto con alta inflazione.

Un aspro conflitto distributivo può essere colpa sia delle imprese sia dei sindacati Una politica potrebbe essere cercare di migliorare le relazioni industriali

Le Parti sociali ci provano spesso:

Imprese. Sito Federmeccanica (Federazione Sindacale Industria Metalmeccanica Italiana):

“Nell'attuale contesto socioeconomico caratterizzato da sfide complesse, si rende ancor di più necessaria una nuova alleanza tra impresa e lavoro per rilanciare il prodotto metalmeccanico nel mondo, ridare competitività alle nostre imprese e occupazione ai lavoratori. Crediamo in un nuovo modello di Relazioni Industriali fondate sulla partecipazione e sul coinvolgimento di tutti gli attori: le Parti sociali e gli individui.”

Sindacati: brano tratto da una pubblicazione a cura di CGIL, CISL e UIL (gennaio 2016)

“L’esigenza che il Paese sappia cogliere i timidi segnali di ripresa, derivanti in massima parte da fattori esterni alla nostra economia, richiedono la definizione di un nuovo progetto di relazioni industriali per l’intero mondo del lavoro e dell’impresa (…). Un moderno ed innovativo sistema di relazioni industriali può consentire di fare del lavoro e dell’impresa, pienamente valorizzate nella loro funzione sociale ed economica, leve importanti sulle quali agire per un cambiamento profondo del Paese (…)

Il Governo non solo cerca di mediare tra le Parti:

Sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

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“(…) svolgiamo attività di conciliazione e mediazione delle controversie collettive di lavoro nel settore privato, di rilievo pluriregionale o di livello territoriale di rilevante interesse sociale con particolare riferimento alle procedure di consultazione sindacale per mobilità, Cassa integrazione guadagni straordinaria (…)

Il Governo può anche partecipare attivamente:

si parla allora di contrattazione triangolare (sindacati+imprese+Stato) con la quale si cerca di raggiungere un patto sociale, cioè un accordo congiunto “tripartito” sull’andamento dei salari, dei prezzi, e delle politiche macroeconomiche.

Ma limitiamoci a parlare di inflazione per collegarla alla disoccupazione.

Invero, la disoccupazione può agire come freno all’inflazione. Vediamo meglio.

Sappiamo che l’inflazione, tra le varie cause, può anche derivare da elementi quali il costo del lavoro e/o il grado di conflittualità tra le Parti Sociali.

Ora, esiste un particolare tasso di disoccupazione che, come suggerisce il nome, risolve sia i problemi di quantità che di prezzo:

NAIRU=Non-Accelerating-Inflation-Rate-of-Unemployment

In effetti, il NAIRU è una possibile soluzione del conflitto sociale tra lavoratori e imprese:

è l’unico tasso U al quale le reciproche richieste delle parti sociali sono soddisfatte con un’inflazione costante

Il NAIRU è una situazione d’equilibrio, ma non di tipo marginalista in cui domanda=offerta È un equilibrio “distributivo” e in questo equilibrio può esserci disoccupazione involontaria Non esiste una formula per calcolare il NAIRU (ma si può stimare). Dato che è un

equilibrio tra le richieste di imprese e sindacati => dipende dalle determinanti di queste richieste, le quali sono numerose e di varia natura (socio-economico-politica) => il NAIRU è un equilibrio tra le condizioni macro del Sistema e la situazione nel mercato del lavoro:

✓ se il livello della domanda aggregata genera un U<NAIRU => inflazione crescente

✓ se il livello della domanda aggregata genera un U>NAIRU => inflazione decrescente

Nel nostro modello BRW-PRW,

per avere inflazione costante non ci deve essere conflitto distributivo nel senso che il salario reale richiesto dai sindacati deve essere uguale

al salario reale che deriva dalle decisioni di prezzo delle imprese.

Il NAIRU è quel tasso di disoccupazione che rende compatibili le richieste delle Parti sociali cioè, graficamente, le rette BRW e PRW devono intersecarsi:

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Quando la disoccupazione effettiva è minore(maggiore) del NAIRU =>

le istanze contrapposte sono incompatibili => l’inflazione aumenta(cala).

Esempio:

Sindacati:

il loro obiettivo è proteggere il salario reale =>

se si aspettano un’inflazione del 6% chiedono alle imprese un W = 6%

Imprese:

il loro obiettivo è proteggere il margine di profitto in termini reali => se W = 6% =>

le imprese aumentano i prezzi del 6%.

Parti Sociali insieme:

Nella situazione descritta sopra, entrambe le Parti Sociali realizzano i loro obiettivi =>

le loro richieste sono compatibili tra loro =>

la disoccupazione effettiva è al NAIRU e l’inflazione è costante al 6%

Notiamo:

se le istanze sociali fossero entrambe pari, ad esempio, al 3% => la

disoccupazione effettiva sarebbe comunque al NAIRU e l’inflazione sarebbe comunque costante, ma ad un livello dimezzato: il 3%.

Ecco perché lo Stato cerca di intervenire nella contrattazione:

vuole un equilibrio con bassa inflazione e vuole evitare la spirale prezzi-salari

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Ricapitolando tipi e cause della disoccupazione incontrati finora:

Marginalisti/neoclassici:

La disoccupazione è solo volontaria poiché i prezzi flex conducono ogni mercato (anche quello del lavoro) a realizzare l’equilibrio domanda = offerta.

Esiste però un tasso di disoccupazione naturale comprensivo della disoccupazione frizionale, cioè “da ricerca”.

La disoccupazione frizionale è sempre presente nel Sistema

ma nessun individuo rimane disoccupato a lungo: la ricerca di lavoro dura poco.

 La disoccupazione non ha grandi costi sociali

 Lo Stato può supervisionare i mercati senza implementare interventi sostanziali

Keynesiani:

la disoccupazione può essere involontaria e duratura per la presenza di

✓ prezzi rigidi verso il basso (specie W) in mercati non perfettamente concorrenziali

✓ conflitti distributivi

✓ carenza di domanda aggregata

 La disoccupazione ha grandi costi sociali

 L’intervento dello Stato deve essere significativo e può essere di varia natura Esiste un NAIRU

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Inflazione

Definizione: aumento generalizzato dei prezzi. Generalizzato: relativo a molti beni/servizi Ma nel Sistema ci sono migliaia di beni/servizi => migliaia di prezzi

Bisogna calcolare indici “rappresentativi” dell’andamento dei prezzi In Contabilità Nazionale i principali indici di prezzo sono:

Deflatore implicito del PIL:

rappresentativo dei P delle poste che formano il PIL, Indice dei prezzi alla produzione (IPP)

rappresentativo dei P “ex-fabrica” dei principali beni prodotti dalle imprese che le imprese vendono, ad esempio, ai grossisti.

Indice dei prezzi al consumo (IPC)

rappresentativo dei P dei beni/servizi compravenduti “al dettaglio”

Costi dell’inflazione (da cui l’enfasi della BCE sulla stabilità dei P)

Compromette tutte e tre le funzioni della moneta

Riduce il potere d’acquisto. Tra le cause della primavera araba (2011) c’è l’aumento dei P dei beni di prima necessità. Ecco perché in Italia si misura l’inflazione per le famiglie “con minore capacità di spesa”

Genera “fiscal drag”: Se imposizione fiscale progressiva, pago aliquota più alta solo perché è aumentato il mio reddito nominale

Indebolisce il contenuto informativo dei prezzi:

aumenta l’incertezza delle scelte e compromette l’efficienza allocativa dei processi di mercato.

L’inflazione crea conflitti distributivi sia del reddito che della ricchezza fra

✓ gruppi sociali (esempio già visto: lavoratori vs imprenditori)

✓ settori produttivi (esposti o meno alla concorrenza internazionale)

✓ creditori vs debitori (es. Famiglie vs Stato)

✓ percettori di reddito fisso vs percettori di reddito variabile (autonomi vs dipendenti) Questi conflitti sono tanto più aspri quanto più alta è l’inflazione.

Ma, ancor di più, un’inflazione bassa e stabile evita redistribuzioni occulte, i.e., non attuate attraverso politiche esplicitamente scelte dai governi e sottoposte al giudizio degli elettori attraverso il voto.

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Tipi d’inflazione:

Inflazione da domanda. Si verifica quando la domanda aggregata (consumi, investimenti,…) è superiore all’offerta di piena occupazione: nel caso di input non occupati la pressione della domanda potrebbe andare in maggiori Q piuttosto che in maggiori P.

Dato che per Keynes la AD è determinante nel Sistema (inverte Say), per lui l’inflazione è da domanda: può verificarsi solo se la AD è così alta da essere in “fase monetarista”

Inflazione da costi. Si verifica quando l’aumento generalizzato dei prezzi deriva dall’aumento dei costi di produzione, cioè del CLUP e/o delle materie prime (energetiche e non).

È necessario conoscere il tipo di inflazione:

se è da domanda lo Stato (lato sensu, es. BCE) deve fare politiche di contenimento della AD se è da costi lo Stato deve fare politiche di contenimento dei costi.

Ad esempio, se il problema è il costo del lavoro può intervenire sul cuneo fiscal- contributivo o cercando di rendere meno esasperate le relazioni industriali

Nei giorni scorsi, lo Stato ha ridotto il cuneo fiscale sulla benzina.

La questione inflazione “da domanda” vs “da costi” ci conduce alla curva di Phillips.

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Inflazione e disoccupazione:La curva di Phillips

La curva di Phillips:

Correlazione negativa tra tasso di disoccupazione e crescita dei salari monetari (1861-1957)

Due considerazioni:

1. Anche se è solo una correlazione empirica, l’inclinazione negativa della curva è coerente con l’ipotesi teorica per cui un’alta U riduce le istanze sindacali (↓W).

2. C’è un certo livello di U (6% nel grafico) per il quale W=0: esso si potrebbe vedere come il tasso naturale di disoccupazione.

Più genericamente, la curva di Phillips è interpretabile come una

relazione negativa tra variazioni di Q (es. (dis)occupazione) e variazioni di P (inflazione) Formalmente, essa può essere scritta come (ut=tasso di disoccupazione nell’anno t):

𝒑̇t = 𝒑̇𝒆 - ut

𝒑̇𝒆 = inflazione attesa (di più oltre)

Importanza della curva di Phillips: fornisce un “menù” per le politiche keynesiane C’è alta disoccupazione? Se si aumenta AD si può ridurla “pagando” con poca inflazione Esempi coi dati del grafico di Phillips:

✓ Hai u=6%? Puoi avere u=3% pagando con una piccola inflazione pari all’1%

✓ Hai 𝒑̇=6%? ↓AD e la porti sotto al 3% pagando con un piccolo ↑ di u, dall’1% al 2%

Vediamo queste politiche di AD nel grafico che sintetizza le varie “fasi” macroeconomiche:

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P AS AD

Q di pieno impiego

Q

Gli effetti delle politiche di domanda (che spostano IS e/o LM => la AD) dipendono dall’inclinazione della AS:

Fase Keynes: hai alta u (i.e., bassa Q)?

Politiche espansive, cioè spostamenti verso dx della AD non sono inflattive (i.e., non ↑P) Fase Monetarista: hai alta inflazione (i.e., alti P)?

Politiche deflattive, cioè spostamenti verso sx della AD, non riducono Q (i.e., non ↑u) Dovrebbe esservi chiaro che:

✓ queste due fasi sono estreme

✓ il menù di Phillips è meno estremo ma è coerente con le fasi e le politiche.

Detto ciò: possiamo quindi fare politiche e avere una disoccupazione permanentemente minore del tasso naturale senza avere problemi d’inflazione? Magari!

Dagli anni “70 la curva di Phillips sparisce (dati USA 1970-90, ma vale per molti paesi):

Che cosa accadde a partire dai primi anni 1970? Risposta breve: la stagflazione, ovvero, aumentò sia l’inflazione che la disoccupazione (es. per i 2 shock petroliferi: 1973, 1979):

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Tassi di Disoccupazione

Per Keynes la stagflazione era evento impossibile: se c’è inflazione è perché la AD (=>

occupazione) è molto alta (la curva di Phillips originale era in linea con ciò).

Perché gli shock petroliferi provocarono stagflazione?

Perché questo genere di shock (detti di costo) aumenta i costi di produzione =>

le imprese sono disposte a produrre/vendere la stessa Q ma solo a P più alti, ovvero, a quei P sono disposti a produrre/vendere ma solo una Q minore =>

la AS si spostò a sx (shock di costo o, equivalentemente, d’offerta) =>

la AS arretrò lungo la AD da cui stagflazione: ↑inflazione e ↓Q (i.e., ↑u)

P

AS breve

AS lungo

---

AD

---

Q di pieno impiego

Q

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M. Bovi Pag. 16

La solita contrapposizione teorica:

Neoclassici: dato che gli shock sono per loro natura temporanei e i mercati hanno una tendenza ad auto-equilibrarsi, nel medio-lungo periodo l’equilibrio AD=AS si ristabilirà a livello di pieno impiego. Ecco perché nel grafico c’è sia la AS di breve (quella post-shock) che di lungo (quella che si ha quando si è esaurito l’effetto dello shock).

L’intervento dello Stato potrebbe essere anche controproducente (es. a causa di politiche con tempi e/o modi sbagliati).

Keynes: i mercati NON hanno una tendenza ad auto-equilibrarsi, serve lo Stato.

Comunque, Keynes si (pre)occupa soprattutto del breve periodo: nel lungo periodo siamo tutti morti.

Torniamo alla sparizione della curva di Phillips:

il ruolo cruciale delle ASPETTATIVE.

Invero, come detto, i sindacati contrattano W poiché vogliono difendere il potere d’acquisto dei lavoratori, cioè vogliono difendere W/P =>

devono farsi un’idea di quello che sarà P dopo aver chiesto W alle imprese.

Ora, a seguito degli shock degli anni “70 - e della conseguente fiammata dei P -

le Parti Sociali, soprattutto i Sindacati, divennero più sensibili al problema dell’inflazione.

I Sindacati reagirono da “marginalisti”: cambiarono modo di prevedere l’inflazione. Perché?

Se negli anni l’inflazione procede a tassi costanti, si può immaginare che gli agenti economici prevedano un’inflazione più o meno costante. Ad esempio:

𝒑̇𝒆 = 𝒑̅ = media dell’inflazione negli anni passati =>

la curva di Phillips 𝒑̇t = 𝒑̇𝒆 - ut

si può scrivere 𝒑̇t = 𝒑̅ - ut (correlazione<0 coerente coi dati pre-1970)

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M. Bovi Pag. 17

Ma se l’inflazione aumenta sempre, allora prevederla costante è illogico e costoso:

costoso: sbagliare previsioni implica perdere potere d’acquisto (o perdere profitti reali) illogico: le previsioni sono sistematicamente sbagliate: prevedo 𝒑̅, ma 𝒑̇t è sempre > di 𝒑̅ Esempio:

Anno (t) 𝒑̇t 𝒑̅ 𝒑̇𝒆 = 𝒑̅ 2015-2021 3% 3% 3%

2022 4% 3,1% 3,1%

2023 7% 3,6% 3,6%

2024 11% 4,3% 4,3%

È quindi plausibile ritenere che i Sindacati non formano aspettative usando 𝒑̇𝒆 = 𝒑̅ Come possono difendere il potere d’acquisto formando aspettative meno sbagliate?

Possono usare, ad esempio, una media ponderata di 𝒑̅ e dell’ultimo dato disponibile (𝒑̇t-1):

𝒑̇𝒆 = (1-)𝒑̅ + 𝒑̇t-1 [1]

I Sindacati usano il peso  con “sagacia marginalista”:

✓ se l’inflazione è costante, prevedo che rimanga su valori “storici” (𝒑̇𝒆 = 𝒑̅) =>  → 0

✓ se l’inflazione è crescente, prevedo che rimanga su valori “correnti” (𝒑̇𝒆 = 𝒑̇t-1) =>  → 1 Inserendo questo modo di prevedere (eq. [1]) nella formula della curva di Phillips si ha:

𝒑̇t = 𝒑̇𝒆 - ut = (1-)𝒑̅ + 𝒑̇t-1 -ut

Questo modello spiega la relazione “u;𝒑̇” sia prima sia dopo gli shock d’offerta:

Fino al 1970 inflazione costante =>  → 0 => 𝒑̇t = 𝒑̅ -ut =>

se cala u => ↑ il livello dei prezzi (i.e., ↓u genera inflazione).

Vale la Phillips originale e il modello ne spiega i dati empirici.

Shock petroliferi: inflazione crescente =>  → 1 => 𝒑̇t = 𝒑̇t-1 -ut => 𝒑̇t - 𝒑̇t-1 = -ut =>

↓u genera un aumento nel livello dell’inflazione [(𝒑̇t - 𝒑̇t-1)>0], i.e., accelera la crescita dei P.

Questa curva di Phillips è infatti chiamata accelerazionista

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M. Bovi Pag. 18

I dati confermano la tesi accelerazionista:

rifacendo il grafico coi dati USA 1970-95, ma mettendo in ordinate (𝒑̇t - 𝒑̇t-1), riemerge una correlazione negativa significativa tra prezzi e quantità:

Forse non è inutile ricordare che in Economia non esiste “il” modello, però ci sono vari modelli ciascuno in grado di spiegare parte della realtà e ciò poiché la realtà, cioè il Sistema Economico, è enormemente complessa.

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